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Ridurre la caccia di selezione in Provincia di Belluno!

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Capriolo (Capreolus capreolus)

Capriolo (Capreolus capreolus)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (19 marzo 2018) una specifica richiesta per la riduzione della caccia di selezione in tutta la Provincia di Belluno a non oltre 3 giorni la settimana anzichè 5 e portare la stagione venatoria a 60 giorni complessivi come avviene per le altre specie cacciabili.

Numerosi i firmatari della richiesta, tra cui le Associazioni Mountain Wilderness – Veneto, WWF – Terre del Piave Belluno Treviso, Protezione Animale OIPA e Lega per l’Abolizione della Caccia – sez. Veneto, così come numerose sono state le osservazioni che hanno portato a chiedere all’Ufficio Caccia e Pesca della Provincia di Belluno una limitazione temporale per quanto riguardo il prelievo in selezione.

Con un periodo di caccia così ampio vi è anche di conseguenza un aumento degli incidenti stradali dovuti al fatto che gli animali spaventati dai numerosi colpi di fucile attraversano incautamente le strade. Si pensi che il picco degli investimenti dei caprioli avviene a maggio quando la madre li allontana, ormai adulti, per prepararsi nuovamente a partorire. Si immagini quindi cosa comporti la caccia di selezione rendendo orfani i piccoli di pochi mesi. Viene di conseguenza inevitabilmente interrotto l’insegnamento che la natura affida da sempre alle madri.

Capriolo ucciso a terra

Capriolo ucciso, a terra

Anche secondo le indicazioni dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.) nel documento Linee guida per la gestione degli Ungulati (2013) si indica preferibile non attuare alcun prelievo durante il periodo degli accoppiamenti per tutte le specie (con poche eccezioni), dovendo garantire la necessaria tranquillità durante una delle fasi più delicate del ciclo biologico annuale. Nel caso delle femmine, le fasi biologiche che devono essere salvaguardate nella programmazione dei tempi di prelievo sono anche quelle in cui si realizzano i parti, l’allattamento e la fase di dipendenza dei nuovi nati. L’abbattimento delle femmine adulte in quest’ultimo periodo infatti priverebbe i giovani del supporto materno (considerando sia la fase di allattamento sia in quella di “apprendimento”) rischiando di introdurre una fonte di mortalità additiva per quest’ultima classe.

Ci si aspetta quindi dalla Provincia di Belluno un ridimensionamento dei tempi previsti per la caccia di selezione, garantendo così anche maggior libertà di movimento sia ai cittadini sia ai tanti turisti che visitano quotidianamente la Provincia di Belluno e che hanno diritto ad apprezzare la natura in sicurezza e tranquillità.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cervo europeo (Cervus elaphus)

Cervo europeo (Cervus elaphus)

(foto L.A.C., P.F., S.D., archivio GrIG)


A Pasquetta sulla Sella del Diavolo!

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Cagliari, Sella del Diavolo, uno scorcio di visuale verso il Poetto

Cagliari, Sella del Diavolo, uno scorcio di visuale verso il Poetto

Le associazioni ecologiste Amici della TerraGruppo d’Intervento Giuridico onlus organizzano per il lunedi 2 aprile 2018, la mattina di Pasquetta, una passeggiata lungo il sentiero storico-naturalistico della Sella del Diavolo, dedicato a tutte le persone desiderose di trascorrere la mattina di Pasquetta alla scoperta, o riscoperta, di uno degli angoli più suggestivi di Cagliari e di tutto il Mediterraneo, tra gli odori della macchia e le numerose testimonianze della storia della città. 

Ai partecipanti sarà donato il calendario 2018 del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

L’appuntamento è per le ore 9.30 presso il piazzale di Calamosca, è necessario prenotarsi all’indirizzo e-mail grigsardegna5@gmail.com.

Vi aspettiamo!

Amici della TerraGruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

La Sella del Diavolo si protende verso il Golfo degli Angeli

Cagliari, la Sella del Diavolo si protende verso il Golfo degli Angeli

(foto S.D., archivio GrIG)

Drastico taglio degli alberi sulle sponde del Fiume Brenta!

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Vigonovo, sponde Brenta

Vigonovo, sponde boscate del Fiume Brenta prima dei tagli (2018)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (27 marzo 2018) una specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione di opportuni provvedimenti riguardo l’avvenuto recente taglio della vegetazione riparia – comprendente anche alberi ad alto fusto – lungo il corso del Fiume Brenta, nel tratto in territorio comunale di Vigonovo (VE).

Nessuna informazione preventiva alla cittadinanza, un taglio raso che ha eliminato qualsiasi habitat naturale in pieno periodo della nidificazione per le specie dell’avifauna selvatica (qui le sponde prima del taglio).

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018) (2)

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

Le fasce spondali del Fiume Brenta sono tutelate con il vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e la vegetazione svolge un’importante funzione di difesa idrogeologica.

In ogni caso, non è questo il momento per procedere al taglio o potatura degli alberi: infatti, è in corso il periodo riproduttivo per le specie dell’avifauna selvatica.

L’art. 5 della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica, esecutiva in Italia con la legge n. 157/1992 e s.m.i., comporta in favore di “tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri” (art. 1 della direttiva) “il divieto:

a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo;

b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi;

c) di raccogliere le uova nell’ambiente naturale e di detenerle anche vuote;

d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva;

e) di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura”.

Il disturbo/danneggiamento/uccisione delle specie avifaunistiche in periodo della nidificazione può integrare eventuali estremi di reato (artt. 544 ter cod. pen., 30, comma 1°, lettera h, della legge n. 157/1992 e s.m.i.) o violazioni di carattere amministrativo (art. 31 della legge n. 157/1992 e s.m.i.).

Sono stati coinvolti il Ministero per i beni e attività culturali e il turismo, la Direzione operativa dell’Area tutela e sviluppo del territorio della Regione Veneto, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Area metropolitana di Venezia e Belluno, Padova, Treviso, il Comune di Vigonovo, il Comando regionale dei Carabinieri Forestali, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapide verifiche sulla legittimità dei tagli arborei effettuati e, soprattutto, l’inibizione di ogni ulteriore attività che potrebbe portare a ulteriori rischi per le sponde del Fiume Brenta, la sicurezza pubblica e i suoi habitat naturali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

(foto da Google Earth, per conto GrIG, archivio GrIG)

La Procura della Repubblica di Roma si occupi dei tagli boschivi di Castel Romano, nella riserva naturale “Decima – Malafede”, se le motoseghe non verranno spente!

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Bosco, radura

Bosco, radura

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (27 marzo 2018) una specifica istanza alla Città metropolitana di Roma Capitale (Dipartimento VI “Pianificazione territoriale generale” – Servizio 3 “Geologico e difesa del suolo, protezione civile in ambito metropolitano”) per l’adozione di un provvedimento di immediata revoca (art. 21 quinques della legge n. 241/1990 e s.m.i.) del taglio di un bosco con governo a ceduo esteso 21 ettari in località Castello Romano, nella riserva naturale regionale “Decima – Malafede”, da parte della Società agricola Le Tenute s.r.l. (sede in Via della Cesarina, 22 – Roma), sui terreni della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide), detentrice di estese proprietà immobiliari nell’Agro Romano.

I tagli boschivi sono, infatti, iniziati il 16 marzo 2018, nel pieno del periodo di nidificazione dell’avifauna selvatica presente nell’area, le spallette boschive di Castel Romano, bosco misto (Quercia, Cerro e Leccio, Corbezzolo, Lentisco, Fillirea, Ginestra, Perastro, Prugnolo), con presenza di numerose specie faunistiche, fra cui Falco pecchiaiolo, Poiana, Tasso, Istrice, Nibbio bruno, Daino, Picchio Verde, Picchio rosso maggiore, il rarissimo Ululone dal ventre giallo, Rana dalmatina.

L’istanza è stata inviata anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e ai Carabinieri Forestale per verificare l’eventuale commissione di reati in danno della fauna selvatica.

bosco in passato governato a ceduo

bosco in passato governato a ceduo

Coinvolti il Ministero per i beni e attività culturali e il turismo, Roma Capitale, la Città metropolitana di Roma Capitale, i Municipi IX e X, di Roma Capitale, la Soprintendenza per archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, l’Ente “Roma Natura”.

Il taglio del bosco è stato autorizzato dalla Città metropolitana di Roma Capitale (Dipartimento VI “Pianificazione territoriale generale” – Servizio 3 “Geologico e difesa del suolo, protezione civile in ambito metropolitano”) con nota prot. n. 488 dell’8 marzo 2018 (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i., legge regionale Lazio n. 39/2002, regolamento Regione Lazio n. 7/2005).

Antecedentemente il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva inoltrato (9 febbraio 2018) una specifica richiesta di accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti finalizzata a mantenere il bosco di Castel Romano.

foglie nel bosco

foglie nel bosco

In precedenza l’Ente “Roma Natura”– al di là del comunicato stampa di smentita del 10 febbraio 2018 del presidente Maurizio Gubbiotti – aveva rilasciato due autorizzazioni con prescrizioni, sotto il profilo strettamente connesso alla gestione dell’area naturale protetta (artt. 13 della legge n. 394/1991 e s.m.i., 28 della legge regionale Lazio n. 29/1997 e s.m.i.), per il taglio boschivo.

La Soprintendenza speciale Archeologia, Beni Culturali e Paesaggio non si è espressa nei termini di legge ai fini del vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Poiana

Poiana

La Città metropolitana di Roma Capitale ha quantomeno ristretto le ipotesi di taglio piuttosto ampie confermate dall’Ente “Roma Natura” (nota prot. n. 950 del 7 marzo 2018), in particolare:

* “dovranno essere preservati dal taglio sia le formazioni rupestri, che gli esemplari arborei vetusti

* “durante le operazioni selvicolturali dovranno essere preservati dal taglio gli esemplari arborei costituenti un ricovero per la fauna selvatica silvestre, con particolare riguardo a quelli ospitanti eventuali nidi di piciformi e/o di rapaci

* “dovranno essere preservati dal taglio, ai sensi della L.R. n. 61/74, gli esemplari di agrifoglio (Ilex aquifolium) e le altre specie protette eventualmente presenti nonché … gli esemplari di sughera (Quercus suber) e i fruttiferi

* “è fatto assoluto divieto di aprire nuove piste permanenti per l’esbosco e di eseguire qualsiasi altro intervento che possa arrecare danno al suolo, al soprassuolo ed all’ambiente naturale”.

Tuttavia, è oggettivamente improbabile che non si rechi disturbo all’avifauna selvatica nel periodo riproduttivo impiantando un cantiere per i tagli boschivi e scatenando le motoseghe.

tagliata boschiva

tagliata boschiva

In ogni caso, tale pratica dovrebbe essere attuata con le necessarie attenzioni e cure nei confronti dell’avifauna nidificante negli alberi oggetto di taglio, al fine di prevenire un abbandono dei nidi da parte delle specie coinvolte.

Come noto, l’art. 5 della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica, esecutiva in Italia con la legge n. 157/1992 e s.m.i., comporta in favore di “tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri” (art. 1 della direttiva) “il divieto:

a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo;

b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi;

c) di raccogliere le uova nell’ambiente naturale e di detenerle anche vuote;

d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva;

e) di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura”.

Il disturbo/danneggiamento/uccisione delle specie avifaunistiche in periodo della nidificazione può integrare eventuali estremi di reato, in particolare ai sensi degli artt. 544 ter cod. pen., 30, comma 1°, lettera h, della legge n. 157/1992 e s.m.i. o violazioni di carattere amministrativo ai sensi dell’art. 31 della legge n. 157/1992 e s.m.i.;

funghi nel sottobosco

funghi nel sottobosco

Alla luce di tali disposizioni, qualsiasi intervento di taglio delle specie arboree o di potatura della vegetazione andrebbe effettuato con le cautele idonee alla salvaguardia delle specie nidificanti presenti, in modo tale da evitare di arrecare loro disturbo nel periodo di riproduzione.   Tuttavia, non si è a conoscenza di alcun censimento preventivo dei nidi esistenti né delle necessarie cautele adottate per evitare il disturbo alla nidificazione determinato dal rumore e da tutte le ulteriori attività antropiche connesse al taglio boschivo.

La riserva naturale regionale “Decima – Malafede” costituisce “una delle maggiori foreste planiziali del bacino del Mediterraneo”, come riconosciuto e riportato nello stesso sito web istituzionale dell’Ente gestore “Roma Natura”, l’ente della Regione Lazio per la gestione del sistema di aree naturali protette di Roma Capitale.

Ciò nonostante continuano i tagli dei boschi governati a ceduo.

