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Una nuova “villona” sul Colle di San Michele, a Cagliari.

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Colle S. Michele

Cagliari, Colle di San Michele

Ritorna la speculazione edilizia alle pendici del Colle di San Michele, una delle aree paesaggisticamente più importanti di Cagliari.

A breve distanza dal parco comunale e dal Castello, sarà con ogni probabilità aperto il cantiere per la realizzazione di una villa unifamiliare nell’ambito della lottizzazione “San Michele” (lotto 4) della società immobiliare Pregamma s.r.l. (famiglia Floris), a cui viene attribuita tuttora la titolarità dell’indecente “scheletro” edilizio abbandonato da anni sempre alle pendici dello storico Colle.

Il via libera alla villona è stato dato dalla recente sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 21 febbraio 2018, n. 149, con cui è stato accolto il ricorso della società immobiliare contro la determinazione del Comune di Cagliari – S.U.A.P. n. 7180 del 27 luglio 2016 di rigetto della richiesta di autorizzazione.

Panorama Cagliari da Viale Buoncammino

Cagliari, panorama da Viale Buoncammino

L’area ricade nella zona “C 4” (completamento) del vigente piano urbanistico comunale (P.U.C.) di Cagliari, tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e rientra in un piano di lottizzazione dove “nell’ambito del decennio di efficacia, tutte le opere di urbanizzazione sono state realizzate dal lottizzante”.

Proprio per tale motivo, anche la disciplina del piano paesaggistico regionale (P.P.R.)consente (art. 15 delle norme tecniche di attuazione) la realizzabilità dell’intervento in attesa del nuovo P.U.C.

Cagliari, Colle di Bonaria, cantiere edilizio bloccato

Cagliari, Colle di Bonaria, cantiere edilizio bloccato

In più, nelle more del giudizio amministrativo (era intervenuto anche il provvedimento cautelare T.A.R. Sardeg n. 31 del 13 febbraio 2017, a sua volta riformato dall’ ordinanza Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2017, n. 4177), “Regione e Soprintendenza si sono pronunciati favorevolmente, rilasciando, rispettivamente, i pareri di compatibilità paesaggistica:

– parere Regionale del 22.3.2017 (doc. n. 17);

– parere della Soprintendenza (doc. n. 18 del 10.5.2017)”.

Il Comune di Cagliari aveva, quindi, adottato un provvedimento di autorizzazione (n. 22 del 28 giugno 2017) in ottemperanza all’ordinanza di sospensiva del T.A.R., ma ora l’accoglimento del ricorso ha “l’effetto di consolidare il provvedimento favorevole comunale, condizionato, assunto in corso di processo”, come ricordano i Giudici amministrativi.

In parole povere, visti i pareri paesaggistici positivi di Regione e Soprintendenza, il Comune di Cagliari non può che autorizzare la nuova villona sul Colle di San Michele.

Tutto questo non può che ricordare con forza la necessità di un rapido adeguamento del P.U.C. di Cagliari alla disciplina del P.P.R.

Si attende da quasi dodici anni: il tempo passa e la speculazione immobiliare procede serena.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra

 

Cagliari, Torre dell'Elefante

Cagliari, Torre dell’Elefante

(foto S.D., archivio GrIG)

 

 

 


Perché l’A.R.P.A.S. vuol delegare a privati il campionamento delle acque per la balneazione?

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mare e coste

mare e coste (foto Benthos)

Uno dei controlli ambientali ordinari di maggior rilievo è quello della qualità delle acque destinate alla balneazione.

L’importanza ai fini ambientali, turistici ed economici è intuitiva, soprattutto in nazioni come l’Italia e in regioni come la Sardegna.

Alla direttiva n. 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione (che ha sostituito la precedente n. 76/160/CEE) ha dato attuazione il decreto legislativo n. 116/2008 e il D.M. Salute 30 marzo 2010 di esecuzione.

In Sardegna la competenza relativa al controllo e alla vigilanza sulla qualità delle acque destinate alla balneazione è assegnata all’A.R.P.A.S.

macchia mediterranea, sole, mare

macchia mediterranea, sole, mare

Finora, le analisi sono state svolte dall’A.R.P.A.S., ma – per accordi interni all’Amministrazione regionale – i  materiali campionamenti delle acque nei 660 punti di campionamento lungo le coste sono stati effettuati dal personale delle Aziende sanitarie locali competenti per territorio sostanzialmente a costo zero, perché il personale viene ovviamente retribuito dall’organizzazione sanitaria di appartenenza.

Ma non sarà più così: infatti l’A.R.P.A.S. ha bandito lo scorso 19 febbraio 2018 una procedura negoziata per “AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO DI PRELIEVO CAMPIONI D’ACQUA PER I CONTROLLI DELLA BALNEAZIONE NELLA STAGIONE 2018” per un importo a basa d’asta pari a euro 180.000,00 + I.V.A.

Perché si rinuncia a un’attività pubblica così importante a costo zero per farla svolgere a pagamento a privati?

La scelta della privatizzazione lascia ulteriormente sconcertati in quanto la tutela della salute nell’utilizzo delle acque di balneazione, come indicato nella seguente tabella, rientra nei livelli essenziali di assistenza (LEA), come definiti dal D.P.C.M. 12 gennaio 2017:

N. Programmi / Attività[1]   Componenti del programma Prestazioni
 

 

B2

 

 

Tutela della salute nell’uso delle acque di balneazione

 

Classificazione delle acque di balneazione

Valutazione della qualità delle

acque di balneazione

Classificazione e monitoraggio

delle acque di balneazione

Campionamento e analisi delle

acque di balneazione

Informazioni alla popolazione e

alle istituzioni

Perché, quindi, è stata fatta questa scelta?

Quali sono le motivazioni d’interesse pubblico?

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] Questi programmi e le relative prestazioni sono erogati in forma integrata tra sistema sanitario e agenzie per la protezione ambientale, in accordo con le indicazioni normative regionali nel rispetto dell’articolo 7 quinques del decreto legislativo 502/1992.

 

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(foto Benthos, M.F., S.D., archivio GrIG)

Riunione interlocutoria sul futuro dei Daini del Parco naturale regionale di Porto Conte.

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Alghero, Isola Piana

Si è tenuta l’8 marzo 2018 presso l’Assessorato della difesa dell’ambiente della Regione autonoma della Sardegna una riunione sul futuro dei Daini (Dama dama) nel Parco naturale regionale “Porto Conte”.

Vi hanno preso parte il Capo Gabinetto dell’Assessorato dott. Franco Corosu, funzionari dell’Assessorato, del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, tecnici dell’Agenzia Forestas, i vertici del Parco naturale regionale “Porto Conte”, i rappresentanti del Comune di Iglesias, del Consorzio per il Parco del Monte Arci, del Comune di Alghero, ricercatori dell’Università degli Studi di Sassari e rappresentanti di WWF, Legambiente, Italia Nostra e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Daini (Dama dama)

Daini (Dama dama)

Com’è noto, la densità eccessiva del Daino nell’area di Porto Conte – Porto Ferro (secondo l’ultimo censimento curato dal Parco nel 2017 vi sarebbero 386 esemplari) ha causato un crescente numero di incidenti stradali e di danni all’agricoltura.

Il piano quinquennale di contenimento della fauna selvatica predisposto dopo lunga analisi scientifica dalla Provincia di Sassari insieme al Parco e con la collaborazione dell’Università degli Studi di Sassari prevede, con parere favorevole dell’I.S.P.R.A. e parere favorevole del Comitato regionale faunistico, l’abbattimento di un certo numero di esemplari di Daino (dovrebbero essere 58 nel 2018).

Nel corso delle riunione è emerso che la prima proposta verteva sul trasferimento degli esemplari in eccesso, ma avrebbe trovato il parere negativo dell’I.S.P.R.A. sulla base delle Linee guida per la gestione degli Ungulati (2013, pagg. 127-128) e del fatto che il Daino – pur presente dall’epoca fenicia e romana –  non sarebbe considerato autoctono ai sensi del D.M. 19 gennaio 2015.

Sarebbe un banale migrante extracomunitario, insomma.

Tuttavia – come sostenuto con forza dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – le doppiette non sono l’unica soluzione, anzi, gli esemplari ritenuti in eccesso possono essere catturati e trasferiti in altre Foreste demaniali della Sardegna.

E’ necessaria la volontà e il buon senso.

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Alghero, costa di Punta Cristallo

Infatti, il Daino è attualmente presente in Sardegna soltanto nel parco naturale regionale “Porto Conte” e in poche altre Foreste demaniali della Regione autonoma della Sardegna (Pixina Manna, Neoneli, Limbara) con un numero estremamente contenuto di esemplari (circa 700)[1].      Nel Parco naturale regionale “Porto Conte” c’è la massima densità in Sardegna, perché per troppi anni non è stato affrontato il problema con la necessaria visione d’insieme con riferimento all’intero territorio regionale.

La stessa Carta delle vocazioni faunistiche della Sardegna (pagg. 256-259, 2005, revisione 2012) indica varie aree naturali (Goceano, Marghine, Limbara, Barbagia, Monte Arci, ecc.) per la potenziale reintroduzione e un numero di 17.360 esemplari quale sopportabile dal territorio isolano.

I pareri espressi dall’I.S.P.R.A. in materia di gestione faunistica (artt. 18-19 della legge n. 157/1992 e s.m.i.) sono, per giurisprudenza costante, obbligatori, ma non vincolanti, così come le Linee guida: in buona sostanza, è possibile discostarsi con provvedimenti motivati sotto il profilo tecnico-scientifico, in questo caso determinato dall’esiguità della popolazione sarda e proprio dalla Carta delle vocazioni faunistiche della Sardegna.

La cattura e il trasferimento dei Daini in eccesso in altre Foreste demaniali sarde dovrebbe essere la scelta prioritaria da parte della Regione autonoma della Sardegna, basta il semplice buon senso.

Alghero, Capo Caccia

Alghero, Capo Caccia

Ma il buon senso e la sensibilità ambientale, per fortuna, sono comunque diffusi: il sindaco di Morgongiori e presidente del Consorzio per l’istituzione del parco naturale del Monte Arci Renzo Ibba ha confermato la disponibilità ad accogliere i Daini in esubero, confermata anche la disponibilità espressa dall’Amministrazione comunale di Iglesias per la Foresta demaniale del Marganai.

Dal Parco e dalla Provincia di Sassari è stata analogamente espressa la massima disponibilità a soluzioni incruente, così come l’Assessorato regionale della difesa dell’ambiente ha manifestato la necessità di coinvolgere le Province del Sud Sardegna e di Oristano per la predisposizione di piani alternativi di gestione del Daino.

E’ semplicemente assurdo e un po’ ridicolo che la presenza di soli 700 Daini in tutta la Sardegna possa costituire un problema.

Qualche segnale positivo, comunque, il resto si vedrà nei prossimi tempi.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] Si ricorda che il Daino in Sardegna, introdotto in epoca fenicia e romana, si estinse proprio a causa della caccia (nel 1968 venne uccisa l’ultima esemplare a S’Arcu e su Cabriolu, sul Massiccio dei Sette Fratelli).  Venne in seguito reintrodotto con esemplari provenienti in buona parte della Tenuta presidenziale di San Rossore.

 

Daino

Daino (Dama dama)

(foto S.D., archivio GrIG)

Stop al progetto di centrale eolica di Monte Calvi!

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Campiglia Marittima, cave

Campiglia Marittima, cave

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (9 marzo 2018) un atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di centrale eolica Cave di Campiglia s.p.a. in loc. Monte Calvi, nei Comuni di Campiglia Marittima e San Vincenzo (LI).   

Il progetto di centrale eolica comprende n. 2 aereogeneratori (altezza complessiva mt. 125, diametro rotore mt. 90) da 1.500 kW ciascuno, per una produzione annua di energia elettrica pari a 9,670 MWh, con fondazioni, strade di accesso e opere di connessione alla rete elettrica nazionale (strade di servizio, cavidotti, cabina di smistamento, ecc.).

Interessato il Settore VIA–VAS – Opere pubbliche di interesse strategico regionale della Regione Toscana, i Ministeri dell’ambiente e dei Beni e Attività Culturali, i Comuni di Campiglia Marittima e San Vincenzo.

Pale localizzazione 4 - Copia

Campiglia Marittima-San Vincenzo, progetto di centrale eolica di Monte Calvi, rendering progettuale

Numerose le criticità evidenziate:

in primo luogo, il progetto in argomento è in sito di proprietà e contiguo alla pluriennale attività estrattiva di calcare svolta dalla medesima società Cave di Campiglia s.p.a., con indubbi pesanti impatti ambientali non ripristinati: devono, quindi, esser valutati gli impatti cumulativi, come da giurisprudenza europea e nazionale costante;

– l’area di Monte Calvi interessata dal progetto è in parte tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), vista la presenza di bosco/macchia mediterranea e dell’insediamento archeologico di epoca tardo etrusca (muro difensivo in pietra) di Scala Santa, appartenente al sistema difensivo di Populonia.   Il Piano di indirizzo territoriale (P.I.T.) con valenza di piano paesaggistico dispone il divieto di realizzazione di centrali eoliche nelle zone d’interesse archeologico;

centrale eolica

centrale eolica

– l’area di Monte Calvi interessata dal progetto coinvolge la zona speciale di conservazione (ZSC) “Monte Calvi di Campiglia – IT5160008” (direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e seminaturali, la fauna e la flora), è tutelata anche con vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i. e legge regionale Toscana n. 39/2000 e s.m.i.);

– la Soprintendenza per Archeologia. Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno ha espresso parere nettamente negativo sotto il profilo della tutela paesaggistica e della tutela archeologica (nota prot. n. 178 del 26 gennaio 2018);

–  il Comune di Campiglia Marittima ha espresso parere negativo riguardo gli aspetti urbanistici, dell’impatto acustico, della viabilità (nota Settore Assetto del Territorio del 2 gennaio 2018);

– il Servizio del Genio civile (Valdarno Inferiore e Costa) della Regione Toscana ha espresso parere interlocutorio negativo con richiesta di integrazioni (nota prot. n. AOOGRT/68899/P.140.020 dell’8 febbraio 2018);

–    nello studio di impatto ambientale – S.I.A. non vengono considerate con il dovuto approfondimento le necessarie alternative progettuali, tantomeno viene approfondita l’auspicata “ipotesi zero” (non realizzazione del progetto), in violazione di legge.

Oltre all’interessamento di insediamenti archeologici, gli aerogeneratori, per la loro notevole dimensione, sarebbero poi ben visibili fin dalla costa, alterando il profilo morfologico di grande valore paesaggistico, anche vero richiamo turistico della zona, incrementando il già pesante impatto ambientale causato dalle esistenti cave di calcare.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, ha, quindi, chiesto che il procedimento di V.I.A. si concluda con un provvedimento negativo per l’insostenibile impatto ambientale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Toscana, paesaggio agrario

Toscana, paesaggio agrario

(rendering progettuale, foto Comitato per Campiglia, E.R., S.D., archivio GrIG)

Portoscuso, non resta che crepare tranquilli.

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Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Reportage di Marina Forti per la rivista svizzera Area sul disastro ambientale, sanitario, sociale ed economico di Portoscuso.

Speranze?    Forse è meglio passare alla domanda di riserva.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino "fanghi rossi"

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino “fanghi rossi”

da Area, marzo 2018

Condannati a respirare piombo e veleni. (Marina Forti)

 

Il gruppo Sider Alloys di Lugano ha acquisito lo stabilimento ex Alcoa di Portovesme, in Sardegna, il più importante impianto italiano per la produzione di alluminio primario. L’accordo è stato firmato il 15 febbraio presso il ministero per lo sviluppo economico (Mise), a Roma, e coinvolge Invitalia, l’agenzia italiana per gli investimenti. È stato annunciato un investimento di 135 milioni di euro per far ripartire la produzione: ma saranno in gran parte anticipati da Invitalia. I lavoratori della ex Alcoa, che da quasi quattro anni presidiano lo stabilimento per impedirne la chiusura, ora sperano di tornare al lavoro. Portovesme però è uno dei siti più inquinati d’Italia, in attesa di bonifica per rimediare a quarant’anni di scarichi industriali incontrollati. Tra le ragioni della salute ambientale e quelle del lavoro rischia di scoppiare un nuovo conflitto.
Solo trecento metri separano le ultime case di Portoscuso e i primi impianti della zona industriale. La strada passa sotto un ponte di nastri trasportatori, costeggia un deposito scoperto di minerali, supera la centrale termica dell’Enel e prosegue per cinque o sei chilometri tra giganteschi serbatoi, capannoni, un deposito di carbone a cielo aperto. Portoscuso è un comune di cinquemila abitanti sulla costa della Sardegna sud-occidentale, nella regione del Sulcis. La sua zona industriale, chiamata Portovesme, è una delle più grandi dell’isola. Nata a fine anni ’60, è un insieme di impianti in cui si svolgeva l’intero ciclo di produzione dell’alluminio, dalla polvere di bauxite fino ai prodotti finali, oltre a una fabbrica di zinco, piombo e acido solforico. Quando lavorava a pieno ritmo qui il panorama era dominato dal nero del carbone scaricato nel porto e dal rosso della bauxite che volava dal nastro trasportatore, dal viavai di camion, e da un impressionante bacino rossastro: 125 ettari di scarti della lavorazione della bauxite, depositati a partire dal 1978 e separati dal mare solo da una lingua di sabbia finissima. Oggi le ciminiere continuano a dominare la costa. Anche il bacino dei fanghi rossi resta là, ma le tracce di attività sono rare. I capannoni mostrano la ruggine. Resta in funzione la centrale Enel a carbone: ma per giorni non produce neppure un chilowattora perché non avrebbe a chi venderlo, tanto più che la stessa Enel ha disseminato la zona di pale eoliche per il fabbisogno locale. È attiva anche l’ex fabbrica di zinco e piombo, la Portovesme Srl, ma lavora solo rottame e “fumi d’acciaieria”, cioè scarti della lavorazione dell’acciaio da cui trae una (piccola) parte di metalli e una parte consistente di reflui. Il ciclo dell’alluminio invece è fermo dal 2012; solo pochi addetti accudiscono gli impianti nell’attesa di un rilancio.
Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Negli anni ‘80 i primi segnali
La crisi ambientale a Portoscuso scoppiò quando uno studio dell’università di Cagliari rivelò che gli scolari della prima media avevano quantità allarmanti di piombo nel sangue. Era il 1988: «Ci parlarono di “danno biologico accertato”», ricorda Angelo Cremone, allora operaio specializzato alla Alsar (poi divenuta Alcoa) e padre di uno di quei bambini. La zona industriale a quel tempo occupava oltre diecimila persone, era il primo datore di lavoro nel Sulcis. Ma scoprire che le fabbriche stavano avvelenando i propri figli fu uno shock. «Capimmo che ci nascondevano i fatti» spiega Cremone.
È nato allora un comitato di cittadini. Furono anni di proteste, denunce, ordinanze comunali. Cittadini e lavoratori erano egualmente coinvolti: un caso raro nell’Italia di allora, dove si moltiplicavano i conflitti tra il nascente movimento ambientalista e le organizzazioni dei lavoratori.
«Gli abitanti di Portoscuso cominciarono a capire cosa volesse dire un’area industriale così vicina alle case», ricorda il dottor Ignazio Atzori, allora ufficiale sanitario e assessore all’ambiente.
Oggi Atzori è vicesindaco di Portoscuso e ha di nuovo la delega all’ambiente (nei primi anni Duemila è stato anche sindaco); lo incontro negli studi dell’Azienda sanitaria locale. Spiega che in quei lontani anni ’80 erano già comparsi segnali di allarme, nel vino e nei formaggi locali erano stati trovati piombo e fluoro: «Allora però se ne parlava più che altro in termini di risarcimenti».
Oggi sembra una follia mettere discariche in riva al mare e depositi di carbone accanto alle case. «Ma allora queste considerazioni non si facevano», osserva Atzori. «Le miniere dell’Iglesiente avevano appena chiuso, la zona era segnata dalla crisi. Su tutto prevaleva la necessità del lavoro, ai giovani non restava che emigrare. Così, nei primi anni ’70 tutti accolsero con grande favore la decisione di ubicare qui una nuova zona industriale».
Nel 1993 il governo dichiarò Portoscuso zona “ad alto rischio di crisi ambientale”. Arrivò il primo piano di disinquinamento, finanziato con 200 miliardi di lire. Più tardi (nel 2001) il ministero dell’ambiente incluse Portoscuso-Portovesme nel più ampio “Sito di interesse nazionale” del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, con più di 200mila abitanti in 29 comuni, una superficie di 620 km2 a terra e 900 km2 di mare, e una gran quantità di vecchie miniere, fabbriche e discariche.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

Alimenti contaminati
Da allora l’aria a Portoscuso è migliorata: crollata la produzione industriale, sono venute meno anche le emissioni. La bonifica però non è mai stata completata. Nei terreni e nelle falde idriche un inquinamento profondo continua a contaminare la catena alimentare, con grave danno per gli abitanti (vedi riquadro a pagina 8). A Portoscuso non si può consumare il latte delle pecore e capre che brucano nei dintorni, né mangiarne la carne, né raccogliere mitili e crostacei o vendere frutta e verdura: la Asl locale raccomanda soprattutto di non farli mangiare ai bambini. Nelle polveri sottili ci sono piombo e cadmio. Il terreno è impregnato di metalli pesanti. La falda sotto Portovesme è un concentrato di veleni, secondo l’ultima relazione dell’Agenzia regionale per l’ambiente diffusa nel giugno 2017: i campioni prelevati nell’area industriale rivelano arsenico, cadmio, fluoro, piombo, mercurio, tallio, zinco e idrocarburi policiclici aromatici, tutto in quantità centinaia di migliaia di volte oltre i limiti. Sostanze tossiche, neurotossiche, cancerogene.
«Il problema è che i soldi stanziati negli anni ’90 sono quasi finiti, ma gli interventi di bonifica non sono affatto conclusi», spiega Atzori. Parla delle strade rurali e urbane che nei primi anni Settanta erano state pavimentate con scorie di piombo e zinco della Samim (Eni): «Stiamo ripulendo perfino la strada davanti alla scuola materna».
Quanto all’area industriale, la Regione Sardegna afferma che sono in corso interventi di messa in sicurezza e bonifica per oltre 230 milioni di euro tra investimenti e costi operativi, a carico delle aziende in base al principio chi inquina paga. Alla fine del 2017, dopo anni di gestazione, è stato approvato un progetto di “barriera idraulica” per mettere in sicurezza la falda idrica sotto a Portovesme: si tratta di pompare l’acqua prima che raggiunga il mare, trasferirla a impianti per depurarla, poi riutilizzarla nei processi produttivi o rimetterla nelle falde. È un’opera “consortile”, cioè coinvolge le diverse aziende che vi hanno impegnato 54 milioni di euro. Ma poi bisognerà fermare le fonti della contaminazione.
«Abbiamo assistito a un’incredibile serie di silenzi e omissioni», dice Angelo Cremone, che oggi rappresenta l’associazione Sardegna Pulita. Licenziato dall’Alcoa, ha continuato a dare battaglia contro l’inquinamento come consigliere comunale e ora come attivista. È tra le parti civili nel  procedimento in cui la direzione aziendale dell’Eurallumina è imputata per “disastro ambientale”: ma il processo cominciato nel 2015 si trascina; il 16 febbraio l’avvio delle udienze è di nuovo slittato. «L’inquinamento è noto da molto tempo», insiste Cremone, «e anche l’impatto sulla nostra salute: ma chi doveva intervenire non lo ha fatto».

