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Una Presidente calibro 12 che fa il bello e il cattivo tempo in una riserva naturale.

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Emma Soncini, presidente dell’Ente di gestione della Riserva naturale regionale orientata “Torbiere del Sebino” (da http://www.emmasoncini,it)

La realtà supera sempre la fantasia.

E’ il caso dell’Area naturale protetta “Torbiere del Sebino”, sul Lago di Iseo.  

La Riserva naturale orientata regionale “Torbiere del Sebino” (deliberazione Consiglio regionale n. 1846 del 19 dicembre 1984, legge regionale Lombardia n. 86/1983) è tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e rientra nella tutela della convenzione internazionale di Ramsar (2 febbraio 1971), esecutiva con D.P.R. n. 448/1976 (zona umida d’importanza internazionale individuata nel 1984) ed è classificata con denominazione “Torbiere del Sebino” (codice IT2070020) sito di importanza comunitaria (S.I.C.) e zona di protezione speciale (Z.P.S.) ai sensi delle direttive n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli Habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora e n. 2009/147/CE sulla salvaguardia dell’avifauna selvatica.

Lago d’Iseo, capanno di caccia

Immediatamente al confine, da anni, è stata autorizzata dalla Provincia di Brescia e realizzata una vera e propria “linea Maginot” di capanni e bunker di caccia , anche galleggianti.

Una durissima campagna legale della Lega per l’Abolizione della Caccia e del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha portato alla revoca delle autorizzazioni di buona parte dei capanni e bunker di caccia.

Non ci vuole molta fantasia per immaginare che questo sia il reale motivo per cui la Presidente del Consiglio di gestione della Riserva Emma Soncini, esponente del mondo venatorio bresciano, abbia voluto non rinnovare per l’anno 2017 la convenzione per la vigilanza volontaria per quattro soldi all’anno con varie associazioni ambientaliste, così come la collaborazione scientifica con il Gruppo Ricerche Avifauna, reo di aver affermato e documentato scientificamente il pesante impatto della caccia sull’avifauna presente nella zona umida.

Lago d’Iseo, capanno di caccia galleggiante

Una ripicca tanto penosa quanto rivelatrice della statura di chi l’ha fatta.

Nulla cambia per chi da anni sta lottando per la legalità e la salvaguardia ambientale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

 

 

Lago d’Iseo, posizione dei capanni (2014) in riferimento ai confini della Riserva naturale

Riserva naturale Torbiere del Sebino (BS): estromesse dalla presidente dell’ente le associazioni ambientaliste e gli ornitologi che si battono per il rispetto della legge

Ufficialmente non sono neppure (giustamente) rappresentati nell’ente gestore, ma il provvedimento appena preso dalla presidente dimostra inequivocabilmente, ancora una volta, che i cacciatori hanno ampia voce in capitolo nella gestione della Riserva naturale delle Torbiere del Sebino. Uscita parzialmente sconfitta dalla battaglia che la Lega per l’abolizione della caccia e Gruppo d’Intervento Giuridico hanno portato avanti per anni per la rimozione della cintura di appostamenti di caccia acquatici e terrestri che ancora oggi circonda in parte l’area protetta, la lobby venatoria ha avuto la sua vendetta con il recentissimo azzeramento della convenzione che l’ente gestore aveva in essere con la stessa Lac (e con altre associazioni ambientaliste) per la vigilanza volontaria all’interno delle Torbiere: quasi 700 ore di servizio svolte nel 2016 di controllo e servizio accoglienza visitatori svolto dai volontari a costo quasi “zero”. Un identico stop ha riguardato anche la collaborazione scientifica con il Gra, quel Gruppo ricerca avifauna che mesi fa aveva finalmente avuto il coraggio di affermare ciò che tutti sapevano: i capanni di caccia galleggianti hanno una incidenza fortemente negativa sull’avifauna.

Formalmente l’origine del mancato rinnovo di questa doppia convenzione è stata spiegata dalla presidente Emma Soncini, una cacciatrice, con la necessità di un azzeramento legata alla legge regionale che impone l’accorpamento di parchi e riserve. In realtà l’accordo poteva essere tranquillamente rinnovato, ma dato che la presidente deve rispondere del suo operato ai cacciatori ha optato per una scelta dal chiaro significato politico: allontanare anche fisicamente dalla Riserva chi ha avuto la determinazione e la capacità di lavorare per il rispetto della legge e per la tutela dell’area protetta.

Lega per l’Abolizione della Caccia e Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Lago d’Iseo, capanno di caccia

(foto da http://www.emmasoncini.it, L.A.C.)



In ricordo di Danilo Mainardi.

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Iris planifolia

Ha fatto conoscere al grande pubblico televisivo italiano gli altri animali, il loro comportamento e la loro intelligenza, con garbo, semplicità e passione.

Docente universitario di straordinaria competenza e capacità divulgativa, Danilo Mainardi ha offerto la sua conoscenza e i risultati delle ricerche scientifiche a chiunque avesse desiderio di ascoltare.

Purtroppo ha concluso la vita sulla Terra che tanto amava.  Gli sarebbe piaciuto reincarnarsi in un uccello, così da sperimentare la “meravigliosa esperienza del volo”.

Magari è accaduto e ora si libra alto nel cielo, in uno stormo di Fenicotteri.  Chissà…

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Fenicotteri (Phoenicopterus roseus) in volo

da Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2017

Danilo Mainardi: morto a 83 anni l’etologo che ha dato voce agli animali, studiandone il comportamento.

Al grande pubblico era conosciuto soprattutto per le sue apparizioni nelle trasmissioni Quark e Superquark. Ha collaborato con il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera. (Davide Patitucci)

Entra nelle case degli italiani con discrezione e garbo. Con l’aiuto di divertenti bozzetti e disegni di animali. Nelle sue chiacchierate con l’amico Piero Angela nel corso delle puntate di Quark e Superquark Danilo Minardi, scomparso oggi all’età di 83 anni, mostra tutto il suo grande amore per gli animali. Li descrive come se stesse parlando di altri esseri umani, senza usare un tono accademico, pur essendo uno dei più stimati etologi nel panorama scientifico internazionale.

Membro di numerose accademie scientifiche – tra cui l’Accademia Nazionale delle Scienze e della Società Italiana di Etologia, di cui è stato anche presidente – e docente presso l’Università Ca’Foscari di Venezia, in tv ha collaborato anche ad altri programmi, come Dalla parte degli animali e Almanacco del giorno dopo. Oltre ad aver firmato molti libri sugli animali – si contano quasi 50 opere, la prima pubblicata nel 1968 – è stato direttore dell’Italian Journal of Zoology, organo dell’Unione Zoologica Italiana, e ha collaborato con numerose testate, da Airone al Sole 24 Ore, fino al Corriere della Sera, che per primo ha dato la notizia della sua morte.

I suoi studi si concentrano principalmente sull’evoluzione del comportamento sessuale degli animali, in relazione ai ruoli parentali, a partire dallo stadio infantile. Mainardi è affascinato dallo studio del comportamento sociale nel mondo animale. Osservandolo, capisce che anche le specie animali posseggono la capacità tipica dell’uomo di produrre e trasmettere cultura. Di trasferire, cioè, da un individuo a un altro la capacità di risolvere problemi.

Mainardi è, infatti, convinto che il comportamento intelligente, inteso come meccanismo adattativo che aumenta la probabilità di sopravvivenza di una specie, non sia una dote peculiare soltanto degli esseri umani. “Non c’è bisogno di avere una mente per stare al mondo”, ama spesso ripetere. “Negli ultimi anni – afferma l’etologo italiano – con lo sviluppo di una nuova disciplina, l’etologia cognitiva, che si dedica allo studio di pensiero e intelligenza in animali non umani, è caduto un tabù. Parole come pensiero, intelligenza, cultura non sono più solo umane”. Secondo lo studioso, infatti, “si deve considerare intelligente, in senso lato, ciò che aiuta a stare al mondo”. Un aspetto che Mainardi definisce “comportamento adattativo”.

Ambientalista convinto e abile divulgatore, Danilo Mainardi è spesso impegnato in campagne di educazione ambientale, soprattutto con i bambini. Complice il suo linguaggio semplice e accattivante. È fermamente convinto che l’unico modo per risolvere i problemi ambientali sia correggere la visione dell’uomo nei confronti del mondo e della natura. Posto all’apice della scala evolutiva, l’uomo, secondo Mainardi, possiede infatti le potenzialità per realizzare questo cambiamento, ma è frenato dalla sua incapacità di vederne le conseguenze a lungo termine.
Molte le sue campagne insieme alla Lipu, la Lega italiana protezione uccelli, di cui Mainardi era stato presidente e di cui era attualmente presidente onorario. In numerose interviste ha spesso dichiarato che, se potesse scegliere un animale in cui incarnarsi, sarebbe sicuramente un uccello, per provare la “meravigliosa esperienza del volo”.

Fra le sue varie posizioni il sostegno alla pet therapy e la critica a chi vuole dare significati antropomorfi ai comportamenti animali. Poi la contrarietà allo sfruttamento degli animali per il divertimento delle persone e le sue idee mai integraliste sulla questione della vivisezione per scopi scientifici.

 

Fenicottero rosa (Phoenicopterus ruber roseus)

(foto S.D., archivio GrIG)


Il demanio civico di Rocca d’Evandro non può esser sede di un centro di trattamento per rifiuti!

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Rocca d’Evandro, demanio civico Feudo Vandra

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (10 marzo 2017) un’istanza per la revoca o l’annullamento in via di autotutela dell’avvenuta individuazione da parte del Comune di Rocca d’Evandro (CE) di un’area per la realizzazione di un impianto per la valorizzazione della frazione organica da raccolta differenziata di rifiuti nei terreni del demanio civico in base a una manifestazione d’interesse promossa dalla Regione Campania per dare attuazione al piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani recentemente approvato (2016), per adeguarsi alla pronuncia della Corte di Giustizia europea (sentenza della Corte di Giustizia Europea del 16 luglio 2015, causa C297/08).

L’intento è buono, ma i terreni a uso civico non sono un bancomat da utilizzare a piacimento.

Bosco, radura

Un impianto di trattamento dei rifiuti snaturerebbe le caratteristiche del demanio civico e la fruizione collettiva dei terreni, in contrasto con il quadro normativo (legge n. 1766/1927 e s.m.i.; regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.; legge regionale Campania n. 11/1981 e s.m.i.).

Sono stati coinvolti dall’azione ecologista la Regione Campania (Struttura di Missione per lo smaltimento dei RSB, Direzione generale del Dipartimento Salute e Risorse Naturali – Direzione generale per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; UOD Foreste), il Prefetto di Caserta, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Caserta e il Commissario per gli Usi Civici per la Campania e il Molise.

Non è la prima volta che il Gruppo d’Intervento Giuridico interviene, su segnalazione di residenti piuttosto preoccupati, per difendere il demanio civico del Feudo Vandra e il locale parco urbano.

Rocca d’Evandro, demanio civico Feudo Vandra

Lo scorso 16 giugno 2016 presentò un ricorso avverso l’istanza presentata dal Comune di Rocca d’Evandro (CE) alla Regione Campania per ottenere il mutamento di destinazione d’uso e la successiva sdemanializzazione di più di 18 ettari di terreni a uso civico appartenenti al demanio civico del Feudo Vandra, di cui è titolare l’intera collettività locale.    L’intento del Comune era quello di ottenere la sdemanializzazione dei terreni a uso civico e poi venderli a diverse Ditte che vorrebbero acquistare lotti all’interno del locale piano per gli investimenti produttivi (P.I.P.).

La Regione Campania – Dip. Salute e Risorse naturali, con decreto dirigenziale n. 151 del 9 settembre 2016, ha autorizzato esclusivamente il cambio di destinazione di più di 180 ettari del demanio civico “S Cesano – Feudo Vandra” da categoria B (colture agrarie) a categoria A (boschi/pascoli),   Nulla ha detto e non ha autorizzato la successiva sdemanializzazione dal regime demaniale civico per l’alienazione dei singoli lotti del piano insediamenti produttivi (P.I.P.). Quei 180 ettari sono ancora a uso civico, anzi, in base all’art. 11 della legge n. 1766/1927 e s.m.i., i terreni a uso civico della categoria A (boschi/pascoli) sono destinati a rimaner tali.

A giudizio del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, non sussistono le condizioni per giungere a un mutamento delle condizioni d’utilizzo dei terreni a uso civico e a una successiva alienazione, perché quei terreni non hanno perso le loro caratteristiche naturali: sono tuttora boschi e radure, pur essendo stati inclusi (1996), con ben poco buon senso, nel piano investimenti produttivi (P.I.P.) di Rocca d’Evandro.

Cinghiale (Sus scrofa)

In precedenza, nel giugno 2012 cercò di scongiurare una variante al piano urbanistico comunale che puntava alla riperimetrazione del locale  Parco Urbano di Interesse Regionale, istituito con deliberazione Giunta regionale della Campania del 29 luglio 2005, n. 1044, fondamentalmente per aprirvi una cava di basalto.     Ancor prima, nel novembre 2010, sempre in difesa della piccola area naturale protetta, anche allora a rischio “rimpicciolimento” sempre per iniziative di degrado del contesto ambientale locale.

