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Lettera a mio nipote sul futuro del Parco naturale regionale dei Colli Euganei.

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Parco naturale regionale dei Colli Euganei secondo la proposta di legge Berlato (2016)

Parco naturale regionale dei Colli Euganei secondo la proposta di legge Berlato (2016)

«TI STANNO RUBANDO IL FUTURO E IO NON SO DIFENDERTI»

Caro Tito,

l’altra sera ho visto Jumbo Wild, un documentario sulle Montagne di Purcell della Columbia Britannica, la provincia canadese più ad ovest.

Da oltre 24 anni, residenti locali, cittadini interessati e i discendenti dei Nativi americani della Ktunaxa Nation si stanno opponendo, per ragioni ambientali, economiche e spirituali, al “Jumbo Glacier Resort”, una stazione sciistica che occuperebbe 6.000 ettari e intaccherebbe quattro ghiacciai, nel territorio tradizionale del Popolo di Ktunaxa, nella Valle del Jumbo, nel cuore delle Purcell Mountains della British Columbia.

Orso bruno (Ursus arctos)

Orso bruno (Ursus arctos)

Nonostante l’opposizione il progetto continua ad andare avanti.

Il progettista di questo mega resort ha un terribile accento italiano e in effetti lo è: Oberto Oberti, architetto di origine milanese.

Per il Popolo Ktunaxa la Jumbo Valley è la dimora dello Spirito dell’Orso Grizzly. Per i biologi l’area è un nucleo fondamentale dell’habitat del Grizzly Bear. Per Oberti, per i suoi partners commerciali e per i membri del governo che sostengono il progetto, sono solo un sacco di soldi.

C’è un passaggio del film in cui viene intervistato Nolan Rad, cacciatore e trappolatore, uno che la Natura la intende a modo suo, tra trofei di caccia appesi al muro e animali impagliati in salotto.

Ma Nolan Rad, a proposito della Jumbo Valley e del mega complesso turistico, dice: « Lì vedo orsi tutto il tempo, ci sono un sacco di orsi. Cosa accadrà a questi orsi? In questa valle abbiamo ricevuto colline da sci, abbiamo ottenuto corsi di golf, al punto che ci escono dalle orecchie. Di quanti ne abbiamo bisogno? Di quanti? Abbiamo bisogno di Europa ancora una volta? Gli europei vengono qui per vedere le valli incontaminate, le montagne e cose come queste. Noi abbiamo tutto. Loro non hanno più niente. Le loro sono andate. »

Non hai ancora un anno Tito, ma già preferisci i fiori delle ortensie in giardino ai giochi in plastica.

Sei nato il 19 marzo, quando la migrazione degli Anfibi sui Colli Euganei è quasi del tutto compiuta.

Colli Euganei, Rospi in migrazione

Colli Euganei, Rospi in migrazione

La migrazione si ripete ogni anno, eppure tu rischi di non avere abbastanza tempo per poterla ammirare e per potertene ricordare. E così per tanti altri spettacoli della Natura.

Nel libro Giardini d’Italia di Georgina Masson, del 1961, si legge la storia del Giardino di Villa Barbarigo nella frazione di Valsanzibio a Galzignano Terme. Lì intorno vive una delle restanti popolazioni di rane e rospi dei Colli Euganei.

« Al tempo della costruzione della villa il mezzo di trasporto più in uso nella zona ero lo stesso di cui ci si serviva all’epoca del Petrarca, e cioè la barca, sfruttando i numerosi corsi d’acqua che portavano attraverso la pianura a Battaglia e a Padova… effettivamente i Barbarighi arrivavano fino al bagno di Diana con la barca… La valle era occupata da estesa palude. »

Oggi al posto di quella palude c’è un golf club, come nel racconto del cacciatore Nolan Rad.

Ma i cacciatori veneti non sono come Nolan Rad, sono ingordi e pietosi e sostengono l’eliminazione del Parco Colli con tutte le conseguenti speculazioni immobiliari che non tarderanno ad arrivare.

Un’altra popolazione di rospi e rane che è sopravvissuta sui Colli Euganei si trova a Torreglia, tra Via Volti e Via Regazzoni Alta. Nella Relazione del Piano di Gestione (mai approvato dalla Regione Veneto) della Zona di Protezione Speciale (ZPS) IT3260017 Colli Euganei – Monte Lozzo – Monte Ricco si legge:

« Volti Casteletto (Area umida di Torreglia). Ubicazione. L’area, compresa nei Comuni di Torreglia e Galzignano, si estende dalle pendici orientali del Monte Rua fino ai Monti Zogo, delle Valli e Alto. A Nord è chiusa dal Rio Spinoso, che fa da collettore di numerosi rivoli e canali di sgrondo. Il Rio Spinoso, uno dei pochi perenni dei Colli, nasce dal M. Rua con il nome di Calto Malo. A differenza di quelle a Sud del complesso collinare, che sono formate quasi tutte di accumuli torbosi, questa zona umida è composta da alluvioni argillose, che hanno dato origine negli anni Cinquanta ad una intensa attività estrattiva finalizzata alla produzione di laterizi nella “storica”fornace di Montegrotto. Gli escavi, protratti per decenni, hanno prodotto un sistema di bacini a basso fondale, habitat ideale per le specie igrofile e per le idrofite dell’agro pedemontano. Col passare degli anni un gran numero di quei bacini sono stati riempiti con materiale da riporto e trasformati in campi di mais. Tre grandi bacini però sono rimasti integri fino ad ora e sono, insieme alla vasta rete di collettori di scolo delle acque, una delle poche oasi di rifugio per numerose specie animali e vegetali in sofferenza nella pianura padovana.

segnaletica stradale per i Rospi (da www.laprovinciadilecco.it)

segnaletica stradale per i Rospi (da http://www.laprovinciadilecco.it)

Emergenze faunistiche. Erpetofauna. Assai vistoso, forse come in nessun altro luogo nei Colli, si presenta in primavera il fenomeno della migrazione, dalle alture verso le zone umide, di consistenti popolazioni di Bufo bufo, fenomeno che si protrae per intere settimane. Attestate sono inoltre le presenze di Salamandra salamandra, di Emys orbicularis e di Natrix natrix. Nella parte alta del Calto Malo si segnala la presenza di Triturus vulgaris, e con esso Rana dalmatina.»

Sembra esistere un carattere comune alle popolazioni di rospi dei Colli Euganei: le zone in cui questi Anfibi ancora oggi persistono in passato erano paludi.

Questi animali continuano a compiere le loro migrazioni riproduttive da tempi lontanissimi.

Gli Anfibi dei Colli Euganei rappresentano la vera identità di questi luoghi. Non è stupendo?

Dovremmo conservare gli Anfibi dei Colli Euganei come una reliquia e invece ogni anno, proprio tra gennaio, febbraio e marzo, sono migliaia gli animali che muoiono per schiacciamento sulle nostre strade.