Portoscuso, Guroneddu-Capo Altano, corso d'acqua alterato

Portoscuso, Guroneddu-Capo Altano, corso d’acqua alterato

Portovesme è presidiata

Nell’area industriale semi deserta, i cancelli della ormai ex Alcoa si riconoscono dalle bandiere sindacali e da uno striscione azzurrino: «Continua la lotta per il lavoro e il territorio», firmato dai «lavoratori Alcoa e appalti» del Sulcis Iglesiente.

Lo stabilimento è presidiato da quasi quattro anni. Alla fine del 2012 infatti Alcoa ha sospeso l’attività e messo tutti in cassa integrazione; finita questa, dal 2014 è tutto fermo: d’improvviso ottocento persone (di cui circa metà dipendenti di ditte in appalto) sono rimaste senza lavoro né cassa integrazione, affidate agli “ammortizzatori sociali”. Però non si sono rassegnate, e dal maggio del 2014 presidiano la fabbrica. «All’inizio ci siamo organizzati in squadre e abbiamo presidiato i cancelli 24 ore su 24, tutti i giorni» spiega Gianmarco Zucca, delegato di fabbrica della Fiom, la Federazione dei lavoratori metalmeccanici della Cgil. Poi è passato un anno, due, tre, «chi ha trovato dei lavoretti, chi ha perso la speranza. Ora siamo qui due giorni alla settimana».

È un venerdì di dicembre, giorno di presidio. «Quando sono entrato in fabbrica, nel 1989, era un vero inferno. Da allora però le cose sono cambiate. L’abbiamo visto sulla nostra pelle» continua Zucca. Anni fa «la fabbrica scaricava in modo selvaggio: ma poi hanno messo filtri, chiuso alcuni impianti. Oggi ci sono regole e controlli». Saliamo in macchina per perlustrare la zona. Ecco il capannone con le celle elettrolitiche per l’alluminio: uno dei lavori più pericolosi era preparare le vasche con la polvere di allumina in un bagno di fluoruro e sodio, e poi gli anodi in grafite. Gli addetti erano esposti a polveri e sbalzi di temperatura. File di carrelli poi portavano l’alluminio fuso in fonderia, per farne pani, bille o placche in leghe diverse secondo le ordinazioni: «Era alluminio di grande qualità, anche per le Ferrari». Vicino c’era la Metallotecnica, la «fabbrica-scuola» da cui uscivano ottimi carpentieri, tubisti, lavoratori specializzati.

Il presidio dell’Alcoa è retto da un centinaio di persone, più altre che passano in modo occasionale: «È anche un modo per tenersi in contatto» osserva Milena Masia, anche lei dipendente Alcoa. L’età media dei lavoratori qui è 38/40 anni, spiega, «tutti hanno figli a scuola o all’università, e mutui da pagare». Pochi hanno trovato un altro lavoro.

Si capisce che qui aspettassero con ansia la vendita dello stabilimento. Nel 1996, quando Alcoa acquistò lo stabilimento di Portovesme, il corso dell’alluminio sul mercato mondiale era alto e il governo italiano garantiva energia a prezzo agevolato (l’energia è quasi il 40% del costo di produzione dell’alluminio primario, cioè ottenuto dalla materia prima). Così Alcoa trovò conveniente produrre anche quando nel 2009, chiusa la Eurallumina, dovette importare la polvere d’allumina da fuori. Poi però l’Unione europea ha stabilito che quell’energia a prezzo di favore era un aiuto pubblico illegittimo, e nel 2011 la Corte di giustizia europea ha ordinato all’azienda di restituire allo stato italiano circa 300 milioni di euro di sovvenzioni. Il governo ha esteso allora le agevolazioni a tutte le imprese “energivore” delle isole, (è stato chiamato “decreto salva-Alcoa”). Ma ormai Alcoa aveva deciso di lasciare l’Italia – anche se nel solo 2012 ha fatto 600 milioni di euro di utile netto, fanno notare qui. «Hanno chiuso una fabbrica in perfetta efficienza, che sulle emissioni rispettava parametri più severi di quelli dell’Unione europea, aveva mercato e faceva profitti» si indigna Francesco Bardi, della segreteria della Camera del lavoro di Carbonia, che incontro davanti allo stabilimento presidiato. Quando infine nel 2016 Alcoa ha annunciato l’intenzione di smantellare gli impianti si è fatta avanti Invitalia, con il compito di cercare nuovi acquirenti per la fabbrica di Portovesme.

Oggi il presidio dei lavoratori continua. «Speravamo di conoscere i piani della nuova azienda, ma non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali» spiega al telefono Roberto Forresu. Già: il piano industriale presentato dal gruppo ticinese al governo italiano non è stato diffuso, e neppure i termini dell’accordo tra Sider Alloys e Invitalia. È noto però che dei 135 milioni di investimento annunciato, ben 84 saranno anticipati da Invitalia a tasso agevolato, 20 saranno messi da Alcoa come contributo alla bonifica e 8 a fondo perduto dalla regione Sardegna. L’investimento di Sider Alloys si riduce a una ventina di milioni di euro.

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

Una dismissione rinviata?

Nei primi anni 2000 l’area industriale di Portovesme dava ancora lavoro a cinquemila persone tra dipendenti diretti, imprese in appalto e indotto. Oggi restano 1.300 addetti alla Portovesme Srl e 380 alla centrale Enel. Le imprese di servizio fanno altri trecento dipendenti; poche decine lavorano al porto industriale. Poi ci sono 120 persone che timbrano il cartellino alla Eurallumina, ora Rusal: anche loro sperano nel rilancio.

Il “piano di ammodernamento” dell’azienda russa però ha suscitato numerose obiezioni (pubblicate sul sito della regione Sardegna). Una riguarda il carbone: perché mai un nuovo impianto? Infatti quello Enel è sottoutilizzato (e l’Italia si è impegnata a “uscire” dal carbone entro il 2025). Intanto anche la Portovesme Srl promette nuovi investimenti, ma chiede per i suoi reflui una nuova discarica: l’attuale è esaurita e l’azienda di proprietà Glencore minaccia di chiudere se non sarà autorizzata a raddoppiarla. Il solito, vecchio “ricatto del lavoro”.

«La situazione del lavoro è drammatica» riconosce il vicesindaco Atzori, e però sarebbe meglio ragionare sulla dismissione: «Stiamo parlando di produzioni non competitive, le materie prime e l’energia vengono da fuori. Erano poco sostenibili già in passato, se non per le sovvenzioni pubbliche. Regge solo la Portovesme Srl perché è diventata una piattaforma di smaltimento di rottame».

«Quella di Portovesme non è un’industria che possa reggere» è il tassativo commento di Stefano Deliperi, presidente di un gruppo di giuristi e ambientalisti, il Gruppo di intervento giuridico, che ho raggiunto al telefono. «Quelle aziende vivono di cassa integrazione e ammortizzatori sociali. Non ha senso continuare a buttare via soldi pubblici per iniziative industriali fuori mercato» continua: «Sotto il profilo ambientale e della salute pubblica è un disastro, e se non si cambia rotta non potrà che peggiorare». Difendere il lavoro non significa quel lavoro: «Perché non trasformare Portovesme in un polo di produzione di alluminio riciclato, secondo il principio del riutilizzo?». Sarebbe un considerevole risparmio di energia, osserva Deliperi; si salverebbero posti di lavoro e sarebbe un’alternativa sostenibile. Ma finora è prevalsa «una logica clientelare: si tiene in piedi una parvenza di lavoro, corsi formazione, riqualificazione, cassa integrazione». Deliperi dice che la classe politica «usa il Sulcis come un serbatoio di voti».

Per il vicesindaco Atzori, il sospetto peggiore è che il rilancio nasconda l’ennesima beffa: «Si rinvia la dismissione degli impianti per evitare di spendere le centinaia di milioni di euro necessarie a smontare le fabbriche e bonificare questo sito industriale».

Portovesme,  bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

BOX. Una crisi sanitaria poco studiata

La situazione sanitaria intorno all’insediamento industriale di Portovesme è allarmante, anche se ancora troppo poco indagata. L’indagine più completa finora realizzata è lo studio epidemiologico sulle aree industriali, minerarie e militari della Sardegna coordinato nei primi anni ‘2000 dal professor Annibale Biggeri. Commissionato dalla Regione Sardegna grazie a fondi europei, lo studio è stato pubblicato nel gennaio 2006 dalla rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia (Epidemiologia & Prevenzione).

Il primo rapporto Sentieri (l’indagine epidemiologica nelle zone esposte a inquinamento industriale in Italia, pubblicato dall’Istituto superiore di sanità nel 2011) segnala nella popolazione sia maschile che femminile un eccesso di mortalità per le malattie dell’apparato respiratorio, oltre che per il tumore alla pleura e per le malattie perinatali. Conferma inoltre che nel 1998 la piombemia nei ragazzi di Portoscuso era superiore al livello d’attenzione in vigore negli Usa (cioè 10 microgrammi per decilitro di sangue). Nei lavoratori dell’Alcoa, in particolare gli addetti alla preparazione degli anodi per l’elettrolisi dell’alluminio, era in eccesso la mortalità per tumori al pancreas. Lo studio Sentieri considera anche le vicine zone minerarie, cioè tutto il “Sito di interesse nazionale” del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, e conclude che «la componente occupazionale svolge un ruolo rilevante nelle malattie dell’apparato respiratorio (tumorali e non) e nel tumore del polmone».

Da allora non si segnalano nuovi studi, se non parziali. Non c’è un sistema di monitoraggio continuo né uno screening periodico della popolazione esposta; in questa zona della Sardegna non è ancora operativo neppure il Registro dei tumori. Paradossale: c’è una situazione di rischio ambientale conclamato, ma non c’è il monitoraggio sanitario che ci si dovrebbe aspettare.

 

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

(foto Raniero Massoli Novelli, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

Ancora una volta l’aria di Sarroch è stata “appestata” serenamente.

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Sarroch, impianti Gruppo Saras s.p.a., fumo nero (23 dicembre 2015) bis

Sarroch, impianti Gruppo Saras s.p.a., fumo nero (23 dicembre 2015)

Nei giorni scorsi l’aria di Sarroch (CA) è stata appestata ancora una volta.

Ancora una volta fumi e miasmi dagli impianti della raffineria Saras s.p.a., che nell’homepage del suo sito internet si premura di ricordare che “SARAS fa parte de ‘I 200 del FAI’, un gruppo di generosi mecenati che, insieme alle loro aziende, sostengono il FAI – Fondo Ambiente Italiano nella missione di tutela, cura e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale del nostro Paese”.

Non è una novità, è capitato tante volte.

Screenshot pagina FB Comune Sarroch, 10 marzo 2018

Ma la situazione ambientale e sanitaria di Sarroch è molto più grave di quanto possa testimoniare il coraggioso messaggio del 10 marzo scorso sulla pagina Facebook del Comune di Sarroch: “Buongiorno. Informiamo i cittadini che abbiamo segnalato alla Saras che nell’abitato si avverte un odore di H2s proveniente dall’agglomerato industriale che crea disagio ai cittadini richiedendo interventi immediati per far cessare il disagio. Il sindaco”.

A parte il maltrattamento della lingua italiana e della punteggiatura, nemmeno una pallida ipotesi di emanazione di ordinanza sindacale contingibile e urgente per ragioni di sanità pubblica, come prevede la legge (art. 54, comma 4°, del decreto legislativo n. 267/2000 e s.m.i.).

Sarroch, raffineria gruppo Saras

Sarroch, raffineria gruppo Saras

Nulla del genere, solo una richiesta da rapporti condominiali di buon vicinato.

Per il resto silenzio da parte di amministratori pubblici e residenti sulle cose davvero rilevanti.

I 75 bambini delle scuole elementari e medie di Sarroch (CA) costituenti il campione della ricerca “presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna” (Burcei, in Provincia di Cagliari).

Questo è uno dei passaggi fondamentali della ricerca svolta da otto ricercatori di assoluta fama internazionale (Marco Peluso, Armelle Munnia, Marcello Ceppi, Roger W. Giese, Dolores Catelan, Franca Rusconi, Roger W.L. Godschalk e Annibale Biggeri) e pubblicata nel 2013 sulla prestigiosa rivista internazionale di epidemiologia dell’Università di Oxford Mutagenesis.

Risultati altamente preoccupanti (a tacer oltre) “in linea con quelli ottenuti da altri studi simili come quelli compiuti alla centrale termica di Taichung in Taiwan e a Pancevo, dove si trova il più grande polo petrolchimico della Serbia”, due fra i siti più conosciuti dagli epidemiologi quali luoghi a rischio di neoplasie e altre malattie provocate dall’inquinamento atmosferico.

lettera Sarrochese indignato, L'Unione Sarda 10 marzo 2018Ancora.

Quattordici casi di tumore al sistema emo-linfatico su 5.500 residenti. Le leucemie colpiscono a Sarroch il 30 per cento in più al resto della Sardegna e potrebbero esser collegate al benzene distribuito nell’aria dalle grandi industrie a stretto contatto con case e palazzine” (L’Unione Sarda, 29 novembre 2014).

Eppure su queste cose tacciono tutti, anzi talvolta si offendono in difesa del buon nome del paese.

Al massimo unSarrochese indignato”, rigorosamente anonimo, si chiede sulle colonne de L’Unione Sarda (edizione del 10 marzo 2018) dove siano le associazioni ambientaliste davanti al suo povero naso offeso daltanfo di uova marce”.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus svolge il proprio ruolo di associazione ecologista con documentate denunce nelle sedi opportune e con attività di sensibilizzazione.

Ma tutto questo serve a poco se non cambia l’atteggiamento di chi a Sarroch vive e opera.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Sarroch, impianti Gruppo Saras s.p.a., fumo nero (23 dicembre 2015)

Sarroch, impianti Gruppo Saras s.p.a., fumo nero (23 dicembre 2015)

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

Solidarietà a Sandro Manfredi.

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Carrara, bacino estrattivo Torano

Carrara, bacino estrattivo Torano

La nostra piena solidarietà a Sandro Manfredi, coraggioso esponente dell’Assemblea Permanente di Carrara e del Presidio Apuane del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, vittima di un episodio tanto oscuro quanto inquietante, l’improvviso distacco di una ruota dal suo veicolo in corsa.

Gli interessi economici milionari che ruotano intorno alle attività estrattive del marmo sulle Alpi Apuane non odorano tutti di fresco e di pulito, come ha autorevolmente confermato il Procuratore della Repubblica di Massa Aldo Giubilaro nel corso di audizioni davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati.

E alla magistratura e alla polizia giudiziaria facciamo un forte appello perché siano chiariti contorni e responsabilità di un fatto estremamente preoccupante per il sereno vivere sociale.

Noi non demordiamo e siamo vicini a Sandro e ai suoi Cari.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Alpi Apuane, marmettola in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola in un corso d’acqua

da Il Tirreno, 11 marzo 2018

«Il mio furgone sabotato»: paura per Sandro Manfredi. Il membro di Assemblea Permanente vittima di un incidente sospetto. Il suo mezzo perde una ruota: per il meccanico non sarebbe un guasto casuale. (Cinzia Chiappini)

CARRARA. Tanta tantissima paura e il sospetto, forte, di essere vittima di un’azione di sabotaggio per il suo impegno con Assemblea Permanente. Sandro Manfredi, ex presidiante del gruppo carrarese, sintetizza così la brutta vicenda di cui è stato protagonista e che è sfociata in una denuncia contro ignoti alle forze dell’ordine. I fatti risalgono a lunedì scorso quando, nel pomeriggio, il Manfredi sale sul suo pick up per dirigersi a Massa. A mezz’ora dalla partenza, quando sta percorrendo la Statale Aurelia, avverte uno strano cigolio e, qualche istante dopo, il mezzo perde la ruota sinistra anteriore: «Sono stato fortunato, perché il mio pick up è robusto, perché la gomma ha attraversato la carreggiata senza impattare nessuno e perché i pedoni che camminavano sul marciapiede, impauriti dal rumore della carrozzeria sull’asfalto, si sono girati, hanno visto la ruota arrivare e l’hanno potuta schivare» riferisce Manfredi. Ancora sotto choc per lo scampato pericolo, con l’auto in mezzo all’Aurelia bloccata su tre ruote, il carrarese chiama il suo meccanico di fiducia per rimuovere il mezzo. Inizialmente Manfredi pensa a un guasto. Solo più tardi, a freddo, inizia a dubitare della dinamica: nella testa dell’attivista di Assemblea Permanente si fa strada l’ipotesi, o forse sarebbe meglio dire la paura, che si sia trattato di un atto di sabotaggio e così chiede al suo meccanico un parere, nero su bianco: «Secondo il tecnico i 6 bulloni della ruota erano sì al loro posto ma mancavano i dadi che li dovrebbero stringere. La ruota stava su, i bulloni c’erano ma non erano fissati e stretti con i dadi. Di 6 ne mancavano 5. L’unico fissato si è spezzato. Ed è impensabile che si stacchino 5 dadi contemporaneamente in modo casuale» riferisce Manfredi.
Con il parere del meccanico messo per iscritto, Manfredi si è rivolto ai Carabinieri per sporgere denuncia contro ignoti: «Quando ho preso l’auto lunedì era parcheggiata in via del Plebiscito. Probabilmente chi ha compiuto questo gesto pensa di non aver lasciato tracce ma non è detto che sia proprio così…» dichiara l’ex presidiante che sui possibili autori dell’eventuale sabotaggio afferma: «Non posso dire con certezza chi sia stato ma io mi sono esposto più volte, ad esempio sulla vicenda delle cave del Sagro, segnalando quelle che a mio parere sono irregolarità manifeste ed evidenti. Di qui il timore e il dubbio che ci possa essere un legame tra le mie segnalazioni e quello che è successo». Convinto di essere vittima di un sabotaggio Manfredi conclude: «Quello che mi fa paura è il silenzio di questa città. I più fanno finta che non ci siano infiltrazioni tali da condizionare anche la vita politica. Io interpreto questo sabotaggio come un atto criminale con una connotazione che fa pensare ai metodi mafiosi. Ricordo solo che un anno e mezzo fa come Assemblea Permanente abbiamo chiesto al Prefetto il commissariamento del Comune per mafia. Quindi queste cose non le dico da adesso solo perché mi toccano in prima persona». Manfredi ha sporto denuncia ai Carabinieri manifestando loro i suoi timori per il presunto sabotaggio.

 

Alpi Apuane, Cava Vittoria, scarico detriti (luglio 2016)

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

da La Gazzetta di Massa e Carrara, 9 marzo 2018

Sabotata l’auto di un membro di Assemblea Permanente. (Vinicia Tesconi)

Il Pick-up ha viaggiato per una manciata di chilometri producendo un rumore insolito; poi, all’improvviso, sulla via Aurelia, una delle ruote anteriori si è staccata dalle sospensioni ed è piombata, con la velocità cinetica data dal movimento del mezzo, su un gruppo di persone che stavano camminando lungo la strada che per fortuna hanno sentito il rumore del Pick-up che grattava l’asfalto e hanno fatto in tempo ad evitare la ruota impazzita sganciata dal camioncino.

L’ipotesi di una sfortunata coincidenza è stata scartata subito e la verità è stata confermata dopo un’attenta analisi da esperti carrozzieri: la ruota si è sganciata perché qualcuno aveva tolto cinque bulloni e ne aveva allentato uno, proprio per dar modo al mezzo di cominciare a circolare e quindi per favorire la perdita della ruota con l’autoveicolo in moto.

E’ capitato tre giorni fa ad un membro di Assemblea Permanente e del Grig, Gruppo di intervento giuridico, che ha sposato la battaglia contro gli illeciti alle cave. Il collegamento tra le due cose e l’interpretazione del grave atto di sabotaggio come un avvertimento forte per dissuadere tutto il gruppo dalla ricerca di prove e documentazioni che dicano finalmente la verità su ciò che avviene nelle montagne di marmo è stata l’inevitabile conseguenza a cui è arrivato subito il gruppo di Assemblea Permanente che non ha tardato a pubblicare sia l’accaduto sia la sua inquietante spiegazione sul sito del gruppo e a lanciare l’hashtag #noncifatepaura facendo un chiaro riferimento alla natura mafiosa del gesto letta come conferma della presenza di delinquenza organizzata sul territorio: “Se vedi qualcosa che non va, denuncialo. non girarti dall’altra parte. Sennò non sei come quelle persone marce dentro… sei peggio. I membri di Assemblea Permanente, del GRIG e di altri gruppi hanno anteposto il bene comune alla propria vita, alle proprie amicizie, alla propria sicurezza. Ma affinché tutto questo non vada nel dimenticatoio, è fondamentale che la cittadinanza sia cosciente di quanto accade e cominci veramente a ribellarsi. E per farlo non serve essere dei cuor di leone…perché la legalità è prioritaria: senza alcun segnale in tal senso dalle istituzioni, la mafia a Carrara si sente intoccabile e libera di svitare bulloni alle ruote, o peggio.”

E’ una parte della denuncia fatta sul sito di Assemblea Permanente che lancia anche un aperto invito all’amministrazione a garantire il rispetto della legalità per impedire che la mafia possa sentirsi intoccabile anche nel comprensorio carrarese. E un monito coraggioso aggiunto all’hashtag finale: #Noncifatepaura …Anche perché abbiamo appena cominciato.

 

Alpi Apuane, marmettola cementata in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola cementata in un corso d’acqua

 

(foto per conto GrIG, A.G., archivio GrIG)

Anfibi dei Colli Euganei: la colpa e la vergogna.