Sarebbe l’ora che i secolari interessi privati, anche di modesta entità, lasciassero definitivamente il passo nell’Agro Romano all’interesse pubblico della salvaguardia del patrimonio naturalistico.

spallette

Roma, Riserva naturale “Decima – Malafede”, spallette boschive

Ma non si può tralasciare il fatto che simili operazioni sono favorite dalla mancata approvazione definitiva di numerosi piani di assetto, i piani di gestione delle riserve naturali, da parte della Regione Lazio: solo alcuni piani sono stati approvati, mentre i restanti, compreso quello della riserva naturale “Decima – Malafede”, non sono stati approvati e le relative misure di salvaguardia sono decadute, consentendo numerosi interventi di grave trasformazione del territorio mediante piani ambientali di miglioramento agricolo (PAMA) comprendenti impianti di compostaggio, centro di vendita ortofrutticola e nuove volumetrie (es. Quarto della Zolforatella).

Anche Roma Capitale potrebbe fare la sua parte per la tutela dell’Agro Romano, con una variante del piano regolatore generale (P.R.G.) che classifichi “zone di salvaguardia – H” tutte le residue aree boschive con divieto di nuovi tagli. Nelle more, potrebbero destinare qualche decina di migliaia di euro (perché, in fondo, si parla di tali cifre) per acquisire i relativi diritti di taglio (art. 34 della legge regionale Lazio n. 29/1997): sono, infatti, del tutto insufficienti gli “appelli” lanciati dagli amministratori locali. alla benevolenza della società di ambito ecclesiastico ben poco incline a seguire gli indirizzi dell’Enciclica “Laudato si” di Papa Francesco.

Questo sarebbe solo l’inizio della fine della povera riserva naturale: all’orizzonte avanzano i progetti della nuova autostrada Roma – Latina e della bretella stradale A 12 – Tor de’ Cenci.

Siamo, però, ancora in tempo per evitare questi ulteriori scempi ambientali annunciati.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

ed ecco un piccolo reportage dei tagli boschivi di questi giorni (foto di Paolo Avetrani, marzo 2018)

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima-Malafede), tagli boschivi, 2 - Copia

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi (marzo 2018)

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima-Malafede), tagli boschivi - Copia

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi (marzo 2018)

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima-Malafede), tagli boschivi, 3 - Copia

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi su costone scosceso (marzo 2018)

 

e ancora (foto da http://riservadecima-malafede.blogspot.it/)

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Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi (marzo 2018)

TaglioCastelRomano2018MarsTrigoria10 519 - Copia

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi (marzo 2018)

TaglioCastelRomano2018MarsTrigoria10 507 - Copia

Roma, Castel Romano (riserva naturale Decima – Malafede), tagli boschivi (marzo 2018)

 

Gheppio (Falco tinnunculus)

Gheppio (Falco tinnunculus)

(foto da http://riservadecima-malafede.blogspot.it/,  Paolo Avetrani, S.D., archivio GrIG)

Il Commissario per gli usi civici caccia definitivamente parcheggi e chioschi dai Piani di Castelluccio di Norcia.

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Piani di Castelluccio

Norcia, Piani di Castelluccio

Il Commissario per gli Usi Civici di Lazio, Umbria e Toscana, con sentenza n. 19 del 13 marzo 2018, ha definitivamente scacciato parcheggi autoveicoli e autocaravan dai terreni a uso civico al Piano Grande e al Pian Perduto di Castelluccio di Norcia (PG).

Per ora è noto solo il dispositivo della sentenza: è stato comunque accolto il ricorso effettuato nell’estate 2015 (5 agosto 2015) dalle associazioni Mountain Wilderness Italia – Umbria e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per difendere natura, paesaggio e diritti di uso civico dei Piani di Castelluccio, posti in pericolo dal gran numero di autoveicoli e camper presenti durante l’estate.

Piani di Castelluccio, fioritura (da Flickr)

Norcia, Piani di Castelluccio, fioritura (da Flickr)

Il Commissario per gli Usi Civici ha affermato chiaramente che i terreni a uso civico non possono “essere adibiti ad aree di sosta temporanee per autoveicoli, respingendo le argomentazioni portate in causa dalla Regione Umbria, dalla Comunanza Agraria di Castelluccio e dal Comune di Norcia.

In precedenza, con ordinanza n. 255 del 28 luglio 2016, aveva disposto il sequestro giudiziario (art. 30 della legge n. 1766/1927 e s.m.i., nonché art. 670, comma 1°, cod. proc. civ.) delle aree a uso civico utilizzate illegittimamente come parcheggio, nominando Custode giudiziario il Comandante del reparto del Corpo forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestale) competente per territorio, mentre gli atti sono stati trasmessi alla competente Procura della Repubblica per le ipotesi di reato paesaggistico (art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e alla Procura regionale della Corte dei conti per le ipotesi di danno erariale (art. 1 della legge n. 20/1994 e s.m.i.).

Norcia, Piani di Castelluccio (17 luglio 2016) - Copia

Norcia, Piani di Castelluccio, parcheggio e chiosco (17 luglio 2016)

La vicenda processuale davanti al Commissario per gli usi civici di Roma rientra nell’ambito del complesso di azioni portate avanti dalle associazioni ecologiste Mountain Wilderness Italia e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per la salvaguardia dei Piani di Castelluccio, notissimi per la famosa fiorita, autentica esplosione di colori.

Si tratta di un altopiano carsico-alluvionale dell’Appennino Umbro-Marchigiano, sui Monti Sibillini, ai piedi del Monte Vettore, nei Comuni di Norcia (PG) e Castelsantangelo sul Nera (MC), nel Parco nazionale dei Monti Sibillini.  Sono il fondo di un antico lago appenninico, ora prosciugatosi e noto per i suoi fenomeni carsici.  Estesi circa 15 kmq., sono a un’altezza media di mt. 1.350 e costituiscono un ambiente unico e straordinario: sono tutelati con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), rientrano nel parco nazionale dei Monti Sibillini (legge n. 394/1991 e s.m.i., D.P.R. 6 agosto 1993) e nel sito di importanza comunitaria (S.I.C.) “Piani di Castelluccio di Norcia (codice IT5210052), ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali.  Gran parte dei Piani (1.136 ettari) sono aree a uso civico (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928, legge regionale Umbria n. 1/1984 e s.m.i.), di cui è titolare la Comunanza Agraria di Castelluccio.

Norcia, Piani di Castelluccio, traffico veicolare insostenibile (26 giugno 2016)

Norcia, Piani di Castelluccio, traffico veicolare insostenibile (26 giugno 2016)

La pronuncia del Commissario per gli Usi civici assume anche grande rilievo per l’approvazione definitiva del progetto per la delocalizzazione di esercizi commerciali, caseifici, ristoranti di Castelluccio proposto dalla Regione Umbria per superare la gravissima crisi causata dal devastante terremotoche ha colpito l’Italia centrale nel 2016 e ha provocato la quasi completa distruzione anche di Castelluccio di Norcia, storico piccolo centro medievale nel parco nazionale dei Monti Sibillini.    Il progetto regionale ha già suscitato vivaci polemiche e interrogazioni parlamentari per l’evidente impatto ambientale, ma in ogni caso non potrà stravolgere il demanio civico locale.

Norcia, Piani di Castelluccio, inverno

Norcia, Piani di Castelluccio innevati

Le associazioni ecologiste Mountain Wilderness Italia e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspicano con forza il necessario sforzo congiunto di tutte le amministrazioni pubbliche competenti per evitare la perdita di naturalità di quel straordinario bene ambientale rappresentato dai Piani di Castelluccio.

Difendere quel gioiello naturalistico dal degrado è necessario e crediamo che chiunque non possa che esser d’accordo.

E la sentenza del Commissario per gli Usi Civici dà forza e ragione alla salvaguardia ambientale.

Mountain Wilderness Italia onlus – Umbria Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

dispositivo, pag. 2 - Copia

sentenza Commissario Usi Civici Roma n. 19 del 13 marzo 2018, dispositivo

 

Roma, Commissariato per gli Usi Civici

Roma, Commissariato per gli Usi Civici per Lazio, Umbria, Toscana

(foto da Flickr, M.C.G., S.D., archivio GrIG)

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus diffida il Governo e chiede la revoca della convocazione della conferenza di servizi per l’approvazione del gasdotto “Rete Adriatica” (tronco Sulmona – Foligno).

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tracciato progetto gasdotto “Rete Adriatica” e rischio sismico (elaborazione Il Fatto Quotidiano su dati I.N.G.V.)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (30 marzo 2018) un atto di invito formale al Presidente del Consiglio dei Ministri dimissionario Paolo Gentiloni affinchè adotti i provvedimenti necessari per la revoca della convocazione della conferenza di servizi (art. 14 quater della legge n. 241/1990 e s.m.i.) per il superamento del dissenso manifestato da regioni per l’approvazione del tronco Sulmona – Foligno del progetto di gasdotto appenninico “Rete Adriatica” della Snam Rete Gas s.p.a.

Coinvolti anche i Presidenti delle Regioni Abruzzo, Lazio, Umbria.

simulazione posa gasdotto (Studio Newton, Fano)

simulazione posa gasdotto (Studio Newton, Fano)

Questa attività politico-amministrativa, carica di ingenti conseguenze ambientali e sociali sui territori appenninici, esorbita chiaramente da quei canoni di “ordinaria amministrazione” e del “disbrigo degli affari correnti” propri di un Governo attualmente dimissionario fin dal 24 marzo 2018 e, quindi, non nella pienezza delle funzioni, come richiesto dall’art. 94, comma 1° cost.

Inoltre, giova ricordare che gli stessi provvedimenti conclusivi dei procedimenti di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) dei tronchi Sulmona – Foligno e Foligno – Sestino del progetto di gasdotto “Rete Adriatica” sono tuttora oggetto di ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica effettuati nel 2011 (ricorrenti Provincia di Perugia, Comune di Gubbio, Mountain Wilderness Italia, Lega per l’Abolizione della Caccia, Federazione nazionale Pro Natura, interveniente Gruppo d’Intervento Giuridico onlus).

Umbria, Appennino, boschi

Umbria, Appennino, boschi

Il progetto di gasdotto “Rete Adriatica”. Gli impatti ambientali e socio-economici.

Il progetto Snam di gasdotto “Rete Adriatica” ha caratteristiche pesantemente impattanti: una lunghezza complessiva di km. 687 (tubazione di diametro 1.200 mm. a mt. 5 di profondità, servitù di mt. 40), un unico tracciato dal Sud (Massafra, Prov. Taranto) fino all’Italia settentrionale (Minerbio, Prov. Bologna).

Un progetto suddiviso in cinque tronconi (Massafra-Biccari; Biccari-Campochiaro; centrale di compressione Sulmona; Sulmona-Foligno; Foligno-Sestino; Sestino-Minerbio) che attraversa ben dieci Regioni (Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna), interessando aree di rilevante importanza naturalistica (3 parchi nazionali, 1 parco naturale regionale, 21 siti di importanza comunitaria)[1], aree a gravissimo rischio sismico (Abruzzo, Lazio, Umbria, Marche) e idrogeologico, senza che  sia stato effettuato un unico procedimento di valutazione di impatto ambientale (direttive n. 85/337CEE e n. 97/11/CE) come richiesto da normativa e giurisprudenza comunitaria (vds. es. Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) né una procedura di valutazione ambientale strategica (direttiva n. 01/42/CE). Disattese anche altre disposizioni normative specifiche relative al procedimento di V.I.A. e alla corretta redazione dello studio di impatto ambientale.

Appennino, Lupo (Canis lupus italicus)

Appennino, Lupo (Canis lupus italicus)

Avverso tale progetto sono stati presentati vari ricorsi alla Commissione europea da amministrazioni pubbliche (Province di Pesaro-Urbino e di Perugia, Comunità Montana Catria e Nerone, Comune di Gubbio, Comune di L’Aquila), associazioni ecologiste (Gruppo d’Intervento Giuridico, Comitato “No Tubo”, Federazione nazionale Pro Natura, WWF, Italia Nostra, Mountain Wilderness, Comitati cittadini per l’ambiente di Sulmona, Comitato civico Norcia per l’ambiente, La Lupus in Fabula) e venatorie (Arci Caccia – Perugia).

Non solo.  Sono stati numerosi gli atti di sindacato parlamentare in sede comunitaria e nazionale, dove l’VIII Commissione permanente “Ambiente” della Camera dei Deputati aveva approvato il 26 ottobre 2011 all’unanimità la Risoluzione n. 7-00518 presentata il 15 marzo 2011 (prima firmataria on. Raffaella Mariani, P.D.) che impegnava il Governo alla modifica del tracciato del gasdotto appenninico “Rete Adriatica”.

Risoluzione tuttora inattuata, come gli analoghi atti approvati in varie occasioni dai Consigli regionali di Abruzzo, Umbria e Marche. Anzi Governo Gentiloni, pur dimissionario, e Gruppo Snam vogliono chiudere la partita quanto prima con il rilascio dell’autorizzazione definitiva.