L’associazione Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica un intervento solerte delle amministrazioni coinvolte a tutela del demanio civico, del Parco Urbano di Rocca d’Evandro e delle sue principali funzioni di sviluppo sostenibile e gestione integrata delle risorse, nell’ottica dell’acquisizione, da parte delle collettività locali, della capacità di utilizzare in modo ottimale e congruente il patrimonio costituito dalle risorse naturali e culturali, poichè gli stessi beni culturali e ambientali sono in grado di produrre ricchezza se correttamente utilizzati come risorsa economica, come d’altra parte previsto dalle Linee guida per l’istituzione del sistema dei parchi urbani di interesse regionale elaborate dall’Assessore all’Urbanistica, Politica del Territorio, Tutela Beni Paesistico-Ambientali e Culturali della Regione Campania.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

bosco e girasoli

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(foto L.A.C., per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


“Non mi fai entrare nel tuo terreno per cacciare? Allora ti sparo!”

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cartello “fondo chiuso – divieto di caccia”

Alla faccia dei pretesi rapporti idilliaci fra cacciatori e agricoltori di cui spesso si parla.

Mario Decandia, cacciatore ottantacinquenne di Olbia, è stato arrestato dai Carabinieri su disposizione della Magistratura in quanto avrebbe sparato ad altezza d’uomo contro un proprietario terriero di Loiri Porto S. Paolo che il giorno prima gli aveva impedito di entrare nei suoi terreni per andare a caccia.

L’accusa è di tentato omicidio, al termine di indagini durate alcuni mesi: solo per un puro caso la vittima designata non era stata colpita dalla fucilata.

La vicenda ripropone, se ve ne fosse bisogno, il problema dell’accesso dei cacciatori nei terreni altrui senza il consenso dei proprietari, stabilito dall’art. 842 cod. civ.

In questo articolo (Come faccio a vietare la caccia sul mio terreno?) sono descritte procedure e modalità per escludere il proprio terreno dall’attività venatoria, facoltà riconosciuta dalla legge e dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

paesaggio agricolo

A.N.S.A., 9 marzo 2017

Fucilata al rivale per caccia, arrestato. Ai domiciliari a Olbia dopo indagini durate cinque mesi.

Cinque mesi fa aveva cercato di colpire il rivale esplodendo una fucilata contro la porta a vetri della sua abitazione, per poi dileguarsi nel nulla. Oggi Mario Decandia, cacciatore di 85 anni, è stato arrestato dai Carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile del Reparto territoriale di Olbia, con l’accusa di tentato omicidio.

I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari in relazione a fatti che risalgono alla sera del 16 ottobre 2016 a Loiri Porto San Paolo. Decandia aveva sparato una rosa di pallettoni contro la vetrata d’ingresso di F. S., un uomo di 63 anni con cui, la mattina precedente, il cacciatore aveva avuto un diverbio: la vittima non aveva consentito all’ottantacinquenne di passare e cacciare nei terreni di sua proprietà, e l’uomo non l’aveva presa bene. La sera dopo si era presentato a casa del proprietario terriero armato di fucile.

Solo per un fortunato caso la rosa di pallettoni sparata contro la porta d’ingresso era stata deviata dalla borchia metallica della serratura, andando a conficcarsi sulla parete interna della sala da pranzo a breve distanza dalla vittima.

Nei mesi seguenti gli investigatori hanno raccolto gravi indizi di colpevolezza registrando diverse testimonianze e pedinando il sospettato. Proprio dalle ripetute audizioni sia della parte offesa che di diversi testimoni, i carabinieri hanno ottenuto ulteriori fonti di prova a carico dell’anziano cacciatore, che inizialmente si era costruito un alibi per spostare l’attenzione su altre persone. L’alibi è stato gradualmente smontato e Decandia è stato arrestato. Al termine delle operazioni di rito, l’uomo è stato riaccompagnato nella propria abitazione in regime di arresti domiciliari.

bossoli abbandonati in campagna da cacciatori

da La Nuova Sardegna, 9 marzo 2017 

Tentato omicidio a Olbia, i carabinieri arrestano un 85enne.

Mario Decandia si trova ai domiciliari. E’ accusato di aver cercato di uccidere a fucilate un 63enne di Loiri Porto San Paolo che gli aveva negato di cacciare sui suoi terreni.

 

da L’Unione Sarda, 10 marzo 2017

Gli vieta di cacciare sui suoi terreni e lui gli spara, 85enne fermato per tentato omicidio.

 

Merlo femmina (Turdus merula)

(foto M.F., S.D., archivio GrIG)

 

 

 


Il Governo impugna la legge regionale liberticida veneta, il parco naturale regionale dei Colli Euganei è salvo.

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campagna veneta

Sergio Antonio Berlato è un consigliere regionale veneto, già assessore regionale ed europarlamentare, piuttosto monomaniaco.

Si occupa pressochè esclusivamente di caccia e di tutto quanto possa garantire la possibilità di ammazzare quei pochi esseri viventi che in Veneto riescono a sfuggire a quella giungla di pedemontane, svincoli, capannoni, villette a schiera, diserbanti, città mercato, tangenziali, inquinamenti che ammorbano la un tempo ridente campagna veneta.

Merlo (Turdus merula)

In un Paese normale, cioè non in Italia, non lo calcolerebbe nessuno, in Veneto, invece, fa il legislatore.

Ora, però, prende due belle sberle.  Virtuali, ma sberle.

Infatti, su segnalazioni ecologiste, il Governo ha deciso (delibera del 10 marzo 2017) di impugnare davanti alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost. la “legge Regione Veneto n. 1 del 17/01/2017, ‘Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 ‘Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio’ e alla legge regionale 28 aprile 1998, n.19 ‘Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto’, in quanto alcune norme, che individuano come illeciti amministrativi comportamenti di disturbo o di ostruzionismo delle attività venatorie e piscatorie, stabilendo al riguardo specifiche sanzioni amministrative, eccedono dalle competenze regionali. Esse invadono infatti la competenza legislativa riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. h) e l), della Costituzione, in materia di ordine pubblico e di sicurezza, nonché in materia di ordinamento civile e penale. Tali previsioni regionali risultano inoltre contrarie ai principi di  legalità, razionalità e non discriminazione rinvenibili negli  articoli 25,  3 e 27 della Costituzione”.

Castelgomberto, altana di caccia

Ricordiamo che la legge regionale Veneto n. 1 del 17 gennaio 2017 dispone sanzioni amministrative da 600 a 3.600 euro nei confronti di “chiunque … ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo” contro la caccia o la pesca sportiva, in palese contrasto con il diritto di esprimere la propria opinione e la connessa libertà di manifestazione costituzionalmente garantiti.

Non solo.

La Giunta regionale del Veneto, con estremo buon senso, sta per rispedire al mittente la proposta di amputazione del parco naturale regionale dei Colli Euganei avanzata e sostenuta proprio dall’on. Berlato, dopo la decisa risposta di Comuni e di associazioni ambientaliste e culturali.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus esprime forte soddisfazione per le due ottime notizie: buon senso contro opportunismo politico deleterio per l’ambiente e per i diritti civili.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Parco naturale regionale dei Colli Euganei secondo la proposta di legge Berlato (2016)

 

da Il Mattino di Padova, 10 marzo 2017

Parco dei Colli euganei in salvo: la Regione non tocca i confini.

A sorpresa l’area protetta aumenta, sconfitta la linea Berlato. Lunedì la delibera approda in giunta. Decisivo il no dei sindaci. (Filippo Tosatto)

 

Parco naturale regionale dei Colli Euganei, Torreglia, taglio alberi

 

(foto M.F., M.Z., S.D., archivio GrIG)


Riprendono i lavori della diga di Monte Nieddu Is Canargius.

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Sarroch-Villa S. Pietro, cantiere diga Monte Nieddu, cartello “inizio lavori”

Come prevedibile, sono ripresi i lavori della diga di Monte Nieddu – Is Canargius, nei monti del Sulcis, fra Villa San Pietro, Pula e Sarroch, dopo 15 anni dalla loro sospensione.

I lavori finora fatti sono pari a meno del 20% dei lavori previsti.

Lavori dal sapore quasi archeologico, visto che il progetto risale al 1960 (sì, proprio 57 anni fa…), mentre l’approvazione da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici è del 1970 e la concessione di derivazione dell’acqua è del 1975.

Sarroch-Villa S. Pietro, Monte Nieddu, il cantiere della diga

Scempio ambientale, più di 172 ettari di bosco da distruggere in un sito di importanza comunitaria (S.I.C.), ma anche scempio finanziario.

Facciamo un po’ di conti.

87,5 miliardi di vecchie lire stanziati sul fondi comunitari P.O.P. 1994-1999 + attualmente 83 milioni di euro di fondi statali e regionali già stanziati + 10 milioni di euro stimati (ma non stanziati) per la condotta di adduzione al potabilizzatore + altri 80 milioni di euro stimati (ma non stanziati) per le reti di distribuzione + una cifra oggi ignota per comporre il contenzioso tuttora in corso con il Consorzio spagnolo Dragados y Fomento vincitore della precedente gara d’appalto europea (pretendono 60 milioni di euro).

Così, alla buona, 220 milioni di euro + quanto sarà riconosciuto al Consorzio spagnolo per un volume di invaso di 35 milioni di metri cubi lordi, in realtà al massimo 27 milioni di metri cubi utili (7 milioni di metri cubi sono considerate “acque morte”, la cui potabilizzazione è complessa e molto costosa).

Minimo 8,15 milioni di euro per ogni milione di metri cubi di acqua.

Quanto costerebbe al litro?    Quanto l’acqua minerale?

bosco mediterraneo

E’ uno dei peggiori e misconosciuti scempi ambientali e finanziari di tutta Italia.  Centinaia di milioni di euro letteralmente buttati per realizzare un inutile scempio ambientale.

Per capirci, il Lago Omodeo, creato dalla diga Eleonora d’Arborea, ha una capacità utile di 745 milioni di metri cubi di acqua, con un invaso finora autorizzato di massimo 445 milioni di metri cubi di acqua: soldi ben spesi sarebbero quelli per le procedure finalizzate a un aumento dell’invaso autorizzato e un miglioramento della connessione fra i bacini.

Lo scempio ambientale e finanziario della diga di Monte Nieddu-Is Canargius, sistematicamente avversato dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, è uno dei casi più emblematici dell’inutilità e del danno rappresentato da numerose, troppe opere pubbliche.

Comunque è bene ricordare che con Francesco Pigliaru Presidente della Regione autonoma della Sardegna e Paolo Maninchedda Assessore regionale dei lavori pubblici è stato deciso di portare fino in fondo questo scempio ambientale e finanziario.

Naturalmente ne seguiremo gli sviluppi.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

acqua

P.S. Gaetano Salvemini, insigne meridionalista, diceva che “l’Acquedotto Pugliese ha sempre dato più da mangiare che da bere”.  Caso non isolato…

Qualche dato sull’acqua in Sardegna.    La Sardegna possiede ben 32 invasi di grandi/medie dimensioni aventi una capacità massima attuale di 2 miliardi e 280 milioni di mc. di acqua, di cui 1 miliardo e 904 milioni di mc. con autorizzazione all’invaso (dati Registro Italiano Dighe – Ufficio periferico di Cagliari, 2011).  La Sardegna ha 1.675.000 residenti (la metà di Roma) e poco meno di un sesto della risorsa idrica “invasabile” di tutto il territorio nazionale (540 bacini medio/grandi per circa 13,35 miliardi di mc. di risorsa idrica “invasabile”, vi sono ulteriori 10 mila circa piccoli bacini con capacità inferiore a 100 mila mc., più facili da gestire – dati Ministero Infrastrutture, 2007).

I motivi delle annunciate e ricorrenti crisi idrichePerdite delle reti (nel 2014 il 55% dell’acqua immessa in rete da Abbanoa s.p.a. è andata persa) e cattiva gestione.

 

L’Unione Sarda, 13 marzo 2017

(foto S.D., archivio GrIG)

 


Industrie e carbone nel Sulcis, un dramma volutamente senza fine.

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Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Ecco una finestra sulla situazione tanto drammatica quanto penosa delle industrie del Sulcis, aperta da Gian Antonio Stella, colonna de Il Corriere della Sera.

Buona lettura, magari con qualche riflessione.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

da Il Corriere della Sera, 11 marzo 2017

Sardegna. Sulcis, il paradosso del piano miniere che prevede di importare carbone.

L’idea di un nuovo complesso industriale alimentato da una grande centrale termica. Il «no» degli ambientalisti. (Gian Antonio Stella)

Vi pare sensato importare carbone nel Sulcis? La nonna dei minatori sardi Vincenza Urru, che come scrisse il cugino di Grazia Deledda Salvatore Cambosu credeva che il carbone sardo fosse oro zecchino maledetto da un sortilegio che lo trasformava in combustibile appena toccato, non potrebbe capire mai. Come non capiva Indro Montanelli che già mezzo secolo fa, in «Italia sotto inchiesta», sorrideva: «Bisogna attribuire a nonna Vincenza un certo potere divinatorio perché infatti quel carbone sarebbe stato più prezioso dell’oro solo se lo si fosse lasciato dov’era». Avrebbe evitato di buttare cifre folli in un carbone «di cattiva qualità e di costosa estrazione. Nella Ruhr un minatore ne estrae in media 575 tonnellate all’anno; qui, 156». Al punto che «dal ’46 la Carbosarda, che gestiva tutta la produzione del Sulcis, ne ha venduto il carbone a un prezzo ch’è la metà esatta del suo costo». L’«accanimento terapeutico» più cervellotico di tutti i tempi.