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rana di Lataste, minacciate di estinzione, uccisa su strada (31 gennaio 2018) a Valsanzibio, Comune di Galzignano Terme

Rana di Lataste uccisa lungo le strade dei Colli Euganei (2018)

Rizzi indignato: «Residenti maleducati. Se non amano il luogo in cui vivono vadano a stare in città. Sindaci, Provincia ed Ente Parco si diano una mossa e chiudano le strade al traffico». Favaron: «Parco Colli Euganei sta fallendo la sua missione. Intervengano Polizia Provinciale e Carabinieri Forestali».

Mercoledì 7 marzo 2018 Renzo Rizzi, Portavoce del Coordinamento Protezionista Veneto (CPV) ed Ispettore Regionale delle Guardie Zoofile dell’E.N.P.A. è stato in sopralluogo sui Colli Euganei per vedere con i suoi occhi la mattanza degli Anfibi durante la migrazione riproduttiva di questi giorni.

Dopo una prima parte tutto sommato positiva alla presenza di una decina di volontari che si erano radunati in un sito a Torreglia (PD) per traghettare gli animali da una parte all’altra della strada, sventando così la strage di rospi e rane per qualche ora dopo il tramonto, si è poi passati a Galzignano Terme (PD) in Via Diana e Via Barbarigo. Qui si è assistito ad uno spettacolo ripugnante: con la ritirata dell’ultimo volontario, che ha abbandonato il campo poco dopo le nove di sera, sono scemate anche le speranze per rospi comuni (Bufo bufo) e rane di Lataste (Rana latastei) di raggiungere indenni i siti di riproduzione.

Colli Euganei, Rana di Lataste (foto Beatrice Zambolin)

Colli Euganei, Rana di Lataste (foto Beatrice Zambolin)

Tra animali sbudellati sull’asfalto, animali schiacciati, sofferenti e in agonia che ancora muovevano le palpebre e l’inciviltà degli automobilisti (compresi i residenti) che non rallentavano incuranti dei segnali che Rizzi lanciava loro, era visibile la sua delusione e il suo sdegno, e quella dei Vice Capi Nucleo delle Guardie E.N.P.A. di Vicenza in sua compagnia, impegnati a mettere in salvo gli animali.

Sull’asfalto giacevano anche i corpi esanimi delle rarissime rane di Lataste, specie in pericolo di estinzione, anche loro trucidate dagli automobilisti. (http://www.karch.ch/karch/it/home/amphibien/amphibienarten-der-schweiz/italienischer-springfrosch.html)

A fronte di migliaia di rospi in movimento quella sera sui Colli Euganei, in questo sito di riproduzione tra Cinto Euganeo e Valle San Giorgio, originariamente uno dei luoghi con più abbondanza di animali, se ne sono contati solamente due. Desolazione, sconcerto e smarrimento per questa assenza, con i “tunnel sottostradali” tutti diroccati e comunque da sempre inutili per gli animali perché progettati da chi, evidentemente, gli Anfibi non sa nemmeno che cosa siano.

Un sito che negli anni è stato completamente dimenticato dai volontari, già tutti occupati altrove.

Rospo comune (Bufo bufo) investito sulla strada in località Valsanzibio, di fronte Villa Barbarigo

Rospo comune (Bufo bufo) investito sulla strada in località Valsanzibio, di fronte Villa Barbarigo

Qualche anno fa ci fu un incontro casuale con un residente intento ad assistere i rospi in questo luogo e potrebbe trattarsi proprio di Fiorenzo Albertin di Valle San Giorgio, che nel 2006 rilasciò delle dichiarazioni al Mattino di Padova ironizzando sul fatto che «I rospi ancora una volta sono stati più veloci della Provincia» evidenziando come, anche quell’anno, gli enti preposti alla salvaguardia degli Anfibi fossero arrivati a migrazione ormai conclusa e quindi a massacro già avvenuto.

Raccontava Albertin: « Fin da quand’ero bambino e percorrevo a piedi quella strada per andare a scuola, provavo dolore e sdegno nel vedere questi animali schiacciati sull’asfalto dalle gomme delle auto. Un fatto che succede purtroppo ancora oggi nonostante quella dei Colli Euganei sia un’area considerata protetta». (http://ricerca.gelocal.it/mattinopadova/archivio/mattinodipadova/2006/02/28/MP1PO_MP115.html)

In tanti anni non è cambiato nulla e l’Ente Parco Colli Euganei dov’è stato e dov’è tuttora?

Oggi, per questo sito di riproduzione, un tempo così “copioso”, siamo forse all’epilogo di questa storia di estinzione.

Intanto da Via Gloria e Via Circuito Monterosso, tra i Comuni di Teolo (PD) e di Abano Terme (PD), altro importante sito di riproduzione per gli Anfibi, i volontari avvertivano che: « I fossi sono vuoti, non c’è acqua e dentro ci sono calcinacci… ». Dopo il sopralluogo Rizzi ha dichiarato: « L’arretratezza culturale, sociale e nella sensibilità ambientale a cui ho assistito questa sera non è degna di un Paese civile e ancor meno di un Parco naturale. Per cominciare, i frontisti delle strade interessate dalle migrazioni riproduttive degli Anfibi, seppur con rarissime eccezioni, non erano in strada a dare una mano. Anzi, ho visto questo viavai continuo di automobilisti, tra cui molti residenti, del tutto incuranti della situazione, come se non li riguardasse, o se schiacciavano gli animali perché non accettavano di rallentare potendo quantomeno schivare le rane e i rospi sull’asfalto. Se questa gente non ama il luogo in cui vive si trasferisca in città dove può fare meno danni oppure comprenda che vivere in un ambiente straordinario come i Colli Euganei è un privilegio a cui corrispondono delle responsabilità verso gli animali che qui vivono e verso tutta la comunità.

Colli Euganei, volontaria a sostegno della migrazione dei Rospi

Colli Euganei, volontaria a sostegno della migrazione dei Rospi

In secondo luogo mi domando dove sono le Istituzioni e gli Enti locali in questa fase emergenziale.

L’Ente Parco avrà anche posizionato le reti anti-attraversamento Anfibi in alcuni punti, sebbene dopo svariate sollecitazioni, eppure non si preoccupa minimamente che poi ci sia chi, in modo fisico e concreto, permetta a questi animali di poterle attraversare in sicurezza. Si rende conto l’Ente Parco che, in assenza dei volontari che facciano traghettare gli animali, sbarrare la strada agli animali impedirebbe loro di potersi riprodurre?Quali sarebbero le misure che l’Ente Parco ha previsto per far fronte a questo fatto visto che si disinteressa completamente di quello che fanno i volontari e, per esempio, se ci sono o meno?

Eppure il 7 febbraio 2018 in Via Volti c’era un veicolo fuoristrada con la scritta “Parco Regionale dei Colli Euganei” che puntava un faro sui campi a caccia di cinghiali. Per queste cose il personale si trova…

E ancora, perché i sindaci e la Provincia di Padova non hanno già provveduto a chiudere al traffico veicolare dei non frontisti le strade interessate dalla migrazione riproduttiva degli Anfibi?  Un esempio?

chiudiamo al traffico Via Volti a Torreglia 2

Torreglia, ipotesi di chiusura al traffico veicolare di Via Regazzoni Alta

Via Volti è una strada secondaria che collega Torreglia a Montegrotto Terme che nel periodo riproduttivo degli animali potrebbe benissimo essere chiusa alla circolazione dei non residenti tanto più che ci sono almeno altre 2 strade parallele a questa che collegano Torreglia a Montegrotto: Via Boschette-Via S.Pietro Montagnon e Via Montegrotto (SP 74).

Si può tranquillamente chiudere al traffico dei non frontisti anche Via Regazzoni Alta nel tratto interessato dalla migrazione degli Anfibi, che comunque ci sono tante altre strade che collegano Galzignano Terme alla frazione di Turri di Montegrotto Terme.

chiudiamo al traffico Via Volti a Torreglia

Torreglia, ipotesi di chiusura al traffico veicolare di Via Volti

Il Sindaco di Torreglia vuole forse aspettare che gli animali si estinguano prima di prendere questo necessario provvedimento?

Capisco che Provinciali e Forestali possano essere già sovraccarichi di lavoro ma aspettiamo un loro segnale. Ora che tutti siamo a conoscenza di questo problema, se non possono fare niente per aiutare questi animali, al pari di altri animali tutelati e a maggior ragione perché siamo in un parco naturale, noi apprezziamo sempre la massima sincerità e schiettezza e vorremmo sapere pubblicamente perché non possono occuparsene e cosa o chi lo impedisce.

Personalmente mi chiedo, se a morire in massa fossero lepri e fagiani (neanche a dirlo, di interesse cinegetico) o tutte le carpe del fiume venissero a galla (vedi carp fishing), lesineremmo comunque in questo modo? E noi saremmo ancora qui a supplicare un intervento delle Istituzioni?»

Se non verranno intraprese misure urgenti ed efficaci – prosegue Rizzi – nel giro di pochi anni gli Anfibi dei Colli Euganei scompariranno per sempre come è già avvenuto per molti siti di riproduzione. E questo prima ancora che un insuccesso del Parco Colli Euganei è una vergogna che non si può perdonare.

volontaria in una campagna di salvataggio dei Rospi

volontaria in una campagna di salvataggio dei Rospi

Le specie di Anfibi e in particolare i loro girini e uova sono protetti dalla Direttiva 92/43/CEE “Habitat” (per rospo smeraldino, rana verde, raganella italiana, rana dalmatina, rana di Lataste), dalla Convenzione di Berna (tutte le specie) e dalla legge regionale veneta 53/1974 (tutte le specie) pertanto le Istituzione e gli Enti locali cosa stanno facendo di fronte a questo massacro di animali? È compito loro farsi carico di questa emergenza. Si diano da fare da subito, in tutti i modi opportuni, perché questo è il loro compito per cui sono stipendiati dai contribuenti italiani e li stiamo giudicando per quello che non stanno facendo.

E infine, l’Art. 189, comma 9-bis, del “Nuovo codice della strada”, decreto legisl. 30 aprile 1992 n. 285, obbliga l’utente  della  strada,  in  caso  di  incidente  comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi danno a uno o  più  animali d’affezione, da reddito o protetti, a  fermarsi e porre in atto ogni misura idonea  ad  assicurare  un  tempestivo intervento di soccorso agli animali  che  abbiano  subito  il  danno.

Essendo gli Anfibi animali protetti, il conducente che dovesse investire questi animali, è tenuto a fermarsi e a soccorrere l’animale. I sindaci dei comuni interessati dalle migrazioni riproduttive degli Anfibi inaspriscano, con un emendamento al regolamento comunale, le sanzioni per chi investe e non soccorre gli animali feriti e garantiscano i controlli sulle strade da parte della Polizia municipale.»

L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

Michele Favaron, volontario per il salvataggio degli Anfibi sui Colli Euganei, ha dichiarato: «Non salveremo gli Anfibi dei Colli Euganei dall’estinzione locale, ma non vogliamo far parte di quelli che avrebbero potuto fare qualcosa per impedirlo e non l’hanno fatto. Nei giorni scorsi ho interessato la Polizia Provinciale e i Carabinieri Forestali di Padova e gli chiedo di prendere in mano la situazione degli Anfibi dei Colli Euganei per provare a migliorarla, partecipando alle operazioni di tutela e salvataggio (sia sul campo sia nella fase di programmazione e pianificazione) e intercedendo anche con le altre Istituzioni ed Enti locali.

C’è un’emergenza e abbiamo bisogno di loro che per primi sono competenti per questi animali protetti al punto che noi cittadini comuni mortali, in assenza di un’autorizzazione specifica del Ministero dell’Ambiente, non potremmo nemmeno maneggiarli.  Noi siamo come sempre pronti a fare la nostra parte e mettiamo a disposizione la nostra esperienza e disponibilità.

Per questo fine settimana sono attese piogge e temperature fino ad 11°C e quindi ci attendiamo che passerà il grosso della migrazione riproduttiva (ogni sera dalle 18.00 fino a notte fonda). Spero assisteremo ad un grande spiegamento di forze tra Agenti di Polizia e Carabinieri per scongiurare il massacro di rane, rospi (e anche qualche salamandra) sulle strade e anche per consentire gli interventi di salvataggio in sicurezza.

Per inciso, ci sarebbe anche un limite di velocità di 30 km/h da far rispettare e che non viene mai rispettato.»

A buon intenditor poche parole.

Renzo Rizzi, Coordinamento Protezionista Veneto

Michele Favaron, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto

 

Colli Euganei, Rospi in migrazione

Colli Euganei, Rospi in migrazione

(foto Beatrice Zambolin, Stefano Bottazzo, M.F., archivio GrIG)


Assessore Erriu, quando si aprirà ‘sto benedetto confronto pubblico sul futuro del territorio della Sardegna?

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Rocce Rosse

Teulada, Hotel Rocce Rosse (residence + residenze stagionali)

Dopo mesi di polemiche, anche aspre, sulla proposta di legge regionale relativa alla gestione del territorio sardo[1] presentata dall’Amministrazione regionale, finalmente il Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru aveva dichiarato pubblicamente (ottobre 2017) che si sarebbe aperta una fase di “dibattito collettivo”.  Disponibilità ribadita dall’Assessore regionale dell’urbanistica Cristiano Erriu (gennaio 2018).

Siamo a metà marzo 2018 e l’Assessore Erriu ancora parla di critiche a vanvera degli ambientalisti e di disponibilità al confronto in una lunga intervista di Luca Rojch a La Nuova Sardegna (“Urbanistica, ok al dialogo ma la legge va approvata”, 13 marzo 2018).

Tutto questo è molto bello, ma un po’ annoia.

Carloforte, La Caletta, eco-mostro in costruzione

Carloforte, La Caletta, eco-mostro in costruzione

Un fatto è certo, la deliberazione Giunta regionale n. 14/4 del 16 marzo 2017 di approvazione del disegno di legge “Disciplina generale per il governo del territorio” afferma testualmente: “il disegno di legge sarà … pubblicato in una apposita sezione del sito istituzionale e aperto alle osservazioni di tutti gli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica: parti  istituzionali, parti economiche e sociali, università, ordini professionali, organismi in rappresentanza della società civile, associazioni ambientali, soggetti portatori degli interessi e delle volontà dei territori”.

Secondo gli intendimenti espressi dalla Giunta Pigliaru, si sarebbe dovuto svolgere un “processo di partecipazione attiva degli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica”.

In realtà, non c’è stato nulla di tutto questo.

Alghero, Pischina Salida, Hotel Capo Caccia

Alghero, Pischina Salida, Hotel Capo Caccia

Anzi, spesso e volentieri ci sono stati pesanti attacchi da parte di esponenti della Giunta contro chi osava dissentire e denunciare i gravissimi rischi per l’ambiente e, in particolare, le coste.

Finora il “dibattito civile, serio, sereno, tecnico e anche giustamente appassionato” auspicato dal Presidente Pigliaru non s’è visto.

Rimangono, così, tutte le critiche espresse, in particolare (ma non solo) in riferimento agli aumenti volumetrici “a pioggia” anche nella fascia costiera e nella fascia di massima tutela dei metri 300 dalla battigia marina, alla possibilità di reiterare aumenti volumetrici per le strutture ricettive che ne avevano già beneficiato in precedenza (art. 31, commi 6° e 7° del disegno di legge regionale) nonchè all’Allegato A – art. A4 che ammette, in fascia costiera, il “riciclaggio” con aumenti volumetrici di “seconde case” (anche ancora non realizzate!) in esercizi alberghieri e alla possibilità di deroga continua a leggi e pianificazione paesaggistica in presenza di proposte di ritenuta eccezionale importanza sul piano economico-sociale (art. 43 del disegno di legge regionale).

Ce ne sarebbe abbastanza per stravolgere definitivamente qualsiasi normativa di tutela costiera e il piano paesaggistico regionale (P.P.R.), tuttora da estendere all’intero territorio regionale.

Arzachena, Costa Smeralda, lavori suites Hotel Romazzino

Arzachena, Costa Smeralda, lavori suites Hotel Romazzino

Altro che “due articoli su 100”, come afferma l’Assessore Erriu.

La Giunta Pigliaru vuole voltare pagina e iniziare concretamente un reale processo che coinvolga seriamente i cittadini sardi oltre che i soliti portatori di interessi immobiliari?

Bene.  Lo faccia.  Sarebbe ora.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] qui i testi del disegno di legge regionale:

 

San Teodoro, Cala Girgolu, villa sul mare ampliata grazie alla legge regionale n. 4/2009

San Teodoro, Cala Girgolu, villa sul mare ampliata grazie alla legge regionale n. 4/2009

da La Nuova Sardegna, 13 marzo 2018

L’assessore Erriu: «Urbanistica, ok al dialogo ma la legge va approvata»La Regione apre al dibattito: «Siamo pronti a discutere qualsiasi modifica». (Luca Rojch)

SASSARI. La legge urbanistica è un po’ come la notte in cui tutte le vacche sono nere. È percepita come un tutto indistinto. E in questi mesi è diventata la legge che più viene affrontata con approccio ideologico. Così la giunta Pigliaru viene accusata dagli ambientalisti, e anche da una certa parte dello stesso Pd, di essersi votata al cemento a presa rapida sulle coste. E il presidente e l’assessore Cristiano Erriu accusano i detrattori di non avere neanche letto l’unica legge che cerca di mettere regole a una Regione che una legge urbanistica non la ha. Il Piano paesaggistico regionale doveva essere la solida base su cui poggiare le norme solide di un testo organico. E valere fino a quando i Puc non fossero stati approvati. Nulla di questo è accaduto e dal 2006 il Ppr resta l’unica norma in vigore.

Vasi non comunicanti. Un muro separa il mondo degli ambientalisti e la giunta. È il muro di carta e mattoni virtuali della legge urbanistica. Nei mesi è diventata una sorta di simbolo dell’incomunicabilità. Come due mondi paralleli che procedono accanto senza toccarsi. La giunta si è detta disponibile a rivedere la legge. Gli ambientalisti lo pretendono. E chiedono che venga riscritta. La legge è rimasta sotto la cenere per qualche mese. Giusto il tempo delle elezioni, per evitare la tempesta elettorale. Presto il testo comparirà di nuovo in aula. È all’esame della sottocommissione urbanistica, insieme ad altre tre. Presentate da Mdp, dai soriani e da Forza Italia. Ora si dovrà decidere, perché prima o poi le regole urbanistiche la Sardegna le dovrà avere.
L’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu non ha nessun timore di confrontarsi sul testo. Certo di avere fatto il lavoro migliore possibile, ma aperto sui due articoli al centro dello scontro.

Assessore Erriu c’è la volontà di approvare la legge urbanistica?

«Da parte nostra sì. Tutti ne invocano l’urgenza e i motivi sono chiari. Abbiamo una quantità di leggi e leggine sovrapposte e contraddittorie. Molte risalgono a più di 40 anni fa. I testi che erano in vigore negli anni 70 e 80 si basavano su una sensibilità urbanistica del tutto diversa rispetto a quella che c’è oggi. Si pensava che si potesse avere una edificazione senza limiti e che il mercato avrebbe assorbito ogni metro cubo nuovo creato. Oggi questo ragionamento è fuori dalla realtà».

I contestatori sostengono che c’è stata troppa fretta nel fare la legge. 

«Non è vero. La legge ha avuto una gestazione lunghissima. Abbiamo fatto decine di incontri e riunioni nei territori. Abbiamo coinvolto diversi soggetti. Abbiamo chiesto il parere anche di tutti i comuni della Sardegna sulle norme più controverse. In particolare sulle norme di sviluppo in ambito costiero. Tutti hanno ribadito la necessità di avere una legge urbanistica. La legge è stata approvata un anno e mezzo fa in giunta. Prima ancora c’è stata una lunga attività istruttoria in cui abbiamo parlato con tutti. Come si fa a parlare di fretta?».

Ma c’è chi come la Consulta ambiente e territorio chiede un confronto pubblico sulla legge. È mai avvenuto?

«Ci sono state innumerevoli occasioni anche pubbliche di dibattito. Non è necessario il confronto individuale. Detto questo siamo pronti a parlare e ad approfondire tutti gli argomenti in tutti i contesti. Su alcuni aspetti della legge c’è la massima disponibilità mia e del presidente Pigliaru di discutere e modificare le norme».

rustico edilizio

rustico edilizio

Per esempio?

«Si può discutere sui tetti massimi volumetrici sull’edificabilità degli hotel all’interno della fascia protetta. Queste norme possono essere riviste. Possiamo anche discutere delle norme legate ai grandi progetti di sviluppo ecosostenibile. Voglio essere ancora più chiaro. Possiamo parlare degli articoli 31 e 43 che in questi mesi sono stati al centro della discussione. Ma la legge non si limita a questi due passaggi».

In altre parole volete discutere anche sui nodi cruciali? 

«Sulle norme divisive c’era e c’è la disponibilità ad affrontarle. C’è stata in tutto il percorso di elaborazione della legge. Ma noi ci siamo fatti guidare dai fatti, non dalle sensazioni. Abbiamo preso come riferimento i territori che hanno creato turismo nel rispetto dei territori. Faccio l’esempio del Trentino in cui c’è un posto letto ogni 4 abitanti. In Sardegna c’è un posto letto ogni 20 abitanti. Ci sono intere aree della Sardegna che vanno da Chia ad Alghero che sono del tutto sprovviste di strutture ricettive adeguate. Questo è un problema che non ha mai avuto risposte».

In molti sostengono che la legge in realtà stravolga lo spirito e i paletti di salvaguardia del Ppr. 

«Abbiamo fatto norme rispettose del Ppr, che non viene derogato in nessun caso. Non c’è un solo articolo in tutto il testo che non preveda possibilità già previste dal Ppr e non imponga procedure di verifica del Ppr. Anzi le norme del Piano paesaggistico sono rafforzate. È da più di un anno che lo spieghiamo, si finge di ignorarlo. Si ripetono accuse che sono smentite dalle carte. Nella legge ci sono posizioni conservative di tutela che sono per noi intoccabili. Dall’altro lato ci sono posizioni che vanno verso uno sviluppo equilibrato. Lo stesso Codice Urbani rimarca la necessità di un equilibrio tra tutela a paesaggistica e sviluppo armonico della comunità».

Residence La Marmorata

S. Teresa di Gallura, Residence La Marmorata

Insomma qualcosa con questa legge urbanistica si potrà fare? 

«Il Codice Urbani tutela lo sviluppo delle attività delle comunità nel rispetto dell’ambiente. Se si parte da questo e non da posizioni ideologiche si può dialogare. Certo che se la maggioranza politica vuole qualcosa di diverso ci confronteremo. Sappiamo che ci sono sensibilità differenti e vogliamo ragionare insieme».

Secondo alcuni la legge andrebbe riscritta del tutto.