Camoscio Abruzzo

Camoscio d’Abruzzo (foto Raniero Massoli Novelli)

Infatti, il Consiglio dei Ministri, nella seduta di venerdi 22 dicembre 2017, ha deciso “la condivisione dei pareri favorevoli, con condizioni, espressi in conferenza di servizi nel procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio nella Regione Abruzzo della Centrale di compressione gas di Sulmona, proposta dalla società Snam Rete Gas S.p.a. La delibera tiene in considerazione la rilevanza energetica e il carattere strategico dell’opera, necessaria per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici a livello italiano ed europeo”.

Alla deliberazione collegiale è seguito il decreto Ministero dello sviluppo economico (D.G. Sicurezza approvvigionamenti e infrastrutture energetiche) del 7 marzo 2018 di approvazione definitiva del progetto di centrale di compressione del gas naturale di Sulmona e connessione alla rete esistente (il campo di stoccaggio gas in sotterraneo ‘Fiume Treste Stoccaggio’, situato nel vicino Comune di Cupello,  già collegato alla Rete Nazionale dei Gasdotti tramite i metanodotti ‘Vastogirardi – San Salvo’ e ‘Campochiaro – Sulmona’).

Il progetto della centrale di compressione del gas di Sulmona è una parte del gasdotto “Rete Adriatica”, il ben noto gasdotto dei terremoti, ed è pesantemente contestato dalla popolazione.

L’area è fortemente a rischio sismico, come l’intero Appennino fra Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche.

E anche qui – insieme a comitati, associazioni, residenti – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus continuerà a battersi, fino in fondo.stendardo GrIG

Il prossimo 21 aprile 2018 a Sulmona si terrà una manifestazione nazionale contro il folle progetto di gasdotto e tutti i cittadini di buon senso sono chiamati a far la loro parte.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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[1]  *  parchi nazionali della Maiella, dei Monti Sibillini, del Gran Sasso – Monti della Laga;

parco naturale regionale del Velino – Sirente;

siti di importanza comunitaria – S.I.C. e/o zone di protezione speciale – Z.P.S. “Area delle Gravine” (codice IT9130007), “Valle Ofanto-Lago di Capaciotti” (codice IT9120011), “Valle del Cervaro-Bosco dell’Incoronata” (codice IT9110032), “Sorgenti ed Alta Valle del fiume Fortore” (codice IT8020010), “Bosco di Castelvetere in Valfortore” (codice IT8020006), “Bosco di Castelpagano” (codice IT2020005), “Sella di Vinchiaturo” (codice IT7222296), “La Gallinola-Monte Miletto- Monti del Matese” (codice IT7222287), “Maiella” (codice IT7140203), “Maiella sud-ovest” (codice IT7110204), “Monte Genzana” (codice IT7110100), “Parco nazionale della Maiella” (Z.P.S., codice IT7140129), “Fiumi-Giardino-Sagittario-Aterno-Sorgenti del Pescara” (codice IT7110097), “Velino-Sirente” (codice IT7110130),  “Fiume Topino” (codice IT5210024), “Boschi bacino di Gubbio” (codice IT5210010), “Boschi di Pietralunga” (codice IT5210004), “Biotopi e ripristini ambientali di Medicina e Molinella” (codice IT4050022), “Valli di Medicina e Molinella” (codice IT4050017), “Biotopi e ripristini ambientali di Budrio e Minerbio” (codice IT4050023), “Valle Benni” (codice IT4050006).

 

Sulmona, manifestazione contro il gasdotto "Rete Adriatica"

Sulmona, manifestazione contro il gasdotto “Rete Adriatica”

(foto Raniero Massoli Novelli, A.L.C., S.L., G.M., S.D., archivio GrIG)

Buona Pasqua a tutti noi che viviamo su questa Terra!

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Snoopy Pasqua

I più calorosi auguri per una Pasqua serena a tutti noi esseri viventi di questa nostra splendida Terra!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Via concessioni e recinzioni dai siti archeologici del Golgo!

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Baunei, Golgo, recinzione (marzo 2018) - Copia

Baunei, Golgo, recinzione (marzo 2018)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (29 marzo 2018) una specifica istanza per la revoca, quantomeno parziale, della concessione di terreni a uso civico effettuata nell’area del Golgo – As Piscinas di Baunei (NU) e del relativo provvedimento di mutamento e sospensione dei diritti di uso civico per la realizzazione di servizi turistici.

La determinazione Responsabile Servizio tecnico Comune Baunei n. 188 del 22 giugno 2016 ha, infatti, concesso circa 4,79 ettari di terreni appartenenti al demanio civico di Baunei (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i., decreto Commissario Usi Civici Sardegna n. 294 del 30 dicembre 1943), comprendenti il sito d’interesse archeologico di As Piscinas, “conche naturali formatesi nella roccia, dove si raccolgono le acque piovane, modificate dall’uomo per la fusione dei metalli e per riti magici o di culto[1], tutelato quale “bene culturale” (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), nonché il monumento naturale Su Sterru (legge regionale Sardegna n. 31/1989 e s.m.i., decreto Ass.re Difesa Ambiente R.A.S. n. 3110 del 2 dicembre 1993).

L’esercizio dei diritti di uso civico era stato in precedenza sospeso con determinazione Agenzia A.R.G.E.A.- Servizio Territoriale Ogliastra n. 681 del 24 febbraio 2016.

Baunei, Golgo, recinzione (marzo 2018) (2)

Baunei, Golgo, recinzione (marzo 2018)

Tuttavia, la “concessione di valorizzazione”, comprendendo e consentendo la realizzata recinzione di siti d’interesse archeologico, contrasta palesemente e insanabilmente con il regolamento comunale per l’esercizio dei diritti di uso civico (deliberazione C.C. Baunei n. 30 del 5 novembre 2012), il quale prevede che:

* “non possono essere oggetto di concessione … sorgenti e acque pubbliche, beni archeologici o storici” (art. 5);

* “non potranno mai essere recintate le fonti, gli abbeveratoi, i corsi d’acqua e qualsiasi altra struttura d’interesse pubblico” (art. 12);

* “tutte le recinzioni (…) dovranno essere realizzate in modo da salvaguardare … il libero accesso alle sorgenti, alle acque pubbliche ed ai beni archeologici e storici” (art. 64);

Inoltre, le disposizioni per la fruizione dei beni culturali e loro eventuali provvedimenti di concessione sono previste negli artt. 101 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (codice per i beni culturali e il paesaggio).

E’ del tutto evidente che tali siti d’interesse archeologico non potessero essere oggetto di qualsiasi concessione né, tantomeno, potessero essere recintati.

Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

Sono stati coinvolti il Comune di Baunei, l’Agenzia A.R.G.E.A., il Ministero per i beni e attività culturali, la Soprintendenza per archeologia, belle arti e paesaggio di Sassari, il Servizio tutela paesaggio di Nuoro della Regione autonoma della Sardegna, informati, per quanto di competenza, il Commissario per gli Usi Civici e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapidi provvedimenti che riportino legalità nella gestione del demanio civico di Baunei (già in passato oggetto di discutibili utilizzi) e la fruizione pubblica di beni archeologici e ambientali che non possono e non devono esser “privatizzati” in alcuna forma e per qualsiasi motivo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] vds. piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche di Baunei, cap. 11.2, pag. 38, piano approvato con deliberazione C.C. Baunei n. 31 del 5 novembre 2012 e con decreto Presidente R.A.S. n. 132 del 15 ottobre 2013.

 

Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

(foto per conto GrIG, J.I., archivio GrIG)


Il nuovo tracciato della metropolitana leggera di Cagliari favorisce la speculazione immobiliare, parola di sindaco.

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tracciati metropolitana leggera di Cagliari a confronto

tracciati della Metropolitana leggera di Cagliari a confronto (da L’Unione Sarda)

anche su Il Manifesto Sardo (“Il nuovo tracciato della metropolitana leggera di Cagliari favorisce la speculazione immobiliare, parola di sindaco“), n. 258, 1 aprile 2018

 

La metropolitana di superficie verso Quartu è il più grande progetto di speculazione edilizia in corso a Cagliari. L’unico percorso che ho visto che si snoda toccando stranamente proprietà è l’autostrada di Capaci, che doveva sfiorare i terreni dei mafiosi”.

E ancora, “la metro con questi percorsi potrebbe costarci dieci milioni di perdita d’esercizio l’anno: attraversa terreni dove nulla c’è e nulla può esserci per via del rischio idrogeologico. Ma dopo che ci saranno i binari, si potrà costruire per dare un senso alla metropolitana? … I binari devono essere dove la gente abita o lavora, non in mezzo al nulla: perché serve solo alla speculazione edilizia, nelle aree in cui i treni si muoveranno senza motivo né passeggeri. Il tracciato deve servire il territorio, non gli interessi di chi costruirà”.

Cagliari, la Torre dell'Elefante

Cagliari, la Torre dell’Elefante

E poi, “Da Quartu si sfiorano soltanto Quartucciu e Selargius e si segue un percorso periferico a Monserrato, dove si cambia convoglio: a piedi si fa prima. E poi si deve avere attenzione al versante di Capoterra, Sarroch, Villa San Pietro e Pula: da lì entrano in città 38mila veicoli al giorno, che intasano Cagliari e ai quali è impossibile garantire parcheggio. Non devono arrivare più, ma bisogna offrire vantaggi. Inoltre, vorrei vedere il piano finanziario per la tratta di Quartu: non può reggere … Sono tutti binari morti, tracciati che a un certo punto finiscono. Occorrono gli anelli di collegamento tra le varie linee. Ad esempio, la linea per il Poetto deve ricollegarsi a Quartu: non ha senso dalla spiaggia tornare a Cagliari e poi cambiare linea verso Quartu. Nessuno ci ha pensato”.

Non ha usato mezzi termini il sindaco di Cagliari Massimo Zedda nel ruolo di Massi il selvaggio e nel dire che cosa ne pensa del tracciato della nuova linea della Metropolitana leggera dell’area vasta di Cagliari.

Appaltata (gennaio 2018) per 18,8 milioni di euro la realizzazione del progetto per il tratto Piazza Repubblica – Piazza Matteotti, di raccordo con la stazione e la rete ferroviaria, ora si deve decidere il tracciato delle linee di collegamento con l’area vasta.  8 milioni di euro di fondi comunitari e del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la sola progettazione.

Se n’è occupato un tavolo tecnico convocato dalla Regione autonoma della Sardegna con i Comuni di Quartu S. Elena, Selargius, Monserrato e Quartucciu: l’annunciava felice l’allora indimenticabile assessore regionale dei trasporti Massimo Deiana il 18 aprile 2017, dopo la riunione che aveva sancito il nuovo percorso della linea della metropolitana leggera nell’hinterland.

Cagliari, panorama

Cagliari, panorama

Il risultato è davvero opinabile.

Le preoccupazioni (per usare un eufemismo) del sindaco di Cagliari sono le stesse del collega di Quartu S. Elena, Stefano Delunas, mentre rincara la dose il sindaco di Quartucciu Pietro Pisu: “il percorso della metro massacra il territorio dal punto di vista urbanistico e ambientale e non passa nel centro del paese”.Critiche sulla funzionalità da parte di Italo Meloni, docente universitario di pianificazione dei trasporti: “il tracciato dal punto di vista trasportistico è tortuoso e suscita molte perplessità. L’itinerario non è stato studiato dal punto di vista funzionale: da Quartu a piazza Repubblica 15 fermate. Troppe, chiaro che i quartesi preferiscono utilizzare l’auto o le linee del Ctm 30 o 31”.

Gli unici indignati per le accuse di Massimo Zedda sono il sindaco di Selargius Gigi Concu (“Le accuse del sindaco Massimo Zedda sono prive di qualsiasi fondamento e infamanti nei confronti di tutte le amministrazioni coinvolte nel progetto della metropolitana”) e l’assessore comunale all’urbanistica di Monserrato Gabriele Asunis, già dirigente e assessore regionale all’urbanistica, che afferma: “le aree sulle quali passa il tracciato sono state condivise da tutti i Comuni … Il Comune di Cagliari non ha mai sollevato eccezioni”.

In realtà, pare che volutamente il Comune di Cagliari abbia disertato la riunione cruciale del tavolo tecnico proprio per il dissenso sul percorso.   Secondo il sindaco Zedda, “ispiratore del tracciato … è ‘l’assessore all’Urbanistica di Monserrato, Gabriele Asunis, già assessore agli Enti locali nella precedente Giunta regionale’“.

Panorama Cagliari da Viale Buoncammino

Cagliari, panorama da Viale Buoncammino

Rapidamente ha messo le mani avanti il nuovo assessore regionale dei trasporti Carlo Careddu, olbiese e poco addentro alla vicenda, rendendosi disponibile a consegnare immediatamente tutta la documentazione disponibile sul progetto alla Magistratura per fugare ogni dubbio.

Poco ma sicuro, per andare da Cagliari a Quartu e viceversa è abbastanza assurdo passare per Quartucciu, Selargius e Monserrato, allungando non poco il percorso.