Carbonia, miniera di Serbariu (anni ’50)

La politica, cocciuta

Eppure, a distanza di ottant’anni da quel 1937 in cui Mussolini accese le illusioni di fare del bacino carbonifero del Sulcis («Due milioni di tonnellate entro il 1941!») una roccaforte energetica fascista e incitò gli italiani a «vivere intensamente nella “mistica dell’autarchia”», la politica pigra e ripetitiva insiste ancora, cocciutamente, lì.
Solo l’opposizione di Italia Nostra, di Legambiente, del Fai e del soprintendente paesaggistico Fausto Martino ha bloccato infatti (finora) l’ennesimo progetto «di rilancio». Cioè la riapertura, col nuovo «piano Sulcis», dell’Eurallumina, lo stabilimento di Portovesme finito in mano alla russa Rusal che produceva ossido d’alluminio dalla lavorazione di bauxite ed è ferma per problemi economici (coi lavoratori in cassa integrazione) dal lontano 2009. Ne vale la pena? Gli ambientalisti dicono di no: per alimentare il complesso industriale, infatti, è prevista la costruzione da parte di Euralenergy» (in società con la Regione) di una grande «centrale termica cogenerativa alimentata a carbone». Carbone che come dicevamo, essendo stata dismessa l’ultima miniera locale, dovrebbe arrivare da fuori. Una beffa. L’ultima per una terra di miniere che mai, viste le entrate-uscite, avrebbero dovuto essere aperte.
Basti rileggere quanto scriveva nel 1955 in «Aria fritta» Ernesto Rossi: «Rapportando le perdite al numero dei dipendenti si può dire che la Carbosarda avrebbe conseguito i medesimi risultati finanziari se avesse potuto tener chiuse, senza spesa, le miniere, e avesse pagato 40 mila lire al mese a ognuno dei suoi dipendenti, purché tutti rimanessero a casa, a coltivare i loro orticelli». Quarantamila: cinquemila in più, dice il «Sommario di statistiche storiche» dell’Istat, rispetto alle 35.136 che prendeva allora un minatore.

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Conti, salari e perdite.

Non bastassero le perplessità sui nuovi investimenti (Sergio Rizzo calcolò nel 2014 che se la Carbosulcis avesse dato 7.300 euro per 13 mensilità a ciascuno dei 444 dipendenti sopravvissuti avrebbe chiuso il 2012 con perdite inferiori ai 42,2 milioni di rosso) dominano le paure per nuovi disastri ecologici. Come spiega Legambiente, infatti, i nuovi veleni aggrediranno terreni già stuprati, dove il piano di disinquinamento del 1993 «che avrebbe dovuto concludersi in 4 anni, dopo oltre vent’anni non si è ancora concluso».
La stessa Asl locale raccomandava nel 2013 di non dare ai bambini piccoli «prodotti ortofrutticoli provenienti da terreni ubicati nel Comune di Portoscuso». Preoccupazione ribadita un anno fa dal servizio igiene di Carbonia a proposito proprio della raffineria di produzione di alluminio: «La zona ad alto rischio ambientale di Portoscuso presenta un aumento di patologie a carico del polmone come asma bronchiale nei bambini, broncopneumopatie in genere e tumori polmonari degli adulti maschi…».

Portoscuso, bacino c.d. fanghi rossi

Il bacino e i fanghi rossi.

Bene: questo bacino che già ospita «abbancamenti per circa 20 milioni di metri cubi di fanghi rossi residuati da 30 anni di produzione dell’Eurallumina, che occupano un immenso bacino esteso per 150 ettari con una altezza di 25 metri sul livello del mare», accusa Legambiente, verrebbe ulteriormente violentato da un ampliamento. Risultato? Verrebbe raddoppiata l’altezza della discarica, scrive nella relazione il soprintendente al paesaggio Fausto Martino, «generando un’enorme collina artificiale di scarti tossici, alta circa 46 metri slm, la cui posizione — a ridosso della costa — ne comporta l’elevata visibilità da innumerevoli punti di belvedere accessibili al pubblico tra cui quelli oggetto di specifica tutela». Valutazione Impatto ambientale? Mai: «L’intervento confligge con le finalità di tutela definite per l’area interessata poiché incrementa l’impatto paesaggistico del complesso industriale esistente…». Insomma, lo stupro di un territorio non può essere usato (tanto il danno è minore…) per nuovi stupri.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

Lavoro e prospettive.

Certo, come sottolineano un po’ tutti, è impensabile non farsi carico delle enormi difficoltà occupazionali di un’area dove, come racconta «Addio» di Angelo Ferracuti, la vita è durissima e la disoccupazione giovanile «ha un tasso del 73,9%». Ma è pensabile che l’unica prospettiva in un paradiso naturale come la Sardegna siano ancora il carbone e l’industria pesante, dopo tanti risultati fallimentari?
Assolutamente no, risponde Stefano Deliperi, che con il Gruppo di intervento giuridico dà battaglia da anni. E tira fuori un articolo su «La Nuova Sardegna» del 2012.
Indimenticabile la conclusione, che si rifà a Ernesto Rossi: «Provate a immaginare cosa sarebbe successo se i soldi spesi per il carbone del Sulcis fossero stati attribuiti non all’impresa ma, appunto, ai lavoratori. Potenzialmente, ogni lavoratore avrebbe avuto a disposizione una dote iniziale di un miliardo, avrebbe potuto godere per vent’anni di una rendita mensile di circa 1.400 euro, e a fine periodo il capitale iniziale sarebbe rimasto invariato».
Sapete chi firmava quel pezzo di buon senso? Gli economisti Alessandro Lanza e Francesco Pigliaru. Il quale, oggi, è presidente della Regione Sardegna che vorrebbe risuscitare quel sistema del carbone e dell’industria pesante intorno al quale Montanelli nel 1963 sentiva già «odore di morto». Proponendo appunto quella alternativa che nessuno ha mai cercato seriamente di avviare.

 

Masua, scarico di fanghi tossici in mare (1978)

(foto Raniero massoli Novelli, Regione autonoma Sardegna, Sardinia Post, S.D., archivio GrIG)


Porto Ferro e dintorni, un P.U.L. da rivedere.

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Sassari, Porto Ferro (foto Ugo Macchia)

anche su Il Manifesto Sardo (“Porto Ferro e dintorni, un P.U.L. da rivedere“), n. 234, 16 marzo 2017

 

Il Comune di Sassari sta giustamente completando il quadro di pianificazione del suo territorio, uno dei più vasti d’Italia.

Dopo il piano urbanistico comunale (P.U.C.), in vigore dal 2014 e contenente alcune scelte ben poco meditate, come quella dell’ipotesi di trasformazione edilizia della Campagna Bellieni, ora sostanzialmente scongiurata grazie al vincolo storico-culturale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), ora è la volta del piano particolareggiato del centro storico e del piano di utilizzo dei litorali a scopo ricreativo (P.U.L.), fondamentali strumenti urbanistici attuativi.

Il P.U.L. di Sassari è stato adottato con la con deliberazione Consiglio comunale n. 3 del 24 gennaio 2017 e prevede alcune scelte molto discutibili. Fra queste sicuramente la fruizione balneare “tradizionale”, cioè stabilimenti, chioschi, ombrelloni, come una qualsiasi “spiaggia urbana”, di Porto Ferro e della raccolta caletta di Lampianu – Rena Maiore.

Sassari, Lampianu – Rena Maiore (foto Ugo Macchia)

Fra l’altro, pur interessando aree rientranti nella Rete Natura 2000 (S.I.C., Z.P.S.) con specifico piano di gestione, non risulta sottoposto preventivamente alla necessaria procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.).

Il litorale e la spiaggia di Porto Ferro, con le sue tre Torri costiere del XVII secolo (Bantine Sale, Torre Negra, Torre Bianca), costituiscono un sistema costiero di rilevante importanza naturalistica ambientale e paesaggistica, con ambienti dunali e di macchia mediterranea di rara suggestione e bellezza. L’area è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e con vincolo di conservazione integrale (della legge regionale n. 23/1993).

Nel piano paesaggistico regionale – P.P.R. l’area rientra nella fascia costiera (artt. 15, 19, 20 delle norme tecniche di attuazione), non trasformabile e destinata a conservazione integrale (campi dunali e sistemi di spiaggia).   Inoltre, rientra nel sito di importanza comunitaria – S.I.C. “Lago di Baratz – Porto Ferro (codice ITB011155), ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora.

Giglio di mare (Pancratium maritimum)

La piccola caletta di Lampianu – Rena Maiore è un tratto di costa ancora selvaggio e integro, anch’essa tutelata con vincoli di conservazione integrale.      Per giunta è di difficile accesso, per cui appare ancora più assurda l’ipotesi di ubicazione di uno stabilimento balneare.

Ambedue non rientrano, ovviamente, nel nòvero dei “litorali urbani”, individuati con deliberazione Giunta regionale n. 32/12 del 23 giugno 2015 (+ allegato), dove possono esser inserite strutture turistiche amovibili, ma permanenti.

Il P.U.L. di Sassari prevede l’abnorme previsione della realizzazione di ben tre stabilimenti balneari (482 sedie a sdraio e 225 ombrelloni) e relativi servizi sul litorale di Porto Ferro e un ulteriore stabilimento balneare nella caletta di Lampianu – Rena Maiore.

Così l’ha giustificata Gianni Carbini, Assessore comunale all’urbanistica, dimessosi polemicamente il 12 marzo per contrasti con il Sindaco Nicola Sanna: “una spiaggia inclusiva, aperta a tutti, anziani, bambini e disabili, con servizi per tutti, comprese passerelle in legno per la deambulazione facilitata, con possibilità di mettere in sicurezza, con appositi dispositivi, le discese sia alla spiaggia che alla battigia. E ancora, rispetto dell’ambiente e delle normative ambientali per le aree Sic, cioè per i siti di importanza comunitaria. È questa la filosofia che ha mosso la nostra amministrazione comunale nella redazione del piano di utilizzo del litorale”.

P.U.L. Sassari, rendering stabilimento balneare Porto Ferro

In realtà, sembra una riminizzazione strisciante di uno dei più integri litorali del Mediterraneo.

L’inopinata previsione di tre stabilimenti balneari a Porto Ferro, fra l’altro giustamente raggiungibile solo con una viabilità di modeste dimensioni, ha provocato finora una vera e propria rivolta popolare da parte delle tantissime persone che amano quella splendida costa sarda, riunitesi nel battagliero Comitato “Giù le mani da Porto Ferro!”.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha già inoltrato (2 marzo 2017) uno primo atto di intervento con “osservazioni” nella procedura di approvazione del P.U.L. di Sassari (ne seguirà un secondo) e ha messo a disposizione di chiunque voglia intervenire nella procedura un fac simile di atto di intervento con “osservazioni”, da richiedere all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com e poi da completare con i propri riferimenti e da inviare al Comune di Sassari.

Ma c’è un importante occasione per capirne di più: sabato 18 marzo 2017, con inizio alle ore 10.00, presso l’Hotel Grazia Deledda (Via Dante, 47 – Sassari), si svolgerà un dibattito pubblico promosso dal Comitato “Giù le mani da Porto Ferro!” al quale parteciperà anche il Sindaco Sanna.

Non mancate!

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

 

piano paesaggistico regionale (P.P.R.), Baratz e Porto Ferro

(foto Ugo Macchia, S.D., archivio GrIG)



Millecentoquarantasette firme per difendere gli usi civici in Sardegna!

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foresta mediterranea

La Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende promossa dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per la difesa delle terre civiche in Sardegna ha raccolto ben 1.147 adesioni, 147 in più di quanto era stato fissato quale obiettivo.

Su sollecitazione di tanti cittadini – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, infatti, proposto una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei più di 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

Spesso vivaci e coloriti i commenti dei sottoscrittori:

“Tancas serradas a muru 2.0” (Massimiliano Soru);

“Questa Giunta e’ stata votata da tanti perche’ difendesse l’interesse pubblico, e non perche’ favorisse le speculazioni dei privati” (Marco Siddi);

Le terre civiche  sono un investimento per le generazioni future difenderle e’ un gesto di generosità‘” (Francesca Putzolu)

“Le terre collettive sono patrimonio di tutti. Questa proposta va solo l’interesse di pochi furbi che hanno occupato abusivamente o che hanno interesse ad appropriarsi di terre d’uso civico. Basti con gli abusi proteggiamo la Sardegna” (Andrea Romano);

“Basta Editto delle Chiudende. Dobbiamo salvare e tutelare la nostra meravigliosa Sardegna” (Rina Murgia);

“No alla privatizzazione dei beni comuni!” (Davide Canu);

“La mia firma per aiutare la nostra terra, piu’ semplice di cosi’!!! Firmate, firmate e firmateeee………………..” (Marisa Serrenti);

“No alla privatizzazione dei beni collettivi dei sardi!” (Paolo Mugoni);

I baroni non hanno ancora imparato a ‘moderare’. Fino a quando? (Lucia Corda)

Basta ‘tancas serradas a muru’ (Antonietta Lai)

Baunei, Baccu Goloritzè

Come noto, infatti, ormai sta procedendo da tempo la pesante offensiva istituzionale dei vertici della Regione autonoma della Sardegna contro le terre a uso civico: sdemanializzazioni, occupazioni abusive ignorate, mancata dichiarazione pubblica di demani civici accertati sono le principali direttrici di attacco ai danni dei patrimoni collettivi di centinaia di centri piccoli e grandi dell’Isola.