Le popolazioni sono sempre più rarefatte e in alcuni siti dei Colli Euganei il flusso migratorio si è indebolito fino a scomparire. Pochi si rendono conto di quanto sia drammatica questa situazione.

Colli Euganei, Anfibi deceduti a causa del traffico stradale

Colli Euganei, Anfibi deceduti a causa del traffico stradale

Caro Tito, abbiamo bonificato le paludi dei rospi e ne  abbiamo schiacciati a milioni sotto le ruote delle nostre automobili fino a farli scomparire. E sai di chi è la colpa?

“Progetto tutela e controllo di fauna selvatica negli habitat di Rete Natura 2000 presenti nella ZPS/SIC IT 3260017 “Colli Euganei, Monte Lozzo – Monte Ricco” allegato al DCS n. 22/2016.

Dalla relazione tecnica dell’Ente Parco: «[…] La presenza dei cinghiali, infatti, crea enormi danni alla rinnovazione di querceti e castagneti (a tal proposito, l’Ente Parco ha collaborato con l’Università di Padova per la realizzazione di un metodo di quantificazione di tale danno), al cotico erboso dei vegri, con la loro attività di scavo per reperire bulbi e radici.

Importanti e gravi sono anche i danni causati alla fauna (distruzione di covate, eliminazione fisica di esemplari giovani, distruzione di siti riproduttivi di anfibi, ecc.)…

Qualcuno diceva… «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Ora che il Parco dei Colli Euganei verrà eliminato, perché di questo si tratta, non verranno nemmeno più posizionate le poche reti anti-attraversamento Anfibi. Agli investimenti stradali si sommeranno a nuove speculazioni immobiliari, disboscamenti, agricoltura industriale e quindi inquinamento e avvelenamento, interramento di fossati, stagni e pozze.

volontaria in una campagna di salvataggio dei Rospi

volontaria in una campagna di salvataggio dei Rospi

Per rane, rospi, salamandre e tritoni dei Colli Euganei sarà l’epilogo, dopo tanta agonia.

Infatti la nuova planimetria del Parco Regionale dei Colli Euganei, prevista dal PDL N. 187 di Berlato e riproposta nel primo emendamento (n.11) al Progetto di Legge n. 194 Collegato alla legge di stabilità regionale 2017, dimentica e taglia fuori tutte le popolazioni di Anfibi dei Colli Euganei.

Ho visto tanti volontari delle associazioni protezioniste attivarsi in questi anni per cercare di porre rimedio provvisoriamente al massacro degli Anfibi sui Colli Euganei. Tanti, avviliti, delusi dal comportamento dei cittadini e delle Istituzioni o sfiniti dal lavoro settimanale, hanno infine rinunciato.

Non ho invece mai visto un solo cacciatore venire a dare una mano per salvare i rospi dei Colli Euganei. Anzi posso testimoniare in prima persona che nemmeno il sindaco di Galzignano Terme e Vicepresidente di Federcaccia, Riccardo Masin, ha mai risposto alle richieste, alle lettere e agli appelli delle associazioni di protezione ambientale per salvare gli Anfibi. Questo nonostante Galzignano ospiti una delle più grandi popolazioni di rospi dei Colli Euganei.

Questa gente non ama la Natura. Arriva solo quando c’è da premere il grilletto.

Come vedi caro Tito, le stesse persone a cui non frega niente degli animali e degli ecosistemi poi fanno i paladini dell’ambiente sui giornali. Sui Colli Euganei il castagneto da frutto è stato distrutto in favore del ceduo castanile (che non arriva a fruttificare!) nel quale le piante vengono tagliate periodicamente per produrre biomassa legnosa combustibile. Anche le querce, come vedi dalle foto, vengono continuamente razziate e così non possono riprodursi.

Parco naturale regionale dei Colli Euganei, taglio degli alberi davanti al rospodotto

Parco naturale regionale dei Colli Euganei, taglio degli alberi davanti al rospodotto

Eppure danno la colpa ai cinghiali della mancata rinnovazione di querceti e castagneti sui Colli Euganei…

Sempre nella Relazione tecnica dell’Ente Parco, tratta dal “Progetto tutela e controllo di fauna selvatica negli habitat di Rete Natura 2000 presenti nella ZPS/SIC IT 3260017 “Colli Euganei, Monte Lozzo – Monte Ricco” allegato al DCS n. 22/2016, si legge: «I cinghiali hanno una ripercussione molto negativa nei confronti dei fruitori… Il Parco è inoltre facilmente raggiungibile essendo posto in una posizione strategica a breve distanza dalla grandi città Venete e, comprendendo il principale polo termale europeo, attira ogni anno diverse centinaia di migliaia di fruitori, soprattutto stranieri, che spesso alternano i periodi di terapia a escursioni sui sentieri presenti nel territorio Euganeo.

È evidente che percorsi resi a volte impraticabili, minacce di incontri “indesiderati”, valenze naturalistiche e storiche danneggiate, allontanano il flusso turistico verso altre località, con ripercussioni negative sull’economia del territorio.»

Ecco la ciliegina sulla torta.

I sindaci del “principale polo termale europeo” sono finiti in galera dopo aver fatto per decenni i loro sporchi affari e dopo aver messo in ginocchio un intero territorio. Non so quanti, tra assessori e consiglieri comunali, sono indagati. E il problema del turismo e dell’economia che non va sono i… cinghiali…

Tutto questo è schifosamente meschino e demenziale.

Non hai nemmeno un anno Tito, ma crescendo non ci metterai tanto ad accorgerti che in Veneto ed in tutta Italia non sono solo i politici ad essere corrotti, ma anche la stampa è completamente venduta e asservita ai potenti, anche se spergiurano il contrario.

Parco naturale regionale dei Colli Euganei, Torreglia, taglio alberi

Parco naturale regionale dei Colli Euganei, Torreglia, taglio alberi

Sui quotidiani, specialmente quelli locali, leggerai quasi sempre articoli banali e compiacenti di cronisti da quattro soldi che pendono dalle labbra del potente di turno, sia questo un sindaco, un consigliere, un assessore, un presidente, un imprenditore o qualche esponente delle associazioni di categoria.

E altro che Par condicio

La giornalista statunitense Margaret Sullivan, a proposito della professione del giornalista, ha scritto sul The Washington Post:

«I giornalisti devono sempre ricordare che la propria missione è quella di dire la verità e di ritenere i funzionari pubblici responsabili delle loro azioni, dovrebbero andare a fondo alle questioni, prestando molta più attenzione alle azioni invece che alle parole sensazionali o alle bugie dei convegni – restando pronti a chiamare ad alta voce le falsità quando vengono dette. Essi dovrebbero anche riconoscere rapidamente e correggere i propri inevitabili errori… »

Tutto questo a Padova e in Veneto non accade e le maggiori testate non sono altro che un prolungamento di questo schifoso Establishment. Tale è il loro disonore.