Aree non abitate, prive attualmente di utenti. Aree di salvaguardia idrogeologica.   Chi sono i proprietari?   Non lo sappiamo.

Sappiamo, però, che la prevista “linea gialla” della metropolitana, quella che dovrebbe unire “la Linea Blu con il comune di Sestu attraverso la Piana di San Lorenzo”, è prossima a un vero e proprio nuovo quartiere a Su Stangioni, finora bocciato dall’Amministrazione comunale Zedda per il pesante impatto ambientale e socio-economico[1].

Cagliari, proposta immobiliare Su Stangioni, simulazione progettuale (da www.castelloassociati.com)

Cagliari, proposta immobiliare Su Stangioni, simulazione progettuale (da http://www.castelloassociati.com)

Un progetto di nuova linea di metropolitana leggera, insomma, utile più a interessi immobiliari che ai cittadini residenti nell’area vasta di Cagliari.   Parola di sindaco, conferma del buon senso.

E Cagliari non ha proprio bisogno di ulteriore speculazione immobiliare, ma di una buona gestione del territorio.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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[1] Si tratta di un piano di lottizzazione di iniziativa privata (qui una parte) di ingenti dimensioni: 807 nuove unità immobiliari (430 residenze private + 377 residenze economico-popolari), 97 esercizi commerciali (due torri alte 45 metri), 3.000 residenti previsti, criteri e materiali di bio-edilizia, nella località Su Stangioni – Is Trincas (19,2 ettari, cioè 192.000 metri quadri, di cui 116.000 metri quadri di edilizia residenziale pubblica, 32.000 metri quadri di servizi, 44.000 metri quadri di verde pubblico e privato), vie pedonali, metropolitana e strade sottoterra, presso l’ex inceneritore (e oggi stazione di stoccaggio dei rifiuti del Comune di Cagliari), la S.S. n. 131 e la S.S. n. 554, una serie di piccoli proprietari e cooperative sono i soggetti proponenti (complessivamente circa 150 proprietari).

Attualmente sono terreni agricoli, ma qualificati nel vigente piano urbanistico comunale – P.U.C. edificabili in varia misura (sottozona urbanistica I.C., quadro normativo n. 2/1, unità cartografica 8).   Non vi sono particolari vincoli ambientali o storico-culturali (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), ma un carico ambientale complessivo piuttosto pesante.  L’operazione sarebbe tutt’altro che a costo zero per le casse pubbliche: basti pensare alla realizzazione della linea della metropolitana e alla viabilità principale, oggi completamente assenti. Inoltre, l’autorizzazione definitiva è in ogni caso vincolata agli esiti del procedimento di valutazione ambientale strategica – V.A.S. (determinazione Dirigente Settore ecologia Provincia di Cagliari n. 119 dell’1 settembre 2011 + relazione istruttoria) e del procedimento di valutazione di impatto ambientale – V.I.A. (direttiva n. 2011/92/UE, decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).

 

Cagliari, Chiesa di San Michele, pulpito di Carlo V

Cagliari, Chiesa di San Michele, pulpito di Carlo V (1535, già nella Chiesa di S. Francesco di Stampace)

(tracciati metropolitana da L’Unione Sarda, www.castelloassociati.com, foto S.D., archivio GrIG)

Chiarezza e, soprattutto, legalità e sicurezza sulle vie ferrate.

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Alghero, Bastioni e centro storico

Alghero, Bastioni e centro storico

Con ordinanza n. 10 del 30 marzo 2018 il sindaco di Alghero ha chiuso e inibito l’accesso alla Via ferrata del Cabirol per ragioni di pubblica sicurezza.

L’ha fatto in base alla perizia del 9 gennaio 2018 effettuata ai sensi della legge n. 6/1989 dal Collegio nazionale delle Guide Alpine, in seguito consegnata a tutte le Amministrazioni pubbliche competenti, e alla richiesta del Servizio tutela del paesaggio e vigilanza di Sassari della Regione autonoma della Sardegna (nota prot. n. 8796 del 5 marzo 2018).

Da un lato, “lo stato di pericolo per la pubblica e privata incolumità è specificato nella perizia tecnica dal quale emergonodalle irregolarità in merito alla normativa di costruzione di tale impianto oltre che al collaudo e abilitazione del progettista”” nonché da “un elevato rischio di frana”, come specificato nell’ordinanza sindacale, d’altro canto, la via ferrata è abusiva.

Alghero, Capo Caccia

Alghero, Capo Caccia

Infatti, dalle richieste di informazioni ambientali effettuate (26 aprile 2016, 15 ottobre 2016, 24 novembre 2017) dalle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Mountain Wilderness Italia è emerso che la Via Ferrata del Cabirol, sulle falesie di Capo Caccia (Alghero), non è munita di alcuna autorizzazione, di alcun genere[1].

Come tutti sanno, la parete rocciosa di Capo Caccia è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), mentre la fascia dei mt. 300 dalla battigia marina è tutelata con specifico vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993). Rientra, inoltre, nella zona di protezione speciale – ZPS ITB013044 e nel sito di importanza comunitaria – SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio” (codice ITB010042) ai sensi della direttiva n.92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat e nel parco naturale regionale “Porto Conte” (leggi regionali n. 31/1989 e s.m.i. e n. 4/1999). E’, inoltre, contigua all’area marina protetta “Capo Caccia / Isola Piana”.

Non si può che ricordare che, solo due anni fa, (16 novembre 2015) il Corpo forestale e di vigilanza ambientale, “su segnalazione del direttore del Parco naturale regionale di Porto Conte”, aveva “deferito all’Autorità giudiziaria un giovane, appassionato di sport estremi di alta quota, per aver deteriorato, in concorso con altri in via di identificazione, le falesie rocciose del Promontorio di Capo Caccia, nel Parco di Porto Conte.  Le falesie si trovano infatti all’interno di un sito protetto dalla Direttiva comunitaria habitat e nel Sito di importanza comunitaria ‘Capo Caccia e Punta Giglio’ e sono quindi tutelate da diversi vincoli di natura ambientale.  Il personale forestale della Stazione e della Base navale di Alghero ha contestato al giovane di avere realizzato, senza alcuna autorizzazione, diversi fori nelle falesia del promontorio per inserirvi dei cilindri di metallo ad espansione, piastrine e bulloni di ancoraggio attraverso cui tendere nel vuoto una fettuccia elastica per praticare lo slacklining  Tra le ipotesi di reato, oltre quelle sanzionate dall’articolo 733 bis del Codice penale per deterioramento di habitat in aree protette, sono state contestate le violazioni alle norme di tutela del Parco che vietano attività e opere che possono compromettere la conservazione del paesaggio e dell’ambiente naturale.

Gabbiano reale (Larus michahellis)

Gabbiano reale (Larus michahellis)

In parole povere, per realizzare opere simili bisogna avere preventivamente le necessarie autorizzazioni ambientali.   Soprattutto quando vengono realizzate in aree di elevato interesse naturalistico.

Sembrerebbe ovvio, no?

Al Gruppo d’Intervento Giuridico onlus non interessano minimamente diatribe in proposito fra arrampicatori su roccia, scalatori, alpinisti o chiunque altro, compresi venditori di ignoranza e sproloquiatori seriali, come emergono dai social network per ragioni sconosciute e irrilevanti ai fini della salvaguardia di un ambiente straordinario e unico.

Interessa, invece, che questi interventi di “turismo attivo”, come li si voglia definire, che portano guadagni a chi accompagna comitive e gruppi, siano rispettosi delle normative di tutela ambientale – e conseguentemente autorizzati – e che la loro fruizione si svolga in condizioni di assoluta sicurezza.

Iglesias, Masua e il Pan di Zucchero

Iglesias, Masua e il Pan di Zucchero

Interventi, come le vie ferrate, fino agli anni scorsi presenti nell’Italia settentrionale, sembrano ormai moltiplicarsi in Sardegna, com’è avvenuto a Giorrè (Cargeghe), altra opera censurata dal Collegio nazionale delle Guide Alpine, come recentemente avvenuto a Tavolara (Via Ferrata degli Angeli) e al Pan di Zucchero di Nebida (Sentiero dei Minatori), ambedue aree di grande rilievo naturalistico e tutelate con vincoli ambientali.

Sono interventi autorizzati?  Da chi e con quali atti?

In assenza di autorizzazioni ambientali e urbanistico-edilizie sull’Appennino Parmense è stata posta sotto sequestro preventivo (maggio 2015) la Via ferrata del Monte Trevine.

Stupisce, piuttosto, per quanto è dato vedere, il sostanziale lassismo da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte, Regione autonoma della Sardegna in primo luogo: salvaguardia ambientale e sicurezza per gli appassionati di tale forma di “turismo attivo” devono essere i punti fermi.

Ben vengano, quindi, gli opportuni accertamenti da parte della magistratura.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] Precisamente:

* con note prot. n. 4518 del 3 maggio 2016 e n. 10102 del 15 dicembre 2017, la Direzione generale dell’Agenzia regionale del Distretto idrografico della Sardegna (Servizio Difesa del suolo) ha comunicato che “l’intervento … ‘Ferrata del Cabirol’ insiste su un’area caratterizzata nella cartografia vigente del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) da una pericolosità molto elevata da frana di livello Hg4. Tale livello di pericolosità è stato determinato nell’ambito dello ‘Studio di dettaglio e approfondimento conoscitivo della pericolosità e del rischio di frana nel sub-bacino n. 3 Coghinas-Mannu-Temo. Progetto di variante generale e di revisione del piano di assetto idrogeologico della Regione Autonoma della Sardegna’, adottato in via definitiva con Delibera del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino n. 1 del 16.06.2015. Il livello di pericolosità da frana molto elevato Hg4 dell’area era comunque già vigente nella cartografia PAI precedente, la cui prima approvazione delle Norme di Attuazione risale alla Deliberazione della Giunta Regionale, in qualità di Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino, n. 54/33 del 30.12.2004.  Allo stato attuale, non risulta a questo Servizio alcuna istanza di presentazione di uno studio di compatibilità geologica e geotecnica dell’intervento in questione, ai sensi dell’art. 23 delle Norme Tecniche di Attuazione del PAI. Si specifica che, a seguito dell’approvazione della L.R. n. 33 del 15 dicembre 2014, la competenza relativa all’approvazione di tale studio è attualmente attribuita ai Comuni”. La Direzione generale dell’Agenzia regionale del Distretto idrografico della Sardegna (Servizio Difesa del suolo) ha nel contempo chiesto riscontro al Comune di Alghero – Ufficio tecnico;

* con note prot. n. 9297/PNM del 4 maggio 2016 e n. 22906 del 31 ottobre 2016 il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale Protezione della Natura e del mare ha chiesto al Servizio Valutazioni ambientali (S.V.A.) della Regione autonoma della Sardegna, al Comune di Alghero e al Corpo forestale e di vigilanza ambientale (S.T.I.R. Sassari) informazioni in merito, “con particolare riferimento all’applicazione della Direttiva 92/43/CEE ‘Habitat’”;

* con note prot. n. 19611 del 17 maggio 2016, n. 40686 del 20 ottobre 2016 e n. 4171 del 31 gennaio 2018 il Servizio Tutela del Paesaggio di Sassari della Regione autonoma della Sardegna ha comunicato di aver chiesto ai competenti Servizi del Comune di Alghero informazioni in merito alle eventuali autorizzazioni paesaggistiche rilasciate in sede sub-delegata (definite “necessarie”), in quanto non risultano atti presso i propri archivi;

* con note prot. n. 10188 del 24 maggio 2016 e n. 27037 del 20 dicembre 2017, il Servizio Valutazioni Ambientali (S.V.A.) della Regione autonoma della Sardegna ha comunicato che “non sono presenti agli atti dello scrivente Ufficio procedimenti di valutazione ex art. 5 DPR 357/07 e s.m.i. in merito ad alcun intervento simile nella località di Capo Caccia, Alghero”;

* il Comune di Alghero (Servizio pianificazione ed edilizia privata), sollecitato (15 ottobre 2016), ha comunicato (nota prot. n. 40686 del 22 novembre 2016) “che agli atti dell’Ufficio non risultano istanze volte al rilascio di titoli abilitativi e di autorizzazione paesaggistica” e che, quindi, “per quanto di competenza, si provvederà all’avvio delle attività connesse alle funzioni di vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia”.

 

La Nuova Sardegna, 3 aprile 2018 - Copia

 

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Alghero, Isola Piana

(foto C.B., S.D., archivio GrIG)

Il nullaosta dell’Ente Parco dev’essere espresso.

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bosco sotto la neve

bosco sotto la neve

Interessante pronuncia del T.A.R. Lazio in tema di autorizzazioni per gli interventi nelle aree naturali protette rilasciate dagli Organismi di gestione delle stesse.

La sentenza T.A.R. Lazio, Sez. I quater, 19 gennaio 2018, n. 673 ha ritenuto che il conseguimento del nullaosta per gli interventi da realizzarsi all’interno delle aree naturali protette non possa conseguirsi per silenzio – assenso, in virtù del decorso del termine di 60 giorni senza alcun pronunciamento dell’Ente di gestione (art. 13 della legge n. 394/1991 e s.m.i.).