«È evidente che chi lo afferma non la ha mai letta. La legge semplifica le norme selvagge. Introduce i criteri di contrasto al consumo del suolo selvaggio. Salvaguarda ambiti e territori rurali. Si pianifica lo sviluppo urbanistico. C’è un altro aspetto fondamentale. Si riducono i tempi dell’approvazione del Puc e si portano avanti norme che favoriscono lo sviluppo. Si deve essere chiari su cosa si vuole fare. Se si vuole che la Sardegna viva di turismo si deve consentire l’esistenza di strutture adeguate. E questo non significa dare il via libera al cemento. Chi prefigura scenari catastrofici ha un atteggiamento pregiudiziale».

Durante la campagna elettorale si è accusata la Regione di avere fatto una legge troppo concentrata sulle coste. 

«Ci sono poche amministrazioni sensibili come la nostra per le zone interne. Il lotto minimo non è eliminato, ma è stato esteso a tutto il territorio con criteri legati alle caratteristiche del terreno. Si va da 1,5 ettari a 30. Secondo me, ma è una mia opinione, se non si penalizza il turismo costiero si ottiene un trasferimento di ricchezza anche alle zone interne».

Un altro tema riguarda il Ppr. Secondo alcuni la nuova legge lo cancellerebbe. 

«La legge urbanistica non cancella il Ppr. Lo scopo della norma è introdurre disposizioni che consentano una sana e concreta attuazione del Ppr. Attuazione estesa anche agli ambiti interni. La realtà è differente. Una cosa è avere un piano paesaggistico, un’altra è avere una legge urbanistica che completa il Ppr».

Ma è vero che questa legge dà il via libera al cemento sulle coste? 

«Ci si è concentrati su 2 articoli su 100. E da questi non ci si è mai mossi. Ma il discorso è più profondo. Se riteniamo che per avere sviluppo turistico si debbano migliorare la qualità degli hotel abbiamo una via. Se si ritene che non serva allora dobbiamo prendere un’altra strada. Noi siamo per lo sviluppo turistico integrato che coinvolga le zone interne migliorando la qualità dell’offerta. Noi abbiamo introdotto un tema, se la maggioranza ritiene che non sia valido lo può cancellare. L’altro tema è un tema attiene le modalità di pianificazione in ambiti sprovvisti di pianificazione turistiche, dove c’è una natura vergine. Se si salva la fascia dei 300 metri e si rispetta il Ppr ci si deve interrogare se l’offerta turistica in queste aree sia sufficiente o se si debba intervenire. Ma ribadisco, questi sono due articoli su 100».

Questa legge consentirebbe di accelerare l’approvazione dei Puc e il loro adeguamento al Ppr. 

«Oggi l’iter è davvero complesso perché si devono tenere in considerazione norme paesaggistiche, idrogeologiche. Sono tanti gli aspetti che devono essere presi in esame. Valutazioni che entrano in modo tanto disorganizzato e disomogeneo. Noi nella legge prevediamo un’unica conferenza di servizi. È la Regione che si mette di fronte al Comune. Ora servono più di 10 anni per approvare un Puc. Con la legge questi tempi saranno ridotti di molto. L’orizzonte di una legislatura diventa realistico. Noi proponiamo l’integrazione dei pareri che diano risposta univoca. Senza contraddizioni che dicono cose differenti».

Cosa accadrà ora?

«Ora pensiamo all’approvazione in Consiglio. La giunta farà una ulteriore valutazione anche alla luce del dialogo con gli ambientalisti, il Cal. Ci saranno ulteriori audizioni e confronti. Ma spero che ci sia lasciato alle spalle l’approccio ideologico a questa legge».

La Nuova Sardegna, 14 marzo 2018 - Copia

La Nuova Sardegna, 14 marzo 2018

 

Teulada, complesso "Rocce Rosse" (residence + "seconde case")

Teulada, complesso “Rocce Rosse” (residence + “seconde case”)

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

 

Ma che cosa ne vogliamo fare di Portoscuso?

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Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino "fanghi rossi"

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino “fanghi rossi”

anche su Il Manifesto Sardo (“Ma che cosa ne vogliamo fare di Portoscuso?“), n. 257, 16 marzo 2018

 

L’isola resta una regione virtuosa anche con l’alluminio, confermando il trend di ottime performance sulla raccolta differenziata: un risultato che ci lascia molto soddisfatti e ci conforta sul lavoro portato avanti giorno dopo giorno.  L’alluminio è una frazione ad alto valore economico e che si ricicla per la quasi totalità. Si tratta perciò di una raccolta in cui i principi di economica circolare con cui operiamo si possono concretamente realizzare“.

Così l’Assessore della difesa dell’ambiente Donatella Emma Ignazia Spano ha commentato l’ottimo risultato raggiunto dalla Sardegna nel 2017 per la raccolta differenziata degli imballaggi di alluminio da destinarsi al riciclaggio certificato dal Premio Resa conferito dal Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo dell’Alluminio (CIAL).

L’alluminio, infatti, è materiale completamente riciclabile e riutilizzabile all’infinito per la produzione di oggetti anche sempre differenti.                       L’Italia (insieme alla Germania) è oggi il terzo Paese al mondo per la produzione di alluminio riciclato, dopo gli Stati Uniti e il Giappone.

Attualmente ben il 90% dell’alluminio utilizzato in Italia (il 50% nel resto dell’Europa occidentale) è alluminio riciclato e ha le stesse proprietà e qualità dell’alluminio originario: viene impiegato nell’industria automobilistica, nell’edilizia, nei casalinghi e per nuovi imballaggi.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

La raccolta differenziata, il riciclo e recupero dell’alluminio apportano numerosi benefici alla Collettività in termini economici perché il riciclo dell’alluminio è un’attività particolarmente importante per l’economia del nostro Paese, storicamente carente di materie prime, in termini energetici, perchè permette di risparmiare il 95% dell’energia necessaria a produrlo dalla materia prima[1], nonchè sotto il profilo ambientale in quanto abbatte drasticamente le emissioni inquinanti e necessità di molte meno risorse naturali.

Nel 2016 in Italia sono state recuperate ben 48.700 tonnellate di alluminio, il 73,2% delle 66.500 tonnellate immesse nel mercato nello stesso anno: così sono state evitate emissioni inquinanti pari a 369 mila tonnellate di CO2 ed è stata risparmiata energia per oltre 159 mila tonnellate equivalenti petrolio (dati Consorzio Italiano Imballaggi Alluminio – CIAL, 2017).     La totalità dell’alluminio attualmente prodotto in Italia proviene dal riciclo.     I trend confermano l’Italia al primo posto in Europa con oltre 927 mila tonnellate di rottami riciclati (considerando non soltanto gli imballaggi).

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Oggi nel nostro Paese operano dodici fonderie che trattano rottami di alluminio riciclato, con una capacità produttiva globale di circa 808 mila tonnellate di alluminio secondario (2015), un fatturato complessivo di oltre 1,87 miliardi di euro e circa 1.600 lavoratori occupati nel settore.

Ovviamente, il risultato di queste profonde riflessioni e del compiacimento dell’Assessore regionale della difesa dell’ambiente Spano sulla raccolta differenziata dell’alluminio e sul riciclaggio si traducono nel sostegno dell’Amministrazione regionale alla ripresa del ciclo primario dell’alluminio – pesantemente inquinante e costoso – nel polo industriale di Portoscuso.

Il recentissimo (2 marzo 2018) accordo fra Ministero per lo sviluppo economico ed Eurallumina s.p.a. , con il sostegno regionale, significa “un contributo complessivo di 83 milioni di euro, di cui fino a 16 a fondo perduto, a fronte di un investimento complessivo previsto dall’impresa di circa 160 milioni di euro” per continuare a devastare ambiente e salute di Portoscuso e dintorni.

Nemmeno la minima considerazione per la trasformazione del polo dell’alluminio primario in polo dell’alluminio riciclato, proposta avanzata fin dal maggio 2016 proprio dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, che avrebbe permesso la salvaguardia dei posti di lavoro, infinitamente minori consumi energetici e, soprattutto, infinitamente minori impatti ambientali e sanitari.

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Se non è schizofrenia istituzionale, che cos’è?

E che cosa ne pensa la forza politica che ha sbancato il Sulcis-Iglesiente e Portoscuso in particolare (44,68% dei voti) alle ultime elezioni politiche?   Non risulta che il Movimento 5 Stelle abbia mai detto una parola in proposito.

Governare significa fare delle scelte, per chi non l’avesse capito.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] la produzione di un kg. di alluminio di riciclo ha un fabbisogno energetico (0,7 kwh) che equivale solo al 5% di quello di un kg. di metallo prodotto a partire dal minerale (14 kwh).

 

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

dal sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna

Differenziata, alluminio: Sardegna tra le migliori performance premiate da Cial.

Premia soprattutto la Sardegna la speciale classifica stilata da CIAL – Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo dell’Alluminio, sui dati 2017 per individuare le migliori performance quantitative e qualitative di raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio: lattine per bevande, vaschette e scatolette per il cibo, tubetti, bombolette spray, tappi, chiusure ed anche il foglio sottile.

Cagliari, 12 marzo 2018 – Premia soprattutto la Sardegna la speciale classifica stilata da CIAL – Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo dell’Alluminio, sui dati 2017 per individuare le migliori performance quantitative e qualitative di raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio: lattine per bevande, vaschette e scatolette per il cibo, tubetti, bombolette spray, tappi, chiusure ed anche il foglio sottile.

Sulla base di tale classifica, CIAL ha infatti assegnato il cosiddetto “Premio Resa”, un incentivo economico per incoraggiare, su tutto il territorio nazionale, modelli di raccolta differenziata intensivi, in grado di valorizzare le piene potenzialità dei singoli ambiti territoriali.

Tra le varie realtà nazionali premiate, merita un discorso a parte la Sardegna, regione nella quale il 46% dei Comuni (172 su 377) rientra nella gestione di società o ambiti territoriali premiati da CIAL per i buoni risultati raggiunti nel 2017. Fra i Comuni sardi più virtuosi si segnalano Alghero, Cagliari, Nuoro e Oristano.

Inoltre hanno ricevuto il premio di CIAL: la società Ecosansperate, 93 Comuni per 750mila abitanti fra le province di Cagliari e Carbonia-Iglesias; la Ichnos Ambiente di Uta (Cagliari), 37 Comuni e 170mila abitanti serviti; la Gesam di Sassari, e il Consorzio Industriale Provinciale Oristanese che, nonostante il recente avvio della piattaforma di selezione ha subito raggiunto risultati lusinghieri attestandosi costantemente nelle fasce più alte di qualità, e l’Unione Territoriale Intercomunale Alta Gallura.

I commenti. “L’isola resta una regione virtuosa anche con l’alluminio, confermando il trend di ottime performance sulla raccolta differenziata: un risultato che ci lascia molto soddisfatti e ci conforta sul lavoro portato avanti giorno dopo giorno”, commenta l’assessora della Difesa dell’ambiente della Regione Sardegna, Donatella Spano, che prosegue: “L’alluminio è una frazione ad alto valore economico e che si ricicla per la quasi totalità. Si tratta perciò di una raccolta in cui i principi di economica circolare con cui operiamo si possono concretamente realizzare”.

“La raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio continua a crescere su tutto il territorio nazionale – ha dichiarato Gino Schiona, direttore generale di CIAL – sia in termini quantitativi sia qualitativi, ed è per questo motivo che lo scorso ottobre, a seguito di un trend particolarmente soddisfacente per quanto riguarda la qualità del materiale conferito al Consorzio che, attualmente, si attesta ad oltre il 96% di “purezza”, abbiamo deciso di operare una revisione dei valori economici di questo “premio”, incrementandolo del 20% già da quest’anno”.

Grazie al “Premio Resa” ai 64 soggetti premiati verranno corrisposti circa 372mila euro. Un corrispettivo aggiuntivo rispetto a quello già previsto dall’Accordo Quadro Anci-Conai, di cui il 53% nei confronti di Comuni e operatori di raccolta del Nord Italia, il 37% nei confronti di soggetti del Sud Italia e il 10% verso Comuni del Centro.

“La Regione Sardegna crede molto nel supporto del sistema dei consorzi per rafforzare la raccolta differenziata nel territorio regionale”, precisa l’assessora Spano, e conclude: “I premi erogati nel nostro territorio confermano non solo la bravura dei sardi ma anche la bontà delle scelte dell’Assessorato che, nel 2016, ha rinnovato l’accordo di programma con il Conai esistente sin dal 2003”.

Il Premio Resa di CIAL mostra quanto sia diffusa e ben organizzata la raccolta differenziata dell’alluminio in Italia. Ad oggi, sono infatti 6.741 i Comuni italiani nei quali è attiva la raccolta (l’84% del totale) con il coinvolgimento di circa 53,4 milioni di abitanti (l’88% della popolazione italiana). Si tratta di un’indicazione importante che dimostra la validità del sistema di gestione alla base dell’Accordo Quadro Anci-Conai per garantire una crescita ed un consolidamento dei servizi di raccolta e di trattamento dei rifiuti con risultati e performance crescenti e in linea con gli standard europei.

– L’elenco completo dei vincitori del Premio Resa CIAL

 

Portovesme,  bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

(foto Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)

La Città metropolitana di Roma Capitale ha autorizzato i tagli boschivi di Castel Romano, nella riserva naturale “Decima – Malafede”. E le motoseghe si mettono in moto.

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Bosco, radura

Bosco, radura

Il 16 marzo 2018 è iniziato il taglio di un bosco con governo a ceduo esteso 21 ettari in località Castello Romano, nella riserva naturale regionale “Decima – Malafede”, in favore della Società agricola Le Tenute s.r.l. (sede in Via della Cesarina, 22 – Roma), sui terreni della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide), detentrice di estese proprietà immobiliari nell’Agro Romano.

In proposito, la Città metropolitana di Roma Capitale (Dipartimento VI “Pianificazione territoriale generale” – Servizio 3 “Geologico e difesa del suolo, protezione civile in ambito metropolitano”) ha comunicato (nota prot. n. 44873 del 15 marzo 2018) l’avvenuto rilascio (nota prot. n. 488 dell’8 marzo 2018) dell’autorizzazione (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i., legge regionale Lazio n. 39/2002, regolamento Regione Lazio n. 7/2005) per il taglio boschivo.

In precedenza l’Ente “Roma Natura”– al di là del comunicato stampa di smentita del 10 febbraio 2018 del presidente Maurizio Gubbiotti – aveva rilasciato due autorizzazioni con prescrizioni, sotto il profilo strettamente connesso alla gestione dell’area naturale protetta (artt. 13 della legge n. 394/1991 e s.m.i., 28 della legge regionale Lazio n. 29/1997 e s.m.i.), per il taglio boschivo.

bosco in passato governato a ceduo

bosco in passato governato a ceduo

La Soprintendenza speciale Archeologia, Beni Culturali e Paesaggio non si è espressa nei termini di legge ai fini del vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Tuttavia la Città metropolitana di Roma Capitale ha quantomeno ristretto le ipotesi di taglio piuttosto ampie confermate dall’Ente “Roma Natura”(nota prot. n. 950 del 7 marzo 2018), in particolare:

* “dovranno essere preservati dal taglio sia le formazioni rupestri, che gli esemplari arborei vetusti

* “durante le operazioni selvicolturali dovranno essere preservati dal taglio gli esemplari arborei costituenti un ricovero per la fauna selvatica silvestre, con particolare riguardo a quelli ospitanti eventuali nidi di piciformi e/o di rapaci

* “dovranno essere preservati dal taglio, ai sensi della L.R. n. 61/74, gli esemplari di agrifoglio (Ilex aquifolium) e le altre specie protette eventualmente presenti nonché … gli esemplari di sughera (Quercus suber) e i fruttiferi

* “è fatto assoluto divieto di aprire nuove piste permanenti per l’esbosco e di eseguire qualsiasi altro intervento che possa arrecare danno al suolo, al soprassuolo ed all’ambiente naturale”.

La riserva naturale regionale “Decima – Malafede” costituisce“una delle maggiori foreste planiziali del bacino del Mediterraneo”, come riconosciuto e riportato nello stesso sito web istituzionale dell’Ente gestore “Roma Natura”, l’ente della Regione Lazio per la gestione del sistema di aree naturali protette di Roma Capitale.

funghi nel sottobosco

funghi nel sottobosco

Eppure continuano a esservi boschi governati a ceduo e periodicamente tagliati, si pretende anche con l’apertura di nuova viabilità.

E’ il caso proprio delle spallette boschive di Castel Romano, ben 21 ettari di bosco misto (Quercia, Cerro e Leccio, Corbezzolo, Lentisco, Fillirea, Ginestra, Perastro, Prugnolo), con presenza di numerose specie faunistiche, fra cui Falco pecchiaiolo, Poiana, Tasso, Istrice, Nibbio bruno, Daino, Picchio Verde, Picchio rosso maggiore, il rarissimo Ululone dal ventre giallo, Rana dalmatina.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva in proposito, inoltrato (9 febbraio 2018) una specifica richiesta di accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti per scongiurare un taglio boschivo che finira con il depauperare il patrimonio ambientale e paesaggistico di un’area naturale protetta che meriterebbe solo cura e attenzione.

Coinvolti il Ministero per i beni e attività culturali e il turismo, Roma Capitale, la Città metropolitana di Roma Capitale, i Municipi IX, X, XII e XIII di Roma Capitale, la Soprintendenza per archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, l’Ente “Roma Natura”.

Gheppio (Falco tinnunculus)

Gheppio (Falco tinnunculus)

Sarebbe l’ora che i secolari interessi privati, anche di modesta entità, lasciassero definitivamente il passo nell’Agro Romano all’interesse pubblico della salvaguardia del patrimonio naturalistico.

Ma non si può tralasciare il fatto che simili operazioni sono favorite dalla mancata approvazione definitiva di numerosi piani di assetto, i piani di gestione delle riserve naturali, da parte della Regione Lazio: solo alcuni piani sono stati approvati, mentre i restanti, compreso quello della riserva naturale “Decima – Malafede”, non sono stati approvati e le relative misure di salvaguardia sono decadute, consentendo numerosi interventi di grave trasformazione del territorio mediante piani ambientali di miglioramento agricolo (PAMA) comprendenti impianti di compostaggio, centro di vendita ortofrutticola e nuove volumetrie (es. Quarto della Zolforatella).

Anche Roma Capitale potrebbe fare la sua parte per la tutela dell’Agro Romano, con una variante del piano regolatore generale (P.R.G.) che classifichi “zone di salvaguardia – H” tutte le residue aree boschive con divieto di nuovi tagli. Nelle more, potrebbero destinare qualche decina di migliaia di euro (perché, in fondo, si parla di tali cifre) per acquisire i relativi diritti di taglio (art. 34 della legge regionale Lazio n. 29/1997): sono, infatti, del tutto insufficienti gli “appelli” lanciati a qualsiasi titolo dagli amministratori locali.

Questo sarebbe solo l’inizio della fine della povera riserva naturale: all’orizzonte avanzano i progetti della nuova autostrada Roma – Latina e della bretella stradale A 12 – Tor de’ Cenci.

Siamo, però, ancora in tempo per evitare questi ulteriori scempi ambientali annunciati.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

spallette

Roma, Riserva naturale “Decima – Malafede”, spallette boschive

(foto da http://riservadecima-malafede.blogspot.it/,  S.D., archivio GrIG)

 

I calendari venatori in assenza di preventivi censimenti faunistici sono illegittimi.

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Pernice sarda (Alectoris barbara, foto Raniero Massoli Novelli)

anche sulla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente (“I calendari venatori in assenza di preventivi censimenti faunistici sono illegittimi“), 13 marzo 2018

 

Il T.A.R. Sardegna, con sentenza Sez. II, 1 febbraio 2018, n. 65, ha accolto definitivamente il ricorso avverso il decreto Assessore difesa ambiente R.A.S. n. 25/15746 del 21 luglio 2017 relativo al calendario venatorio regionale sardo 2017-2018, nella parte in cui prevede la caccia alla Lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus) e alla Pernice sarda (Alectoris barbara).

In precedenza, con l’ordinanza cautelare n. 308/2017 del 15 settembre 2017, aveva sospeso gli effetti del calendario venatorio relativamente alla caccia alla Lepre sarda e alla Pernice sarda.

Il provvedimento annullato prevedeva per le due giornate di caccia previste (24 settembre e 1 ottobre 2017) un assurdo “carniere” potenziale complessivo di ben 71.974 Lepri sarde e 143.948 Pernici sarde per i 35.987 cacciatori autorizzati alla caccia in Sardegna secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili (piano faunistico-venatorio della Sardegna in corso di approvazione).

La caccia alla Lepre e alla Pernice sarda era stata autorizzata nonostante la consistenza delle rispettive popolazioni non siano puntualmente conosciute, pur definite “tendenti alla diminuzione” dallo stesso Piano faunistico-venatorio isolano.

Inoltre, con nota prot. n. 32236/T-A11 del 30 giugno 2017 l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.) aveva fornito il parere di legge (art. 18, comma 4°, della legge n. 157/1992 e s.m.i.) in merito alla proposta di calendario venatorio regionale sardo 2017-2018 e aveva chiesto esplicitamente la chiusura della caccia alla Lepre sarda e alla Pernice sarda, proprio per la mancanza di dati sulla consistenza delle rispettive popolazioni.  Tali richieste erano state fatte anche dalla Provincia di Nuoro e dalla Provincia di Oristano.

Inoltre, la stessa Regione autonoma della Sardegna ha dichiarato il conclamato stato di grave siccità ed eccezionale avversità atmosferica con la deliberazione Giunta regionale n. 30/37 del 20 giugno 2017 e ci vuol poca immaginazione per comprendere quali danni possa aver arrecato alla fauna selvatica, per giunta acuiti da disastrosi incendi estivi che han portato a esser percorsi dal fuoco in Sardegna nei primi 7 mesi del 2017 circa 9 mila ettari a causa di 2.150 incendi, di origine dolosa o colposa.

Tutti questi argomenti hanno trovato pieno accoglimento da parte dei Giudici amministrativi sardi.

Respinte tutte le eccezioni procedurali, concernenti la pretesa necessità di impugnazione anche delle delibere del Comitato faunistico regionale (“fasi deliberative meramente endoprocedimentali, in particolare di natura tecnica, inidonee, da sole, ad assumere efficacia esterna”), sono state respinte tutte le fantasiose e non dimostrate affermazioni di parte regionale e venatoria riguardo la resistenza di Lepri e Pernici a siccità e incendi (“Addirittura si ritiene, a sostegno della mancata diminuzione dei capi, che quest’anno vi sarebbe stato ‘un aumento’ di pernici e di lepri; e che sarebbero solo i cacciatori ed i loro cani ad essere danneggiati dalla siccità”), palesemente smentite dai pareri tecnico-scientifici dell’I.S.P.R.A.