Non ci potrà essere nessun cambiamento fino a quando non esisterà una vera iniziativa informativa.

E il cambiamento non avverrà nemmeno implorando gli attuali governanti di mutare la loro linea di condotta politica, perché non lo faranno. Pregare serve solo ad umiliarsi e non cambia niente.

Colli Euganei, Tra Arquà Petrarca e Baone, avanzata di robinia e ailanto sul vegro del Monte Cecilia

Colli Euganei, Tra Arquà Petrarca e Baone, avanzata di robinia e ailanto sul vegro del Monte Cecilia

Chiamiamo gli attuali politici veneti per quello che sono: ladri di futuro.

E licenziamoli tutti.

Se ti dicono d’alzarti tu siedi

E quando siedono tu alzati in piedi

Non aver fede solo in quello che vedi

Insegui i sogni fino a quando ci credi

T’insulteranno a gran voce e tu ridi

Ti chiuderanno la bocca e tu scrivi

Se ti picchieranno e t’imporranno divieti

Tu fatti beffa dei tuoi padroni

E canta i loro segreti

Articolo 31                                        

Tuo zio, Michele Favaron

Colli Euganei, Torreglia, versante nord

Colli Euganei, Torreglia, versante nord

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(foto Provincia di Lecco, M.F., archivio GrIG)



Bracconaggio industriale in Sardegna.

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Tordo bottaccio (Turdus philomelos, foto Raniero Massoli Novelli)

Tordo bottaccio (Turdus philomelos, foto Raniero Massoli Novelli)

Importante operazione contro il bracconaggio della Polizia stradale lungo la S.S. n. 131.

Quattro pregiudicati quartesi sono stati trovati con più di 5 mila Tordi uccisi (circa 300 chilogrammi di peso complessivo) stipati in un furgone Fiat Doblò.

Non possiamo che chiedere l’inasprimento, una buona volta, delle pene per quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio furto ai danni del patrimonio faunistico della Collettività, avverso il quale da anni vengono condotte dalla Lega per l’Abolizione della Caccia specifiche campagne anti-bracconaggio con la finalità di supportare la quotidiana attività del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, dei Carabinieri, della Polizia di Stato.

"grive" sequestrate

“grive” sequestrate

Seppure in diminuzione, il bracconaggio continua ad essere un’attività illegale e distruttiva del patrimonio ambientale (si stimano un centinaio di bracconieri “fissi” + circa duecento “occasionali” nella sola Capoterra). Il giro di affari è di sensibili dimensioni: basti pensare che una sola griva (spiedo di 8 tordi, de pillonis de tàccula) costa al mercato illegale un centinaio di euro al dettaglio.

Tuttavia fra i principali “fruitori” finali del bracconaggio sembrano proprio essere alcuni noti ristoranti del Cagliaritano, come già riscontrato nei mesi scorsi, nei confronti dei quali appaiono necessarie ispezioni senza preavviso da parte delle Forze dell’ordine.  Da non tralasciare il controllo, soprattutto nel periodo delle festività natalizie, dei mercati pubblici, nonché l’esportazione verso nuovi mercati nella Penisola, come il Veneto, come recentemente ipotizzato.

La caccia di frodo è, infatti, un reato contravvenzionale punito dalla legge n. 157/1992 e s.m.i. con sanzioni penali (art. 30) e con sanzioni amministrative (art. 31), nonché dalla legge regionale Sardegna n. 23/1998 e s.m.i. (art. 74).

Sanzioni, però, troppo contenute per punire efficacemente questi malfattori.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus           Lega per l’Abolizione della Caccia

 

trappola "armata" a terra (con un corbezzolo per esca)

trappola “armata” a terra (con un corbezzolo per esca)

 

bracconiere intento a smagliare un tordo dalla rete

bracconiere intento a smagliare un tordo dalla rete

A.N.S.A., 15 febbraio 2017
Bloccati bracconieri con 5000 tordi. Operazione notturna della Polizia stradale vicino a Giave.

Oltre cinquemila tordi, per circa 300 chilogrammi, sono stati sequestrati nella notte dalla Polizia stradale del distaccamento di Macomer. Durante il controllo di un furgone Doblò, alle 2:30, sulla statale 131 vicino al bivio di Giave, hanno trovato i volatili e per i quattro che viaggiavano sul mezzo – tutti fra i 45 e i 57 anni, di Quartu Sant’Elena, con precedenti penali – sono scattate le denunce per commercio di animali soggetto a protezione faunistica e bracconaggio. I tordi, secondo una prima ipotesi degli investigatori, potrebbero essere stati cacciati nella zona della Nurra di fronte all’Asinara. Sul fatto indaga la Polstrada in collaborazione con il Corpo Forestale.

 

da La Nuova Sardegna, 15 febbraio 2017
Macomer, tre quintali di tordi nascosti nell’auto: denunciate quattro persone.

La polizia stradale ha fermato un furgone Fiat Doblò a un posto di blocco e ha fatto la scoperta. Probabilmente erano stati cacciati in alcune oasi protette del nord Sardegna.

 

trappola avifauna

trappola avifauna

da L’Unione Sarda, 15 febbraio 2017
Cinquemila tordi nascosti nel furgone: denunciati quattro bracconieri di Quartu. (Fabio Ledda).

 

da Sardinia Post, 15 febbraio 2017
Bracconieri bloccati con 5000 tordi a Giave, quattro denunce.

 

 

 

 

bracconaggio, Tordo al laccio

bracconaggio, Tordo al laccio

(foto C.F.V.A., Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)

 


S.O.S. Demani Civici Sardegna! Assemblea pubblica a Oristano!

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copia-di-locandina-assemblea-oristano-24-febbraio-2017

Prendiamo nota: Venerdi prossimo, 24 febbraio 2016, con inizio alle ore 16.00, presso il Centro Servizi Culturali U.N.L.A., in Via Carpaccio n. 9 a Oristano, si terrà l’assemblea S.O.S. DEMANI CIVICI SARDEGNA! promossa dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus sulla realtà dei terreni a uso civico, su che cosa sta accadendo alle terre collettive isolane e su quali azioni possono esser intraprese per la loro difesa.

Da tempo, infatti, l’attuale Amministrazione regionale sta conducendo una vera e propria operazione per realizzare un nuovo Editto delle Chiudende.

Bosa, Capo Marrargiu

Bosa, Capo Marrargiu

Migliaia di ettari di terreni a uso civico risultano occupati illegittimamente, mentre Comuni e Regione non esercitano le dovute azioni di recupero e mentre 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici giacciono nei cassetti regionali.