Un nuovo Editto delle Chiudende, come il provvedimento che nella prima metà dell’800 dette inizio alla privatizzazione dei grandi demani collettivi sardi.

L’attuale situazione è descritta puntualmente nel sintetico dossier Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna.

Chi ci guadagna?  Riscontri elettorali, imprese industriali, piccoli e grandi abusi (forse anche di qualche amministratore pubblico), grandi imprese immobiliari (soprattutto lungo la costa orientale).

Chi ci perde?  Le tante collettività locali sparse in tutta la Sardegna (in tre quarti dei Comuni sono presenti terre a uso civico), a cui vengono sottratti coste, pascoli, boschi senza nulla in cambio.   Tutti noi per quanto concerne il valore ambientale dei demani civici.

Nessuna trasparenza regola queste operazioni, per esempio l’ultima legge regionale n. 26/2016 che ha introdotto nuove forme di sdemanializzazione delle terre civiche è stata approvata in quattro e quattr’otto di notte, senza alcuna pubblicità né vergogna né giustificazioni plausibili.

Ora sarà chiesto un incontro al Presidente della Regione Pigliaru per consegnare personalmente la petizione.

Portoscuso, Capo Altano – Guroneddu

Nel mentre, in seguito alle documentate istanze del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus in merito ai mancati recuperi di terre civiche occupate illegittimamente e alla mancata promulgazione dei provvedimenti di dichiarazione dei demani civici accertati, è stato aperto un procedimento penale da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.

Difendiamo e difenderemo le terre collettive, almeno un sesto della Sardegna.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

qui il sintetico dossier Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna

 

qui la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa

 

 

Gennargentu, nevaio

 

A.N.S.A., 16 marzo 2017

Usi civici: firme contro privatizzazione.   Deliperi (Grig), migliaia di ettari occupati abusivamente.

 

da Sardegna Oggi, 16 maggio 2017

1200 firme per difendere le terre civiche in Sardegna. “Fermiamo il nuovo editto delle chiudende”.

 

da Sardinia Post, 16 marzo 2017

Usi civici: raccolte dal Grig 1.147 firme contro la privatizzazione.

 

da Cagliaripad, 16 marzo 2017

Usi civici, 1.147 firme contro la privatizzazione: lente Procura.

Secondo il Gruppo d’intervento giuridico (Grig), migliaia di ettari di demanio civico in Sardegna sono occupati abusivamente. Per la difesa di queste terre l’associazione ha promosso una “Petizione contro il nuovo editto delle Chiudende”

 

La Nuova Sardegna, 16 marzo 2017

 

(foto J.I., S.D., archivio GrIG)


E’ autorizzato il rifacimento della strada per il Faro di Capo Caccia?

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Alghero, Capo Caccia, lavori rifacimento strada militare per il Faro (marzo 2017)

Per adesso si vede uno sbancamento della roccia dal pesante impatto, in futuro non si sa se sono previsti interventi di risanamento ambientale.

Si tratta dei lavori di rifacimento della strada militare del Faro di Capo Caccia, nello splendido promontorio in Comune di Alghero (SS), in forza di permesso di costruire prot. n. 4607 del 13 luglio 2015.   Si ignora, però, se siano state preventivamente acquisite le necessarie autorizzazioni ambientali per la realizzazione dell’intervento.

Alghero, Capo Caccia, lavori rifacimento strada militare per il Faro, sbancamenti (marzo 2017)

La costa di Capo Caccia costituisce parte del demanio marittimo (art. 822 e ss. cod. civ.), è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), mentre la fascia dei mt. 300 dalla battigia marina è tutelata con specifico vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993). Rientra, inoltre, nella zona di protezione speciale – ZPS ITB013044 e nel sito di importanza comunitaria – SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio” (codice ITB010042) ai sensi della direttiva n.92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat e nel parco naturale regionale “Porto Conte” (leggi regionali n. 31/1989 e s.m.i. e n. 4/1999). E’, inoltre, contigua all’area marina protetta “Capo Caccia – Isola Piana”.

Nel piano paesaggistico regionale (P.P.R.) è area di conservazione integrale.

Alghero, Capo Caccia, strada militare per il Faro (marzo 2017)

L’area interessata rientra nelle categorie Hg4- Pericolosità di frana Molto Elevata e Rf4 – Rischio di frana Molto Elevato del vigente Piano di Assetto Idrogeologico (P.A.I.).

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, inoltrato una richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti (16 marzo 2017), coinvolgendo le Istituzioni comunitarie (Commissione europea e Commissione “petizioni” del parlamento europeo), i Ministeri dell’Ambiente (Direzione generale Protezione natura) e per i Beni e Attività Culturali (Direzione generale Belle Arti e Paesaggio, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio di Sassari), la Regione autonoma della Sardegna (Direzione generale Pianificazione e Vigilanza edilizia, Servizio Valutazioni ambientali, Agenzia del Distretto idrografico), il Provveditorato interregionale per le Opere pubbliche per Lazio, Abruzzo e Sardegna (titolare dei lavori), il Comune di Alghero, il parco naturale regionale di Porto Conte, l’Ufficio circondariale marittimo di Alghero.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica che siano previsti adeguati ed efficaci interventi di mitigazione e risanamento ambientale, indispensabili in un gioiello naturalistico del Mediterraneo qual è Capo Caccia.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

sito di importanza comunitaria – SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio”

zona di protezione speciale – Z.P.S. “Capo Caccia”

Alghero, Isola Piana

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Una proposta di legge urbanistica nata male.

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Villasimius, Cala Giunco

La Giunta regionale Pigliaru ha proposto – finalmente – la tanto attesa legge urbanistica sarda.

Si tratta di testi complessi, appena pubblicati sul sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna.

rustico edilizio

Secondo quanto deliberato, “il disegno di legge sarà … pubblicato in una apposita sezione del sito istituzionale e aperto alle osservazioni di tutti gli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica: parti istituzionali, parti economiche e sociali, università, ordini professionali, organismi in rappresentanza della società civile, associazioni ambientali, soggetti portatori degli interessi e delle volontà dei territori”.

Ci sarà, quindi, una fase di partecipazione pubblica e in quella sede si potrà fare un esame più approfondito e una lettura critica più efficace.

Una cosa, comunque, appare a prima vista: la possibilità – per l’ennesima volta – di incrementi volumetrici entro la fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina (mt. 150 nelle Isola minori) previsti dall’art. 31 del disegno di legge regionale, in palese violazione di quanto indicato nel piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero).

Quirra, Stagno di Murtas

La previsione è incostituzionale: come già chiarito dalla sentenza Corte cost. n. 189 del 20 luglio 2016, infatti, ha affermato ancora una volta che le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile”.

Resta, comunque, un dato politico-sociale difficilmente negabile: con queste proposte normative la Giunta Pigliaru si mette dalla parte del mattone, sconfessando una politica di tutela costiera ultradecennale.  Con tutte le conseguenze del caso.

E con una conferma: al di là di tante belle parole, continuano a confondere il turismo con il mattone.      Il turismo si incentiva con trasporti efficienti a prezzo contenuti, con le aree naturali protette anche per ampliare la stagione turistica, con i beni culturali visitabili, con i servizi di accoglienza.

Riminizzare le coste sarde significa ammazzare il primo richiamo turistico isolano. Lo capisce ormai un bambino, ma non un politico sardo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

P.S.   è necessario un aggiornamento.

Su La Nuova Sardegna, edizione del 19 marzo 2017, l’Assessore regionale dell’urbanistica Cristiano Erriu fa delle affermazioni tanto chiare quanto scorrette.

Come si conciliano le novità della legge urbanistica con le norme del Ppr? C’è il rischio di uno stop da parte dei giudici della Consulta?

La sentenza della Corte costituzionale (la n. 189/2016, n.d.r.) afferma che le norme del Ppr non possono essere derogate e in questa proposta di legge non cambia nulla. Nella fattispecie, tra i casi previsti dall’art. 20 del Ppr, si sta solo prendendo atto che la discrezionalità delle norme si è protratta ogni oltre ragionevolezza e che, quindi, se ne consente l’attuazione a chiunque rientri nelle condizioni stabilite, anche più restrittive, ma senza fare ricorso alle intese che hanno fatto discutere in questi anni“.

Quanto sostenuto dall’Assessore Erriu non sta in Cielo nè in Terra e nemmeno in Mare.     La disciplina del P.P.R. afferma testualmente riguardo la fascia costiera fascia costiera (“risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo“, art. 19 delle N.T.A. del P.P.R.) fuori dai centri abitati: “nelle aree inedificate è precluso qualsiasi intervento di trasformazione” (art.  20 delle N.T.A. del P.P.R.), mentre è consentita la “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti“.

Non si parla di nuove volumetrie o premi volumetrici che dir si voglia.

E la Corte costituzionale, con la sentenza n. 189/2016, ha affermato chiaramente che si tratta dell’unica interpretazione costituzionalmente corretta.

Il libro dei sogni di cemento possono anche rimetterlo nel cestino dei rifiuti.

La Nuova Sardegna, 18 marzo 2017

 

da La Nuova Sardegna, 18 marzo 2017

Urbanistica, premi di cubatura per gli alberghi anche entro i 300 metri dal mare: è scontro.

La nuova legge regionale fa cadere il tabù sulla fascia costiera. Ambientalisti contrari. (Umberto Aime)

CAGLIARI. Il tabù è caduto e presto potrebbero essere dolori. È ufficiale da giorni: la nuova legge urbanistica ha sdoganato anche gli inviolabili finora 300 metri dal mare. È quell’area superprotetta dalla Legge Galasso, dal Piano paesaggistico regionale e da diverse sentenze del Consiglio di Stato, tutte dello stesso segno: lì non può essere spostato neanche un mattone.

Il precedente. Una terra sacra e santa, i 300 metri, su cui due anni fa l’allora segretario del Pd ed ex governatore Renato Soru, padre storico del Ppr, fu molto minaccioso in una direzione del partito decisa a rivedere il vincolo . «Sulle coste – disse il 13 marzo del 2015 – noi del centrosinistra abbiamo fondato la nostra storia in difesa del paesaggio. Se cambiassimo idea, se facessimo delle concessioni, commetteremmo un grave errore». A quel tempo fra falchi, il vincolo non si tocca, e colombe, le deroghe sono possibili, fu raggiunto un compromesso notturno, per evitare contraccolpi sulla fresca alleanza di governo guidata da Francesco Pigliaru, eletto nel 2014. «La decisione sugli alberghi nella fascia costiera, come proposta dalla giunta, è rinviata alla prossima legge urbanistica».

Il presente. Sono trascorsi due anni e le colombe hanno riproposto lo stesso testo contestato. Fra i 113 articoli approvati giovedì, l’assessore all’urbanistica Cristiano Erriu ha inserito di nuovo gli alberghi sul mare, che ora avranno i metri cubi in più congelati nel 2015. Potranno aumentare le volumetrie del 25 per cento, perché «questi interventi – ha detto l’assessore – sono necessari in 40 strutture costruite negli anni sessanta, ormai fuori mercato e che non rispondono più agli standard internazionali». Con in allegato però anche bel po’ di prescrizioni: non potranno aumentare i posti letto ma solo «arricchire l’offerta con nuovi servizi, dai centri benessere alle aree congressi o sportive, oppure far crescere i metri quadri delle vecchie stanze». Nient’altro è autorizzato da quest’articolo che, sempre Erriu, ha commentato così: «Se vogliamo puntare alla destagionalizzazione, la Sardegna non può stare indietro rispetto alla concorrenza».

Gli scenari. Scritte le motivazioni e aggiunte anche due righe di spiegazione, bisognerà vedere quale sarà la reazione del centrosinistra e di Soru in particolare alla cancellazione del vincolo. È difficile ipotizzare che tutti rimangano in silenzio dopo quanto accaduto appena due anni fa a Oristano, con un incidente politico, seppure tutto interno al Pd, e rientrato solo all’ultimo momento grazie alla mediazione vincente del presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau. In conferenza stampa, l’altro giorno, Pigliaru ha detto sicuro: «Sono pronto – le sue parole – ad aprire il confronto con tutta la maggioranza sulla legge e sui suggerimenti che arriveranno». Ma nessuno della coalizione ha messo nel conto cosa potrebbe accadere se i toni ritornassero a essere aspri come lo sono stati in passato.

Confronto o scontro. Oggi non ci sarebbe certo più lo spazio per un nuovo armistizio: la legge andrà comunque avanti o tutt’al più potrà essere corretta. Ma è difficile solo pensare che Pigliaru ed Erriu rinuncino per la seconda volta al premio di cubatura concesso nei 300 metri dalla spiaggia. Nessun falco scatenerà certo la crisi e meno che mai dirompente come quella del 2008, quando Soru arrivò a dimettersi dopo il voto contrario del Consiglio su uno degli articoli della sua legge urbanistica. Da allora molto è cambiato, qualche sussulto di protesta ci sarà, Pigliaru dovrà muoversi con cautela ma sull’ex tabù – dicono quasi tutti – non cadrà e neanche scivolerà.