In precedenza l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, aveva espresso diverso orientamento con sentenza 27 luglio 2016, n. 17, secondo cui non può considerarsi abrogato il detto silenzio – assenso dall’entrata in vigore della legge n. 80/2005, che, modificando l’art. 20 della legge n. 241/1990 e s.m.i., ha affermato l’inapplicabilità dell’istituto in materia paesaggistico-ambientale.

funghi nel sottobosco

funghi nel sottobosco

Ma il Giudice amministrativo laziale “ritiene che tale evento procedurale in caso di inerzia dell’ente parco non può far ritenere venuta meno la cura concreta dell’interesse ambientale, non essendo configurabile un sistema che sovverta i principi fondamentali in materia ambientale”.         Nella fattispecie concreta, “giova rilevare come la vigenza di divieti normativi previsti dalla normativa regionale, l’inclusione dell’area interessata dall’intervento in zona di protezione speciale, in disparte dalla complessità dell’istruttoria foriera di richieste documentali integrative, non possano ritenersi superabili, nella prospettiva della tutela ambientale, dalla mancata espressione del succitato nulla osta entro i termini temporali invocati dalla parte ricorrente”.

Quindi, l’Ente Parco può esprimersi anche successivamente al decorso del termine, senza che si sia formato alcun silenzio – assenso.

Una decisione che, in ogni caso, non mancherà di far discutere.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Tuili - Gesturi, Giara, Pauli Maiori, bosco, sullo sfondo il Gennargentu innevato

Tuili – Gesturi, Giara, Pauli Maiori, bosco, sullo sfondo il Gennargentu innevato

 

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 26 febbraio 2018

TAR Lazio (RM) Sez. I-quater n. 673 del 19 gennaio 2018
Beni Ambientali. Silenzio e inerzia dell’ente parco.

Pur nella consapevolezza dell’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo cui il silenzio assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, l. 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette) non è stato implicitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 80 del 2005, che, nell’innovare l’art. 20, l. n. 241 del 1990, ha escluso che l’istituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in materia di tutela ambientale e paesaggistica, si ritiene che tale evento procedurale in caso di inerzia dell’ente parco non può far ritenere venuta meno la cura concreta dell’interesse ambientale, non essendo configurabile un sistema che sovverta i principi fondamentali in materia ambientale.

*******

00673/2018 REG.PROV.COLL.

09652/2007 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9652 del 2007, proposto da:
Società Vicarello Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Damiani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Mordini, 14;

contro

Ente Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano non costituito in giudizio;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Rosa Maria Privitera, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del diniego nulla-osta per ottenere il permesso di ricerca di acqua termominerale denominato Fonti di Vicarello nel Comune di Bracciano – risarcimento danni

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2017 il dott. Fabio Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con atto (n. 9652/2007) la Società Vicarello s.p.a. ha adito questo Tribunale per l’annullamento del provvedimento del Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano del 25 luglio 2007 che ha negato il rilascio del nulla osta richiesto in relazione ad un permesso di ricerca di acqua termale denominato “Fonti di Vicarello” in località Vicarello, sita nel Comune di Bracciano.

La Società espone di essere titolare di una concessione per la coltivazione delle sorgenti di acqua termo minerale denominata “Terme Apolinnari”, rilasciata ex R.D. n. 1433/1927, insistente su terreno di sua proprietà ubicato nel territorio del Comune di Bracciano, in relazione al quale ha richiesto in data 27 maggio 2002 un permesso di ricerca di acqua minerale e termale essendo la sorgente già assentita insufficiente a soddisfare le esigenze curative ed igienico sanitarie degli stabilimenti termali.

Espone che la Regione Lazio, in data 1.3.2006, ha dato avvio alla fase istruttoria trasmettendo alla Soprintendenza archeologica per l’Etruria meridionale ed al Parco Regionale Naturale di Bracciano e Martignano, nonché alla sua Direzione ambiente e territorio istanza di rilascio dei rispettivi pareri di competenza.

Riferisce, a tale riguardo, che il Parco Regionale ha espresso il proprio diniego sul rilascio del nulla osta il quale è risultato ostativo alla conclusione dei lavori della conferenza di servizi all’uopo riunitasi in data 25 ottobre 2007.

Avverso tale provvedimento la Società ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

a) Violazione del principio del contrario actus e del principio del contraddittorio; violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990; violazione dell’art. 97 della Costituzione; dell’art. 28, comma 1 della legge regionale n. 29/1997 e dell’art. 13, commi 1 e 4 della legge n. 394/1991; eccesso di potere sotto differenti profili, dovendosi, ai sensi del riferito art. 13, il rilascio del nulla osta ritenersi perfezionato alla scadenza del termine di sessanta giorni dalla richiesta di rilascio di autorizzazioni o concessioni relative ad interventi, impianti ed opere da realizzarsi all’interno del perimetro del parco, con facoltà del presidente del parco, entro il citato termine, di rinviare, per una sola volta di ulteriori trenta giorni, i termini di espressione del parere, tenuto conto della presentazione dell’istanza di rilascio del parere pervenuta il 6 marzo 2006 e della richiesta di documentazione integrativa in data 15 marzo 2007, con conseguente asserita formazione del silenzio assenso sull’istanza di rilascio del nulla osta.

b) Violazione degli artt. 14, 14 bis, 14 ter, 14 quater della legge n. 241 del 1990, violazione dell’art. 28, comma 1 della legge regionale n. 29/1997; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, in quanto la Regione Lazio anziché procedere ad inoltrare la richiesta di rilascio di nulla osta all’Ente parco era tenuta ad indire la conferenza di servizi di cui al citato art. 28.

c) Violazione dell’art. 2 della legge regionale n. 36 del 1999, dell’art. 3 della legge n. 29 del 1997; violazione della legge n. 394 del 1991; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e difetto di motivazione non essendosi il Parco avveduto dell’insussistenza di alcun pregiudizio connesso all’attività di ricerca e di coltivazione innanzi citata.

d) Violazione della legge regionale n. 90/1980, dell’art. 2 della legge regionale n. 36/1999; dell’art. 3 della legge n. 29 del 1997, della legge n. 394/1997, eccesso di potere sotto differenti profili, tenuto conto della insussistenza di pregiudizi connessi alla realizzazione di pozzi di sondaggio insuscettibili di comportare effetti in danno delle specie animali esistenti nella zona interessata da tali interventi.

e) Violazione della legge regionale n. 90/1980, dell’art. 2 della legge regionale n. 36/1999; dell’art. 3 della legge n. 29 del 1997, della legge n. 394/1997, eccesso di potere sotto differenti profili, tenuto conto che le specie animali a cui il provvedimento di diniego di nulla osta fa riferimento non sono incluse tra le specie protette ai sensi della direttiva 92/43/CE.

f) Violazione dell’art. 28, comma 1 della legge regionale n. 29/1997; della legge n. 394/1991, dell’art. 2 della legge regionale n. 36/1999; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e difetto di motivazione, in considerazione della disposizione di cui all’art. 8, comma 2 della legge regionale n. 29/1997 non potendo le misure di salvaguardia ivi indicate trovare applicazione per periodo temporale superiore al quinquennio.

g) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, insufficiente motivazione, tenuto conto della asserita sussistenza di uno squilibrio idraulico in presenza di captazioni d’acqua evidentemente sostenibili in rapporto alla estensione del bacino idrico interessato.

h) Violazione dell’art. 28, comma 1 della legge regionale n. 29/1997; della legge n. 394/1991, dell’art. 2 della legge regionale n. 36/1999; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e difetto di motivazione, essendo previsto, ex art. 13 della legge n. 394/1997 solo in presenza di opere edilizie, nel caso in esame insussistenti, a fronte della realizzazione di tre perforazioni profonde n. 150 metri con un diametro di circa trenta centimetri.

Si è costituita in giudizio la Regione Lazio che chiede il rigetto del ricorso per infondatezza delle doglianze.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali ed il Parco Regionale di Bracciano e Martignano che hanno chiesto anch’essi il rigetto del ricorso.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Con il primo motivo la Società ricorrente invoca la formazione del silenzio assenso sulla sua istanza, ai sensi del riferito art. 13, a norma del quale il rilascio del nulla osta deve ritenersi perfezionato alla scadenza del termine di sessanta giorni dalla richiesta di rilascio di autorizzazioni o concessioni relative ad interventi, impianti ed opere da realizzarsi all’interno del perimetro del parco, con facoltà del presidente del parco, entro il citato termine, di rinviare, per una sola volta di ulteriori trenta giorni, i termini di espressione del parere, tenuto conto che l’stanza di rilascio del nulla osta risulta pervenuta all’ente parco il 6 marzo 2006 con conseguente richiesta di documentazione integrativa in data 15 marzo 2007.

Giova premettere, al fine del decidere, che la legge n. 394/1991, evocata dal ricorrente, all’art. 6 ed all’art. 11 rispettivamente dispone che nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat, e che sono vietate l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali, comprensive dell’attività di ricerca delle acque minerali e termali ai sensi delle disposizioni di cui al R.D. n. 1443/1927.

Osserva, altresì, il Collegio come la legge regionale n. 29/1997 all’art. 8 prevede che nelle zone A del parco è vietata la realizzazione di opere di opere che comportino una modificazione permanente del regime delle acque, circostanza quest’ultima rinvenibile riguardo all’area interessata dagli interventi assoggettati a nulla osta del Parco, essendo quest’ultima ricompresa all’interno della zona (ZPS) del comprensorio di Bracciano e Martignano.

Per quanto premesso, il Collegio, pur consapevole dell’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo cui il silenzio assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, l. 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette) non è stato implicitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 80 del 2005, che, nell’innovare l’art. 20, l. n. 241 del 1990, ha escluso che l’istituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in materia di tutela ambientale e paesaggistica, ritiene che tale evento procedurale in caso di inerzia dell’ente parco non può far ritenere venuta meno la cura concreta dell’interesse ambientale, non essendo configurabile un sistema che sovverta i principi fondamentali in materia ambientale.

Con specifico riguardo al caso in esame, giova rilevare come la vigenza di divieti normativi previsti dalla normativa regionale, l’inclusione dell’area interessata dall’intervento in zona di protezione speciale, in disparte dalla complessità dell’istruttoria foriera di richieste documentali integrative, non possano ritenersi superabili, nella prospettiva della tutela ambientale, dalla mancata espressione del succitato nulla osta entro i termini temporali invocati dalla parte ricorrente.

Anche il secondo motivo di ricorso con cui si lamenta la omessa convocazione della conferenza di servizi utile alla definizione dell’istanza presentata dalla ricorrente non appare, ad avviso del Collegio, persuasiva, posto che il diniego espresso dall’ente parco, alla stregua delle motivazioni diffusamente richiamate nella parte in premessa, non avrebbero potuto condurre a diverso esito rispetto alle determinazioni sfavorevoli ostative allo svolgimento dell’attività di ricerca in questione.

Per le medesime ragioni, anche i residui motivi di ricorso devono considerarsi privi di pregio, atteso che il diniego di nulla osta diffusamente dà conto del quadro normativo di riferimento ostativo all’esercizio dell’attività di ricerca di acqua termale, nonché delle ragioni per le quali la realizzazione dei pozzi di sondaggio e delle opere di cementificazione e strutturali strumentali all’attività anzidetta (cementificazione rispetto al piano di campagna e costruzione di una cabina) sarebbero precluse tenuto conto dei vincoli ambientali, paesaggistici e faunistici insistenti sull’area d’intervento.

Pertanto, per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto, con compensazione, fra le parti in causa, delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Salvatore Mezzacapo, Presidente

Anna Bottiglieri, Consigliere

Fabio Mattei, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Mattei Salvatore Mezzacapo
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in Segreteria il 19 gennaio 2018

 

Gennargentu, nevaio

Gennargentu, nevaio

(foto S.L., J.I., S.D., archivio GrIG)

 

Demanio civico di Villasimius in mano a privati!

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Sette Fratelli, corso d'acqua

Sette Fratelli, corso d’acqua

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (5 aprile 2018) una specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione provvedimenti riguardo circa 46 ettari di bosco e macchia mediterranea sulla montagna di Minni Minni – Serra is Abios appartenenti al demanio civico di Villasimius (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i., determinazione assessoriale n. 264/2005 del 24 febbraio 2005) eppure recentemente cointestati a Privati, senza alcuna motivazione conosciuta.

Interessati il Comune di Villasimius, l’Agenzia Argea (delegata dalla Regione autonoma della Sardegna in materia di usi civici), la Regione autonoma della Sardegna (Presidenza e Assessorato all’agricoltura), informati la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari e il Commissario per gli usi civici per la Sardegna.