L’assemblea pubblica del prossimo 24 febbraio è un’importante occasione per informarsi e sapere che cosa sta accadendo sui 4-500 mila ettari di terre collettive sarde.

Siamo tutti invitati a partecipare!

gemme, acqua, bosco

gemme, acqua, bosco

Ma fin d’ora ogni cittadino può farsi sentire: infatti, su sollecitazione di tante persone – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Istruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud. Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

 

animali-aquile_11350-gif-animatal’attuale situazione è descritta puntualmente nell’articolo Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna, ecco coma la Giunta Pigliaru vuole realizzare il nuovo Editto delle Chiudende (2 gennaio 2017)

 

animali-aquile_11350-gif-animataqui la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa

 

foresta mediterranea

foresta mediterranea

(foto S.D., archivio GrIG)


Questo non è il nuovo stadio della Roma, è una speculazione immobiliare.

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Roma, Tor di Valle

Roma, Tor di Valle

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (19 febbraio 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti al Sindaco e al Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale in relazione al complesso progetto sportivo-direzionale-commerciale proposto dalla Eurnova s.r.l. del Gruppo Luca Parnasi denominato “nuovo stadio della Roma”, in località Tor di Valle, fra il Fiume Tevere e l’Ippodromo, chiuso nel 2013 proprio per dar luogo al nuovo progetto immobiliare.

Coinvolti anche i Ministeri dell’Ambiente (Ministro e Direzione generale Valutazioni Ambientali) e per i Beni e Attività Culturali (Ministro e Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per Roma), la Regione Lazio (Ufficio V.I.A.) e l’Autorità di Bacino del Tevere.

Informati, per opportuna conoscenza, anche la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, la Commissione europea e la Commissione “petizioni” del Parlamento europeo.

Com’è noto, è in corso la conferenza di servizi che dovrebbe portare alla decisione definitiva su quello che appare un vero e proprio progetto immobiliare con la previsione, in secondo piano, del nuovo Stadio per la Roma.

Roma, Tor di Valle, rendering progettuale

Roma, Tor di Valle, rendering progettuale

Infatti, il progetto è composto da:

Quadro Progettuale A

“1) Impianto sportivo “Stadio”, per 60.218 posti, costituito dal campo di calcio vero e proprio il quale, ospita nella parte inferiore della struttura una serie di funzionalità di servizio (Uffici, Reception, Sala Conferenze, Cucine, Ufficio Postale, Lavanderia, ecc.);

2) Impianto sportivo “Trigoria”, che comprende i campi di allenamento e una serie di servizi accessori (Panoramic Restaurant, Broadcast Studio, Hall of Fame, ecc);

3) Area commerciale, posizionata a nord del nuovo stadio e collegata con le strutture per l’allenamento, che comprende un grande negozio di articoli sportivi ed altre attività commerciali da definirsi;

4) Sistema di connettività interna, consistente nel sistema carrabile e pedonale ad uso dello Stadio, Trigoria e area commerciale;

5) Opere di Urbanizzazione, costituite da:

– parcheggi pubblici, tale da soddisfare almeno lo standard richiesto sia ai sensi delle NTA del PRG di Roma, sia le norme CONI n. 1379/2008;

– verde pubblico, tale da soddisfare almeno lo standard richiesto ai sensi delle NTA del PRG di Roma e dal Piano di Assetto Idrogeologico del Fiume Tevere;

– viabilità pubblica;

– fognatura pubblica;

– interramento elettrodotto e sottoservizi;

6) Sistema infrastrutturale della connettività “esterna”, ovvero l’adeguamento del sistema infrastrutturale esistente al fine di garantire la sostenibilità trasportistica, e consistente nelle seguenti opere:

– contributo adeguamento tratta ferroviaria Eur – Magliana – Tor di Valle per prolungamento Metro B;

– l’ampliamento e adeguamento della Via Ostiense – Via del Mare:

  • allaccio viabilità lato Autostrada – Roma Fiumicino;
  • adeguamento viabilità Via del Mare – GRA; – realizzazione di un nuovo collegamento viario tra l’autostrada Roma-Fiumicino e Via Ostiense con ponte sul Tevere;

7) Opere di mitigazione, compensazione ed ottimizzazione ambientale:

– sistemazione idraulica del Fosso di Valleranello;

– fascia verde di continuità ecologica tra i due corridoi ambientali;

– rafforzamento della fascia di continuità del corridoio ecologico;

– barriera verde di mitigazione percettiva e olfattiva a confine con l’impianto di depurazione pre-esistente;

– realizzazione vasche di laminazione e riduzione prelievi acque di falda”;

Quadro Progettuale B

complesso “direzionale, commerciale, servizi privati (cd Business Park)”, tre “torri” alte circa mt. 200.

Roma, Tor di Quinto, tavola P.T.P.R.

Roma, Tor di Quinto, tavola P.T.P.R.

Sul sito web istituzionale tematico del Comune di Roma Capitale così è descritto: “l’intervento complessivo riguarderà un’area di 125 ettari: circa la metà sarà destinata a verde, l’11% alle infrastrutture, il 14% a parcheggi, il 15% a spazi pubblici e il 10% a edifici privati. Complessivamente, l’investimento vale 1,5 miliardi di euro: 400 milioni saranno spesi solo per lo stadio, che avrà una capacità massima di 60.000 spettatori. Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione di un Business Park con tre torri, la cui progettazione è stata affidata allo Studio Libeskind”.

Tuttavia, il progetto e la dichiarazione di “interesse pubblico”, approvata con deliberazione Consiglio comunale di Roma Capitale n. 132 del 22 dicembre 2014, fanno riferimento alla c.d. legge sugli stadi (legge n. 147/2013, in realtà norme introdotte nella legge finanziaria statale): tuttavia l’art. 1, comma 304°, lettera a, della legge n. 147/2013 afferma testualmente: “lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi di intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell’impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici”. Nella fattispecie concreta gli interventi slegati dalla realizzazione dello stadio e dei servizi strettamente funzionali (Business Park) ammontano a ben l’86% del progetto, con un’evidente distorsione della finalità di legge.

paesaggio agrario (foto Benthos)

paesaggio agrario (foto Benthos)

In proposito, si deve ricordare che la volumetria complessiva prevista in progetto ammonta a mc. 974.000, su una superficie di mq. 49.000 (stadio) + mq. 336.000 (Business Park), a fronte dei circa mc. 300.000 desumibili dal vigente P.R.G.

Poco meno di un milione di metri cubi di volumetrie, quando meriterebbe una seria ristrutturazione quel gioiello architettonico per il calcio (progetto di Antonio Nervi e collaborazione di Pier Luigi Nervi) dello Stadio Flaminio, oggi in semi-abbandono.