 

Alghero, costa di Punta Cristallo

17 marzo 2017

Legge urbanistica approvata dalla giunta: più potere ai Comuni e premi volumetrici.

L’esecutivo regionale guidato da Pigliaru vara le nuove regole del mattone in Sardegna: mix tra tutela del paesaggio e sviluppo. Novità per l’edilizia privata. (Umberto Aime)

 

costa di Teulada

 

dal sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna

Governo del territorio, via libera dalla Giunta al ddl. Pigliaru ed Erriu: testo unico che coniuga tutela paesaggistica e sviluppo.

Il presidente Pigliaru ha sottolineato come la qualità paesaggistica sia “la grande risorsa di sviluppo presente e futuro della Sardegna, il principale fattore di ricchezza”. Francesco Pigliaru ha poi aggiunto che il testo di legge che andrà alla discussione dell’Aula “nasce da una filosofia di rigorosa tutela del paesaggio”, spiegando come questa legge inserisca “elementi di flessibilità governata e virtuosa” all’attuale normativa, di cui propone un aggiornamento prudente, mirato all’equilibrio tra sostenibilità e sviluppo, rispetto ambientale e creazione di ricchezza e occupazione.

Lago di Baratz, paesaggio

CAGLIARI, 16 MARZO 2017 – La Giunta, nella seduta di oggi presieduta da Francesco Pigliaru, ha approvato il disegno di legge del Governo del territorio presentato dall’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu, il quale ieri mattina lo ha illustrato alla maggioranza in Consiglio regionale.

Il presidente Pigliaru ha sottolineato come la qualità paesaggistica sia “la grande risorsa di sviluppo presente e futuro della Sardegna, il principale fattore di ricchezza”. Francesco Pigliaru ha poi aggiunto che il testo di legge che andrà alla discussione dell’Aula “nasce da una filosofia di rigorosa tutela del paesaggio”, spiegando come questa legge inserisca “elementi di flessibilità governata e virtuosa” all’attuale normativa, di cui propone un aggiornamento prudente, mirato all’equilibrio tra sostenibilità e sviluppo, rispetto ambientale e creazione di ricchezza e occupazione.

“È una legge ambiziosa, innovativa e completa – spiega l’assessore Cristiano Erriu – che ha avuto una gestazione lunga 18 mesi perché ci siamo messi all’ascolto. I due ddl discussi e approvati oggi dalla Giunta ci consentiranno tra le varie cose di arrivare ad una legge organica dell’edilizia, per risolvere alcuni problemi applicativi. Combattiamo il concetto di redditività, ormai superato: vogliamo che l’attività imprenditoriale sia privilegiata rispetto alla rendita fondiaria. E negli ambiti urbani puntiamo al recupero dei tanti, troppi edifici esistenti che non sono utilizzati”.

Insieme a questo DDL, importante e atteso da tempo in tutta l’Isola, sono state approvate le Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia, un intervento di manutenzione che riguarda tre leggi regionali del passato: la n. 8 del 2015, la n. 23 del 1985 e la n. 45 del 1989. I due testi sono frutto di un intenso lavoro durato un anno e mezzo.
Il DDL Governo del territorio, uno dei pilastri su cui il presidente Francesco Pigliaru aveva basato la sua campagna elettorale tre anni fa, si pone alcuni obiettivi: semplificare l’intricata selva di leggi e norme del settore, riunendole in un Testo Unico di poco più di 100 articoli a fronte degli attuali 300; salvaguardare i princìpi contenuti nel Piano Paesaggistico regionale; tutelare l’ambiente e il paesaggio, garantendo però un corretto equilibrio con le esigenze di sviluppo economico sostenibile; dare maggiore slancio alle zone a vocazione rurale; ridurre il consumo del suolo, privilegiandone il riuso e la sua valorizzazione; sforbiciare in maniera netta i tempi d’attesa da parte di cittadini e imprese nei procedimenti urbanistici.

campo di grano

Ambiti rurali. Il DDL supera il dimensionamento astratto e indifferenziato delle superfici edificabili. In più, individua i criteri per il dimensionamento delle superfici minime e dei volumi edificabili in base alla vocazione dei suoli, alle esigenze delle colture e al requisito imprenditoriale dell’agricoltore.

Cagliari, cantieri edilizi nel centro storico

Ambiti urbani. Sono le aree già trasformate per la residenza, la produzione e i servizi. Il DDL prevede la rigenerazione e riqualificazione degli ambiti consolidati, insieme alla ricucitura di ambiti urbanizzati degradati o non connessi tra loro in maniera funzionale.
Le aree che non rientrano nelle precedenti classificazioni possono essere trasformate. Il Comune determina nel PUC il fabbisogno edificatorio e mette a bando quote di esso, secondo un programma temporale. I proprietari delle aree comprese in questo Ambito aderiscono al bando con proposte che evidenziano qualità e quantità degli interventi (servizi, compensazione ambientale, ecc.).
Gli insediamenti turistici già esistenti potranno adeguarsi alle esigenze della moderna ricettività, migliorando gli standard di strutture obsolete e non più competitive sul mercato internazionale. In questo modo saranno favorite la destagionalizzazione e l’occupazione.

Arzachena, Costa Smeralda, lavori suites Hotel Romazzino

Grandi progetti. Non saranno realizzati in deroga rispetto al Piano Paesaggistico Regionale, bensì seguendo tutte le procedure previste per la redazione del PPR. In sostanza, verranno applicati i meccanismi previsti dal Codice Urbani per la predisposizione dei Piani Paesaggistici.

L’intervista all’assessore dell’Urbanistica Erriu

 

 

Arbus, dune di Piscinas-Scivu

 

piano paesaggistico regionale – P.P.R., area Piscinas – Scivu

(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)

 

 


Un’idea semplice: tu sporchi, io pulisco.

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Arriva la primavera, tempo di gite fuori porta, di passeggiate, di escursioni lungo i sentieri dei nostri boschi.

Purtroppo, anche tempo di rifiuti abbandonati, bottigliette, buste di plastica, cartucce, lattine, e chi più ne ha più ne butti. Per fortuna, per ogni viandante incivile, ce n’è un altro che ama e rispetta la natura come se fosse casa propria e, quindi, ripulisce i boschi da ciò che viene abbandonato. Sono azioni virtuose, che dovrebbero diffondersi, diventare contagiose, per rendere questo mondo un po’ più bello e vivibile.

Gavino Meloni è uno di quegli amanti della natura, che la rispettano e la rendono migliore, per tutti. Pubblichiamo la sua lettera, con la speranza che in molti seguano il suo esempio.

Se anche voi siete tra le persone che ripuliscono il mondo (boschi, spiagge, aiuole, strade, vicoli o altro) mandateci le vostre esperienze in proposito, con foto e una breve descrizione di ciò che fate, diffondiamo le buone pratiche!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Buongiorno,

Mi chiamo Gavino Meloni,

Ho iniziato ad appassionarmi a di attività nell’ambiente naturale della Sardegna da bambino andando a caccia con mio padre e ho proseguito da adulto praticando diverse attività sportive. Attualmente sono iscritto all’elenco delle G.A.E. della R.A.S. col n77 e sono socio delle Soc. Keya Servizi Turistici (vedi sotto) che opera nel settore escursionistico da oltre 20 anni.

Una delle cose che mi sono state insegnate è il totale rispetto della natura e per questo che da sempre raccolgo tutto ciò che trovo di raccoglibile, dimenticato o abbandonato, lungo i numerosi percorsi della nostra bella isola. Cartucce esplose, bottiglie e buste di plastica, lattine, ruote d’auto, padelle, nastri plastificati per delimitare percorsi di gare in bici ed in motobustine di prodotti energetici ed tante altre cose altro sono la maggior parte del mio “bottino”. Alcuni oggetti di piccole dimensioni li ho conservati a testimonianza del lavoro fatto (vedi foto allegate a cui potrei aggiungerne qualche centinaio….).

Capita di vedere lungo sentieri e percorsi naturalistici (anche in zone protette) cartelli che invitano a non sporcare e riportare a casa i rifiuti. Insieme a questi messaggi non si potrebbe anche invitare anche a portar via le cose che si trovano, chiaramente nei limiti delle proprie possibilità di trasporto?

Sarebbe un ottimo sistema che nel tempo porterebbe a vedere montagne pulite con un minimo sforzo da parte di tutti, cacciatori e non.

Inoltre vedrei come buona norma che anche il personale dei cantieri forestali fosse coinvolto in tal senso …..

Buona Vita

Gavino Meloni


Il GrIG a “Buongiorno Cagliari Live! Show”.

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Vito Biolchini & Elio Turno Arthemalle

Martedi 21 marzo 2017 inizia la primavera e il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus approda, come il Cielo vuole, al “Buongiorno Cagliari Live! Show“, il programma in diretta di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle dalla Sala Volte dell’ExMa di Cagliari.Su Radio X, martedi 21 marzo 2017, alle ore 19.30, si parla di ambiente, salute, speculazione edilizia, Cagliari e il resto del mondo.

96,8 Mhz o sul tuo dispositivo mobile.

Ascolta e partecipa!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cagliari, panorama da Viale Buoncammino

(foto Radio X, S.D., archivio GrIG)


Ecco i tre piccoli porcellini!

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Bravissimo il Sindaco di Comiso Filippo Spataro!

I colleghi di tutta Italia dovrebbero seguire il suo esempio, senza alcuna offesa per i porcellini, quelli veri.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Selargius, località Sa Muxiurida, discarica abusiva (giugno 2016)

 

A.N.S.A., 20 marzo 2017 

Gettano rifiuti in strada, ripresi e messi online dal sindaco. Video Comune di Comiso con la canzone “Siam tre piccoli porcellin”.

Ripresi, multati e messi on line: è la scelta del sindaco di Comiso, Filippo Spataro, che ha pubblicato su canale Youtube del Comune, i video di suoi concittadini che trasformano delle strade in discarica. Il filmato, realizzato con le riprese del sistema di videosorveglianza del paese, è accompagnato con la canzone della filastrocca ‘Siam tre piccoli porcellin’. Le telecamere riprendono cittadini che dalle auto scaricano sacchetti di spazzature, ma anche frigoriferi e altri rifiuti ingombranti, in strade che sono così trasformate in discariche.

Le persone identificate sono state multate con 600 euro. Il sindaco Spataro aveva già preannunciato sulla sua pagina Facebook la diffusione del video affermando che continuerà la sua lotta a tutela della civiltà e della pulizia del paese e mettere in ridicolo chi sporca Comiso.

 

Quartucciu, discarica abusiva presso S.P. n. 94 e Lago Simbirizzi

(foto per conto GrIG)


Alberi nei giardini condominiali, come salvarli.

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albero in autunno

Una delle richieste che ci giunge più spesso riguarda la “difesa” degli alberi nei giardini condominiali.

Nei condomini delle nostre città – è noto – vivono persone di ogni tipologia, compresi gli odiatori degli alberi a oltranza.   Talvolta si trovano anche amministratori di condominio più o meno disinvolti, ma vi sono anche casi di alberi malati o pericolanti.  Per non far mancare nulla, accade anche che funzionari comunali diano indicazioni scorrette e così il caos regna felice sul condominio di turno.

Spesso sono i poveri alberi a farne le spese.

Veggiano, albero

Eppure gli alberi danno ogni giorno la vita alle città.     Sì, non solo offrono qualità ambientale, ma permettono la stessa possibilità di avere condizioni ambientali minimali per poter soggiornare e lavorare nelle nostre città.

Ecco perché anche i singoli alberi condominiali sono importanti, l’ha confermato autorevolmente la stessa Corte di cassazione (“i danni conseguenti al taglio degli alberi ad alto fusto – seppure presenti in un giardino condominiale – appaiono ‘irreversibili’ non solo per i condomini ma per tutti i cittadini”, Cass. pen., Sez. IV, 20 giugno 2005, n. 24396).

Ne abbiamo già parlato, ma ritorniamo sull’argomento, visto l’ampio interesse.

In via generale, il taglio degli alberi e delle piante condominiali necessita del consenso di tutti i condòmini, visto che si tratta della “distruzione” di un bene comune, un’innovazione altrimenti vietata (artt. 1120-1122 cod. civ.).

Gli alberi e le piante, infatti, sono da considerarsi “beni comuni” dei condòmini, in quanto l’elencazione operata dal codice civile (art. 1117) ha valore puramente esemplificativo (Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20249).   Si può prescindere dall’unanimità dei condòmini soltanto nel caso in cui l’albero o la pianta costituisca fonte di pericolo (es. rischio di caduta, malattia, ecc.) debitamente documentata con perizia da parte di professionista abilitato.

Lymantria dispar su un tronco d’albero

Molto interessante è la seguente massima giurisprudenziale: “…L’abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune, deve considerarsi un’innovazione vietata ai sensi dell’art. 1121 c.c. e, in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della spesa relativa all’abbattimento, possa costituire valida ratifica dell’opera fatta eseguire di propria iniziativa dall’amministratore … La delibera a sola maggioranza che prevede lo sradicamento degli alberi condominiali è nulla ed impugnabile in ogni tempo” (Corte d’Appello di Roma, 6 febbraio 2008, n. 478).