Mentre dall’Inventario generale delle Terre civiche della Sardegna emerge l’appartenenza dei terreni al demanio civico di Villasimius, da visure catastali storiche emerge una voltura del 2015 in favore di Privati.    Perché?  Non si sa.

Villasimius, loc. Minni Minni - Copia

Villasimius, località Minni Minni

Inoltre, l’accesso sarebbe stato interdetto e i terreni sarebbero stati posti in vendita, come segnalato da residenti di Villasimius.

Su reiterati esposti del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari ha aperto un procedimento penale sui mancati recuperi dei terreni a uso civico occupati illegittimamente da privati in numerosi Comuni della Sardegna.

La campagna per la tutela delle terre collettive della Sardegna che il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus sta conducendo da anni sta comunque iniziando a dare i primi frutti concreti, finalmente.

E sta ponendo all’attenzione di tutti la scandalosa assenza di decenni delle Istituzioni pubbliche preposte alla difesa di questi straordinari patrimoni collettivi.

Azioni legali, petizioni popolari, iniziative di sensibilizzazione, un incontro con il Presidente della Regione Francesco Pigliaru hanno contribuito non poco all’emanazione della recente legge regionale Sardegna n. 11/2017 (artt. 36-41) che consente una razionalizzazione e un ritorno alla legalità in tema di usi civici e, soprattutto, un lento inizio delle operazioni di conclusione degli accertamenti dei demani civici e una ancor più lenta presa d’atto delle competenze in tema di recupero dei terreni a uso civico illecitamente occupati da privati.

Ma c’è ancora molto da fare. Proprio molto.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

foresta mediterranea

foresta mediterranea

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

Non si può sparacchiare agli Storni nelle Marche quando pare e piace, lo dice la Corte costituzionale.

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stormo di Storni (Sturnus vulgaris, foto S.Bottazzo)

La Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 70 del 5 aprile 2018, ha salvato gli Storni (Sturnus vulgaris) dalla caccia in deroga “stabile e permanente”.

Infatti, il Giudice delle leggi ha dichiarato incostituzionale l’art. 1 della legge regionale Marche n. 7/2015, che consente la caccia in deroga allo Storno in ogni caso (“comunque consentito”) esercitata “in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali”.

L’art. 19 bis della legge n. 157/1992 e s.m.i., che disciplina in Italia l’istituto della c.d. caccia in deroga in attuazione della direttiva n. 2009/147/CE, dispone “però che l’autorizzazione al prelievo venatorio sia disposta con atto amministrativo e prevedendo il contenuto minimo del provvedimento, nel senso che esso deve specificare le ragioni che giustificano la sua adozione, l’assenza di diverse soluzioni soddisfacenti e le modalità e condizioni di esercizio della deroga.     La scelta dello strumento amministrativo consente di motivare in ordine alla ricorrenza delle specifiche condizioni a cui il legislatore statale subordina l’esercizio della deroga, quale strumento di carattere eccezionale e temporaneo”.

Invece, “la previsione dell’autorizzazione nella legge regionale impugnata determina l’assorbimento dell’obbligo di motivazione e finisce con il trasformare la stessa deroga in un rimedio stabile e permanente (sentenze n. 260 del 2017, n. 160 e n. 20 del 2012, e n. 250 del 2008)”, rendendo di fatto impossibile l’esercizio della facoltà dell’Esecutivo di avviare la “speciale procedura di diffida ed annullamento governativo delle delibere regionali sul prelievo delle specie interessate che sono in contrasto con le prescrizioni della legge statale”.

E’ vero che in concreto sarà una deliberazione di Giunta regionale a individuare la necessità e la modalità di esercizio della caccia in deroga allo Storno, ma la previsione legislativa regionale dispone “che la cacciabilità dello storno è ‘comunque’ consentita seppure in determinati ambiti”, in violazione delle competenze statali di cui all’art. 117, comma 2°, lettera s, Cost. ed “elide il potere di annullamento governativo del provvedimento di deroga, in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.”.

La giurisprudenza costituzionale costante (vds. Corte cost. n. 174/2017) riconosce, infatti, nei principi fissati dalla legge quadro nazionale sulla caccia i criteri minimi di salvaguardia della fauna selvatica, per cui “i livelli di tutela da questa fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del 2017).

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

SENTENZA N. 70

ANNO 2018

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-15 maggio 2015, depositato in cancelleria il 15 maggio 2015 ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nella udienza pubblica del 20 febbraio 2018 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 12-15 maggio 2015 e depositato in cancelleria il 15 maggio 2015 (reg. ric. n. 53 del 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 9 della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) e dell’art. 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

2.– La legge regionale impugnata ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Marche 16 luglio 2007, n. 8 (Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”) e, in riferimento all’obbligo di indicare le circostanze di tempo e di luogo della deroga ai divieti di caccia, ha previsto che è comunque consentito il prelievo dello storno in prossimità di nuclei di vegetazione produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

L’Avvocatura generale dello Stato ha rappresentato che, in base all’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2009/147/CE, la facoltà degli Stati membri di derogare al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici è subordinata alla sussistenza di ragioni espressamente tipizzate, quali la tutela della salute, la sicurezza pubblica, la prevenzione di gravi danni alle colture, e all’assenza di altre soluzioni soddisfacenti, e la deroga deve specificare le specie di uccelli che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura e uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate, l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, metodi e impianti possono essere impiegati, da quali persone ed entro quali limiti, nonché i controlli che verranno effettuati.

In attuazione della citata direttiva, l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 ha disciplinato le deroghe, attribuendone l’esercizio alle Regioni e alle Province autonome, che devono disporle con atto amministrativo, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, in via eccezionale e per periodi di tempo limitati, previa analisi puntuale dei presupposti e previa indicazione della sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa sovranazionale.

Secondo la difesa dello Stato, la legge regionale impugnata, subordinando il prelievo dello storno ad una condizione generica e priva di specifiche limitazioni spaziali e temporali (è richiesta soltanto la prossimità a nuclei vegetazionali produttivi sparsi e la tutela della specificità delle coltivazioni regionali), avrebbe privato la deroga del carattere eccezionale e temporaneo attribuitole dalla normativa nazionale e comunitaria, per trasformarla in un rimedio di carattere continuativo e stabile nel tempo; inoltre, l’individuazione della condizione di esercizio della deroga nella legge, invece che nell’atto amministrativo, avrebbe determinato l’elusione dell’obbligo di motivazione e l’elisione del potere di annullamento governativo previsto dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992.

3.– Si è costituita la Regione Marche deducendo che la novella legislativa impugnata sarebbe in linea con le prescrizioni normative nazionali e sovranazionali, poiché essa, aggiungendo il comma 2-bis all’art. 2 della legge reg. Marche n. 8 del 2007, si sarebbe limitata a specificare le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo del prelievo venatorio in deroga, individuando una specifica condizione (la prossimità ai nuclei vegetazionali produttivi sparsi) per la cacciabilità di un tipo di uccello (lo storno), in funzione di una precisa esigenza (la tutela della specificità delle coltivazioni regionali).

A parere della difesa regionale, la disciplina legislativa andrebbe valutata complessivamente, tenendo conto del fatto che il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Marche n. 8 del 2007 continua a demandare alla Giunta regionale la competenza ad adottare, in via amministrativa, i provvedimenti di deroga, così assicurando il rispetto delle prescrizioni poste dal legislatore statale e, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere dichiarata inammissibile, per inesatta ricostruzione del quadro normativo, ovvero non fondata.

4.– L’Avvocatura generale dello Stato in data 10 maggio 2016 ha depositato una memoria in replica alla difesa della Regione, ribadendo le proprie ragioni e precisando, in riferimento al quadro normativo, di aver richiamato, nel ricorso introduttivo, la legge reg. Marche n. 8 del 2007, ma di ritenerla irrilevante poiché la novella di cui alla legge reg. Marche n. 7 del 2015 non vi avrebbe dato attuazione, come sostenuto dalla resistente, ma avrebbe inciso autonomamente sulla disciplina del prelievo venatorio, rendendo stabile e continuativa la deroga.

La difesa statale, inoltre, ha rappresentato che, nelle more del giudizio di costituzionalità, è sopravvenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), che ha novellato l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, introducendo il comma 6-bis, a norma del quale le Regioni, nell’individuare le condizioni di rischio e le circostanze di luogo per il rilascio dell’autorizzazione al prelievo venatorio dello storno, lo consentono in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi e per la tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

Secondo il ricorrente, però, la somiglianza di contenuto tra la novella nazionale e la legge regionale censurata non avrebbe incidenza sul giudizio di costituzionalità, poiché la norma impugnata avrebbe avuto applicazione fino all’emanazione della legge statale che ne ha riprodotto, in parte, il contenuto e comunque la coincidenza delle fattispecie disciplinate dalla legge regionale e dalla norma statale sopravvenuta sarebbe solo parziale.

5.– La Regione Marche il 30 gennaio 2018 ha depositato una memoria con cui ha insistito sull’inammissibilità della questione, precisando che dai lavori preparatori della legge regionale Marche n. 7 del 2015 (depositati quali allegati alla stessa memoria) emergerebbe chiaramente la natura meramente attuativa della disposizione impugnata e la necessità della sua introduzione per rispondere all’istanza concorde degli agricoltori e delle associazioni venatorie.

In ogni caso, la disposizione sarebbe coerente con l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2009/147/CE, che individua tra le finalità della deroga la necessità della prevenzione di gravi danni alle colture, e con l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 221 del 2015, ha tenore analogo alla previsione censurata, consentendo alle Regioni, in sede di rilascio dei provvedimenti di deroga e in riferimento alle condizioni di rischio e alle circostanze di luogo del prelievo, di autorizzare quello dello storno in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, per la tutela delle specificità delle coltivazioni regionali.

Infine, la Regione ha rappresentato di aver dato attuazione alla legge impugnata sempre previa adozione dei provvedimenti di autorizzazione della Giunta, allegati in copia alla memoria, nel rispetto di tutte le condizioni prescritte dal legislatore nazionale e sovranazionale, e ha insistito nelle conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 9 della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) e all’art. 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

La norma regionale, all’espresso fine di indicare le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo del prelievo venatorio in deroga dello storno, stabilisce che esso è consentito in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la natura generalizzata della deroga consentirebbe il prelievo dello storno senza limitazioni di spazio e di tempo così che essa, da istituto giuridico dal carattere eccezionale e temporaneo, sarebbe diventata stabile e continuativa nel tempo, ponendosi in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria.

Inoltre, l’introduzione della deroga attraverso la legge, in luogo del provvedimento amministrativo prescritto dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, avrebbe determinato l’elusione dell’obbligo di motivare l’autorizzazione e l’elisione del potere di annullamento di essa attribuito al Consiglio dei ministri.

2.– La questione è fondata con riferimento a entrambi i parametri.

La tutela degli uccelli selvatici è assicurata nel nostro ordinamento dalla direttiva 2009/147/CE, che ha avuto attuazione con la legge n. 157 del 1992; l’art. 19-bis di tale legge stabilisce specifiche deroghe al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici (“prelievo venatorio”).

La norma nazionale demanda alle Regioni l’esercizio delle deroghe, imponendo però che l’autorizzazione al prelievo venatorio sia disposta con atto amministrativo e prevedendo il contenuto minimo del provvedimento, nel senso che esso deve specificare le ragioni che giustificano la sua adozione, l’assenza di diverse soluzioni soddisfacenti e le modalità e condizioni di esercizio della deroga.

La scelta dello strumento amministrativo consente di motivare in ordine alla ricorrenza delle specifiche condizioni a cui il legislatore statale subordina l’esercizio della deroga, quale strumento di carattere eccezionale e temporaneo, mentre la previsione dell’autorizzazione nella legge regionale impugnata determina l’assorbimento dell’obbligo di motivazione e finisce con il trasformare la stessa deroga in un rimedio stabile e permanente (sentenze n. 260 del 2017, n. 160 e n. 20 del 2012, e n. 250 del 2008).

3.– Inoltre, la disciplina nazionale prevede una speciale procedura di diffida ed annullamento governativo delle delibere regionali sul prelievo delle specie interessate che sono in contrasto con le prescrizioni della legge statale.

É ben vero che la disciplina regionale, oggetto di impugnazione, rimette comunque ad una delibera della Giunta la decisione circa la contingente necessità del prelievo e la fissazione dei tempi e degli ambiti, nella specie la prossimità dei nuclei di vegetazione produttivi sparsi, a tutela delle specificità delle coltivazioni regionali, ma la interposizione della legge regionale rispetto a quella statale viola la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Non ha pregio la difesa della Regione secondo cui la legge impugnata si sarebbe limitata ad individuare una particolare condizione, cioè la prossimità ai nuclei vegetazionali produttivi sparsi, per la cacciabilità dello storno in funzione della precisa esigenza consistente nella specificità delle coltivazioni regionali, poiché la norma in questione recita che «è comunque consentito il prelievo in deroga dello storno (Sturnus vulgaris) praticato in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali».