Bosco, radura

Bosco, radura

L’area di Tor di Valle è parzialmente tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), nonché con vincolo di inedificabilità (fascia dei mt. 150 dalle sponde del Tevere, legge regionale Lazio n. 24/1998). Sono, inoltre, presenti tre casali storici tutelati con fascia di rispetto di mt. 50 (legge regionale Lazio n. 24/1998, legge regionale Lazio n. 27/2001), mentre il Fosso del Vallerano risulta zona a rischio idraulico R 3 – R 4 del piano di assetto idrogeologico (P.A.I.).  Sull’Ippodromo di Tor di Valle, progettato da Julio Lafuente e inaugurato nel 1959) in questi giorni la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per Roma ha avviato il procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Nel vigente piano regolatore generale (P.R.G.) di Roma Capitale l’area è classificata in gran parte verde privato attrezzato (la gran parte, art. 87 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.), quindi la realizzazione del progetto necessiterebbe di una variante per la quale è stata già avviata la procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.).

Ma il mega-progetto (quasi un milione di metri cubi di volumetrie) dovrebbe esser assoggettato anche alle preventive procedure di valutazione di impatto ambientale, visto che cambierebbe radicalmente le caratteristiche dell’area.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto che la conferenza di servizi in corso sia decisa nel pieno rispetto delle normative di salvaguardia ambientale e di corretta gestione del territorio, in particolare nel rispetto dei limiti volumetrici (mc. 300 mila) previsti nel P.R.G. di Roma Capitale.   Ha chiesto, inoltre, la revoca o l’annullamento in via di autotutela della dichiarazione di “interesse pubblico” in considerazione del fatto che la dichiarazione stessa appare viziata da evidente prevalenza di interessi immobiliari di natura privata.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Roma, Castel S. Angelo e il Tevere

Roma, Castel S. Angelo e il Tevere

(foto Benthos, S.D., archivio GrIG)

 

 

 

 

 

 


Sulla costa di Porto Cervo il Commissario straordinario blocca 20 ville sul mare.

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Arzachena, Porto Cervo, piano di lottizzazione Stemar s.r.l. (foto La Nuova Sardegna)

Arzachena, Porto Cervo, piano di lottizzazione Stemar s.r.l. (foto La Nuova Sardegna)

Ha quasi dello “straordinario” quanto ha fatto il Commissario straordinario del Comune di Arzachena Antonella Giglio in questi giorni.

Antonella Giglio è una dirigente della Regione autonoma della Sardegna nominata commissario straordinario del Comune di Arzachena dopo le dimissioni del sindaco Alberto Ragnedda fino alle prossime elezioni comunali.

Ma che cosa ha combinato?

Gallura, cantiere edile sulla costa

Gallura, cantiere edile sulla costa

Ha fatto il suo dovere e l’ha fatto bene.

Ha bocciato una richiesta di lottizzazione comprendente 20 ville di lusso sul mare di Porto Cervo applicando correttamente il quadro normativo di tutela costiera e la disciplina del piano paesaggistico regionale (P.P.R.), fermando la proposta edificatoria che correva come un treno, munita dei pareri favorevoli della struttura tecnico-amministrativa e della precedente amministrazione.

Con la deliberazione commissariale – assunta con i poteri del Consiglio comunale – n. 14 del 13 febbraio 2017, ha respinto l’istanza edificatoria della Stemar s.r.l. di Olbia perché nella fascia costiera è vietata (art. 15 delle norme tecniche di attuazione del P.P.R.) l’adozione di nuovi strumenti attuativi (piani di lottizzazione, piani particolareggiati) in assenza di adeguamento dello strumento urbanistico comunale (P.U.C.) alla disciplina del P.P.R. (Arzachena ha ancora un vecchio programma di fabbricazione, totalmente inadeguato).

Inoltre, non si tratta di banali “lotti interclusi” in zona già urbanizzata, ma di “una grande macchia di zona ‘C’ non pianificata di oltre 14 Ha, posto ai margini della zona ‘C’ edificata, contigua alla zona ‘ F’ e alla zona ‘H’ e delimitata pressoché totalmente dalla strada provinciale n° 59 e per un breve tratto dal mare”.

E così le 20 ville sul mare vengono rispedite al mittente a norma di legge.

Un fatto quasi “straordinario”, appunto, nella Gallura del mattone.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

mare e coste (foto Benthos)

mare e coste (foto Benthos)

 

da La Nuova Sardegna, 18 febbraio 2017

Arzachena, il commissario blocca 20 ville sul mare.

Bocciato un piano a Porto Cervo, aveva il sì degli uffici comunali. Il caso del Qatar: i terreni lottizzati “a sua insaputa”. (Guido Piga)

PORTO CERVO. Venti ville, con piscina, da costruire sul mare e con vista (in molti casi) sullo yacht club della Costa Smeralda. Il piano di lottizzazione era pronto, lo aveva presentato una società di Olbia (la Stemar dei fratelli Mossa) anche per conto dei vicini, quelli del Qatar, per un affare a pieno regime, secondo alcune stime, da almeno 200 milioni. La struttura guidata dell’ex sindaco di Arzachena Alberto Ragnedda aveva avanzato una proposta di deliberazione, poi lui si era dimesso, e la pratica – con il parere favorevole del capo dell’urbanistica, Libero Meloni – è arrivata sul tavolo del commissario straordinario. Sembrava un sì scontato. È arrivato un no: quell’area – di 14 ettari, nella collina di Porto Cervo che dà sul quartiere Busiri Vici (quello di Sa Conca e della chiesa Stella Maris) – non può essere lottizzata perché lo vieta il piano paesaggistico. Con sei pagine piene di riferimenti normativi, Antonella Giglio, commissario con grandissime competenze urbanistiche, sconfessa gli uffici e blocca così una colata di cemento di potenziali 58 mila metri cubi, fra le ville e un centro commerciale di cui, mai, si era pubblicamente parlato.

Il piano Casa. La Giglio, nella delibera approvata il 13 febbraio con i poteri del consiglio comunale di Arzachena, fa la cronistoria del piano di lottizzazione sul mare, nelle zone C della Costa Smeralda. L’aveva proposta la Stemar di Olbia, dei fratelli Mario e Stefano Mossa, attivi per anni nel ramo dei supermercati. Era l’agosto del 2014 e i Mossa chiedevano di avere le autorizzazioni sulla base del Piano casa dell’ex governatore Cappellacci, poi cambiato nel 2015 dalla giunta regionale di Pigliaru. I Mossa avevano dovuto modificare il progetto – realizzato dall’ingegner Sebastiano Chiodino e dall’architetto Luigi Stazza – e, per il commissario straordinario, a quel punto avrebbe dovuto essere sottoposto all’esame del piano paesaggistico dell’ex governatore Soru.