Non solo.   In caso di presenza di vincolo ambientale/paesaggistico discendente dalla legge (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) o, in Sardegna, dal piano paesaggistico regionale – P.P.R. (1° stralcio costiero), è necessario il preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) da parte del Servizio tutela paesaggistica regionale o del Comune sub-delegato, previo parere della competente Soprintendenza.

Per esempio, buona parte del territorio comunale di Cagliari è tutelato con il vincolo paesaggistico/ambientale e anche un eventuale taglio di alberi condominiali nelle zone tutelate necessita di autorizzazione paesaggistica.

Come far constatare la propria opposizione al taglio di alberi e piante condominiali in assenza di pericolo o malattia debitamente certificati?     Il condòmino dovrà inviare una raccomandata a.r. o via p.e.c. all’amministratore del condominio, significando la propria volontà contraria.    Nel caso in cui non se ne prenda atto, il condòmino può agire per il risarcimento del danno in sede civile.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

albero e neve

(foto per conto GrIG, E.R., M.F., S.L., archivio GrIG)



Una centrale idroelettrica sul Fiume Peccia senza le autorizzazioni ambientali!

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Fiume Peccia (foto Giuseppe Giovini, da http://www.roccadevandro.net)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (22 marzo 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione di opportuni interventi riguardo un sostanzialmente unico progetto di centrale idroelettrica di contenuta potenza (complessivi 100 MWe) suddiviso in tre moduli produttivi di energia lungo il Fiume Peccia, nelle località Zappatina e Peccia, in Comune di Rocca d’Evandro (CE).

Coinvolti il Ministero dell’Ambiente (Ministro e Direzione generale valutazioni ambientali), il Ministero per i Beni e Attività Culturali (Ministro e Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Caserta), la Regione Campania (Direzione generale Ambiente, Direzione generale Sviluppo economico), l’A.R.P.A.C., informata per opportuna conoscenza la Commissione europea.

Rocca d’Evandro, demanio civico Feudo Vandra

E’ stata chiesta la revoca o l’annullamento in sede di autotutela delle autorizzazioni rilasciate (decreti Direzione Generale Sviluppo Economico e le Attività Produttive della Regione Campania n. 253, 254 e 255 del 28 dicembre 2016) in favore della Società Sviluppo Industriale s.r.l. (con sede in Provincia di Belluno), in quanto non sono stati svolti i preventivi e vincolanti procedimenti di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.), necessari per la potenza complessiva dei tre moduli dell’unico impianto idroelettrico e per l’ubicazione, contigui ai siti di importanza comunitaria (S.I.C.) “Monti di Mignano Monte Lungo” (codice IT7212176) e “Fiume Garigliano” (codice IT6040025).

corso d’acqua nel bosco

Incredibilmente, proprio per il contrasto con le esigenze di salvaguardia ambientale del Fiume Peccia, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Caserta aveva preannunciato (nota prot. 3619 del 25 marzo 2015) in sede di conferenza di servizi, il proprio “parere negativo sull’autorizzazione all’installazione ed all’esercizio di un impianto Idro per la produzione di energia elettrica, della potenza di 0,40 MW ubicato nel Comune di Rocca d’Evandro, adducendo i seguenti motivi: i tre previsti interventi non possono essere esaminati separatamente, ma congiuntamente perché intervengono in un unico contesto paesaggistico, frutto dell’eco-sistema del tratto terminale del Fiume Peccia. Quest’ultimo eco-sistema, considerato dalla letteratura scientifica (v. C.F. Boni, P. Bono, Segnalazioni di un gruppo di grandi sorgenti nel bacino del Fiume Peccia, affluente del Garigliano, Ist. di Geologia e Paleontologia dell’Università di Roma) il trend-union fra gli eco-sistemi, tutelati quali siti comunitari dei “Monti di Mignano Monte Lungo” e del “Fiume Garigliano”. L’allegato 3 “Criteri per l’individuazione di aree non idonee”, comma 1, lett. f) del D.M. 10 settembre 2010 “linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” suggerisce di ritenere non idonee aree di connessione e continuità ecologico-funzionale tra i vari sistemi naturali. Il suggerimento legislativo, da intendersi a priori non come divieto assoluto, sull’idoneità del sito impone un’attenta valutazione di merito. La decisione del proponente di “spacchettare” in tre gli interventi pregiudica la visione totalitaria delle ricadute sull’eco-sistema e di riflesso sul paesaggio e influisce in pejus su un giusto e ponderato giudizio”.

Nonostante ciò, il formale parere negativo non sembra sia stato mai emanato.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica un rapido intervento delle Amministrazioni Pubbliche competenti per la salvaguardia del Fiume Peccia e dei suoi habitat.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

acqua e gemme

(foto Giuseppe Giovini, da http://www.roccadevandro.net, L.M., S.D., archivio GrIG)


Maltrattamento di animali.

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Paradosso dei paradossi: anche una persona amante degli altri animali (magari vegetariana e pure vegan) può esser responsabile del reato di maltrattamento di animali di cui all’art. 727 cod. pen.

Accade quando vengano tenuti “all’interno di un locale chiuso concesso in comodato d’uso, 25 gatti selvatici (rectius, liberi, n.d.r.) e un cavallo, in condizioni ambientali incompatibili con la natura degli stessi animali, a causa delle quali essi avevano patito gravi sofferenze”, in quanto “il locale si trovava in pessime condizioni igieniche, con il pavimento completamente imbrattato di feci e di urina frammiste a segatura e sporcizia varia, tali da provocare esalazioni ammoniacali urticanti ed a contaminare il cibo e l’acqua”.

In tali casi, sarebbe necessario modificare le proprie abitudini, perché chi ne soffre le conseguenze sono proprio quegli altri animali che si amano alla follìa.

Gatto (Felis catus)

La giurisprudenza penale in materia è chiara e univoca e la sentenza Cass. pen., Sez. III, 1 marzo 2017, n. 10009 si inserisce in tale linea interpretativa: “il reato in questione è integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario (Sez. 3, Ordinanza n. 6415 del 18/01/2006, dep. 21/02/2006, Bollecchino, Rv. 233307), di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, dep. 17/02/2015, Garnero, Rv. 262529; Sez. 3, n. 37859 del 4/06/2014, dep. 16/09/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184). Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti (Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, dep. 7/01/2008, Mollaian, Rv. 238602), la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso (Sez. 3, n. 28700 del 20/05/2004, dep. 1/07/2004, Fiorentino, Rv. 229431). La condotta in esame, peraltro, può essere integrata anche con una condotta colposa del soggetto agente (Sez. 3, n. 21744 del 26/04/2005, dep. 9/06/2005, P.M. in proc. Duranti ed altri, Rv. 231652), trattandosi di contravvenzione non necessariamente dolosa (Sez. 3, n. 32837 del 16/06/2005, dep. 2/09/2005, Vella, Rv. 232196)”.

La predisposizione di un locale dove tener rinchiusi numerosi esemplari di più specie animali senza il rispetto delle minime condizioni igieniche costituisce condizione “sufficiente a integrare la fattispecie contestata”, indipendentemente dall’insorgenza di specifiche malattie e a prescindere da qualsiasi giustificazione (“misura dettata a salvaguardia” dei felini, “condizioni igieniche riscontrate nel locale …e simili a quelle in cui sarebbero soliti vivere i gatti randagi nonché alle condizioni che, ordinariamente, si rinverrebbero nelle stalle”).

Così la mancata somministrazione dei prescritti medicinali (antidolorifico) e della ferratura correttiva per ovviare alla zoppìa del Cavallo ha portato “anche l’esemplare equino ad una forte afflizione fisica, suscettibile di integrare il reato di cui all’art. 727 cod. pen. come interpretato alla luce dei ricordati orientamenti giurisprudenziali”.

Un’indicazione giurisprudenziale autorevole che aiuta il buon senso nei rapporti con gli altri animali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Toscana, cavalli al pascolo

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 23 marzo 2017

Cass. Sez. III n. 10009 del 1 marzo 2017 (Ud. 23 nov 2016)
Pres. Amoresano Est. Renoldi Imp. Portioli
Caccia e animali. Reato di cui all’art. 727 cod. pen.

Il reato di cui all’art. 727 cod. pen. è integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario, di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso. La condotta in esame, peraltro, può essere integrata anche con una condotta colposa del soggetto agente, trattandosi di contravvenzione non necessariamente dolosa.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza in data 20/04/2015 del Tribunale di Busto Arsizio, Monica Portioli fu condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di 2.000,00 euro di ammenda in quanto riconosciuta colpevole, con le attenuanti generiche, della contravvenzione di cui all’art. 727 cod. pen., commessa il 17/03/2012 in Origgio.

Secondo quanto era, infatti, emerso nel corso del giudizio di primo grado, l’imputata si era resa responsabile di avere mantenuto, all’interno di un locale chiuso concesso in comodato d’uso, 25 gatti selvatici e un cavallo, in condizioni ambientali incompatibili con la natura degli stessi animali, a causa delle quali essi avevano patito gravi sofferenze. Ciò in quanto, da un lato, il locale si trovava in pessime condizioni igieniche, con il pavimento completamente imbrattato di feci e di urina frammiste a segatura e sporcizia varia, tali da provocare esalazioni ammoniacali urticanti ed a contaminare il cibo e l’acqua, sicché i felini presenti, già sofferenti in considerazione dello stato di cattività nel quale erano stati costretti nonostante la loro abitudine a vivere in una condizione di libertà, avevano patito rilevanti sofferenze fisio-psichiche; dall’altro lato, il cavallo presentava uno stato di marcata sofferenza fisica legato alla mancata somministrazione di antidolorifici e alla mancata adozione di misure ortopediche, quali un’adeguata ferratura agli zoccoli anteriori, atte a lenire il dolore derivante dalla grave zoppia che lo affliggeva.

  1. Avverso la predetta sentenza Monica Portioli ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore fiduciario, denunciando, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod, proc. pen., l’erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla prova dei fatti ascritti all’imputata; ed ancora l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 727, comma 2, cod. pen..

Sotto un primo profilo, la ricorrente sottolinea che alcuni dei gatti rinvenuti nel locale sarebbero stati animali domestici, in parte di proprietà della stessa Portioli, in parte di altri abitanti della cascina Maestroni, ove gli animali erano ricoverati, sicché la circostanza che essi fossero custoditi in un ambiente chiuso, non configurerebbe alcun vulnus alla loro natura.

Sotto un altro aspetto, la riscontrata fobia di alcuni dei felini in occasione dell’accesso del personale della A.S.L. sarebbe potuta essere riconducibile non tanto ad una condizione di sofferenza, come invece argomentato nella pronuncia impugnata, quanto piuttosto alla loro natura di animali selvatici, come tali non abituati al contatto con l’uomo. Una condizione, questa, che sarebbe stata comune anche agli animali domestici, scarsamente adusi a contatti diretti con persone diverse da quelle dei loro proprietari.

Ancora: nessuna prova sarebbe stata acquisita in ordine al rapporto di derivazione causale tra la condizione in cui venivano custoditi e le patologie (malattie respiratorie e A.I.D.S. felino) dalle quali alcuni esemplari erano risultati affetti, essendo del tutto plausibile che tali affezioni pre-esistessero al loro ricovero presso il locale e che fossero riconducibili proprio alla accertata condizione di randagismo. Inoltre, l’accoglienza dei felini all’interno del locale, lungi dal configurarsi come uno sterile esercizio di crudeltà nei confronti degli animali, sarebbe stata giustificata proprio dalla necessità di salvarli dai pericoli, non ultimo quello di essere uccisi dal proprietario della cascina, Vincenzo Maestroni, il quale aveva minacciato di eliminarli a causa della situazione di rischio per gli altri animali che la loro presenza avrebbe determinato.

Quanto, poi, alle condizioni igieniche, esse sarebbero state non molto diverse da quelle nelle quali, ordinariamente, vivrebbero i gatti randagi nonché dalle condizioni che si rinverrebbero nelle stalle, in specie in quelle in cui sono allestiti allevamenti bovini, sicché, anche sotto tale profilo, il reato contestato sarebbe insussistente, tanto più che gli animali venivano sfamati quotidianamente e che erano stati adottati alcuni accorgimenti (quali segatura, paglia e fieno) per tenere pulito il luogo.

Con riferimento, infine, al cavallo, nel corso dell’istruttoria sarebbe pacificamente emerso che l’animale era affetto da una patologia ingravescente ed incurabile, la cui unica alternativa sarebbe stata quella di sopprimerlo. Inoltre, ove si fosse provveduto a somministrargli l’antidolorifico, il cavallo, non avvertendo dolore, avrebbe potuto assumere posizioni non corrette che avrebbero potuto aggravare ulteriormente la sua già precaria condizione; sicché, in definitiva, la decisione di sospendere il trattamento farmacologico sarebbe stata corretta. In ogni caso l’animale non sarebbe stato abbandonato, essendo pacificamente emerso che esso riceveva una adeguata alimentazione ed era sufficientemente curato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è infondato.
  2. L’art. 727 cod. pen., rubricato “abbandono di animali”, punisce, al comma 2, la condotta di colui il quale “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato in questione è integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario (Sez. 3, Ordinanza n. 6415 del 18/01/2006, dep. 21/02/2006, Bollecchino, Rv. 233307), di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, dep. 17/02/2015, Garnero, Rv. 262529; Sez. 3, n. 37859 del 4/06/2014, dep. 16/09/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184). Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti (Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, dep. 7/01/2008, Mollaian, Rv. 238602), la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso (Sez. 3, n. 28700 del 20/05/2004, dep. 1/07/2004, Fiorentino, Rv. 229431).