Molto chiaro il T.A.R. Sardegna: “il nucleo essenziale e fondamentale della controversia è costituito dalla mancanza di adeguati ed appropriati ‘monitoraggi faunistici’, a monte della decisione di includere anche queste due specie sensibili (lepre e pernice sarda) nel Calendario 2017/2018. Studi e rilevazioni che, coinvolgendo scelte inerenti specie particolarmente protette, costituiscono il necessario presupposto squisitamente scientifico per poter ammettere la previsione di cacciabilità.  Gli accertamenti/monitoraggi, necessariamente preventivi, che costituiscono adempimenti comunque necessari in via ordinaria, e che, ancor più, lo sono in riferimento ad un’annata (2017) caratterizzata da gravi fenomeni che hanno influito pesantemente a livello ambientale (come quelli accertati di siccità ed incendi, ritenuti da ISPRA fattori rilevanti in termini di causa/effetto, con riduzione degli esemplari e con difficoltà riproduttive).   Dunque elementi che hanno prodotto evidenti ripercussioni sul territorio, producendo effetti a livello di difficile sopravvivenza della fauna selvatica”.

L’attività istruttoria svolta dalla Regione autonoma della Sardegna è risultata estremamente carente: “La decisione in sede di Calendario 2017/18, benchè restrittiva (2 giornate), è stata assunta nonostante mancassero i (necessari) monitoraggi, con acquisizione dei dati presupposti, che costituivano elementi <imprescindibili> per poter assumere la valutazione di ammissibilità, con, determinazione, qualora ritenuta compatibile, del ‘congruo’ e ridotto prelievo. In assenza di specifici censimenti , per tali specie, l’autorizzazione alla caccia delle due tipologie “sensibili” (lepre e pernice sarda), riconosciute in diminuzione, ancorchè compiuta con modalità limitate, risulta priva della adeguata e necessaria istruttoria richiesta. Con affievolimento della tutela ambientale-faunistica e rafforzamento delle facoltà concesse ai cacciatori. Inoltre la decisione assunta in sede di Calendario venatorio, si pone anche in contrasto con il prevalente e generale <principio di precauzione>, che deve applicarsi in materia tutela ambientale, per disposizioni nazionali ed ancor prima comunitarie”.

La conclusione è chiara: “In definitiva l’ammissione, in sede di Calendario, di due (mezze) giornate di caccia (il 24 settembre e l’ 1 ottobre 2017), si pone quindi in contrasto con la posizione assunta dall’organo tecnico (ISPRA). Dunque, nell’attesa di rilievi adeguati ed aggiornati, andava privilegiata, per queste due tipologie, la tesi della sospensione (con divieto temporaneo di prelievo) della caccia, in applicazione diretta del parere ISPRA e del principio di precauzione, esplicativo della doverosa cautela vigente in materia di difesa ambientale, compresa la sfera venatoria”.

Il principio giurisprudenziale appare definito: in assenza di puntuali dati scientifici relativi ai monitoraggi faunistici, tali da consentire previsioni che non pongano in pericolo lo status delle popolazioni faunistiche, non può essere consentita la caccia anche a specie faunistiche astrattamente cacciabili (come la Lepre sarda e la Pernice sarda).

Dott. Stefano Deliperi

 

Merlo femmina (Turdus merula)

Merlo femmina (Turdus merula)

 

 

00065/2018 REG.PROV.COLL.

00695/2017 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 695 del 2017, proposto da:
GRUPPO DI INTERVENTO GIURIDICO ONLUS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Augusto Melis Costa, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, piazza Giovanni XXIII 35;

contro

REGIONE AUTONOMA SARDEGNA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Murroni, Giovanni Parisi, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Murroni in Cagliari, viale Trento 69;

nei confronti di

LIBERA ASSOCIAZIONE SARDA DELLA CACCIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Onorato, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, piazza Repubblica 10;

e con l’intervento di

“ad opponendum”:
FEDERAZIONE ITALIANA DELLA CACCIA – REGIONE SARDEGNA, UNIONE CACCIATORI DI SARDEGNA (U.C.S.), CACCIA PESCA AMBIENTE (C.P.A.) – SEZIONE SARDEGNA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’avvocato Alberto Onorato, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, piazza Repubblica 10;

per l’annullamento

del decreto dell’Assessore della Difesa dell’Ambiente della Regione autonoma della Sardegna n. 25/15746 del 21.07.2017 avente ad oggetto “calendario venatorio 2017/2018” e di ogni altro

atto precedente e presupposto, conseguente, comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Sardegna e della “Libera Associazione Sarda della Caccia”;

Visti gli Interventi in giudizio, “ad opponendum”, da parte di “Federazione Italiana della Caccia – Regione Sardegna”, “Unione Cacciatori di Sardegna (U.C.S.)” e di “ Caccia Pesca Ambiente (C.P.A.) – Sezione Sardegna”;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2017 la dott.ssa Grazia Flaim e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con decreto dell’Assessore della Difesa dell’Ambiente della Regione autonoma della Sardegna n. 25/15746 del 21.07.2017 è stato approvato il “Calendario venatorio 2017/2018”.

L’associazione ambientalista “Gruppo d’intervento giuridico” ritiene tale provvedimento parzialmente lesivo della tutela alla fauna selvatica, in particolare, in riferimento a due specie meritevoli di peculiare attenzione : “lepre sarda” e “ pernice sarda”.

Con ricorso depositato il 31 agosto 2017, munito di istanze cautelari sia urgente che ordinaria, è stato chiesto l’annullamento, in parte qua, del Calendario adottato nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, conseguente e connesso, in riferimento alle giornate ammesse per la cattura di tali specie.

Sono state formulate le seguenti censure:

1) violazione dell’ articolo 18 della legge 157/1992 e successive modificazioni;

2) violazione dell’articolo 191 TFUE;

3) violazione dell’articolo 3 ter del decreto legislativo 152/2006 e successive modificazioni; difetto di motivazione e istruttoria; violazione del principio di precauzione.

Si è costituita in giudizio sia la Regione Sardegna eccependo l’inammissibilità del ricorso e la sua infondatezza.

Analoga posizione ha assunto anche la “Libera Associazione Sarda Della Caccia”, che è stata chiamata in giudizio dalla ricorrente.

Si sono costituite in giudizio, inoltre, con coordinate ed uniformi difese, ma sotto forma di “intervento ad opponendum” anche altre Associazioni di Cacciatori, specificamente: “Federazione Italiana della Caccia – Regione Sardegna”, “Unione Cacciatori di Sardegna (U.C.S.)”, “Caccia Pesca Ambiente (C.P.A.) – Sezione Sardegna”, eccependo l’inammissibilità del ricorso e sviluppando analoghe argomentazioni a difesa del mantenimento del Calendario, così come approvato dalla Regione.

Con decreto presidenziale n. 278 del 2/9/2017 la domanda urgente cautelare è stata rigettata con la seguente motivazione:

“Ritenuto che non sussistono i presupposti per l’adozione di un decreto presidenziale d’urgenza, in quanto, essendo in contestazione le giornate del calendario venatorio del 24 settembre e del 1 ottobre 2017 per ciò che concerne la caccia alla lepre sarda ed alla pernice sarda, l’istanza cautelare può essere utilmente esaminata dal collegio nella camera di consiglio del 14 settembre prossimo”.

Lasciando quindi del tutto impregiudicato ogni profilo in contestazione.

Con la successiva ordinanza collegiale , del 15 settembre 2017 n. 308, la domanda cautelare è stata accolta, ritenendo il prospettato danno effettivamente “irreversibile” (con l’uccisione dei capi), con irreparabile violazione/riduzione del patrimonio faunistico regionale per specie qualificate particolarmente sensibili.

La motivazione a supporto della disposta sospensiva è stata la seguente:

considerato che allo stato manca un “monitoraggio aggiornato” in relazione alle due specie (lepre sarda e pernice sarda) per le quali l’Associazione ricorrente richiede un peculiare regime di tutela;

rilevato che l’ammissione di due (mezze) giornate di caccia (il 24 settembre e l’ 1 ottobre 2017) determina oggettivamente una riduzione degli esemplari (rispettivamente 2 e 4 per ciascun cacciatore);

considerato che anche l’ISPRA ha richiesto (con documento del 30.6.2017, pag. 4, in due punti) una sospensione della cacciabilità di queste due specie , in assenza di specifici dati sulla loro consistenza;

considerato che il Piano è in formazione;

rilevato che non può escludersi, alla luce di tali considerazioni formulate dall’organo tecnico, che si possa attuare un rischio di rarefazione e/o estinzione;

considerato che l’ammissione alla caccia in carenza di dati aggiornati potrebbe provocare concreti danni al patrimonio faunistico;

rilevata la possibile incidenza, anche, del grave stato di siccità e di incendi riconosciuto in sede di emergenza dalla stessa Regione;

considerato che non si può escludere, allo stato, che vi possa essere un concreto rischio di grave riduzione e/o estinzione di queste due specie;

ritenuto, in conclusione, che, per queste due tipologie, debba essere privilegiata, nell’attesa di rilievi adeguati ed aggiornati, la tesi della sospensione (divieto temporaneo) della caccia, in applicazione del principio di precauzione, esplicativo della doverosa cautela vigente in materia di difesa ambientale;

con sospensione, in parte qua, del Calendario Venatorio 2017/2018, limitatamente alle 2 specie (lepre e pernice sarde);

con fissazione, per la trattazione di merito del ricorso, dell’udienza pubblica al 20 dicembre 2017 .

Con compensazione delle spese della fase cautelare.”

Con ulteriore memoria è stata ribadita la legittimità del provvedimento regionale assunto.

All’udienza del 20 dicembre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

RITO.

Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di rito, di inammissibilità, sollevate dalle controparti.

Il ricorso è ammissibile, in quanto l’impugnazione colpisce un provvedimento, il Calendario venatorio, idoneo ad incidere il “valore” ambientale tutelato anche dall’organo tecnico ( ISPRA), in considerazione della tipologia della propria attività e del supporto scientifico che svolge nell’elaborazione di atti generali e pianificatori (questo ultimo, il Piano, ancora in corso).

I motivi di doglianza sono stati adeguatamente esplicitati in ricorso.

Neppure può essere accolta l’eccezione di genericità e inadeguatezza delle censure proposte, rinvenendosi nell’atto giudiziario iniziale tutti i contenuti che hanno caratterizzato l’azione.

Nè era necessario notificare il ricorso anche al Comitato regionale faunistico (che ha agito in sede deliberativa con le decisioni del 20/6/2017, 1-/20/7/2017), essendo stato il provvedimento finale comunque deliberato dalla Regione, con provvedimento assessorile del 21.07.2017.

Dunque nonostante il Comitato partecipi alla formazione del Calendario venatorio, è comunque l’Assessore che adotta il calendario venatorio, su deliberazione del comitato regionale faunistico (legge regionale 23/1998).

Oltretutto l’assessore ha il potere di introdurre divieti o limitazioni in riferimento a sopravvenute particolari condizioni stagionali e climatiche, o per malattie o altre calamità .

Dunque sussiste per l’ Assessore, non solo il potere di “recepimento” del deliberato del Comitato, ma anche il potere di apportarvi modifiche o integrazioni al calendario, rispetto a quanto emerso in sede di organo tecnico .

Essendo la decisione del Comitato assorbita, in termini sia formali che sostanziali, dal Decreto dell’Assessore è questo il (solo) provvedimento finale, come tale suscettibile di impugnazione e non anche gli atti endoprocedimentali.

Ed in ogni caso, nella fattispecie, l’impugnazione risulta estesa, con formula generale, anche ad ogni atto precedente/presupposto/conseguente/connesso, nell’ambito dei quali vanno ricompresi quelli scaturenti da fasi deliberative meramente endoprocedimentali, in particolare di natura tecnica (inidonee, da sole, ad assumere efficacia esterna).

La chiamata in giudizio, circoscritta all’autorità regionale (e non estesa anche al Comitato) è idonea e sufficiente per costituire il pieno contraddittorio, essendo stato l’atto finale assunto dall’Assessore, unico provvedimento che determina effettivi prescrizioni e divieti.

***

MERITO.

E’ indubbio che le due specie coinvolte (lepre sarda e pernice sarda) rappresentano due tipologie di fauna selvatica ritenute meritevoli di particolare tutela e protezione.

Sussiste, quale presupposto, in sede di emanazione del Calendario venatorio, la necessità di poter garantire e “conservare” la persistenza, in numero adeguato, delle unità. Al fine di permetterne la loro riproduzione.

Gli organismi tecnici, previa approfondita ed adeguata istruttoria, debbono valutare in quale modo (se e quando) sia ammissibile la previsione di giornate di caccia (o anche di mezze giornate).

In considerazione dello specifico e peculiare quadro ambientale regionale.

Risulta dunque inevitabile e necessario , nell’elaborazione del Calendario venatorio sardo, il (previo) coinvolgimento dell’ ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), organismo tecnico deputato alla protezione e tutela del patrimonio ambientale (comprensivo di quello faunistico), che è stato istituito con la legge 133/2008 di conversione del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112 (art. 28), con svolgimento, tra le altre, anche delle funzioni che spettavano precedentemente all’Istituto Nazionale per la fauna selvatica di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157 e successive modificazioni.

Tutta la questione contesa si pone in riferimento alla circostanza che il Calendario venatorio regionale sardo 2017/2018 prevede due giornate di caccia (fino alle ore 14), nei giorni 24 settembre e 1 ottobre 2017 anche nei confronti della “lepre sarda” e della “pernice sarda”.

Con autorizzazione ad un “carniere”, per ogni cacciatore, di, rispettivamente, 2 e 4 esemplari.

Parte ricorrente evidenzia che essendo i cacciatori in Sardegna complessivamente 35.987, risulterebbe , per effetto, autorizzato un “potenziale carniere” di prelievo complessivo di 71.974 esemplari di lepri sarde e 143.948 di pernice sarde.

L’Associazione ambientalista ritiene che tali quantificazioni non sarebbero legittime in quanto le specie coinvolte sono state riconosciute “tendenti alla diminuzione”.

Le Controparti (Amministrazione e Associazioni private di Cacciatori, resistenti ed intervenienti) ritengono, invece, che:

– i dati di riferimento (carnieri massimi) non tengono conto del fatto che solo una limitata parte dei cacciatori si dedica alla caccia di queste 2 specie; e dall’esame dei fogli dei libretti venatori detenuti dagli uffici regionali sarebbe stato possibile rilevare dati molto inferiori, relativi alle annate precedenti; con possibilità di acquisire, quindi, dati certi e attendibili, dimostrativi di un prelievo estremamente contenuto;

– non sarebbe stata tenuta in adeguata considerazione la circostanza che nelle 2 giornate di caccia (24 settembre e 1 ottobre), sono destinate al prelievo anche le altre 22 specie;

– è esigua la quantificazione che è stata prevista, specie se raffrontata ai numeri molto elevati per altre specie;

-non sussistono gli effetti negativi della siccità/incendi sulle specie in questione (pernici e lepri), che, per caratteristiche proprie, risulterebbero non risentire di tali fenomeni;

-in ogni caso il territorio, alla fine della stagione estiva (quando è previsto l’inizio della caccia), si dovrebbe presentare migliorato.

Il Collegio, confermando l’orientamento già specificamente espresso in sede cautelare, ritiene il ricorso meritevole di accoglimento.

Sostanzialmente tutti i profili rilevanti sono stati già esaminati nell’ordinanza di sospensiva, che, in questa sede, viene confermata nei contenuti.

Non sono emersi, infatti, in sede di scritti difensivi successivi alla Camera di consiglio (essenzialmente una memoria da parte della Regione), né in sede di Udienza pubblica, ulteriori elementi che possano privare di valenza le considerazioni già espresse da questo Collegio.

Sussiste interesse alla decisione , nonostante nelle more si sia consolidata la sottrazione alla cacciabilità di questi esemplari , essendo ormai decorse le due giornate (settembre/ottobre 2017) che erano state contemplate nel Calendario venatorio.

L’Associazione aspira all’affermazione di una tutela piena in sede di merito, con scrutinio di tutte le censure.

Preliminarmente non può condividersi la tesi (sostenuta, in particolare, dalla difesa delle Associazioni Cacciatori), in base alla quale l’ esistenza “in fatto”, rapportato agli anni precedenti, di un prelievo molto inferiore rispetto al tetto massimo previsto per queste due specie (dato che emergerebbe dall’analisi dei libretti dei cacciatori), dimostrerebbe l’assenza della idoneità della previsione di ledere in concreto.

Ma l’analisi della lesività delle previsioni contenute nel Calendario venatorio debbono essere considerate e valutate in relazione a quanto è stato formalmente deciso dall’Assessore (e , in istruttoria, dal Comitato) in riferimento ai “ carnieri ammessi” per cacciatore.

Tale dato rappresenta il “possibile” e giuridicamente “ammesso”, legittimo prelievo.

E tale quantificazione non può essere influenzato (ai fini della dimostrazione della presenza o assenza della capacità di ledere) dall’esistenza di dati inerenti le stagioni “trascorse”.

La possibilità di cacciare e prelevare un certo quantitativo di capi, una volta <definito> dall’Autorità preposta, non risulta influenzato (ai fini dell’impugnazione) né da eventuali diverse previsioni antecedenti, né del prelievo “di fatto” avvenuto da parte dei cacciatori (dati rilevabili da altre fonti).

La lesività, infatti, deriva dalle previsioni generali contenute nello strumento (Calendario venatorio), che ammettono e rendono legittimo il prelievo in quei quantitativi massimi definiti.

Neppure merita considerazione la circostanza indicata dalle controparti che nelle due giornate individuate di caccia, è ammessa la caccia anche di altre 22 specie; e, per l’effetto, non potrebbe essere ipotizzabile l’utilizzo di tale carniere (tutto) da parte dei cacciatori, impegnati nell’acquisizione di altre specie. Con possibile prelievo , in concreto, di un numero complessivo di esemplari molto inferiore (rispetto alle cifre ammesse).

Anche questo profilo rappresenta un dato di mero fatto che non consente di smentire la sussistenza, comunque, della possibilità teorica , e giuridica, di utilizzo della facoltà da parte dei cacciatori (il cui numero, peraltro, controparte neppure individua precisamente, menzionandolo come “qualunque esso sia”).

Ai fini della decisione neppure può essere condivisa la circostanza che il “quantum” individuato come ammissibile per la caccia di queste 2 specie, essendo molto inferiore rispetto al “quantum” concesso per le altre specie cacciabili, sarebbe da considerare praticamente irrilevante in termini di “impoverimento” del territorio.

Sul punto è sufficiente evidenziare che la tutela ambientale è in questa fattispecie “mirata” per la salvaguardia di determinate tipologie “sensibili”, che possono essere a rischio di riduzione/estinzione.

La lesività del “bene ambiente” non può che derivare dallo strumento giuridico generale che tale prelievo, in prospettiva, ammette e consente in riferimento ad una determinata stagione venatoria.

Rimanendo irrilevanti i dati pregressi, che possano influenzare le scelte amministrative attuate, ma non ne condizionano la loro applicazione.

Inoltre, in questa controversia non si discute della scelta discrezionale attinente il “quantitativo” del prelievo ammesso, ma la carenza degli elementi necessari istruttori, ritenuti imprescindibili per poter ritenere ammissibile la possibilità di cacciare queste 2 specie e di attuare il relativo prelievo, con individuazione delle giornate e dei carnieri.

Elemento ulteriore rilevante , che non può essere ignorato, è che l’anno 2017 si è caratterizzato per importanti emergenze ambientali, siccità e fuochi, che hanno incidenza, con negativi impatti sul patrimonio faunistico, come risulta dai pareri ISPRA (del 30.6 e 25.8.2017), depositati in giudizio.

Quanto sostenuto dalle controparti che la siccità ed i fuochi non avrebbero, nello specifico, influenza negativa nel mantenimento di queste 2 specie, non trova riscontro.

Addirittura si ritiene, a sostegno della mancata diminuzione dei capi, che quest’anno vi sarebbe stato “un aumento” di pernici e di lepri; e che sarebbero solo i cacciatori ed i loro cani ad essere danneggiati dalla siccità.

Sul punto basta richiamare il parere dell’organo tecnico che, invece, riferisce che anche per tali esemplari sussistono gli effetti negativi da tali pesanti fenomeni naturali.

“Come già evidenziato in passato da questo Istituto, in presenza di eventi climatici particolarmente avversi per la fauna, si ritiene che, seguendo il principio di precauzione, in occasione della prossima apertura della stagione venatoria vadano assunti provvedimenti cautelativi atti a evitare che popolazioni in condizioni di particolare vulnerabilità possano subire danni, in particolare nei territori interessati da incendi e condizioni climatiche estreme nel corso dall’attuale stagione estiva. Nello specifico, richiamando quanto previsto dalla legge n. 157/92, art. 19, comma 1, si consiglia di adottare le misure di seguito evidenziate……”.

….“Caccia nelle aree interessate da incendi :

L’esercizio dell’attività venatoria a carico di talune specie può rappresentare un ulteriore motivo di aggravamento delle condizioni demografiche delle popolazioni interessate, non solo nelle aree percorse dagli incendi, ma anche nei settori limitrofi e interclusi, allorquando l’azione del fuoco abbia interessato percentuali importanti di un’area (es.oltre il 30%) e quando gli incendi si siano succeduti nell’arco degli ultimi anni negli stessi comprensori. Lo scrivente Istituto è dunque del parere che le Amministrazioni competenti dovrebbero attivare specifiche iniziative di monitoraggio soprattutto a carico delle popolazioni di fauna selvatica stanziale o nidificante, potenzialmente oggetto di prelievo venatorio, assumendo di conseguenza eventuali misure di limitazione del prelievo stesso. In particolare dovrebbero essere emanati adeguati provvedimenti affinché il divieto di caccia nelle aree forestali incendiate (come già previsto dalla Legge 353/2000, art. 10, comma 1 per le sole aree boscate) sia esteso almeno per due anni a tutte le aree percorse dal fuoco (cespuglieti, praterie naturali e seminaturali, ecc.), nonché ad una fascia contigua alle aree medesime, le cui dimensioni debbono essere stabilite caso per caso in funzione delle superfici incendiate, della loro distribuzione e delle caratteristiche ambientali delle aree circostanti”;

(così parere del 25.8.2017, che smentisce la correlazione evento/danno).