I terreni del Qatar. La macchina, però, non si era fermata. La Stemar aveva chiesto alla Land Holding Co. (società del Qatar, proprietario della Costa Smeralda) di partecipare allo studio della lottizzazione, non ottenendo risposta. La Stemar aveva fatto quello che la legge impone: aveva fatto avanzare il piano per i suoi ettari (tre) e anche per quelli del Qatar (undici). Lottizzati “a sua insaputa”, verrebbe da dire.

La fretta del Comune. Il lavoro dei progettisti è arrivato a conclusione nell’autunno del 2016, a fari spenti, senza clamore. Ed ecco come il commissario straordinario, nella delibera, illustra tutti i passaggi: «Con proposta di deliberazione n. 66 del 13 ottobre, si dava corso all’istanza di autorizzazione a lottizzare coattivamente. La proposta non è mai stata sottoposta all’esame del consiglio comunale di Arzachena poiché, il 12 dicembre, sono sopraggiunte le dimissioni del sindaco. Con una lettera, del 21 dicembre, la Stemar ha chiesto l’intervento sostitutivo della Regione. Con una lettera alla Regione, il 20 gennaio 2017, il dirigente della Pianificazione territoriale ha dato conto dello stato del procedimento, evidenziando l’esigenza di sottoporre l’argomento all’attenzione della commissaria il prima possibile».

Il primo sì. Emerge dunque che la lottizzazione sul mare – una rarità dopo l’introduzione del piano paesaggistico, con l’edificazione di 20 ville potenzialmente da 10 milioni ciascuna – avrebbe dovuto avere priorità e che avrebbe dovuto esserci, visto anche il parere favorevole espresso dal dirigente Libero Meloni, il lasciapassare.

Bocciatura senza appello. Invece, leggi alla mano, il commissario ha smontato tutto. Ha fatto riferimento proprio al piano Soru: «A dettare le regole è l’articolo 15 che – questa la sintesi – esclude la possibilità, fino all’adeguamento del Puc al Ppr, di approvare nuovi piani attuativi». E poi: «Quelli presentati (dalla Stemar, ndr), non sono interventi edilizi, bensì costituiscono vera e propria attività pianificatoria non ricompresa nel Ppr». E ancora, un’annotazione tecnica ma di fondamentale importanza: «Il terreno non presenta i requisiti di contiguità e di interclusione, come invece richiesto dai lottizzanti». Non è contiguo ad altre aree edificate, insomma, né intercluso fra le zone A e B. «Nel caso specifico – scrive il commissario Giglio – è pacifica l’assenza totale delle zone urbanistiche in questione nel comprensorio di Porto Cervo».

 

Sardegna, dune e ginepri sul mare

Sardegna, dune e ginepri sul mare

(foto da La Nuova Sardegna, Benthos, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

 


Perché tagliare la vegetazione lungo le sponde del Rio Geremeas?

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Quartu S. Elena, Rio Geremeas, lavori sponda sinistra (feb. 2017)

Quartu S. Elena, Rio Geremeas, lavori sponda sinistra (feb. 2017)

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (21 febbraio 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti riguardo i lavori di asportazione della vegetazione riparia lungo la sponda sinistra del Rio Geremeas, nel tratto a un centinaio di metri dalla foce, in Comune di Quartu S. Elena (Area metropolitana di Cagliari).

Le sponde del corso d’acqua sono ricche di vegetazione e di fauna selvatica e già in passato (2012) sono state interessate – nei tratti a monte – da lavori di messa in sicurezza poco coordinati fra loro.

Sono stati interessati la Direzione generale Pianificazione Territoriale e Vigilanza Edilizia della Regione autonoma della Sardegna, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Cagliari, il Comune di Quartu S. Elena, il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica che venga fatta chiarezza su ambito e finalità dei lavori svolti, soprattutto con la speranza che non costituiscano il preludio per nuovi scempi ambientali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

(foto J.I., archivio GrIG)


Per una vera legge in difesa dei parchi naturali italiani.

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Orso bruno (Ursus arctos)

Orso bruno (Ursus arctos)

Il Senato della Repubblica, nonostante puntuali osservazioni e richieste di gran parte delle associazioni ambientaliste, ha approvato nel novembre 2016 il testo unificato delle proposte di legge n. 119, 1004 e 1034 riguardante la modifica della legge n. 394/1991 e successive modifiche e integrazioni sulle aree naturali protette.

Il testo unificato, ora in esame presso l’VIII Commissione “Ambiente” della Camera dei Deputati – se approvato – causerebbe un pesante e deleterio passo indietro per i nostri parchi naturali.

Monti Sibillini

Monti Sibillini

Lo abbiamo già sottolineato numerose altre volte.

Il testo unificato costituisce la proposta di legge n. 4144 presso la Camera dei Deputati.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha sottoscritto – insieme a gran parte delle associazioni ambientaliste (WWF, Italia Nostra, Legambiente, F.A.I., ecc.) un documento di commento critico e richieste di modifica alla proposta di legge n. 4144 con l’obiettivo di renderla effettivamente una legge in difesa dei parchi naturali.

E’ necessario che i cittadini sappiano che cosa sta accadendo e quali rischi corrano i “nostri” parchi naturali, la “cassaforte di natura” del Bel Paese.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

animali-aquile_11350-gif-animataqui il documento delle associazioni ambientaliste con commenti e richieste di modifica alla proposta di legge n. 4144

qui il documento Aree protette, tesoro italiano (2016)

 

 

Gabbiano reale (Larus michahellis, foto Cristiana Verazza)

Gabbiano reale (Larus michahellis, foto Cristiana Verazza)

(foto Cristiana Verazza, S.D., archivio GrIG)


Che cos’è l’uccellagione.

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trappola "armata" a terra (con un corbezzolo per esca)

trappola “armata” a terra (con un corbezzolo per esca)

Importante pronuncia della Corte di cassazione in materia di caccia e bracconaggio.

Già in precedenza la Suprema Corte aveva “affermato, anche recentemente, che la linea di demarcazione tra l’uccellagione e la caccia con mezzi vietati è rappresentata dalla possibilità, insita solo nella prima, che si verifichi un indiscriminato depauperamento della fauna selvatica a cagione delle modalità dell’esercizio venatorio e in considerazione della particolarità dei mezzi adoperati (ex multis, Sez. 3, n. 11350 del 10/02/2015, Ungaro, Rv. 262808)”, tanto che “una lettura sistematica della legge n. 157 del 1992 consente di rintracciare, all’articolo 21, lettera v), una disposizione che pone un divieto assoluto di vendita a privati (e vieta la detenzione da parte di privati) di ‘reti da uccellagione’, con ciò mettendosi in risalto che il legislatore ha voluto operare una significativa distinzione tra la cattura di uccelli mediante l’utilizzo di semplici reti con quella ove è previsto l’uso di reti definite ‘da uccellagione’.