La condotta in esame, peraltro, può essere integrata anche con una condotta colposa del soggetto agente (Sez. 3, n. 21744 del 26/04/2005, dep. 9/06/2005, P.M. in proc. Duranti ed altri, Rv. 231652), trattandosi di contravvenzione non necessariamente dolosa (Sez. 3, n. 32837 del 16/06/2005, dep. 2/09/2005, Vella, Rv. 232196).

  1. La sentenza impugnata si è mossa nell’ambito della menzionata cornice giurisprudenziale di riferimento, esplicitando, in maniera puntuale, le ragioni per le quali i fatti emersi all’esito dell’approfondita istruttoria sono stati ritenuti sussumibili nella fattispecie contestata.

Le censure mosse dalla ricorrente, invero, configurano, in diversi passaggi, il tentativo di accreditare ipotesi alternative di ricostruzione degli elementi di fatto della vicenda. E’ il caso, innanzitutto, dell’allegazione secondo cui alcuni dei gatti rinvenuti nel locale sarebbero stati animali domestici, sicché la circostanza che essi fossero custoditi in un ambiente chiuso, non configurerebbe alcuna violazione della loro natura. Ed è il caso dell’affermazione secondo cui la fobia manifestata da alcuni dei felini in occasione dell’accesso del personale della A.S.L. sarebbe potuta essere riconducibile non ad una condizione di sofferenza dei gatti, quanto piuttosto alla loro natura di animali selvatici.

E’ di tutta evidenza come tali prospettazioni, fondate su congetture o ipotetiche ricostruzioni della vicenda fattuale, non possano ammettersi in una sede quale quella del giudizio di legittimità, funzionalmente deputata al controllo sulla logicità del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito per giustificare la propria decisione. Costituisce, infatti, principio ormai consolidato alla elaborazione di questa Corte quello secondo cui al giudice di legittimità non è consentito ipotizzare alternative opzioni ricostruttive della vicenda fattuale, sovrapponendo la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, saggiando la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argonnentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; in termini v. Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Sostanzialmente inconferenti, sul piano logico, sono poi le considerazioni difensive secondo cui l’accoglienza dei felini all’interno del locale avrebbe rappresentato una misura dettata a salvaguardia degli stessi, dinnanzi alle plurime fonti di pericolo per la loro incolumità. Ciò che, infatti, è stato contestato ed ha condotto il primo giudice ad affermare la responsabilità dell’imputata per il reato ascrittole non va individuato nell’aver allestito un riparo per gli animali, quanto nell’aver predisposto un locale chiuso, nel quale non venivano assicurati i necessari interventi di pulizia, diretti a impedire che dalla fermentazione delle deiezioni e, comunque, dalle emissioni organiche, potessero derivare, come invece accertato, affezioni delle vie respiratorie o irritazioni alle mucose, in specie degli occhi dei gatti (v. la deposizione della dott.ssa Franco riportata, in sintesi, a pag. 4 della sentenza). Ed altrettanto è a dirsi con riguardo alla affermazione secondo cui le condizioni igieniche riscontrate nel locale, sarebbero state simili a quelle in cui sarebbero soliti vivere i gatti randagi nonché alle condizioni che, ordinariamente, si rinverrebbero nelle stalle. Tale affermazione, fondata su evanescenti massime di esperienza, postula in ogni caso un accertamento in fatto che il giudice di merito ha, comunque, effettuato, anche sulla scorta del chiaro tenore delle dichiarazioni rese dal personale della A.S.L., sottolineando come le condizioni igieniche fossero assolutamente compromesse (si veda, ancora, quanto dichiarato dalla dott.ssa Franco, secondo cui l’aria, nel locale, era irrespirabile e non consentiva di tenere gli occhi aperti) e come, da tale situazione, fossero conseguite le già richiamate affezioni respiratorie e, all’un tempo, la condizione di fortissimo disagio degli animali, estremamente reattivi e fobici. Sotto questo profilo, peraltro, assume ben poco rilievo la circostanza che, come correttamente sottolineato dal ricorso, non sia stata adeguatamente ricostruita l’eziologia dell’A.I.D.S. felina, richiamata, per la prima volta, dal giudice di merito a pag. 8 della sentenza come dato di fatto adeguatamente riscontrato, sia pure per alcuni soltanto degli esemplari, e apoditticamente posto in relazione alla situazione di stress e di promiscuità degli animali. Infatti, la già sottolineata condizione dei felini doveva ritenersi sufficiente a integrare la fattispecie contestata, indipendentemente dalla eventuale presenza della predetta sindrome immunodepressiva.

3.1. Le considerazioni che precedono possono essere riproposte anche con riferimento al cavallo rinvenuto nel medesimo locale, rispetto al quale si eccepisce che l’animale non sarebbe stato abbandonato, dal momento che lo stesso avrebbe ricevuto una adeguata alimentazione e sarebbe stato sufficientemente curato.

Tale circostanza, pur dimostrata, non oblitera, tuttavia, il dato relativo alla mancata somministrazione dell’antidolorifico, da cui era derivata, per l’esemplare equino, una pacifica condizione di forte sofferenza fisica, suscettibile di integrare la contravvenzione contestata. Non determinante è, in proposito, l’argomento difensivo secondo cui ove gli fosse stato somministrato il trattamento farmacologico, il cavallo, non avvertendo dolore, avrebbe potuto assumere posizioni non corrette che avrebbero potuto aggravare ulteriormente la sua già precaria condizione. Ciò in quanto, come osservato in sentenza, sarebbe stato possibile applicare, unitamente al predetto trattamento, la ferratura ortopedica, con ciò consentendo una equilibrata distribuzione del peso dell’animale e, corrispondentemente, una attenuazione dei forti dolori che lo affliggevano. Ciò che, come detto, l’imputata colpevolmente non fece, sottoponendo anche l’esemplare equino ad una forte afflizione fisica, suscettibile di integrare il reato di cui all’art. 727 cod. pen. come interpretato alla luce dei ricordati orientamenti giurisprudenziali.

  1. Conclusivamente, a fronte della evidenziata infondatezza delle doglianze dedotte, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23/11/2016

 

Cavallino della Giara

 

(foto da mailing list animalista, E.R., S.D., archivio GrIG)


Un chiosco sul Ginepro, a Stintino.

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Stintino, l’Approdo, chiosco sul Ginepro

Può la base di un chiosco per servizi balneari poggiare su un povero Ginepro?

A Stintino, sulla spiaggia dell’Approdo, sì.

Il Comune di Stintino, con provvedimento S.U.A.P. n. 3 del 19 gennaio 2016, ha autorizzato il Windsurfing Center Stintino a posizionare “una nuova struttura precaria ad uso esclusivo di deposito, scuola vela e noleggio imbarcazioni” nell’area della spiaggia già in concessione a L’Approdo.

Sulle dune e nelle relative aree di rispetto, però, non si possono ubicare strutture simili, tantomeno sui Ginepri.

Stintino, L’Approdo, attrezzature balneari su spiaggia e dune

Men che meno potrebbero esser realizzati eventuali collegamenti alle reti dei sottoservizi (acqua, scarichi, ecc.), che renderebbero le strutture precarie di fatto strutture permanenti.

La spiaggia dell’Approdo è parte del demanio marittimo (art. 822 e ss. cod. civ.), è tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e con vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993, piano paesaggistico regionale – 1° stralcio costiero).  Dune e relative fasce di rispetto sono tutelate (art. 3, lettera g) dalle annuali ordinanze balneari della Regione autonoma della Sardegna.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, inoltrato (24 marzo 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione di opportuni provvedimenti in seguito agli accertamenti di legge alla Regione autonoma della Sardegna (Direzioni generali della Pianificazione territoriale e vigilanza edilizia e degli Enti Locali), alla Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari, al Corpo forestale e di vigilanza ambientale, alla Delegazione di spiaggia di Stintino.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus chiede la salvaguardia di dune e spiaggia dell’Approdo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Giglio di mare (Pancratium maritimum)

(foto per conto GrIG, archivio GrIG)


Il Governo Gentiloni cerca di snaturare la normativa sulla valutazione di impatto ambientale!

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Trieste, la “ferriera” di Servola dal mare

La direttiva n. 2014/52/UE ha integrato e modificato la direttiva n. 2011/92/UE sulla valutazione di impatto ambientale (qui il testo coordinato delle direttive sulla V.I.A.).

Ora gli Stati membri devono darvi esecuzione e il Governo Gentiloni ha approvato lo Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

In seguito dovrà acquisire il parere delle Commissioni parlamentari competenti e il parere della Conferenza permanente Stato – Regioni – Province autonome.

Il testo proposto dal Governo Gentiloni rappresenta un salto indietro di trent’anni, con sensibili profili di incostituzionalità oltre a non costituire corretta attuazione degli obiettivi della nuova direttiva V.I.A.

Lo denunciamo a gran voce e faremo di tutto per evitare questo disastro ambientale e sociale annunciato.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

GRANDI REGALI AI PETROLIERI NEL DECRETO PROPOSTO DAL GOVERNO A REGIONI E PARLAMENTO PER LA NUOVA V.I.A.

ESCAMOTAGE PER NON FAR SMONTARE PIATTAFORME E RELATIVI GASDOTTI E OLEODOTTI SOTTOMARINI A FINE VITA: VANTAGGIO DI CENTINAIA DI MILIONI DI EURO PER LE MULTINAZIONALI.
Prospezione in mare con airgun e coltivazione di idrocarburi in mare e a terra con produzione fino a 182.500 tonnellate di petrolio o 182,5 milioni di Mc di gas annua non faranno la V.I.A. obbligatoria.
Si deciderà caso per caso se andare a V.I.A. senza alcun contraddittorio con cittadini ed enti locali.

Associazioni, movimenti e comitati a regioni e Parlamentari: cambiare radicalmente il Decreto.

Balena (da National Geographic)

Il Governo ha trasformato la bozza di Decreto per il recepimento della nuova direttiva VIA comunitaria appena inviato in Parlamento in un mega-regalo per i petrolieri mettendo il bavaglio ai cittadini e agli enti locali su decine di progetti e permettendo di non smantellare le piattaforme e i relativi gasdotti e oleodotti in mare.

Infatti nella proposta governativa si nasconde una miriade di favori grandi e piccoli alle multinazionali. Alcuni di questi riguardano tutti i progetti, come la V.I.A. “in sanatoria”, alla quale potranno accedere tutti, anche i petrolieri. Idem la norma pazzesca ed anticostituzionale secondo la quale i cantieri e le attività potranno continuare pure se si scopre che un’opera non ha fatto la V.I.A. oppure se un ente locale o un’associazione vince al TAR facendo decadere il parere favorevole.

Oggi però vogliamo concentrarci sui regali specificatamente inventati dal Governo a favore dei petrolieri.

Sarroch, impianti petrolchimico (da Google Earth)

In primo luogo all’Art.25, “Disposizioni attuative” si prevede un escamotage per evitare a fine produzione alle multinazionali di dover smontare le piattaforme oggi esistenti (o quelle ancora da costruire) nonchè gasdotti e oleodotti sottomarini a queste connessi. Infatti al comma 6 si prevede un Decreto del Ministro dello Sviluppo, di concerto con il Ministro dell’Ambiente, con semplice parere della Conferenza tra stato e regioni, con cui si prevedono le “linee guida per la dismissione mineraria o destinazione ad altri usi delle piattaforme per la coltivazione di idrocarburi in mare e delle infrastrutture connesse”. Già immaginiamo i mille e fantasiosi usi che verranno proposti per queste strutture.

Un vantaggio di centinaia di milioni di euro, visto che ci sono decine di piattaforme da smantellare e centinaia di chilometri di tubazioni posate sul fondo marino da bonificare. Materiali che rilasciano sostanze nell’ambiente.

Veniamo ora alle procedure sui progetti petroliferi da approvare e al bavaglio previsto per cittadini ed enti locali su molteplici progetti, alcuni dei quali già in corso di autorizzazione con forte opposizione sul territorio.

Gallura, cantiere edile sulla costa

Attualmente il Testo Unico dell’Ambiente D.lgs.152/2006 prevede che tutte le attività del settore siano sottoposte direttamente a Valutazione di Impatto Ambientale, dalla prospezione in mare con la tecnica dell’airgun fino alla coltivazione dei giacimenti, passando per lo scavo dei pozzi, con una fase pubblica di 60 giorni per cittadini ed enti locali per depositare osservazioni. Sui progetti di airgun, ad esempio, ci sono sempre decine di osservazioni di enti e associazioni e un dibattito fortissimo. Proprio come deve avvenire in uno stato democratico avanzato!