Dunque il parere , preso atto che “i dati meteoclimatici indicano che il 2017 è stato caratterizzato, già a partire dagli inizi dell’anno, da una situazione meteorologica decisamente critica, caratterizzata da temperature massime assai elevate e prolungati periodi di siccità, che ha determinato in tutta Italia una situazione accentuata di stress in molti ecosistemi” ha rilevato che ciò ha “peggiorato le condizioni fisiche degli individui; e ciò può condizionare negativamente il successo riproduttivo e aumentare la mortalità degli individui giovani e adulti, a causa di una maggior vulnerabilità a malattie e predazione”.

“Per quanto concerne gli ecosistemi acquatici, le temperature elevate e la siccità possono favorire l’insorgenza di estesi fenomeni di anossia, con conseguente alterazione delle reti trofiche esistenti e parziale o totale collasso delle biocenosi. Allo stesso tempo, con il perdurare della crisi idrica molti ambienti palustri nel corso dell’estate tendono a seccare, riducendo il successo riproduttivo delle specie che nidificano più tardivamente e costringendo gli uccelli a concentrarsi nelle poche aree che rimangono allagate”.

Dunque non trova adeguato riscontro l’affermazione compiuta dalle controparti ove si sostiene che non vi sarebbe “la presenza di una diretta relazione negativa, significativamente rilevante, tra stato di siccità ed esercizio dell’attività venatoria, al fine di lamentare <un ipotetico pregiudizio> della fauna che venga assoggettata all’attività della caccia”.

La modifica dei suoli, certamente avvenuta, causata da siccità ed incendi, è un fattore ambientale che doveva essere ampiamente considerato (contenuto nelle prescrizioni tecniche ISPRA, specificamente indirizzate alla realtà sarda) ai fini delle decisioni da assumere a livello regionale , in materia faunistica (direttamente correlata) sia in termini di “an” che “quantum” in ordine all’ abbattimento delle due specie “sensibili”.

Né può essere condivisa la tesi , sostenuta da controparte, ove si sostiene che a fine settembre (corrispondente all’inizio della caccia), gli effetti della siccità, risulterebbero ormai ridotti e/o mitigati, con “riespansione” delle ordinarie facoltà di prelievo.

Tale valutazione, del tutto unilaterale, non trova alcun fondamento scientifico; e, del resto, è rimasta generica l’affermazione in quanto formulata secondo una formula generica:

“è ragionevole pensare che il periodo, fine settembre/fine gennaio, sarà caratterizzato da condizioni atmosferiche diverse da quelle attuali”.

Dunque, come rilevato, il nucleo essenziale e fondamentale della controversia è costituito dalla mancanza di adeguati ed appropriati “monitoraggi faunistici”, a monte della decisione di includere anche queste due specie sensibili (lepre e pernice sarda) nel Calendario 2017/2018.

Studi e rilevazioni che, coinvolgendo scelte inerenti specie particolarmente protette, costituiscono il necessario presupposto squisitamente scientifico per poter ammettere la previsione di cacciabilità.

Gli accertamenti/monitoraggi, necessariamente preventivi, che costituiscono adempimenti comunque necessari in via ordinaria, e che, ancor più, lo sono in riferimento ad un’annata (2017) caratterizzata da gravi fenomeni che hanno influito pesantemente a livello ambientale (come quelli accertati di siccità ed incendi, ritenuti da ISPRA fattori rilevanti in termini di causa/effetto, con riduzione degli esemplari e con difficoltà riproduttive).

Dunque elementi che hanno prodotto evidenti ripercussioni sul territorio, producendo effetti a livello di difficile sopravvivenza della fauna selvatica.

E’ vero che l’articolo 18 della legge 157/1992 prevede, al 1º comma, sub lett. a) , come cacciabili, tra le altre, anche la lepre sarda e la pernice sarda (dalla 3ª domenica di settembre al 31 dicembre).

Ma al 2º comma la medesima norma stabilisce anche che:

“I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. …..L’autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori”.

Nel caso di specie la particolare delicatezza della materia , per la stagione venatoria 2017/18, specificamente contestualizzata per caratteristiche del tutto peculiari, emergeva dalla circostanza che l’organo titolato, per competenza, a compiere le valutazioni tecniche e specialistiche in materia (ISPRA), aveva espresso un parere sostanzialmente caratterizzato, proprio per queste specie, da grande cautela ed , essenzialmente, soprassessorio, fornendo una direttiva/parere negativo nelle more di accertamenti attualizzati alla situazione in essere.

Il tutto finalizzato a fornire particolare tutela a questi esemplari, meritevoli di particolare considerazione ai fini della loro adeguata conservazione..

Ritenendo imprescindibile l’espletamento, prima di poter ammetterne la cacciabilità, di una fase intermedia istruttoria di “studio e approfondimento” per il rilevamento delle condizioni concrete, con analisi, anche, degli effetti che si erano indubbiamente prodotti sul territorio e sulla fauna a causa degli accadimenti estremi emergenziali (e riconosciuti dalla stessa Regione).

In tale contesto consultivo non viene fornito un (mero) orientamento in ordine al “contenimento” del <numero dei capi> (che implicherebbe la già maturata decisione di ISPRA di ammettere la cacciabilità di queste due specie nella stagione 2017/18), bensì viene posta la necessità di “anteporre”, ad ogni decisione finale , la verifica ed il riscontro dei presupposti favorevoli di ammissibilità ambientale per poter includere le specie nell’ambito del Calendario 2017/18.

Tramite adeguate rilevazioni territoriali e specifici monitoraggi in ordine alla sussistenza di idonee condizioni per l’adeguata e sufficiente riproduzione.

Adempimenti ritenuti necessari per poter definire la possibilità, in concreto, del prelievo (quindi in termini sia di “an” che di “quantum”).

Sul punto assume valore assorbente la circostanza che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha fornito (tra i vari pareri) il 30 giugno 2017, nell’ambito della procedura di formazione del Calendario venatorio propriamente sardo 2017/18 (trattandosi di atto indirizzato specificamente alla Regione Sardegna –altri sono generici per tutte le Regioni-), la propria valutazione “ex lege” (in applicazione dell’ articolo 18 della legge 157/1992), chiedendo, esplicitamente:

<la sospensione della caccia alla lepre sarda e alla pernice sarda, in assenza di dati sulla consistenza>.

Affermando espressamente, per la pernice sarda (sub “avifauna acquatica-umida”) che “la sola restrizione a 2 giornate di caccia non rappresenta una condizione sufficiente per garantire la modulazione del prelievo in relazione alle consistenze locali, che dovrebbe essere pertanto subordinato alla stesura di un piano di prelievo commisurato alla dinamica della popolazione sulla base del monitoraggio standardizzato e della stima dell’incremento utile annuo. In assenza degli elementi di gestione appena citati il prelievo venatorio non dovrebbe essere consentito”.

Nel medesimo testo (sub “lagomorfi”) lo stesso ISPRA sostiene che:

così come per la pernice sarda, anche per la lepre sardaè necessaria la pianificazione della caccia basata su criteri di sostenibilità biologica in ciascuna unità territoriale di gestione attraverso il monitoraggio standardizzato della popolazione, la stima dell’incremento utile annuo, la stesura di un piano di prelievo commisurato alla dinamica della popolazione e l’adozione di meccanismi di controllo del prelievo che consentano il rispetto del piano programmato. In assenza degli elementi di gestione appena citati il prelievo venatorio non dovrebbe essere consentito”.

Dunque indirizzi peculiari ed appropriati specificamente rivolti a tali due specie ritenute particolarmente colpite dagli eventi.

Si tenga in considerazione, quale elemento fondante dell’ aggravamento, che la Regione aveva pronunciato, con la deliberazione della giunta regionale del 20 giugno 2017 30/37, lo stato di “grave siccità ed eccezionale avversità atmosferica”.

Elementi ambientali che avevano comportato una “grave sofferenza” per l’intero comparto agricolo e zootecnico, tale da qualificare la situazione in termini di “straordinaria emergenza”; con richiesta al governo nazionale di approvare “misure emergenziali” ritenute necessarie per limitare gli effetti dell’evento sull’intero comparto agricolo.

E a questa situazione generale (di incisivo impatto sulla natura e sull’ambiente) non si sottrae l’area della “fauna selvatica”.

La Regione ha ritenuto, invece, di poter sostanzialmente <superare> il parere negativo ISPRA considerando diversi elementi (4) ritenuti, complessivamente, idonei ad affermare l’insussistenza di concreti “pericoli di riduzione” delle specie coinvolte. Precisando che (a sostegno dell’inclusione fra le specie cacciabili per 2 o 4 capi):

– il contenimento a sole 2 mezze giornate sarebbe sufficiente a favorire un periodo di “riposo biologico”, posto che tra una giornata e l’altra di caccia è stata prevista una pausa di 6 giorni , ritenuta consistente (con divieto di caccia al giovedì); tale disposizione è più restrittiva rispetto a quanto indicato da ISPRA nella Guida, ove si ritiene efficace ma non sufficiente la restrizione a 4 o 5 giornate di caccia;

– le 2 mezze giornate, nelle domeniche del 24 settembre e 1 ottobre, inciderebbero in modo esiguo sulla popolazione di pernice e lepre sarde;

– tale restrizione è stata estesa, in queste 2 mezze giornate, oltre che alle 2 specie in esame, anche per tutte le altre specie;

– i carnieri giornalieri e stagionali deliberati, per le specie contestate, sarebbero molto severi e restrittivi (per la pernice sarda il carniere giornaliero è di soli 2 capi ed il carniere stagionale di soli 4 capi per cacciatore).

Si evidenzia, innanzitutto, che la citata “Guida” ISPRA è datata luglio 2010, quindi non aggiornata alla situazione specifica “attuale”; come tale assume importanza e rilevanza prevalente quanto definito nelle decisioni consultive dello stesso Istituto del 2017, inerenti la stagione venatoria 2017/18 (anziché le linee generali pregresse).

La decisione in sede di Calendario 2017/18, benchè restrittiva (2 giornate), è stata assunta nonostante mancassero i (necessari) monitoraggi, con acquisizione dei dati presupposti, che costituivano elementi <imprescindibili> per poter assumere la valutazione di ammissibilità, con, determinazione, qualora ritenuta compatibile, del “congruo” e ridotto prelievo.

In assenza di specifici censimenti , per tali specie, l’autorizzazione alla caccia delle due tipologie “sensibili” (lepre e pernice sarda) , riconosciute in diminuzione, ancorchè compiuta con modalità limitate, risulta priva della adeguata e necessaria istruttoria richiesta.

Con affievolimento della tutela ambientale-faunistica e rafforzamento delle facoltà concesse ai cacciatori.

Inoltre la decisione assunta in sede di Calendario venatorio, si pone anche in contrasto con il prevalente e generale <principio di precauzione>, che deve applicarsi in materia tutela ambientale, per disposizioni nazionali ed ancor prima comunitarie.

Come previsto, specificamente, dall’articolo 3 ter del decreto legislativo 152/2006 e dall’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea.

Tale “valore/principio” deve costituire e rappresentare il parametro di riferimento nell’assunzione delle decisioni che incidono in materia ambientale.

Dunque, in carenza per queste due specie, di adeguato “monitoraggio aggiornato”, le potestà autorizzatorie regionali (che ritengono comunque cacciabili, nella stagione venatoria 2017/18, tali specie, ancorchè in misura ridotta) subiscono un affievolimento in attesa dello specifico studio, di competenza della regione.

ISPRA, infatti, fornisce le direttive ed i principi di riferimento, ma non è tenuta a compiere, anche, l’analisi sul territorio regionale, al quale è tenuta, in esecuzione, la Regione Sardegna/Comitato faunistico (trattandosi di atto composto) , qualora intendano includere le 2 specie sensibili nel Calendario stagionale attuale.

E l’Amministrazione regionale può discostarsi dal parere ISPRA solo qualora abbia raggiunto adeguati dati scientifici a sostegno delle scelte permissive da intraprendere.

Elementi che, invece, nella fattispecie concreta, mancavano.

L’ISPRA, infatti, aveva specificamente chiesto, con il documento del 30.6.2017 (a pag. 4, in due diversi punti), una sospensione della cacciabilità di queste due specie , per mancanza di specifici dati sulla loro “consistenza”.

Dunque alla luce delle considerazioni formulate dall’organo tecnico, nel 2017, non si poteva escludere che potesse sussistere un concreto rischio di estinzione e/o di incisiva riduzione per queste due specie; circostanza che andava approfondita, in via prioritaria, rispetto alla scelta di includere nel Calendario venatorio Pernice e lepre sarda.

Posto che veniva riconosciuto da ISPRA che le emergenze territoriali (siccità e incendi 2017) avevano determinato l’impoverimento dei suoli (e della fauna che vi vive), nonché delle capacità di riproduzione di tali specie.

Analoghe richieste erano state avanzate anche dalle Province di Nuoro e di Oristano, sempre nell’ambito della procedura di formazione del Calendario venatorio.

In conclusione la sussistenza di “pericoli di riduzione/estinzione” delle (due) specie selvatiche, che costituiscono patrimonio indisponibile dello Stato, tutelato nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, ex articolo 1 della legge 157/1992, imponeva di dover, previamente, acquisire i dati rilevanti, tramite adeguato monitoraggio , al fine di poter consentire l’inclusione anche di tali esemplari nell’ambito delle specie cacciabili, con definizione, solo conseguentemente, della quantificazione ammessa .

Dunque la decisone regionale di includere fra le specie cacciabili anche la lepre e pernici sarde è stata assunta in modo illegittimo, sussistendo un peculiare ed acclarato regime di tutela (aggiornato al 2017), per mancata acquisizione di preliminari ed adeguate verifiche tecniche.

In definitiva l’ammissione, in sede di Calendario, di due (mezze) giornate di caccia (il 24 settembre e l’ 1 ottobre 2017), si pone quindi in contrasto con la posizione assunta dall’organo tecnico (ISPRA).

Dunque, nell’attesa di rilievi adeguati ed aggiornati, andava privilegiata, per queste due tipologie, la tesi della sospensione (con divieto temporaneo di prelievo) della caccia, in applicazione diretta del parere ISPRA e del principio di precauzione, esplicativo della doverosa cautela vigente in materia di difesa ambientale, compresa la sfera venatoria.

La prevista cacciabilità di 2 e 4 esemplari per ciascun cacciatore ha determinato , oggettivamente , una riduzione di queste due specie, che sono state ritenute da ISPRA provvisoriamente non ammissibili (con previsione di necessaria sospensione in riferimento alla specifica stagione venatoria), se non tramite adeguati rilievi sul territorio regionale.

Prescrizione esplicata dal competente Istituto deputato a studiare (competenza propria) il patrimonio faunistico (ex articolo 7 comma 2 della legge 157/1992) sia tramite atti “generali” che “puntuali” (differenziandosi le realtà territoriali, caratterizzate in modo diverso fra Regione e Regione).

Per quanto concerne , infine, l’eccepita problematica di “competenza” (le controparti sostengono che sarebbe ISPRA stesso a dover provvedere al censimento e non la Regione, la quale non dovrebbe subire impedimenti per inerzie dell’Istituto) , si evidenzia che la norma, art. 7 3° comma della L. 157/1992, prevede <in apertura> l’attribuzione “generale” di <ambito di azione>, così definendolo e delimitandolo:

“L’Istituto nazionale per la fauna selvatica ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l’evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l’attività di inanellamento a scopo scientifico sull’intero territorio italiano, di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità, di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali”.

In chiusura stabilisce che detiene la competenza “di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome”.

Dunque una attività esterna (e non sostitutiva) in materia di interventi che incidono sulla fauna regionale, i quali debbono essere redatti dalle regioni) nel rispetto dei vincoli sussistenti e di quelli individuati nelle direttive e nei pareri. Con attribuzione all’Istituto di compiti di controllo e valutazione. Pur permanendo l’azione dell’Istituto ai fini del censimento, di elaborazione di studi e progetti di riqualificazione faunistica.

In conclusione il ricorso va accolto con annullamento del provvedimento impugnato (che già era stato sospeso dal Collegio) di approvazione del calendario venatorio 2017/2018 , in parte qua.

Le spese di giudizio seguono le regole della soccombenza, e vengono quantificate in dispositivo (tenendo anche conto della difesa unitaria svolta dalla Libera Caccia Associazione, chiamata autonomamente in giudizio, con le altre intervenienti, con omogeneità degli scritti giudiziari).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, con annullamento, in parte qua, del provvedimento impugnato.

Condanna le controparti al pagamento di euro 3.000 (in solido) per onorari e spese di giudizio, in favore della ricorrente, così ripartite:

-1.500 a carico della Regione;

-1.500 a carico delle (4) Associazioni cacciatori (la prima chiamata in giudizio, le altre tre intervenute ad opponendum) , che si sono avvalse della medesima difesa (coordinata e differenziazioni di esame/controdeduzioni).

Oltre al rimborso del contributo unificato, nonché accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Caro Lucrezio Monticelli, Presidente

Grazia Flaim, Consigliere, Estensore

Antonio Plaisant, Consigliere

Depositata in Segreteria l’1 febbraio 2017

 

 

Sardegna, foresta mediterranea

Sardegna, foresta mediterranea di S’Acqua Callenti (Castiadas)

(foto Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)

Un po’ di memoria sulle coste sarde.

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Olbia, Villa "La Certosa"

Olbia, Villa “La Certosa”

Un po’ di memoria sul rapporto di Silvio Berlusconi e le coste della Sardegna.

Un articolo di Paolo Biondani per L’Espresso.

Come acquistò Villa Certosa, come tentò di realizzare Costa Turchese (e venne fermato), come ha ampliato le volumetrie della sua proprietà immobiliare.

Così, per non dimenticare, in un’Italia dove la memoria è sempre corta e dove in troppi vorrebbero solo imitarlo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Olbia, Villa "La Certosa"

Olbia, Villa “La Certosa”

 

da L’Espresso, 23 febbraio 2017

Berlusconi e la mafia: la vera storia della villa in Sardegna.

Nel processo che si è chiuso con la condanna definitiva di Marcello Dell’Utri viene ricostruita anche la storia di un maxi-investimento mafioso in Sardegna, che nasconde un impressionante incrocio di storie criminali. Ne parlano decine di pentiti di comprovata attendibilità, a cominciare da Tommaso Buscetta. (Paolo Biondani)

LO SPECIALE  Berlusconi e la mafia

Il boss Pippo Calò, che tra gli anni Settanta e Ottanta vive a Roma sotto falso nome, investe somme enormi in speculazioni edilizie in Sardegna, realizzate attraverso costruttori-prestanome, riciclando così anche i riscatti dei sequestri. All’affare partecipano altri boss di Cosa nostra, che ripuliscono i profitti del narcotraffico, e due tesorieri-usurai della Banda della Magliana, Ernesto Diotallevi e Domenico Balducci. A gestire l’investimento in Sardegna, con il compito di comprare terreni vista mare e renderli edificabili con l’aiuto di politici e massoni, è Flavio Carboni, il faccendiere poi condannato come complice della colossale bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Dello stesso investimento parlano anche i collaboratori di giustizia della Banda della Magliana. Questo permette agli inquirenti di trovare riscontri sia dal versante di Cosa nostra, sia dal lato della criminalità romana: capitali, società, prestanome.

(…) Nel giugno 1993 Carboni crolla e ammette che, almeno per un gruppo di società, «i finanziamenti li ha procurati Balducci ottenendo un prestito da Calò». Mentre la sua storica segretaria testimonia che «il signor Mario», cioè Pippo Calò, «era solito frequentare il nostro ufficio per consegnare grosse somme di denaro a Carboni».

Le indagini accertano che le prime ville costruite in Sardegna funzionano anche come covi. Una si trova a Punta Lada, a Porto Rotondo, e diventa il rifugio di Danilo Abbruciati: un killer della banda della Magliana, morto a Milano in un conflitto a fuoco nel 1982, mentre tenta di assassinare il vicepresidente dell’Ambrosiano e braccio destro di Calvi, Roberto Rosone.

Gli atti di compravendita di quella casa-covo rappresentano un «formidabile riscontro» alle rivelazioni dei pentiti: uno dei tre proprietari della villa trifamiliare è Domenico Balducci in persona, il tesoriere-usuraio della Magliana, che prima di essere ucciso il 16 ottobre 1981 in un agguato cede la sua quota al braccio destro di Calò a Roma, Guido Cercola. Calò e Cercola sono stati poi condannati all’ergastolo, con sentenza definitiva, come organizzatori della strage del rapido 904, il «treno di Natale» fatto esplodere in una galleria il 23 dicembre 1984: il primo atto di «terrorismo mafioso», con 17 morti e 267 feriti.

In questo quadro si inserisce anche Berlusconi. Nello stesso punto della costa sarda, Carboni possiede una villa meravigliosa, la stessa dove ha ospitato, oltre ai boss della Magliana, anche Roberto Calvi, prima di accompagnarlo a Londra, la città dove il banchiere, nel 1982, viene ucciso da ignoti killer che inscenano un finto suicidio. (…)

Pressato dai suoi finanziatori e incalzato dai debiti, Carboni deve vendere la sua villa di Punta Lada. E trova subito due compratori: un certo Lo Prete e il signor Attilio Capra De Carrè, che è già finito agli atti del processo, perché era uno degli ospiti della cena di Arcore nella notte del sequestro D’Angerio. Ma si tratta solo di un brevissimo passaggio intermedio. Perché i due compratori non tengono la proprietà: la rivendono a Silvio Berlusconi, che la ribattezza Villa Certosa.

Nella pericolosa partita con il faccendiere Carboni entra anche un altro affare, molto più ambizioso: il maxiprogetto «Olbia 2». Nel 1980 è proprio Carboni a contattare un grande amico sardo del Cavaliere, Romano Comincioli, per vendere ben mille ettari di terreni non ancora edificabili. Berlusconi partecipa all’affare sborsando 21 miliardi di lire. Sentito come testimone dopo il fallimento del Banco Ambrosiano, Berlusconi conferma di «aver acquistato tramite Carboni i terreni» per «il progetto di creare una città satellite a Olbia». Il Cavaliere riconosce anche di aver utilizzato come schermo l’amico Comincioli, «che ha ricevuto da noi mano a mano i finanziamenti necessari per l’acquisto dei terreni, intestati a due società fiduciarie acquistate dal gruppo Fininvest».

I giudici concludono che «dunque, dalla viva voce di Berlusconi si è avuta la conferma dei suoi rapporti con Flavio Carboni e del ruolo di prestanome di Comincioli». Ma il Cavaliere non ha commesso reati: non c’è nessuna prova, riconoscono i giudici, che Berlusconi sapesse che dietro Carboni c’erano i capitali sporchi della mafia siciliana e della criminalità romana. Mentre Comincioli ammette di aver comprato i terreni «nell’interesse di Berlusconi» e conferma di aver «conosciuto Balducci, ma non Diotallevi e Abbruciati». E giura di «ignorare che Carboni fosse in mano a quegli usurai romani».