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2017, n. 3395, inserendosi in tale linea interpretativa, indica la distinzione tra uccellagione e generica cattura di uccelli nell’impiego di qualsiasi impianto, mezzo e metodo di cattura o di soppressione, in massa o non selettiva o che possa portare in via tendenziale all’estinzione di una specie avifaunistica in sede locale, proprio per le caratteristiche di “mezzo di cattura di massa e non selettivo” degli strumenti utilizzati.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

trappola avifauna

trappola avifauna

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 16 febbraio 2017

Cass. Sez. III n. 3395 del 23 gennaio 2017 (Ud 23 nov 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: Tripoli
Caccia e animali. Distinzione tra uccellagione e generica cattura di uccelli.
La distinzione tra uccellagione e generica cattura di uccelli non risiede nell’uccisione degli uccelli, ma nell’impiego di qualsiasi impianto, mezzo e metodo di cattura o di soppressione, in massa o non selettiva o che possa portare localmente all’estinzione di una specie.

RITENUTO IN FATTO

1. Mario Tripoli ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza con la quale il tribunale di Termini Imerese lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di arresto ed euro 150,00 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Al ricorrente è stato contestato, unitamente a Giovanni Ferrara nel frattempo deceduto, il reato (capo a) di cui agli artt. 110 e 727, comma 2, del codice penale perché, in concorso fra loro, detenevano animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze, nello specifico n. 3 cardellini costretti in gabbie di piccole dimensioni collocate all’interno di una borsa chiusa riposta nel vano bagagli dell’autovettura nonché del reato (capo b) di cui agli articoli 110 del codice penale e 30 lettera e) Legge n. 157 del 1992, perché, in concorso fra loro, esercitavano l’uccellagione catturando esemplari di cardellini con l’uso di due gabbie, due reti in nylon, quattro bastoni con laccio posto ad una estremità, una spoletta artigianale ed una corda ed ancora del reato (capo c) di cui agli articoli 110 del codice penale e 4 legge 110 del 1975, perché, in concorso fra loro e senza giustificato motivo, portavano fuori dalla propria abitazione o delle appartenenze di essa n. due coltelli a serramanico con 7 e 6 cm di lama. In Ventimiglia di Sicilia, il 28 marzo 2012.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente lamenta la violazione della legge penale per erronea o falsa applicazione dell’articolo 30, lettera e), Legge n. 157 del 1992 in riferimento al reato di cui al capo b) della rubrica (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Osserva che la condotta posta in essere (cattura di esemplari di cardellini con l’uso di due gabbie, due reti in nylon, quattro bastoni con laccio posto ad un’estremità, una spoletta artigianale ed una corda) esclude l’ipotesi di reato dell’uccellagione, posto che nel caso in esame andava contestata la fattispecie di minore entità che si configura nella mera cattura di uccelli. Ciò alla luce  dell’attrezzatura rinvenuta in sede di perquisizione ed indicata nel capo d’accusa. Perché si configuri il reato di uccellagione assumono fondamentale importanza, secondo l’assunto del ricorrente, i mezzi, le modalità e gli strumenti utilizzati per la cattura dei volatili, con riferimento particolare all’uso di specifiche reti che per le loro caratteristiche consentono la cattura in massa di uccelli. L’uso di reti diverse di dimensioni più contenute rientra invece nell’ipotesi dell’esercizio della caccia con mezzi vietati, ovvero dell’attività della semplice cattura di uccelli, sanzionata dall’art. 30, primo comma, lettera h), della legge 157 del 1992.
Conclude, pertanto, chiedendo l’assoluzione con riferimento al reato di cui al capo b) dell’imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
2. Con fondamento il ricorrente deduce la violazione della legge penale con riferimento alla statuizione di condanna per il reato di uccellagione.
La Corte di cassazione ha affermato, anche recentemente, che la linea di demarcazione tra l’uccellagione e la caccia con mezzi vietati è rappresentata dalla possibilità, insita solo nella prima, che si verifichi un indiscriminato depauperamento della fauna selvatica a cagione delle modalità dell’esercizio venatorio e in considerazione della particolarità dei mezzi adoperati (ex multis, Sez. 3, n. 11350 del 10/02/2015, Ungaro, Rv. 262808).
Una lettura sistematica della legge n. 157 del 1992 consente di rintracciare, all’articolo 21, lettera v), una disposizione che pone un divieto assoluto di vendita a privati (e vieta la detenzione da parte di privati) di “reti da uccellagione”, con ciò mettendosi in risalto che il legislatore ha voluto operare una significativa distinzione tra la cattura di uccelli mediante l’utilizzo di semplici reti con quella ove è previsto l’uso di reti definite “da uccellagione”.
E’ pacifico infatti che la legge 11 febbraio 1992, n. 157 distingue tra uccellagione e cattura di uccelli, nei cui confronti la caccia non è consentita, all’art. 30 lett. e), h). I due menzionati termini non trovano, però, una definizione precisa. A tal fine occorre fare riferimento alle direttive comunitarie (79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 3 25 luglio 1985; 91/244/CEE della Commissione del marzo 1991) alle convenzioni internazionali (Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812; Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503). La distinzione tra uccellagione e generica cattura di uccelli non risiede nell’uccisione degli uccelli, ma nell’impiego di qualsiasi impianto, mezzo e metodo di cattura o di soppressione, in massa o non selettiva o che possa portare localmente all’estinzione di una specie (Sez. 3, n. 2423 del 20/02/1997, Carlesso, Rv. 207635).
Nel caso in esame, come fondatamente lamenta il ricorrente, non è stata rinvenuta alcuna attrezzatura che evochi quella necessaria per esercitare l’uccellagione, posto che i cacciatori risultavano equipaggiati con semplici strumenti artigianali e rudimentali, utilizzati per catturare singoli esemplari di cardellini.
Peraltro, la perquisizione personale e veicolare operata nei confronti dei entrambi gli imputati aveva portato al sequestro penale di due gabbie di dimensioni molto contenute, circa 25x25x14 cm, incompatibili con l’astratta cattura di massa perché potevano ospitare al loro interno un limitatissimo numero esemplari.
E’ anche fondato il rilievo secondo il quale il reato di uccellagione non può essere integrato quando per il numero e per le caratteristiche della fauna selvatica catturata nonché per l’attrezzatura rivenuta sia possibile ammettere, senza alcun dubbio, la predisposizione alla cattura di qualche singolo esemplare, con la conseguenza che non è configurabile il reato di uccellagione quando il materiale sequestrato sia inidoneo e del tutto incompatibile ai fini dell’integrazione di tale fattispecie di reato, proprio perché essa è diretta alla cattura di un numero indiscriminato di esemplari, ivi compresi quelli dei quali la cattura è vietata in modo assoluto, mentre la caccia con mezzi vietati è diretta alla cattura di singoli e specifici esemplari, fermo restando che costituisce uccellagione la cattura da uccelli con “reti da uccellagione” indipendentemente dal fatto che gli uccelli catturati siano abbattuti o mantenuti in vita.
Effettivamente, nel caso in esame, non risulta in alcun modo provata, e nemmeno in fatto contestata al ricorrente, una qualsivoglia ipotesi di abbattimento o di uccisione indiscriminata di esemplari di fauna selvatica, con la conseguenza che la condotta va riqualificata e il fatto di reato va individuato nella fattispecie di cui all’articolo 30, lettera h), della legge n. 157 del 1992.