Le direttive comunitarie sulla VIA che si sono succedute, compresa l’ultima, la 52/2014/UE, hanno previsto due liste di progetti. Quelli inseriti nella prima devono sempre fare da subito la V.I.A. completa. Per quelli inseriti nella seconda la Direttiva demanda allo Stato membro di decidere se fare direttamente la V.I.A. o effettuare prima una verifica di assoggettabilità a V.I.A. (screening) sulla base delle condizioni specifiche del proprio territorio e anche della sensibilità della popolazione sugli specifici temi. In Italia sulla questione petrolifera negli ultimi anni c’è stata una fortissima mobilitazione di enti e cittadini.

simulazione posa gasdotto (Studio Newton, Fano)

In un paese estremamente vulnerabile per i rischi ambientali, da quello sismico a quello idrogeologico, con problemi rilevanti per la qualità dell’aria e dell’acqua, con una densità di popolazione molta alta, beni artistici diffusi, in un territorio unico per le produzioni enogastronomiche, uno si aspetterebbe la massima cautela. Per una volta era accaduto! Infatti si è optato per un regime rigoroso e cautelativo, sottoponendo anche alcuni progetti della seconda lista, le prospezioni con airgun o esplosivi, e tutti i progetti di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, a V.I.A. diretta.

Oggi il Governo, modificando gli allegati del Testo Unico dell’Ambiente (art.22 della bozza di decreto), sceglie di abbassare le tutele invece di confermarle o aumentarle scegliendo per decine di progetti di fare prima lo screening, togliendo pure il contraddittorio con cittadini, associazioni ed enti locali.

Il mix delle nuove norme rischia infatti di essere micidiale.

Tutte le prospezioni, sia con airgun in mare sia con esplosivi, e i progetti petroliferi di coltivazione di giacimenti con produzione fino a 182.500 tonnellate di petrolio o 182 milioni di Mc di gas annua, cioè praticamente la gran parte di quelli del paese, invece di fare la V.I.A. come avviene oggi potranno partire con il semplice screening.

Masua, scarico di fanghi tossici in mare (1978)

Inoltre, mentre oggi per questo tipo di procedura il proponente deve depositare i documenti del progetto preliminare e uno studio preliminare ambientale, seguiti da una fase di 45 giorni per le osservazioni del pubblico, con il nuovo Decreto (Art.8 della bozza) scomparirà la fase delle osservazioni del pubblico e dovrà essere pubblicato esclusivamente lo Studio preliminare Ambientale (di solito alcune decine di generiche paginette) e non gli elaborati progettuali. Solo eventuali nuovi pozzi dovranno fare la V.I.A. diretta.

Esistono numerosi giacimenti in cui i pozzi sono stati scavati nel passato e vi è la procedura di V.I.A. in corso per la sola coltivazione. Ad esempio, a Comacchio, a S. Maria Nuova nelle Marche oppure a Bomba in Abruzzo. Non è che siccome i pozzi ci sono già non esistono più problemi ambientali potenziali derivanti dalla coltivazione del giacimento. Anzi! La fase estrattiva può avere effetti enormi in aree densamente abitate e delicate dal punto di vista ambientale (Comacchio è sito UNESCO!), dalla subsidenza alla sismicità indotta, passando per la modifica della qualità delle acque, alla gestione dei rifiuti prodotti. Le sole acque di produzione possono ammontare a milioni di mc. Ecco, le nuove procedure per questi progetti partiranno dal solo screening senza contraddittorio mentre le procedure di V.I.A. già in essere potranno essere pure riconvertite nel procedimento più favorevole!

macchia mediterranea, sole, mare

Il Decreto prevede l’obbligo di dare una risposta sulla necessità o meno della V.I.A. completa entro 60 giorni dal deposito. Quindi la decisione del Ministero dell’Ambiente potrà avvenire anche entro un’ora senza che nessun cittadino o ente locale possa avere anche solo il tempo per accorgersi del deposito del progetto. Una procedura totalmente illegittima in quanto la Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Unione Europea e dall’Italia con la legge 108/2001, prevede che per tutti i progetti, anche non sottoposti a V.I.A., che possono avere impatti potenziali sull’ambiente, deve essere assicurata la possibilità e tempi congrui per il deposito di osservazioni da parte dei cittadini.

centrale eolica a mare

Ovviamente chiediamo alle Regioni che dovranno dare il parere alla Conferenza Stato-Regioni e ai parlamentari di aprire immediatamente un fronte con il Governo affinchè la tutela ambientale e sanitaria risponda a principi rigorosi con alti standard di qualità e non vi siano escamotage o giochi al ribasso assicurando il diritto dei cittadini e degli enti di partecipare alla definizione del futuro del proprio territorio.

sottoscrivono

Organizzazioni nazionali:

FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA,

COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV,

ASSOCIAZIONE MEDITERRANEA PER LA NATURA ONLUS,

GRUPPO D’INTERVENTO GIURIDICO ONLUS,

RETE NAZIONALE NO GEOTERMIA ELETTRICA SPECULATIVA ED INQUINANTE,

ASSOCIAZIONE ANTIMAFIE RITA ATRIA,

PEACELINK,

NUOVO SENSO CIVICO ONLUS

ALTURA

Organizzazioni territoriali:

COMITATI AMBIENTALISTI LOMBARDIA,

COLLETTIVO ALTREMENTI VALLE PELIGNA,

LIPU ABRUZZO,

CAST (Comitato Ambiente Salute e Territorio),

ASSOCIAZIONE AMBIENTE E SALUTE NEL PICENO,

ABRUZZO BENI COMUNI,

COMITATI CITTADINI PER L’AMBIENTE DI SULMONA,

PESCARA PUNTO ZERO,

FORUM ABRUZZESE DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA,

STAZIONE ORNITOLOGICA ABRUZZESE ONLUS,

COMITATO CONTRO LO STOCCAGGIO DI SAN MARTINO SULLA MARRUCINA,

COORDINAMENTO DEI COMITATI “NO ELETTRODOTTO VILLANOVA-GISSI-FOGGIA”, COMITATO NO POWERCROP,

SALVIAMO L’ORSO,

CIRCOLO VALORIZZAZIONE TERRE PUBBLICHE,

COMITATO “LA DIFESA”, COMITATO NO INCENERITORE VAL DI SANGRO,

SALVIAMO LA PIANA

ASSOCIAZIONE “I CITTADINI” – VILLAFRANCA TIRRENA.

 

Sardegna, ginepro sul mare

(foto National Geographic, Raniero Massoli Novelli, A.N.S.A., smuluazione Studio newton – Fano, S.D., archivio GrIG)


Lo Stato non c’è? Armiamoci!

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Roma, Corte di cassazione

Angelo Raffaele Mascolo è un Giudice delle Indagini Preliminari (G.I.P.) presso il Tribunale di Treviso.

Dalle sue parole, riferite a riflessioni dettate da un fatto personale, traspare una necessità di farsi giustizia da soli, perché “lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio”.

In realtà, una pattuglia dei Carabinieri, che evidentemente controllava il territorio, gli ha risolto il problema personale, un sorpasso azzardato, a quanto è dato capire.

Un giudice che afferma “che lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio, nel quale, a qualunque latitudine, scorazzano impunemente delinquenti di tutti i colori, nonostante gli sforzi eroici di poliziotti anziani … mal pagati e meno ancora motivati dall’alto e, diciamolo pure, anche dallo scarso rigore della Magistratura” è come un papa che se ne esca con un “Dio è morto”.

Coerenza vorrebbe che si dimettesse il giorno stesso, visto che anche lui fa la sua parte.

Maracalagonis, demolizione complesso abusivo in loc. Baccu Mandara (2002)

Se dovessimo dargli retta e ci facessimo giustizia da soli, da domani metteremmo tre ruspe in fila e andremmo a buttar giù tutti quelli ritenuti abusi edilizi.    Oppure andremmo a compiere “arresti popolari” di tutti quelli considerati speculatori dell’energia.  Per non parlare dei bracconieri o supposti tali: non ne rimarrebbe uno libero.

Il G.I.P. Mascolo è quello che nel luglio 2016, scarcerando due finanzieri che avevano ricevuto un orologio da 5 mila euro da un imprenditore al termine di una verifica fiscale, aveva detto serenamente: “non giustifico ma comprendo queste dazioni: è un modo per voler rimanere in buoni rapporti tra imprenditoria e guardia di finanza”.   In precedenza, aveva liberato maestri che prendevano a calci gli alunni, rapinatori ed era riuscito “a smaltire 69 processi in appena 195 minuti”.

Per carità, avrà avuto le sue buone ragioni giuridiche, ma pare proprio che la sua parte nel rendere questa povera Italia così com’è l’abbia fatta pure lui.

Però del suo Far West personale non sappiamo proprio che farcene.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Bussi, discarica abusiva, Carabinieri del N.O.E.

 

da La Tribuna di Treviso, 24 marzo 2017

La lettera del giudice di Treviso Angelo Mascolo: “Io, minacciato sulla strada, cosa succede se sparo?”

La lettera del giudice del tribunale di Treviso Angelo Mascolo: “Il problema della legittima difesa è un problema di secondo grado, come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature e, cioè, che lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio”. (Angelo Mascolo)

“Qualche sera fa, tornando da una cena, ho avuto la cattiva idea di sorpassare una Bmw. Qualcuno a bordo si è offeso, ed è cominciato un inseguimento a colpi di fari abbaglianti e di preoccupanti avvicinamenti. Direte voi: finalmente capita a un giudice la rogna! Non fino in fondo, però, perché fortuna ha voluto che raggiungessi una pattuglia di Carabinieri, che segnalassi loro i miei inseguitori e che questi, bloccati, venissero a buoni consigli, dicendo che “abbiamo seguito il signore per esprimere le nostre critiche sul suo modo di guidare”. Pensa te.

Qui si pone un problema: se fossi stato armato, come è mio diritto e come sarò d’ora in poi, che sarebbe successo se, senza l’intervento dei Carabinieri, le due facce proibite a bordo della Bmw mi avessero fermato e aggredito, come chiaramente volevano fare? Se avessi sparato avrei subito l’iradiddio dei processi – eccesso di difesa, la vita umana è sacra e via discorrendo – da parte di miei colleghi che giudicano a freddo e difficilmente – ed è qui il grave errore – tenendo conto dei gravissimi stress di certi momenti.

campagna veneta

Concludendo, per bene che mi fosse andata, sarei andato incontro quantomeno alla rovina economica per le spese di avvocato: mistero dei misteri è perché non debbano essere rifuse dallo Stato le spese ai processati innocenti: un fatto che non capirò mai. Forse perché, come dice qualcuno, gli imputati non sono mai innocenti. Mah! Ma il problema della legittima difesa è un problema di secondo grado, come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature e, cioè, che lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio, nel quale, a qualunque latitudine, scorazzano impunemente delinquenti di tutti i colori, nonostante gli sforzi eroici di poliziotti anziani (a Treviso l’età media è di 49 anni), mal pagati e meno ancora motivati dall’alto e, diciamolo pure, anche dallo scarso rigore della Magistratura.

La severità nei confronti di questi gentiluomini – e gentildonne se no mi danno del sessista – è diventata, a dir poco, disdicevole, tante sono le leggi e le leggine che provvedono a tutelarli per il processo e per la detenzione e che ti fanno, talvolta, pensare: ma cosa lavoro a fare? E, in effetti, il lavoro di un giudice penale è, oggi, paragonabile a quello del soldato al quale, per tenerlo calmo, fanno scavare un buco e poi riempirlo. Severità, forza: argomenti obsoleti. Pascal, non Ivan il Terribile, disse che la legge, senza forza, è impotente. Se non ci fosse stata la forza, come sarebbe avvenuta la Rivoluzione Francese, pietra miliare della civiltà vera, quella occidentale e non quella dei cammellieri? Offrendo cioccolatini a Maria Antonietta? E Hitler lo avrebbero fermato le gentili parole di Chamberlain e Deladier? Il che vuol dire che, quando ci vuole, ci vuole. Ne deriva che, a parte casi di persone – esistono, incredibilmente, anche loro, questi cuori candidi – che ci credono veramente, coloro che proclamano che il nemico, e Dio sa se ne abbiamo e quali stiano bussando alle nostre inermi porte, può essere fermato con la bontà e l’offerta di pace, sono pavidi o renitenti alla leva, e Dio sa se l’Italia non è patria di queste categorie di soggetti. Golda Meir, che qualcuno definì unico uomo nel governo di Israele, dopo i fatti di Monaco ’72 disse che ci sono dei momenti in cui uno Stato deve venire a compromessi coi suoi valori e fece inseguire e uccidere uno per uno gli attentatori. Attentatori che oggi, a parte episodi sporadici, guarda un po’, girano alla larga da Israele. E noi, quando potremo finalmente dire: l’Italia s’è desta?”

 

da Il Corriere della Sera – Veneto, 15 luglio 2016

TREVISO.«Mascolo, comportamento non in linea».

I finanzieri rilasciati e l’intervista, il giudice di Treviso nel mirino del Csm. E la procura annuncia ricorso.

 

da La Tribuna di Treviso, 14 luglio 2016

LE ORDINANZE “DISCUSSE” DEL MAGISTRATO,

In libertà su ordine di Mascolo rapinatori e maestro violento.

«Un’amichevole reprimenda più che un esercizio di violenza sui bambini». Scriveva così il gip Angelo Mascolo nella primavera del 2014.

 

 

(foto A.N.S.A., da mailing list ambientalista, M.F., S.D., archivio GrIG)


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