Ora, nello stabilire che la cacciabilità dello storno è “comunque” consentita seppure in determinati ambiti, la norma in questione prescinde da un provvedimento di deroga ad hoc e quindi elide il potere di annullamento governativo del provvedimento di deroga, in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

 

storno-bottazzo_compresso

Storno (Sturnus vulgaris, foto S.Bottazzo)

 

(foto Stefano Bottazzo, S.D., archivio GrIG)

E’ il Genio civile di Padova ad aver autorizzato il drastico taglio degli alberi sulle sponde del Fiume Brenta. Ma chi ha controllato?

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Vigonovo, sponde Brenta

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta prima del taglio della vegetazione riparia (2018)

Il Genio civile di Padova ha autorizzato il recente radicale taglio della vegetazione riparia – comprendente anche alberi ad alto fusto – lungo il corso del Fiume Brenta, nel tratto in territorio comunale di Vigonovo (VE).

L’ha comunicato (nota prot. 129188 del 6 aprile 2018) all’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus in seguito alla specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione di opportuni provvedimenti inoltrata lo scorso 27 marzo 2018, dopo segnalazione di parecchi residenti sconcertati.

Infatti, nessuna informazione preventiva alla cittadinanza, un taglio raso che ha eliminato qualsiasi habitat naturale in pieno periodo della nidificazione per le specie dell’avifauna selvatica (qui le sponde prima del taglio).

Il taglio è stato autorizzato in favore di una Ditta locale con decreto Genio civile PD n. 54 del 27 febbraio 2018 (disciplinare di concessione rep. n. 406 del 19 febbraio 2018)  per un’area di 36.200 metri quadri con Robinia, Pioppo, Salici (stimati in circa 2 mila quintali), con un termine per le operazioni di taglio al 15 marzo, quando il periodo riproduttivo per l’avifauna selvatica è già avanzato.

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018) (2)

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

L’Unità operativa forestale Est (Treviso – Venezia), con nota prot. n. 76063 del 27 febbraio 2018, aveva posto le condizioni dell’“interruzione dei lavori nei mesi primaverili ed estivi”.

Ben poco, quindi.

Finora nessuna informazione riguardo il rispetto della normativa di tutela paesaggistica e, soprattutto, della salvaguardia dell’avifauna selvatica.

Le fasce spondali del Fiume Brenta sono tutelate con il vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e la vegetazione svolge un’importante funzione di difesa idrogeologica.

In ogni caso, non è questo il momento per procedere al taglio o potatura degli alberi: infatti, è in corso il periodo riproduttivo per le specie dell’avifauna selvatica.

Garzetta (Egretta garzetta)

Garzetta (Egretta garzetta)

L’art. 5 della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica, esecutiva in Italia con la legge n. 157/1992 e s.m.i., comporta in favore di “tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri” (art. 1 della direttiva) “il divieto:

a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo;

b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi;

c) di raccogliere le uova nell’ambiente naturale e di detenerle anche vuote;

d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva;

e) di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura”.

Il disturbo/danneggiamento/uccisione delle specie avifaunistiche in periodo della nidificazione può integrare eventuali estremi di reato(artt. 544 ter cod. pen., 30, comma 1°, lettera h, della legge n. 157/1992 e s.m.i.) o violazioni di carattere amministrativo (art. 31 della legge n. 157/1992 e s.m.i.).

Sono stati coinvolti il Ministero per i beni e attività culturali e il turismo, la Direzione operativa dell’Area tutela e sviluppo del territorio della Regione Veneto, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Area metropolitana di Venezia e Belluno, Padova, Treviso, il Comune di Vigonovo, il Comando regionale dei Carabinieri Forestali, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapide verifiche sulla legittimità dei tagli arborei effettuati e, soprattutto, l’inibizione di ogni ulteriore attività che potrebbe portare a ulteriori rischi per le sponde del Fiume Brenta, la sicurezza pubblica e i suoi habitat naturali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

Vigonovo, sponde del Fiume Brenta dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

(foto per conto GrIG, archivio GrIG)

Indagine su magistrati e affari immobiliari in Sardegna.

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Arzachena, Costa Smeralda, lavori di ampliamento dell'Hotel Romazzino

Arzachena, Costa Smeralda, lavori di ampliamento dell’Hotel Romazzino

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha avviato un procedimento penale che coinvolge ben sei magistrati in Sardegna.

La vicenda ruota intorno a presunti affari immobiliari in Gallura.

Non ci si rende nemmeno conto dell’effetto devastante prodotto nell’opinione pubblica, in particolare in chi opera volontaristicamente per difendere ambiente e salute anche con lo “strumento diritto”, in chi ci mette la faccia tutti i giorni in nome di quella cosa chiamata “giustizia”.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Arzachena, Costa Smeralda, il procuratore Fiordalisi e Carabinieri all'ingresso dell'Hotel Cervo (29 maggio 2015)

Arzachena, Costa Smeralda, il procuratore Fiordalisi e Carabinieri all’ingresso dell’Hotel Cervo (29 maggio 2015, foto La Nuova Sardegna)

 

da La Nuova Sardegna, 5 aprile 2018

Aste pilotate a Tempio inchiesta chiusa: 11 indagatiVendita di villa Ragnedda, tra i magistrati coinvolti anche l’ex presidente Cucca.  (Tiziana Simula)

da La Stampa, 27 marzo 2018

Perquisizioni a La Nuova Sardegna, nel mirino la cronista che ha raccontato i “veleni” tra i giudici.      I carabinieri hanno sequestrato documenti nella redazione di Olbia. La condanna della Federazione della Stampa e ordine dei giornalisti: atto intimidatorio gravissimo. (Nicola Pinna)

L'Espresso, 8 aprile 2018, 1

L’Espresso, 8 aprile 2018

L'Espresso, 8 aprile 2018, 2

L’Espresso, 8 aprile 2018

 

 

 

(foto da La Nuova Sardegna, per conto GrIG, archivio GrIG)


Tuvixeddu, la Corte d’Appello di Roma riforma il lodo arbitrale: solo 1,2 milioni di euro e nemmeno un mattone a Cualbu.

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Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche)

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche)

La Corte d’Appello di Roma, su ricorso della Regione autonoma della Sardegna, ha riformato il lodo espresso dal Collegio arbitrale (il magistrato in pensione Gianni Olla, il docente universitario romano Nicolò Lipari, il presidente emerito della Corte costituzionale Franco Bilé)  ha emesso il suo lodo (con il parere contrario di uno dei componenti, il magistrato Olla) favorevole alle pretese della Nuova Iniziative Coimpresa del Gruppo Cualbu sull’annosa vicenda di Tuvixeddu (Cagliari), la più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo, interessata dal noto progetto immobiliare.

L’indennizzo di 77,8 milioni di euro previsto dal lodo arbitrale, si riduce a soli 1,2 milioni di euro, come ha affermato la Corte d’Appello di Roma.

Cagliari, Tuvixeddu, atti di vandalismo su tombe puniche

Cagliari, Tuvixeddu, atti di vandalismo su tombe puniche

Il Gruppo Cualbu dovrà restituire quanto percepito in eccesso, più di 75 milioni di euro, visto che il lodo era stato dichiarato esecutivo e l’indennizzo era stato versato integralmente.

La decisione regionale di fermare l’edificazione nell’area è stata ritenuta legittima, perché le disposizioni del piano paesaggistico regionale – P.P.R. sono state definitivamente riconosciute legittime anche riguardo Tuvixeddu dai Giudici amministrativi (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2011, n. 1366).

Le motivazioni dell’arbitrato poggiavano sostanzialmente sull’annullamento del precedente vincolo paesaggistico (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 4 agosto 2008, n. 3895).

Una vicenda complessa, dove sono sempre più necessari buon senso e determinazione per raggiungere l’obiettivo della salvaguardia del bene culturale e della sua corretta fruizione pubblica.

Cagliari, necropoli di Tuvixeddu, sepolture (veduta aerea)

Cagliari, necropoli di Tuvixeddu, sepolture (veduta aerea)

Infatti, nonostante la situazione fluida determinata dal perdurante contenzioso, esiste – come detto in varie occasioni – una via per raggiungere l’obiettivo della piena salvaguardia del Colle di Tuvixeddu e della realizzazione del grande parco archeologico-ambientale.

Il piano urbanistico comunale di Cagliari dev’essere adeguato alle previsioni del piano paesaggistico regionale mediante lo strumento della co-pianificazione Ministero Beni e Attività Culturali – Regione – Comune, in seguito dovrà esser modificato di conseguenza l’accordo di programma immobiliare (finora mai rescisso né oggetto di recesso da parte di alcuna parte) e in tale sede saranno previsti indennizzi, eventuali permute, ecc. per chiudere definitivamente ogni contenzioso.

Fino ad allora non vi potrà essere nessun intervento sull’area Tuvixeddu–Tuvumannu, ma anche – purtroppo – nessuna certezza sul versante della tutela e della corretta fruizione e valorizzazione di un bene culturale unico al mondo.  Sarebbe ora di voltare definitivamente pagina e di risolvere una volta per tutte una situazione che a Tuvixeddu e a Cagliari fa solo del male.

Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

anatre_in_voloqui la sentenza Corte App. civile Roma, Sez. II, 9 aprile 2018, n. 2245.

 

Cagliari, Tuvixeddu, vincoli archeologico e paesaggistico, piano paesaggistico regionale

Cagliari, Tuvixeddu, vincoli archeologico e paesaggistico, piano paesaggistico regionale

da L’Unione Sarda, 9 aprile 2018

Svolta a Tuvixeddu, la Corte d’Appello: “Lo stop dei lavori era legittimo”. (Marcello Zasso)

La Regione deve pagare i danni alla società Nuova Iniziative Coimpresa, ma dai 77,8 milioni stabiliti dal lodo arbitrale si passa a un milione e 200mila euro.

La clamorosa svolta arriva per decisione della Corte d’Appello di Roma con una sentenza che ridimensiona radicalmente l’entità dei danni attribuita alla Regione, stabilendo che il Ppr dell’era Soru era applicabile sul progetto dell’imprenditore Gualtiero Cualbu a pochi passi dalla necropoli di Tuvixeddu e che quindi era stato corretto lo stop ai lavori a partire dalla data della sua entrata in vigore.

 

Copia-di-PPR-Tuvixeddu

P.P.R., area di Tuvixeddu

 

da Sardinia Post, 9 aprile 2018

Tuvixeddu, maxi risarcimento nullo: al gruppo Cualbu un milione (e non 84).

Emergono nuovi dettagli sulla sentenza della Corte d’appello di Roma che oggi ha dichiarato legittimo lo stop ai lavori a Tuvixeddu, dove la ‘Nuova iniziative coimpresa’ del gruppo dell’imprenditore cagliaritano Gualtiero Cualbu voleva realizzare un investimento immobiliare autorizzato da Comune e Regione nel 2000 e bloccato dalla giunta di Renato Soru sei anni dopo, contestualmente all’applicazione dei vincoli di inedificabilità previsti dal Piano paesaggistico (Ppr). A Tuvixeddu vennero rinvenute, fuori dall’area sotto tutela, 1.200 tombe puniche, di qui il blocco del cantiere. I nuovi dettagli li ha scritti in una nota l’ufficio stampa di viale Trento, visto che la sentenza odierna è arrivata sull’impugnazione presenta dalla Regione nel 2013 al lodo arbitrale che a luglio 2014 ha imposto alla stessa Regione il pagamento di un maxi risarcimento da 77,8 milioni, salito a 83 milioni e 850mila euro con gli interessi legali. I giudici romani hanno invece stabilito che l’importo dovuto è di 1.205.900 euro.

“La Corte d’Appello di Roma – si legge nella nota – ha accolto l’impugnazione del lodo arbitrale presentato dalla Regione nel 2013 in merito alla vicenda di Tuvixeddu. In sostanza la Seconda sezione civile sottolinea che dal settembre 2006, cioè dall’entrata in vigore del vincolo del Pppr, già riconosciuto definitivamente legittimo dai giudici amministrativi (prima il Tar e poi il Consiglio di Stato), nessun danno può essere riconosciuto al costruttore ‘Nuova iniziative coimpresa’ srl per il blocco dei lavori subito dall’applicazione del Ppr”.

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche)

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche). Sullo sfondo le “torri” del complesso Immobiliareuropea s.p.a.

Quanto al milione e 205mila euro che la Regione deve comunque al gruppo Cualbu, la Corte d’appello di Roma ha scritto: “Il risarcimento non può che essere limitato all’unico provvedimento risultato illegittimo e che aveva determinato un ritardo (ipotetico) nell’avvio del cantiere, vale a dire quello di sospensione dei lavori, emanato nell’agosto del 2006, e quindi prima della entrata in vigore del Ppr – l’8 settembre di quello stesso anno – dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo”. Di qui la riduzione a 1.205.900 euro dell’importo dovuto alla srl, perché la Regione – hanno stabilito i giudici romani – può rispondere solo degli atti amministrativi non validi, mentre la sospensione in sé dell’investimento immobiliare è  stata considerata regolare dalla Corte d’appello di Roma.