Comunque, questa volta, Dell’Utri non c’entra: dal 1979 si è dimesso dal gruppo Berlusconi per diventare manager, con il fratello gemello Alberto, di un chiacchieratissimo immobiliarista siciliano, Filippo Alberto Rapisarda.

Testo tratto dal libro “Il Cavaliere Nero, la vera storia di Silvio Berlusconi”, di Paolo Biondani e Carlo Porcedda, ed. Chiarelettere.

 

ginepro, mare, cielo

ginepro, mare, cielo

(foto da L’Espresso)

 

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Convegno su “Le risorse idriche delle Aree carsiche toscane”, a Marina di Massa, 24 marzo 2018.

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PROGRAMMA CONVEGNO EST - Copia

Promosso dalla Federazione Speleologica Toscana, dalla Società Speleologica Italiana, dal Club Alpino Italiano – Commissione Tutela Ambiente Montano, con la collaborazione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, sabato 24 marzo 2018 si tiene a Marina di Massa il convegno “Le risorse idriche delle Aree carsiche toscane – un bene prezioso da salvaguardare”.

In occasione della Giornata internazionale dell’Acqua, è un’importante occasione per informarsi e confrontarsi sul bene pubblico più prezioso.

Appuntamento alle ore 9.00, al Centro culturale Pier Giorgio Frassati (Via Don Sturzo, 7 – Marina di Massa).

Partecipiamo numerosi!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

PROGRAMMA CONVEGNO INT - Copia

 

acqua

acqua

(foto S.D., archivio GrIG)

 

 

 

 

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Riprende l’assalto speculativo al litorale di Chia!

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Domus de Maria, Chia, cartello di sequestro preventivo

Domus de Maria, Chia, cartello di sequestro preventivo

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (20 marzo 2018) una specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione provvedimenti alle amministrazioni pubbliche alla magistratura e polizia giudiziaria competenti riguardo l’avvenuta presentazione di istanza per la realizzazionedi un complesso turistico-edilizio denominato “Hotel Residence Sporting L’Ippodromo – Hotel Spartivento”, nella località costiera di Chia, in Comune di Domus de Maria (SU), da parte della Casa Chia s.r.l. (Gruppo Monni).

Il progetto di struttura turistico-edilizia rientra, per quanto è dato sapere, nell’originario piano di lottizzazione “Chia Immobiliare s.p.a. –  Sarit s.p.a.” approvata con decreto assessoriale n. 170/U dell’1 marzo 1976, la cui convenzione risulta stipulata nell’agosto 1979, fra  le Ditte lottizzanti del Gruppo Monni, De Magistris, Thermes, l’on. Armando Corona, già Gran Maestro della Massoneria. In quegli anni (1975-1981) l’ing. Pierluigi Monni era anche sindaco di Domus de Maria.

Domus de Maria, Torre di Chia e foce del Rio di Chia

Domus de Maria, Torre di Chia e foce del Rio di Chia

Interessati i Ministeri dell’ambiente e per i beni e attività culturali, la Soprintendenza per Archeologia, belle arti e paesaggio di Cagliari, la Direzione generale regionale della pianificazione e vigilanza edilizia, il Servizio regionale valutazioni ambientali, il Servizio regionale tutela del paesaggio di Cagliari, il Comune di Domus de Maria, il Corpo forestale e di vigilanza ambientale, i Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.

Già in passato, su esposti del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e degli Amici della Terra (giugno 2004 e novembre 2006), il piano di lottizzazione finì all’attenzione della magistratura: la Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza del 6 febbraio 2014, decretò la confisca penale dei 9 ettari della lottizzazione abusiva della collinetta prospiciente il mare di Setti Ballas, dove la Sarit s.r.l. intendeva realizzare ben 53 ville.  Si è in attesa della definitiva pronuncia della Corte di cassazione.

I piani di lottizzazione e le relative convenzioni attuative non sono eterni, per legge e giurisprudenza costante, le opere di urbanizzazione devono essere realizzate entro 10 anni a regola d’arte: in caso contrario, le parti inattuate non possono essere più realizzate.

Domus de Maria, Chia, complesso edilizio a ridosso delle dune

Domus de Maria, Chia, complesso edilizio a ridosso delle dune

In questo caso, a opere di urbanizzazione non collaudate (e, si presume, non realizzate regolarmente), si pretende di poter andare avanti con un piano di lottizzazione stipulato quarant’anni fa e in contrasto con tutte le successive normative di tutela costiera, con il piano paesaggistico regionale (P.P.R.) e con il piano urbanistico comunale (P.U.C.) di Domus de Maria.

Inoltre, il P.U.C. di Domus de Maria, in vigore dal 2009, certifica per il piano di lottizzazione “Chia Immobiliare s.p.a. –  Sarit s.p.a.” il superamento della volumetria massima prevista di ben 49.000 metri cubi di volumetrie (capacità volumetrica di piano 211.000 metri cubi, volumetrie realizzate circa 260.000 metri cubi).     Emergerebbero, quindi, volumetrie non autorizzate.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapidi controlli e verifiche per appurare la reale situazione di fatto e sventare nuovi e vecchi pericoli per la salvaguardia di un ambiente costiero unico e irripetibile.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Domus de Maria, Chia, veduta panoramica

Domus de Maria, Chia, veduta panoramica

(foto S.D., archivio GrIG)


I boschi italiani sono in pericolo.

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Maremma, bosco

Maremma, bosco

I boschi d’Italia sono in pericolo.

Il nuovo Testo Unico Forestale (“Schema di decreto legislativo recante disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali in attuazione dell’articolo 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154”) di fine legislatura non coltiva e protegge i boschi italiani, li mette in grave rischio.

Con la scusa di incentivare la produzione di energia verde questo “Nuovo Testo” mina concretamente il futuro dei boschi italiani.   Sono gravi i timori espressi dalla comunità scientifica e da associazioni ambientaliste, compreso il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Il 16 marzo 2018, pochi giorni prima della Giornata internazionale delle Foreste (21 marzo), il Consiglio dei Ministri, ormai in carica per la mera ordinaria amministrazione, ha approvato il nuovo Testo unico, nonostante le forti contestazioni.

Il recente importante riconoscimento internazionale attribuito alla Regione autonoma della Sardegna (Premio EFI ambiente forestale europeo 2018) non cambia, purtroppo, le prospettive future.  E vicende come i tagli boschivi abusivi condotti nella Foresta demaniale del Marganai fan sorgere più di un fondato dubbio.

Ecco che cosa ne pensa il prof. Franco Pedrotti, botanico ed ecologo di fama internazionale.  E noi del GrIG siamo d’accordo con lui.

Il bosco non è un bancomat di legname, come in tanti vorrebbero.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, falesie

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, falesie

 

IL PATRIMONIO FORESTALE ITALIANO E’ GRAVEMENTE MINACCIATO.

Molte nubi oscurano il futuro delle foreste italiane.

E’ di imminente approvazione da parte del Consiglio dei Ministri il Testo Unico Forestale che dovrebbe regolamentare tutte le attività del settore per i prossimi venti anni. Si tratta di un provvedimento che sta suscitando grande indignazione in larghe fasce del mondo accademico e dell’opinione pubblica sia per il metodo con cui è stato redatto che per il suo contenuto.

Il testo del provvedimento di legge è il risultato del lavoro di un ristretto gruppo di persone con competenze limitate a specifici settori delle scienze forestali e da altri soggetti rappresentativi del mondo agrario, commerciale ed industriale. Totalmente assenti esperti nei settori dell’Ecologia, della Botanica, della Zoologia, della Patologia vegetale, della Geologia, dell’Idrologia, della Medicina.

Foresta demaniale di Bocca Serriola, riconversione a ceduo di bosco ad alto fusto

Foresta demaniale di Bocca Serriola, riconversione a ceduo di bosco ad alto fusto

Anche alcuni confronti pubblici organizzati dai promotori della legge hanno avuto solo funzione di facciata perché tutti le opinioni dissonanti rispetto all’impostazione del testo non sono state tenute in alcun conto.

Ne è derivato un provvedimento che, non considerando il bosco nella sua complessità ecosistemica, finisce col promuoverne e sostenerne solo le potenzialità produttive trascurando ogni riferimento agli aspetti di tutela delle foreste e dei suoli, se non quelli già imposti dalla normativa vigente.

Le conseguenze sono devastanti.

Di seguito quelle che destano maggiore sconcerto:

– Fatta eccezione per la aree protette, che sono già tutelate da altra normativa, nel Testo Unico non viene considerata alcuna ipotesi di zonizzazione del territorio forestale ossia distinzione tra boschi di protezione, boschi di produzione e boschi degradati da restaurare. Le attività di carattere produttivo possono essere applicate dovunque;

– Per “migliorare” le condizioni del patrimonio forestale nazionale viene proposta e sostenuta la cosiddetta “gestione attiva” del bosco che, però, consiste solo in varie modalità di taglio dello stesso;

Rio Vitoschio, taglio impattante su bosco invecchiato (oltre 30 anni) in area di grande pregio naturalistico

Rio Vitoschio, taglio impattante su bosco invecchiato (oltre 30 anni) in area di grande pregio naturalistico

– Tutti i rimboschimenti, anche quelli “storici” eseguiti a fine Ottocento e che quindi fanno ormai parte del patrimonio paesaggistico tradizionale, che il Testo Unico sostiene di voler preservare, vengono esclusi dalla categoria bosco e quindi possono essere eliminati. Lo stesso dicasi per quelli eseguiti con finanziamenti dell’Unione Europea.

– I boschi vengono messi sullo stesso piano dei terreni agrari, come se fossero sistemi artificiali e non dotati di una propria capacità autorganizzativa. Si considerano abbandonati i boschi cedui che non abbiano subito tagli per un periodo superiore alla metà del turno consuetudinario o le fustaie che non abbiano subito diradamenti negli ultimi venti anni. Pertanto, un bosco che, per volere del suo legittimo proprietario, evolve naturalmente verso forme più complesse e stabili, viene considerato abbandonato. Egualmente viene giudicato abbandonato un terreno agricolo non coltivato negli ultimi tre anni. Tale è reputato anche un campo non arato da anni e riconquistato dalla vegetazione spontanea, in particolare forestale: i cosiddetti boschi di neoformazione;

– Se il proprietario dei boschi abbandonati non provvede direttamente al taglio degli stessi, l’autorità pubblica provvede al recupero “produttivo” degli stessi o agendo in proprio o delegando tali interventi a soggetti terzi come, ad esempio, cooperative giovanili;

– Se il proprietario dei terreni agricoli abbandonati non provvede direttamente alla messa a coltura degli stessi, eliminando la vegetazione infestante (anche i boschi di neoformazione), l’autorità pubblica provvede al recupero “produttivo” degli stessi o agendo in proprio o delegando tali interventi a soggetti terzi come, ad esempio, cooperative giovanili;

bosco in passato governato a ceduo

bosco in passato governato a ceduo

– Si introduce il termine “trasformazione” per indicare esplicitamente l’eliminazione del bosco. La trasformazione può essere compensata con altre opere e servizi. Ciò vuol dire che l’eliminazione di un bosco, magari di pregio, può essere compensata con un rimboschimento qualsiasi, anche fisicamente lontano, ma anche con un’opera di servizio quale una strada forestale. Non è tutto: la compensazione può risolversi addirittura nel versamento di un contributo monetario alla Regione. Insomma, un modo surrettizio per autorizzare cambi di uso del suolo non consentiti dalla normativa vigente;

– Il provvedimento pone ripetutamente l’accento sulla necessità della gestione del patrimonio forestale nazionale attraverso la selvicoltura. Di fatto, introduce delle scadenze temporali agli interventi che, paradossalmente, sono contrari alla selvicoltura, anche a quella produttivistica nell’accezione più riduttiva del termine, perché impongono limiti che contrastano con la necessità del selvicoltore di adattare le modalità di intervento a quelle che sono le caratteristiche proprie di ciascun popolamento. Nella sostanza, la sola attività realmente praticabile è la produzione di biomasse per scopi energetici ossia il taglio del bosco per l’alimentazione delle centrali a biomasse. Con i non trascurabili risvolti che ciò comporta anche per la salute dell’uomo;

– Nel Testo Unico manca qualsiasi riferimento alla fauna, alle sue funzioni negli ecosistemi forestali, e alla sua protezione. Questi sono solo alcuni dei tanti aspetti che rendono questo provvedimento di legge incompleto, non rispettoso dei principi della Costituzione italiana, lontano da una sana politica ambientale, pericoloso per la conservazione del Capitale naturale nazionale e studiato non nell’interesse della collettività ma per favorire solo quello di alcuni soggetti.

Per tali motivi il Testo Unico non può essere approvato.

Camerino, 12 marzo 2018

Franco Pedrotti

Professore Emerito, Università di Camerino Socio Ordinario dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali Già Presidente della Società Botanica Italiana

 

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, comprese

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, comprese forestali e tagli previsti nel piano forestale particolareggiato

dal sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna

Foreste, all’Isola il premio EFI ambiente forestale europeo 2018. Pigliaru e Spano: orgogliosi del prestigioso riconoscimento.

“È un riconoscimento prestigioso di cui andiamo orgogliosi e che conferma l’impegno della nostra Regione nel portare avanti politiche ambientali efficaci, attente alle esigenze e la specificità dei territori”. Queste le parole del presidente Francesco Pigliaru in apertura del suo intervento.

NUORO, 19 MARZO 2018 – “È un riconoscimento prestigioso di cui andiamo orgogliosi e che conferma l’impegno della nostra Regione nel portare avanti politiche ambientali efficaci, attente alle esigenze e la specificità dei territori”. Queste le parole del presidente Francesco Pigliaru in apertura del suo intervento, oggi a Nuoro nell’Auditorium dell’ISRE, per la cerimonia di consegna alla Regione Sardegna dell’European Forest Island Award 2018.

IL PREMIO. Il riconoscimento dell’Efi, il più grande network europeo per la ricerca forestale, è stato conferito alla Sardegna per l’impegno nella salvaguardia delle foreste e la selvicoltura mediterranea e per i consistenti investimenti a favore del patrimonio forestale e della bio-economia delle risorse rinnovabili. Il presidente Pigliaru lo ha ricevuto dalle mani del direttore dell’Efi, Marc Palahi – che ha lodato la Sardegna per il lavoro svolto sul patrimonio forestale -, alla presenza dell’assessora della Difesa dell’ambiente Donatella Spano, tra i relatori della mattinata assieme all’amministratore unico dell’agenzia Forestas, Giuseppe Pulina, e al comandante del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Sardegna, Gavino Diana. Ha assistito alla cerimonia anche l’assessore della Sanità Luigi Arru.

AZIONE DELLA GIUNTA. “Lavoriamo con determinazione per mantenere, proteggere e valorizzare il nostro patrimonio forestale sia dal punto di vista normativo che operativo – ha aggiunto il presidente Pigliaru -, puntando nello stesso tempo a renderlo fonte di ricchezza e benessere. E questa visione sostenibile, che coniuga sviluppo e qualità ambientale, ci permette di gestire molto meglio i problemi, a partire dall’emergenza incendi”, ha evidenziato, ricordando gli ottimi risultati dell’ultima campagna, con una superficie bruciata decisamente minore nonostante l’aumento del numero degli incendi. Francesco Pigliaru, che ha ringraziato quanti hanno lavorato su questo fronte, così come quanti si sono impegnati perché alla Sardegna arrivasse l’importante riconoscimento ricevuto oggi, ha fatto infine riferimento alla questione insularità. “Nell’azione politica portata avanti dalla Giunta per il riconoscimento della nostra specificità, il tema della tutela e valorizzazione dell’ambiente costituisce elemento fondamentale. E questo premio sottolinea come il ruolo delle foreste sia essenziale in un territorio insulare caratterizzato da un più delicato equilibrio e da una maggiore fragilità – ha concluso il presidente Pigliaru -, ed è per noi un richiamo costante a non abbassare la soglia dell’attenzione per la salvaguardia di questo patrimonio di importanza strategica”.

LE POLITICHE FORESTALI. “La Sardegna ha compiuto un passo fondamentale di tipo normativo” ha affermato l’assessora Spano. “La prima legge forestale regionale, la 8 del 2016, ha infatti un indirizzo preciso, quello europeo sviluppato dal dibattito sulle strategie per le politiche forestali. Si basa sulla gestione sostenibile, sull’attenzione massima ai cambiamenti climatici, sulla ricerca forestale per capire al meglio le sfide future e un punto centrale è la multifunzionalità dei sistemi forestali”. Quattro le parole chiave caratterizzano la normativa: la tutela (declinata in termini di difesa della biodiversità, protezione dai rischi ambientali e cura territorio), la valorizzazione, la razionalizzazione e la conoscenza. “Valorizzazione significa sviluppo e fruizione delle risorse forestali pubbliche e private, promozione dell’associazionismo e delle filiere produttive. Come Regione non pensiamo solo alla tutela e sviluppo del pubblico ma dobbiamo incentivare anche i privati e possiamo farlo grazie a una struttura, l’agenzia Forestas, che lavora quotidianamente in forte sinergia con il Corpo forestale e di vigilanza ambientale”, ha spiegato la titolare dell’Ambiente, che ha poi evidenziato l’aspetto della semplificazione anche delle pratiche forestali con la creazione di uno sportello unico, e l’importanza dell’innovazione, dell’attrazione di risorse europee e del confronto puntuale con università, ministeri e altre istituzioni. “La legge forestale sarda è in piena sintonia con il recentissimo decreto ministeriale in materia: non dovremo fare molto per aggiornare la nostra normativa perché già ruotava su gestione sostenibile delle foreste e supporto alle iniziative economiche”, ha precisato Donatella Spano citando anche il nuovo Rapporto sul capitale naturale. “C’è necessità di addetti specializzati nel settore forestale e per questo ringrazio tutte le forze di Corpo forestale, Forestas, Protezione civile e volontariato, compagnie barracellari che, insieme alle forze statali, hanno contribuito alla difesa del nostro patrimonio boschivo”.

LA CERIMONIA. Presenti alla cerimonia il sindaco di Nuoro Andrea Soddu, il direttore del Dipartimento di Agraria, Antonio Pazzona, il commissario del Consorzio universitario di Nuoro, Fabrizio Mureddu, Simona Tidu dell’Ordine dei Dottori agronomi e dottori forestali d’Italia e di Nuoro, il presidente del Sisef (Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale), Marco Marchetti, ed Enrico Pompei del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. A moderare gli interventi il precedente Chair del Board dell’Efi, Giuseppe Scarascia Mugnozza. Gli approfondimenti del Dipartimento di Agraria dell’ateneo sassarese sono stati curati da Pier Paolo Roggero e Roberto Scotti. La consegna del riconoscimento precede l’Annual Conference e il Scientific Seminar dell’EFI, in occasione del 25° anniversario dell’organismo e in programma a settembre ad Alghero.

 

L'Unione Sarda, 20 marzo 2018, 1

L'Unione Sarda, 20 marzo 2018, 2

 

DSC_0688.jpg b.jpg legg ACERI FORESTA DEMANIALE BOCCA SERRIOLA - Copia (2)

Marche, Foresta demaniale di Bocca Serriola, Aceri

 

(foto E.R., A.L.C., J.I., S.D., archivio GrIG)

 

 

 

 

No al progetto di centrale eolica sull’altopiano di Gomoretta!

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centrale eolica

centrale eolica

Ancora una volta un progetto industriale di centrale eolica proposto in un’area di valore ambientale ad economia agro-pastorale.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (21 marzo 2018) uno specifico atto di intervento nel procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di centrale eolica Siemens Gamesa Renewable Energy Italy s.p.a. in loc. Altopiano di Gomoretta – Comuni di Orune, Bitti, Buddusò (NU-SS).

Il progetto di centrale eolica comprende n. 13 aereogeneratori da 3,465 MW ciascuno (potenza complessiva 45,045 MW) con fondazioni, strade di accesso e opere di connessione alla rete elettrica nazionale (strade di servizio, cavidotti interrati 30 kV, cabine di smistamento, stazione di trasformazione 30/150 kV, elettrodotto aereo ad alta tensione 150 kV).

Il progetto, ampiamente contestato dalla popolazione locale, sorgerebbe su un’area in buona parte boscata (Leccio, Roverella, Sughera, macchia mediterranea) e tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e vincolo idrogeologico (regio decreto n.3267/1923 e s.m.i.).

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Numerosi gli aspetti contestati:

–  il progetto di centrale eolica interessa soprattutto aree classificate “zone agricole – E” degli strumenti urbanistici comunali di Bitti, Buddusò e Orune: nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse, non certo attività di produzione energetica di tipo industriale come quella in progetto.   E’ pur vero che tali impianti di produzione di energia elettrica “possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici” (art. 12, comma 7°, del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i.), tuttavia, secondo l’art. 13 bis della legge regionale n. 4/2009 e s.m.i., l’art. 3 del D.P.G.R.  3 agosto 1994, n. 228 (direttive per le zone agricole, criteri per l’edificazione nelle zone agricole) e l’indirizzo giurisprudenziale costante, nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse, non attività di produzione energetica di tipo industriale – come quella in progetto – slegata da attività agricole in esercizio nel sito. Sembrerebbe logica la sola presenza di impianti simili connessa ad aziende agricole presenti nell’area;

–    nello studio di impatto ambientale – S.I.A. non vengono considerate con il dovuto approfondimento le necessarie alternative progettuali, tantomeno viene approfondita l’auspicata “ipotesi zero” (non realizzazione del progetto), in violazione di legge;

– nell’area interessata, in gran parte boscata, a breve distanza dal parco naturale regionale di Tepilora (legge regionale Sardegna n. 21/2014), la realizzazione dell’impianto modificherebbe radicalmente la morfologia del territorio;

– questi, poi, sono i “numeri” dell’energia in Sardegna, come emergono dal piano energetico ambientale della Sardegna (P.E.A.R.S.), che riprende i dati Terna s.p.a. (al 31 dicembre 2014):

Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

* 18 impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda MW 466,7; producibilità media annua GWh 706,1);

* 43 impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda MW 2.896,8; potenza efficiente netta MW 2.634,8);

* 118 impianti eolici (potenza efficiente lorda MW 996,7);

* 30.222 impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda MW 715,9);

* energia richiesta in Sardegna: GWh 8.804,9; energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh 4.083,5 (+ 46,4%);

* consumi energia: in Sardegna sono stati utilizzati 8.377,9 GWh al 31 dicembre 2014 (- 2,63% rispetto al 31 dicembre 2013), con un picco massimo di potenza richiesta pari a 1.400 MW nel 2014 (era pari a 2.000 MW nel 2011);

* produzione energia: GWh 13.936,4 (lorda); produzione netta per il consumo: GWh 12.888,4.