Per calcolare la somma è stato quantificata una somma quotidiana di danno, fissato in 38.900 euro e da applicare a ciascuno dei trentuno giorni di ritardo che i giudici romani hanno imputato alla Regione e individuato dal 9 agosto 2006 all’8 settembre 2006. “Tenuto conto – prosegue la sentenza – che per ogni giorno di ritardo è stato calcolato un pregiudizio della società Coimpresa pari ad euro 38.900,00, la Regione deve essere condannata al pagamento dell’importo complessivo di euro 1.205.900″.

Stando a quanto è spiegato nella nota di viale Trento, la sentenza “consente alla Regione il recupero delle somme depositate a favore di ‘Nuova iniziative coimpresa’”. Stando così le cose, nelle casse della Sardegna c’è un’immediata disponibilità di 82 milioni circa, sebbene manchi ancora un ultimo grado di giudizio davanti alla Cassazione.

Infine, in merito all’efficacia dell’articolo 49 delle Norme Tecniche di Attuazione (Nta), la Corte precisa che “con l’adozione del Ppr (da parte della Giunta, mentre l’approvazione è stato compito del Consiglio regionale), l’esecuzione di lavori di edificazione all’interno dell’area inserita nel piano era divenuta irrealizzabile. Ne deriva che indipendentemente dalla perdurante efficacia di questo e degli altri provvedimenti cautelari illegittimi, l’edificazione era stata comunque impedita dalla intervenuta approvazione della misura transitoria di salvaguardia, sino a quando il Comune di Cagliari non si fosse dotato di un Piano urbanistico regolatore conforme al Ppr”.

 

Tuvixeddu, tomba di Rubellio, interno in degrado

Tuvixeddu, tomba di Rubellio, interno in degrado

 

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica

(foto aerea Sopr. CA, S.D., arch. GrIG)

Mufloni sul Gennargentu.

Mucche al pascolo sul lago dei veleni. A Furtei.

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A Furtei mancavano solo le mucche al pascolo nell’area contaminata della miniera d’oro dismessa.

Follìa nel disastro ambientale.

Come si ricorda, lo scorso 21 dicembre 2017 i vertici istituzionali della Regione autonoma della Sardegna, degli Enti locali interessati e delle società regionali coinvolte hanno presenziato a Furtei all’avvio (finalmente) dei lavori di bonifica ambientale sui 530 ettari devastati dall’inquinamento da metalli pesanti determinato dalla locale miniera d’oro dismessa.

Furtei, miniera dismessa, da www.tafter.it

Furtei, miniera dismessa, da http://www.tafter.it

Dal 1997 al 2008 sono stati estratti circa 5 tonnellate d’oro, 6 d’argento e 15 mila di rame in lingotti in forma composita, cioè non immediatamente utilizzabile, macinando 530 ettari di territorio per una quarantina di posti di lavoro.

Poi il disastro ambientale.

Ora inizia la bonifica, sempre a spese pubbliche, così come la realizzazione della medesima miniera.

Non si ha alcuna notizia di iniziative concrete ed effettive poste in essere dalla Regione autonoma della Sardegna per ottenere il pagamento delle spese per la messa in sicurezza e il ripristino ambientale da parte del Soggetto che rivestiva la qualifica di concessionario minerario, perlomeno mediante l’escussione delle fideiussioni di legge prestate.

Tutti gli importi impiegati o finanziati sono, quindi, fondi pubblici.

Furtei, miniera dismessa

Furtei, miniera dismessa

La stima del costo complessivo della bonifica ambientale del sito inquinato è pari a 65 milioni di euro.

La Regione autonoma della Sardegna annuncia di intervenire per la realizzazione degli interventi di bonifica ai sensi dell’art. 245 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., con successiva facoltà di rivalsa nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese di bonifica e il maggior danno ambientale subìto (art. 253 del decreto legislativo n. 152/2006 e s,m.i.).

In pratica, se non ha incassato un euro finora, non lo incasserà quasi certamente mai.

C’è quindi ben poco da gioire, a differenza di quanto fanno i vertici istituzionali della Regione autonoma della Sardegna.

Ora c’è quantomeno da sorvegliare l’area contaminata, se non è chiedere troppo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

da La Stampa, 9 aprile 2018

Un lago di cianuro: il pascolo avvelenato delle mucche sarde.

Nel Medio Campidano terreno e acque sono stati contaminati da un’ex miniera d’oro. (Nicola Pinna)

In questi giorni di primavera le campagne del Medio Campidano si presentano come un paradiso verde. Erba fresca, cespugli fioriti e pascoli sterminati. Ma nell’isola che si fa vanto delle sue produzioni agricole d’eccellenza, del latte di alta qualità e del formaggio con denominazione controllata, capita di incontrare una mandria di vacche che bruca in mezzo a un lago di cianuro. Nel cuore di una bomba ecologica che rappresenta il più grande scandalo della storia industriale della Sardegna. Dietro la collina di Santu Miali, tra Furtei, Segariu e Guasila, c’è ancora lo spettro di una vecchia miniera d’oro. Di quel sogno che si è trasformato in un incubo rimangono gravi ferite: una montagna sventrata, acque e terreni contaminati e un lago avvelenato. Tutta l’acqua venuta fuori dalle gallerie, dove l’attività è durata pochi anni, ha formato un bacino da cui sarebbe meglio stare alla larga. Un mix di mercurio, ferro, piombo, cadmio e zolfo, ha formato una specie di roccia durissima che ogni giorno cambia colore.

Dopo quasi dieci anni, la Regione ha progettato la bonifica della collina dei veleni ma qui l’attività agricola non si è mai fermata. Intorno alla miniera ci sono campi di carciofi e di grano e qualche allevatore sfrutta il lago di cianuro come pascolo per le sue vacche. «Gravissimo che chiunque possa entrare in una zona altamente inquinata e nella quale si corrono pericoli così gravi – denuncia l’ex deputato Mauro Pili, che per primo ha fotografato e filmato le mandrie tra i metalli pesanti – Il rischio ovviamente non riguarda solo gli animali ma l’intera catena alimentare».

L’assessore regionale all’Ambiente, Donatella Spano, ha ricevuto le foto-choc, ha segnalato subito il caso alla Forestale e incaricato gli agenti di allontanare le vacche e trovare il proprietario. «Spero che questa situazione non si ripetesse da molto tempo: in ogni caso credo sia urgente avviare un’indagine – dice preoccupata -. Giusto da qualche mese, comunque, la Regione ha dato il via al progetto di bonifica, mettendo a disposizione un finanziamento di 65 milioni di euro. Nel giro di poco tempo speriamo di riuscire a cancellare una situazione davvero scandalosa». «Ancora una volta i pastori hanno rotto le recinzioni – spiega l’amministratore dell’Igea, la società regionale che gestisce le vecchie miniere – Nella zona comunque, la situazione è sotto controllo, non c’è disperazione di inquinamento, le caratterizzazioni dicono che non ci sono pericoli».

La ricerca dell’oro nel Centro Sardegna ha fatto ricchi solo gli australiani che hanno perforato la collina di Santu Miali. Agli abitanti di Furtei, Guasila e Segariu è rimasto in eredità un disastro ambientale. La Sardinia Gold Mining (controllata dalla canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione e presieduta dal 2001 al 2003 dall’ex governatore sardo Ugo Cappellacci,che rinunciò all’incarico perché non c’erano garanzie sul rispetto delle norme ambientali) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha portato i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono stati licenziati e delle bonifiche nessuno si è preoccupato.

In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro, sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma già pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è infranto. «Su questo disastro si aprirà presto un processo, ma per avviare un’indagine abbiamo dovuto presentare decine di denunce – ricorda Stefano Deliperi, presidente dell’associazione “Gruppo d’intervento giuridico” -. Le vacche al pascolo sono l’ultima puntata di uno scandalo che per tanto tempo è stato ignorato. Nella zona della vecchia miniera tanti agricoltori continuano a coltivare nonostante l’altissimo tasso di contaminazione dei terreni e delle falde. Qualcuno qui sta bevendo latte contaminato».

 

Furtei, miniera dismessa

Furtei, miniera dismessa

(foto da www.tafter.it, Provincia Medio Campidano)

In nome di Vincenzo Migaleddu.

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sulle orme di Vincenzo, 2018

Il 9 aprile 2017 ci lasciava improvvisamente Vincenzo Migaleddu,  medico radiologo e presidente regionale I.S.D.E. – Medici per l’Ambiente.Una persona di grande competenza e rara generosità, sempre pronto a battersi per difendere la salute e la qualità della vita della sua Isola.

Il Comune di Martis, suo luogo natale, lo ricorda dedicandogli il Centro polivalente sabato 21 aprile 2018, con inizio alle ore 17.00.

Un gesto tangibile per chi si è speso tanto e disinteressatamente per la sua Terra, un’occasione per dire che non abbiamo dimenticato il suo esempio..

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Iris planifolia

Iris planifolia

 

(foto S.D., archivio GrIG)

La Spectre si occupa degli usi civici sulla costa di Orosei.

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Orosei, veduta aerea della costa di Cala Liberotto (da Sardegna Geoportale)

Orosei, veduta aerea della costa di Cala Liberotto (da Sardegna Geoportale)

Secondo quanto riportato dal quotidiano L’Unione Sarda (“La grana degli usi civici finisce alla Procura antimafia” di Barbara Schintu, edizione 12 aprile 2018) tal avvocato Roberto Luche, che non ho il piacere di conoscere, avrebbe presentato, “in qualità di proprietario di uno dei lotti di Cala Liberotto”, un esposto alla Procura nazionale antimafia “mettendo in luce ‘conflitti di interesse’ tra le autorità incaricate di risolvere la questione e un ‘enorme cortocircuito istituzionale’”.

Di che si tratterebbe?   “Luche osserva che l’avvocato Carlo Augusto Melis Costa, uno dei legali di riferimento del Gruppo d’Intervento Giuridico, è il marito del commissario regionale designato agli usi civici, Maria Cristina Elisabetta Ornano (sorella del direttore generale dell’Arpas Nicoletta Ornano)” e da ciò nascerebbero “situazioni che limiterebbero l’imparzialità dell’atteso giudizio”.

Non solo.  Io sarei “chiamato in causa per la … doppia posizione di direttore dell’Ufficio di Controllo della Corte dei Conti e di presidente del GrIG”.

Spectre

il simbolo della Spectre

Insomma, una sorta di Spectre avrebbe allungato i tentacoli sulla costa di Orosei e, magari, attenderebbe solo l’arrivo di Paperinik per chiudere il cerchio.

Più di trent’anni fa venni accusato di far parte di una banda di terroristi ecologisti dedita alla liberazione di Lupi sui Monti della Tolfa e nella Tuscia con tanto di elicotteri e paracadute (per i Lupi, ovviamente), per cui non mi meraviglio di niente.

In attesa di sapere se vi siano anche miei cugini in secondo grado coinvolti nel complotto, non si può che ricordare che la soluzione ai “pasticci” sulla costa di Orosei sarebbe proprio a portata di mano, soprattutto dopo l’approvazione della legge regionale Sardegna n. 11/2017.

Sardegna, versanti boscosi

Sardegna, versanti boscosi

Infatti, da anni è ben nota la vicenda: sulla costa di Orosei centinaia di ettari di terreni a uso civico, appartenenti al locale demanio civico di cui sono titolari esclusivi tutti i cittadini residenti nel centro della costa orientale sarda, sono stati venduti illegittimamente dal Comune nel corso del tempo.

Sono sorti complessi turistico-edilizi e “seconde case”, spesso gli attuali acquirenti ignorano le vicende degli anni passati.

Le Amministrazioni comunali e il Consiglio regionale hanno tentato le soluzioni più fantasiose e illegittime, venendo sempre fermati da Corte costituzionale e azioni ecologiste, sprecando soldi e tempo, esasperando poi tanti incolpevoli cittadini.

Tuttora è pendente il procedimento n. 1/2012 davanti al Commissario per gli usi civici (in cui il GrIG non è parte), nel quale venne realmente rilevato “un concreto e reale conflitto di interessi tra il comune ricorrente e gli utilizzatori residenti nel comune di Orosei”, in quanto l’Amministrazione comunale “contesta la qualità demaniale del suolo e, comunque, l’esistenza degli usi civici” (ordinanza commissariale del 28 settembre 2012).

Ignorata finora la soluzione più semplice e rispettosa di leggi e buon senso: trasferire i diritti di uso civico dai terreni irrimediabilmente compromessi a boschi e coste di proprietà comunale.   A iniziare da Bidderosa, per esempio.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

L'Unione Sarda, 12 aprile 2018 - Copia

 

Sardegna, coste, dune

Sardegna, coste, dune

 

(immagine aerea da Sardegna Geoportale, foto S.D., archivio GrIG)

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