* energia esportata verso la Penisola (SaPeI, capacità 1.000 MW) e verso l’Estero (SaCoI, SarCo, Corsica, capacità 300 MW + 100 MW): Gwh 4.083,5; perdita complessiva della rete: MWh 600;

* fonte di produzione: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.  Fonte termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9% biomasse;

* emissioni di CO2 dipendenti da produzione di energia elettrica: 9,3 milioni di tonnellate (2014);

* prezzo medio di acquisto dell’energia nazionale (PUN): nel 2014 è stato di 52,08 €/MWh con un decremento rispetto all’anno precedente del 17,3%, confermando il trend del 2013 e raggiungendo il minimo storico dall’avvio del mercato;

Il dato fondamentale della “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo è che oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato.         Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.     E’ del tutto evidente che, in base alla contenuta capacità di esportazione dell’energia fuori dall’Isola e all’impossibilità concreta di “immagazzinare” l’energia rinnovabile prodotta (i sistemi sono ancora in fase di studio o sperimentale, vds. https://www.eniday.com/it/technology_it/energie-rinnovabili-stoccaggio-eni/), l’energia così prodotta dall’impianto in progetto sarebbe, di fatto, utilizzata solo a vantaggio del Soggetto produttore (insieme a incentivi e benefici vari) e non dalla Collettività nazionale, pur obbligata per legge ad acquistarla;

– l’area in argomento in parte è un pascolo arborato, tipica realtà agro-pastorale della Sardegna. La realizzazione dell’impianto industriale energetico devasterebbe il tessuto economico-sociale locale, imperniato su decine di aziende a conduzione familiare.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, chiesto che il provvedimento finale del procedimento di V.I.A. si concluda negativamente.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

paesaggio agrario

Sardegna, paesaggio agrario

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

 

Sequestrata la discarica gestita dalla società Rimateria a Piombino.

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discarica-rimateria-2

Piombino, discarica Rimateria s.p.a., cartello di sequestro

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus esprime soddisfazione per l’avvenuto (21 marzo 2018) sequestro preventivo (art. 321 cod. proc. pen.) da parte della Magistratura inquirente e dei Carabinieri del N.O.E. di Grosseto della discarica per rifiuti non pericolosi sita in località Ischia di Crociano e gestito da Rimateria s.p.a. (fino al settembre 2016 era gestita dalla A.S.I.U. s.p.a., ora in liquidazione).

L’indagine de Carabinieri del N.O.E. è partita nel febbraio 2017, nell’ambito di una campagna nazionale di controllo delle discariche promossa dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale.

Grazie anche alla collaborazione della Regione Toscana – Settore Bonifiche, Autorizzazione Rifiuti ed Energetiche, i Carabinieri hanno appurato che la discarica era gestita violando le norme tecniche di riferimento e le prescrizioni imposte nell’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A., determinazioni dirigenziali Provincia di Livorno n. 189 del 9 dicembre 2011 e Regione Toscana  n. DGRT 761 dell’1 agosto 2016).

Non aveva, inoltre, avuto alcun effetto positivo la diffida effettuata dalla Regione Toscana il 29 novembre 2017, con cui era stata imposte al gestore della discarica l’attuazione di tutte le prescrizioni A.I.A.: un’ispezione dei Carabinieri del N.O.E. svolta nel febbraio 2018 ne aveva riscontrato la mancata effettuazione.

In questi mesi, i residenti dell’area di Piombino hanno dovuto convivere con un’insostenibile situazione determinata dal tanfo pestilenziale proveniente dalla discarica in quanto dei 34 pozzi di captazione del biogas (nel progetto iniziale ne erano previsti 73) ne sono risultati collegati solo 16, gli altri diffondono nell’aria i relativi miasmi.    La gestione dell’impianto non è, quindi, a norma.

Piombino, cokeria

Piombino, cokeria

La discarica è anche coinvolta nell’indagine tuttora in corso sul traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi da parte della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, che ha certamente causato devastanti effetti ambientali e sanitari in varie località della Toscana.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus sostiene l’azione di Magistratura e Carabinieri volta a ripristinare la legalità ambientale e sottolinea come, ancora una volta, tale azione abbia dovuto sopperire alla carenza di controlli e, soprattutto, di provvedimenti da parte delle amministrazioni pubbliche competenti.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus è al fianco dei cittadini che giustamente pretendono il rispetto delle normative ambientali e la tutela della salute pubblica.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Piombino, impianti industriali

Piombino, impianti industriali

da Il Corriere Etrusco, 21 marzo 2018

PIOMBINO: SEQUESTRATA LA DISCARICA “RIMATERIA” A MONTEGEMOLI.

Piombino: i Carabinieri del NOE sequestrano l’impianto di discarica di Ischia di Crociano.

Mercoledì 21 marzo, a Piombino (LI), i Carabinieri del NOE di Grosseto, in collaborazione con militari del Comando Provinciale Carabinieri di Livorno, hanno proceduto al sequestro preventivo dell’impianto di discarica per rifiuti non pericolosi sito in loc. Ischia di Crociano e gestito da “Rimateria S.p.A.”, società subentrata il 02/09/2016 alla precedente gestione di “A.S.I.U. S.p.A.”.

Il provvedimento è stato eseguito in ottemperanza al decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Livorno su richiesta di quella Procura della Repubblica che ha coordinato l’attività investigativa condotta dai militari del N.O.E..

L’indagine del reparto specializzato dell’Arma ha avuto origine nel febbraio 2017, nell’ambito di una campagna ispettiva e di controllo delle discariche disposta a livello nazionale dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale.

Dando corso ad una serie di verifiche, accertamenti ed indagini di polizia giudiziaria in parte espletati con la collaborazione di funzionari della Regione Toscana – Settore Bonifiche, Autorizzazione Rifiuti ed Energetiche, i Carabinieri del NOE hanno appurato che la discarica era gestita in maniera non adeguata alle norme tecniche di riferimento e che non risultavano rispettate le prescrizioni imposte nell’Autorizzazione Integrata Ambientale di cui alle determinazioni dirigenziali della Provincia di Livorno n. 189 del 09/12/2011 e della Regione Toscana  DGRT 761 del 01/08/2016.

Le indagini hanno permesso di dimostrare che la discarica risultava priva di qualsivoglia copertura, anche provvisoria, circostanza che consentiva alle acque meteoriche di infiltrarsi liberamente nel corpo dei rifiuti, incrementando notevolmente la produzione di percolato; inoltre è emerso come la nella discarica fossero presenti diversi pozzi di estrazione del biogas, nessuno dei quali risultava però collegato ad una rete di collettamento che assicurasse la captazione e il successivo recupero energetico/combustione. La mancata aspirazione dei gas di discarica ne determinava, di fatto, la libera dispersione in atmosfera, causando rilevanti emissioni odorigene che venivano chiaramente percepite anche all’esterno dell’area di discarica e che erano da tempo fonte di non trascurabile disagio soprattutto per i residenti della zona.

Le criticità rilevate erano state anche oggetto di una diffida con la quale il 29/11/2017 la Regione Toscana aveva imposto al gestore dell’impianto di attuare tutte le azioni e gli interventi necessari a ricondurre la gestione della discarica nel rispetto delle prescrizioni imposte dall’A.I.A., ma a seguito di un’ulteriore ispezione eseguita nel febbraio 2018 i militari del NOE hanno verificato che le prescrizioni impartite non erano state ancora ottemperate.

Le indagini si sono concluse con la denuncia in stato di libertà all’Autorità Giudiziaria degli amministratori di “ASIU S.p.A.” e di “Rimateria S.p.A.” che dal 2011 a questa parte si erano avvicendati nella gestione dell’impianto di discarica, ritenuti responsabili del reato di cui agli artt.81 e 110 del Codice Penale e all’art. 29 quattuordecies co. 3 del D.Lgs. 152/06, per violazioni alle prescrizioni imposte dall’Autorizzazione Integrata Ambientale – reato continuato in concorso.

Piombino, stabilimenti industriali

Piombino (LI) –  Sono stati sequestrati in tarda mattinata, dal nucleo ecologico di Grosseto dei Carabinieri, gli impianti della discarica “Rimateria” in base all’articolo 321 del CPP.

La discarica di Montegemoli, ora sotto sequestro, da tempo è sotto i riflettori dei residenti e della magistratura, e pochi giorni fa era stata anche al centro della  protesta della popolazione di Fiorentina (ma anche di Piombino, visto che i miasmi odorigeni si iniziano a sentire anche a chilometri di distanza a seconda dei venti) per questa discarica che oggi non accoglie più i rifiuti urbani, ma quelli speciali provenienti da tutta Italia. Questo a causa del fatto che dei 34 pozzi di captazione del biogas iniziali (a regime dovevano essere 73) nel controllo del 5 marzo scorso solo 16 erano collegati, e quindi la discarica ancora oggi non è a norma, e non lo sarà sicuramente, secondo quanto dice lo stesso gestore, prima di altri 6-8 mesi.

Ma la popolazione era anche fortemente disturbata  per il mancato rispetto della diffida inviata dalla Regione Toscana a Novembre 2017, che viste le inregolarità riscontrate sarebbe già dovuta intervenire, idem per gli interventi della magistratura dopo la scoperta che 1/3 dei rifiuti prodotti nella famosa indagine della DDA di Firenze sono venuti a Piombino, ma che fino ad oggi non aveva in alcun modo interrotto i conferimenti in discarica.

Perfino il sindaco di Suvereto Parodi, unico dei soci presente alla riunione al Multizonale e che di Asiu è azionista, aveva chiesto di fermare i conferimenti dei rifiuti alla discarica, almeno finché l’impianto non sarà messo a norma. Questo sulla base delle risposte che aveva ricevuto da Arpat alle domande sempre da lui rivolte in merito ai miasmi della discarica.

L’agenzia di protezione ambientale della regione Toscana ha evidenziato «che le prescrizioni con cui era stato autorizzato il progetto di ampliamento della discarica di Ischia di Crociano non sono state ancora ottemperate». Nella diffida del novembre 2017 la Regione affermava che la discarica «risulta condotta in maniera non adeguata alle norme tecniche di riferimento e difformemente a quanto autorizzato».

«A a distanza di mesi – disse nel suo intervento il sindaco – la situazione non è sanata, e ne danno conferma i disagi esposti da molti abitanti delle zone limitrofe alla discarica: disturbi delle vie respiratorie, irritazioni oculari, irritazioni cutanee, cefalea».

Ora i Carabinieri a distanza di tre mesi dalla diffida hanno avviato il sequestro preventivo dell’area. Nel pomeriggio riunione urgente dei Soci di Rimateria a Venturina. Voci di corridoio parlano anche di possibili dimissioni da parte del Presidente Caramassi.

 

Toscana, paesaggio agrario

Toscana, paesaggio agrario

da GreenReport, 14 marzo 2018

Continui i controlli dell’Agenzia, l’ultimo rapporto ispettivo il 5 marzo.

Piombino, le maleodoranze della discarica spiegate dall’Arpat e da Rimateria.

L’azienda: «Senza la nostra attività e senza le risorse che noi mettiamo a disposizione, i lavori di risanamento (rete di captazione del biogas e captazione delle acque) non sarebbero neppure cominciati». (Luca Aterini)

 

Toscana, litorale

Toscana, litorale

(foto da Il Corriere Etrusco, da mailing list ambientalista, )

 

 

 

E chi sarà mai lo speculatore edilizio misterioso?

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Gallura, cantiere edile sulla costa

Gallura, cantiere edile sulla costa

Di abusi edilizi, incrementi volumetrici e condoni opachi sono piene le coste della Sardegna.

Spesso la riservatezza è d’obbligo, molto spesso è d’obbligo anche la benevolenza delle amministrazioni pubbliche competenti in materia di gestione del territorio.

Si fa così, insomma.

Per esempio, chi è lo speculatore edilizio che si nasconde dietro la Island Properties S.A.?

La società anonima lussemburghese rende anonimo anche il suo proprietario, quindi non si sa chi sia il vero proprietario di una mega-villa con parco, piscina e servizi vari a pochi passi dalla battigia di Porto Cervo (valore stimato pari a 110 milioni di euro), che è riuscito con grande disinvoltura a sanare insanabili abusi edilizi.

Salterà fuori il nome?

Mah, vedremo…

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cisto (Cistus)

Cisto (Cistus)

 

da Sardinia Post, 18 marzo 2018

Abusi di lusso a Porto Cervo, il regalo del Comune a una misteriosa società. (Pablo Sole)

Data e ora precisa non si conoscono, l’anno sì. Nel 2013 la manager di una fiduciaria del granducato di Lussemburgo – regno di società per cui la privacy vale più del fatturato – contatta uno sconosciuto geometra di La Maddalena. All’apparenza, l’incarico è semplice: la società anonima rappresentata dalla signora ha calcato un po’ la mano col cemento. Non contenta di avere a disposizione una delle magioni più costose al mondo – due ettari di parco con villa padronale di 820 metri quadri sulla baia di Porto Cervo – la proprietà ha fatto realizzare due immobili nuovi di pacca, quindi è passata all’ampliamento della casa del custode e del garage. Dimenticando una piccola cosa: le autorizzazioni. Tutto abusivo. E tutto ancora in piedi: in quell’angolo di paradiso le ruspe non sono mai arrivate perché la società anonima ha beneficiato del condono che il governo Berlusconi ha varato nel 2003. Tutto lineare? Pare di no, a guardare le leggi.

L’angusta bicocca sulla baia di Porto Cervo. Valore: 110 milioni di euro

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

Realizzato nei primi anni ’60 e oggi valutato oltre 110 milioni di euro, Il Forte è uno dei capolavori che sotto l’egida dell’Aga Khan l’architetto Jacques Couelle realizzò a metà degli anni ’60 su un terreno di appena 23mila metri quadri pieds dans l’eau (ovvero: sulla spiaggia) all’imboccatura della Marina di Porto Cervo. Nata come residenza dell’avvocato francese André Ardoin, braccio destro del fondatore del sogno smeraldino e Principe degli Ismaeliti, ai primi degli anni ’90 il ‘castello’ su tre piani firmato Couelle è passato di mano. Chi è l’acquirente? Dalle carte in mano a Sardinia Post risulta che l’immobile è stato venduto da una società anonima riconducibile all’Aga Khan, la Etablissement Renaredda, con sede a Vaduz, in Lichtenstein a un’altra società anonima, la Island Properties SA, con sede in Lussemburgo (QUI il documento). La stessa che, ancora oggi, risulta proprietaria della magnifica tenuta. Per inquadrare il calibro della proprietà, viene in soccorso la descrizione che ne dà Sotheby’s quando nel 2015 prende in carico la vendita del Forte: negli 820 metri quadri della villa padronale trovano posto, su tre piani, sette stanze per gli ospiti con bagno privato, una master suite con vista sulla baia, cinque alloggi per il personale di servizio, cantina, lavanderia e terrazza con vista spettacolare su Porto Cervo. A cingere la villa, un parco di 2,3 ettari caratterizzato da tre terrazzamenti con campo da tennis, 80 metri di spiaggia ‘privata’ completa di pontile per l’attracco di imbarcazioni fino a 18 metri e l’immancabile piscina riscaldata. Al di sotto della quale – fantasia al potere – sono stati realizzati un bar e una sala proiezioni. Oggi non sono più disponibili, ma abbiamo comunque recuperato le foto che nel 2015 Sotheby’s pubblicò a corredo dell’annuncio di vendita.

La manager lussemburghese e il geometra maddalenino

A completare il quadro, ci sono i due immobili abusivi e l’ampliamento, anch’esso al netto delle autorizzazioni, del garage e della casa del custode. Tutto evidentemente realizzato prima del 31 marzo 2003, termine ultimo entro il quale si poteva usufruire del condono Berlusconi. E tutto da sanare. Dalle carte si scopre che la domanda di condono viene protocollata dagli uffici del Comune di Arzachena l’ultimo giorno utile, il 10 dicembre 2004. Per il passaggio successivo si devono attendere nove anni, con l’incarico dato dalla manager lussemburghese al geometra maddalenino per l’ottenimento del placet paesaggistico. Lei si chiama Nathalie Ginette Prieur e per mestiere amministra società anonime in vece dei reali proprietari. Il geometra risponde al nome di Mauro Cossu, classe ’75, con studio professionale nell’isola della Maddalena in località Mongiardino. A cercare oggi il suo nome nell’albo professionale, si fa un buco nell’acqua: nessun risultato. Quando madame Prieur lo contatta dal Lussemburgo, spiega a Cossu che i suoi clienti hanno un problemuccio con i famosi due immobili e gli ampliamenti non autorizzati e vorrebbero avvalersi del condono Berlusconi, ma la pratica non può andare avanti senza l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, cioè dopo la realizzazione delle opere. Si tratta, semplicemente, di un atto necessario e vincolante: senza l’autorizzazione paesaggistica, non si può ottenere il condono. Ci vuole quindi una perizia firmata da un professionista. E Cossu quello fa.

Roma, Corte di cassazione

Roma, Corte di cassazione

La perizia contra legem

Nella perizia giurata e asseverata al Tribunale di Tempio, il geometra Cossu certifica che la realizzazione degli immobili e l’ampliamento del garage e della casa del custode, nell’ordine: non sono in contrasto con il Piano Paesaggistico regionale e con le norme di tutela; non hanno arrecato alcun danno al paesaggio e all’ambiente circostante; hanno determinato, per i proprietari dell’immobile, un profitto complessivo di appena 20.808 euro (QUI il documento). Nello specifico, 9.822 euro per ciascun immobile (QUI il documento) e 1.164 euro per gli ampliamenti (QUI il documento). Il che lascia un poco perplessi, se si pensa che Il Forte è valutato, come detto, 110 milioni di euro. Ma non è tutto, perché a sorprendere ancor di più è un altro particolare: Cossu dichiara – difficile fare altrimenti – che gli abusi riguardano la realizzazione di nuove superfici e nuovi volumi. In ambito vincolato. E già questa constatazione è sufficiente, dice la legge, a rendere improcedibile l’istruttoria. A render nulla, cioè, la richiesta di sanatoria presentata dalla società. Il geometra invece procede senza colpo ferire, calcola il profitto conseguito dai suoi committenti e presenta tutto al Comune. Che in teoria dovrebbe cestinare tutto. E invece…

I bonari dirigenti del Comune di Arzachena

Dicono le norme, e ha ribadito fin dal 2007 la Corte Costituzionale, che in area vincolata il condono Berlusconi ammette sanatorie esclusivamente per ‘vizi formali’. Un esempio pratico: anziché usare il basalto per il rivestimento di un immobile, il proprietario utilizza il granito. Il che è ben diverso dalla realizzazione di nuove superfici o nuove cubature, come nel caso in esame. In Sardegna poi, è dal 2006 che l’ufficio legale della Regione ha chiarito la questione: superfici e cubature non si possono sanare (QUI il documento). Eppure ancora nel 2014, l’ufficio Tutela del paesaggio del Comune di Arzachena, delle norme e dei vari pronunciamenti della Consulta pare non si avveda. E manco si accorge, a leggere i documenti ufficiali forniti dallo stesso Comune, che l’intervento è stato realizzato entro i 150 metri dal mare (QUI il documento). Come se ciò non bastasse, gli uffici comunali non potevano nemmeno pronunciarsi: avrebbero dovuto trasmettere gli atti all’ufficio regionale Tutela del paesaggio e alla Sovrintendenza ai Beni paesaggistici di Sassari. E invece il Comune inspiegabilmente decide di muoversi in solitaria, giudica la pratica ‘procedibile’ pur riconoscendo l’ambito vincolato – che ad Arzachena coincide con l’intero territorio comunale – quindi dà il via libera e anziché imporre la demolizione degli abusi, irroga una pena esemplare: i famosi 20.800 euro di sanzione, vale a dire il profitto conseguito dai proprietari secondo i calcoli – come permette la legge, sia chiaro – fatti dal ‘loro’ geometra a partire dalla rendita catastale. Prendendo in considerazione il reale valore di mercato però, il profitto è un poco più sostanzioso: quasi 7mila euro a metro quadro, secondo ilborsinoimmobiliare.it

rustico edilizio

rustico edilizio

Il dominus dell’Urbanistica. Fino a qualche settimana fa

Nel febbraio 2014, il dirigente del settore Edilizia privata, Urbanistica e Tutela del paesaggio del Comune di Arzachena è l’architetto Libero Meloni, oggi al servizio Demanio. È lui a recepire in toto la perizia del geometra Cossu e a firmare la determinazione che accorda alla Island Properties le autorizzazioni paesaggistiche utili, poi, a beneficiare del condono Berlusconi. Tutto risolto con pochi euro, a fronte di opere che, secondo le stime odierne, fruttano alla società anonima lussemburghese milioni di euro, visti i prezzi medi a metro quadro. La classica manna dal cielo, piovuta sul capo degli amministratori – quelli reali – dell’anonima Island Properties. Che nei prossimi giorni, come scriveremo, tanto anonima non sarà.

 

Giglio di mare (Pancratium maritimum)

Giglio di mare (Pancratium maritimum)

(foto J.I., S.D., archivio GrIG)

 

 

Perché sono stati tagliati gli alberi lungo il corso del Fiume Esino?

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Matelica, Fiume Esino, taglio alberi, feb. 2018 - Copia

Matelica, sponde del Fiume Esino dopo il taglio della vegetazione riparia (marzo 2018)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (22 marzo 2018) una specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione di opportuni provvedimenti riguardo l’avvenuto recente taglio della vegetazione riparia – comprendente anche alberi ad alto fusto – lungo il corso del Fiume Esino (Via Circonvallazione, 31), presso la Halley Informatica s.r.l., nel territorio comunale di Matelica (MC).

Le fasce spondali del Fiume Esino sono tutelate con il vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e la vegetazione svolge un’importante funzione di difesa idrogeologica.

Sono stati coinvolti il Ministero per i beni e attività culturali e il turismo, il Genio civile della Regione Marche, l’Unione Montana del Potenza, Esino, Musone, la Soprintendenza per Archeiogia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, il Comune di Matelica.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapide verifiche sulla legittimità dei tagli arborei effettuati e, soprattutto, l’inibizione di ogni ulteriore attività che potrebbe portare a ulteriori rischi ambientali per le sponde del Fiume Esino e la sicurezza pubblica.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Oxalis pes-caprae

Oxalis pes-caprae

(foto per conto GrIG)

 

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