3. Tuttavia, nulla consegue dalla riqualificazione dell’imputazione, neppure sotto il profilo del trattamento sanzionatorio (unica ragione che sostiene il concreto interesse al ricorso), perché la pena inflitta al ricorrente per tutti i reati in ordine ai quali egli ha riportato condanna è stata già determinata, pur considerando il più grave reato di uccellagione invece che di caccia con uso di mezzi vietati, in misura inferiore ad ogni possibile minimo edittale, dovendosi considerare che tra i reati contestati quello più grave va identificato nell’articolo 4 della legge 14 aprile 1975, n. 110 che prevede la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da 1000 a euro 10.000, laddove il ricorrente ha riportato una condanna alla pena di quattro mesi di arresto ed euro 150 di ammenda.
Orbene, tenuto conto che al ricorrente non sono state neppure concesse le attenuanti generiche e che, sul punto, nessun motivo di impugnazione è stato sollevato, la pena, come erroneamente determinata dai giudici del merito, non è suscettibile di ulteriori diminuzioni perché già commisurata in violazione dei minimi edittali.
Infatti, in tema di impugnazioni, il divieto di “reformatio in peius” così come esclude che, nel caso di impugnazione del solo imputato, il giudice dell’impugnazione possa rideterminare, in danno dell’imputato stesso, la pena già in precedenza commisurata al di sotto dei minimi edittali, sia pure nel caso in cui pronunci sentenza assolutoria per uno dei reati contestati o proceda alla derubricazione di uno di essi, allo stesso modo il divieto di “reformatio in peius” non è infranto dal giudice dell’impugnazione che, nel pronunciare sentenza parzialmente assolutoria per uno dei reati in continuazione o derubricando uno di essi, non provvede a ridurre la pena complessiva per aver il precedente giudice determinato la pena base in misura inferiore al minimo edittale, ciò in quanto l’obbligo imposto dall’art. 597, comma quarto, cod. proc. pen. presuppone che la pena da ridurre sia stata determinata in maniera legale, ovvero in misura eguale o superiore al minimo edittale (Sez. 3, n. 39882 del 03/10/2007, Costanzo, Rv. 238009).
Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso nel resto.

P.Q.M.

Qualifica il fatto di cui al capo b) ai sensi dell’articolo 30, lettera h) legge 157 del 1992 e rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23/11/2016

 

Tordo bottaccio (Turdus philomelos) al laccio

Tordo bottaccio (Turdus philomelos) al laccio

(foto L.A.C., S.D., archivio GrIG)



Inquinamento da PFAS: danni alla salute e, forse, un po’ di giustizia per il popolo inquinato.

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Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Su iniziativa della Regione Veneto, finalmente attiva sul tema, si è svolto l’importante convegno internazionale Progettare lo studio epidemiologico sulla popolazione del Veneto esposta a Pfas(Venezia, Ospedale civile SS. Giovanni e Paolo, 22-23 febbraio 2017) con la partecipazione di alcuni fra i più importanti esperti in materia.

I dati epidemiologici emersi sono molto preoccupanti: si ipotizzano seri effetti negativi sulla salute a medio-lungo termine su bambini, gestanti, adolescenti.

Per non parlare dello stato di salute dei dipendenti della stessa Azienda inquinatrice.

Ma, forse, potrebbe arrivare un po’ di giustizia per il popolo inquinato.

Nei mesi scorsi, infatti, sono stati unificati presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza vari procedimenti penali aperti presso le Procure di Padova e Verona e a fine gennaio 2017 sono stati consegnati 10 avvisi di garanzia ad altrettanti amministratori della Miteni s.p.a., l’industria di Trissino ritenuta responsabile della grave situazione di inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e da cromo e zinco, che riguardano le aree attraversate dal fiume Fratta-Gorzone, nella Regione Veneto.

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

La grave situazione legata all’inquinamento da PFAS è nota a tutti, da anni e, nei mesi scorsi, ha ripreso vigore, dopo anni di stasi, il relativo procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica vicentina.

Anche il Ministero dell’ambiente sembra finalmente orientato ad avviare l’azione per danno ambientale contro il gravissimo inquinamento.

Era ora.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus esprime la sua soddisfazione per il nuovo approccio sanitario da parte della Regione Veneto e per gli sviluppi giudiziari della vicenda che sembrano aprire spiragli per ottenere finalmente un po’ di giustizia per il popolo inquinato.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Veneto, aree contaminate da PFAS

Veneto, aree contaminate da PFAS

 

Sintetico dossier PFOA-PFAS Veneto.

L’inquinamento da PFOA e PFAS in Veneto.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si è interessato attivamente al problema fin dal 2013, in seguito alla diffusione dei dati molto preoccupanti emersi dallo “Studio di valutazione del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani”, condotto negli anni 2011 e 2012, dall’Istituto di Ricerca sulle Acque-IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e dalle campagne di monitoraggio effettuate nei mesi di maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013, in corpi idrici superficiali e reflui industriali e di depurazione del reticolo idrografico della provincia di Vicenza, oltre a campioni di acqua potabile nelle province di Padova e Verona.

Lo Studio in questione ha, infatti, evidenziato le elevatissime concentrazioni di PFOA-Acido perfluorootanoico (livelli superiori superiori a 1000ng/L) nel reticolo idrico superficiale nell’area a sud dell’autostrada, nel bacino di Agno e Fratta Gorzone, anche a monte dello scarico del collettore ARICA.

Ma uno dei dati più allarmanti, messo in luce dalla relazione dell’IRSA-CNR, è quello relativo alla misura delle concentrazioni delle medesime sostanze nelle acque potabili prelevate da punti di erogazione sia pubblici che privati. In particolare, nel bacino di Agno-Fratta Gorzone, sono state rilevate concentrazioni crescenti da nord a sud, che raggiungono valori di PFOA superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Il Gazzettino, 23 febbraio 2017

Il Gazzettino, 23 febbraio 2017

Se è vero che la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nell’acqua non è ancora fatta oggetto di specifici limiti (standard di qualità ambientale), è altrettanto vero che la direttiva 2013/39/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, individua l’acido perfluoroottansolfonico e derivati (PFOS)[1] come sostanza pericolosa prioritaria, fissandone lo standard di qualità ambientale (SQA) a una concentrazione di 6,5 × 10 –4 μg/l e cioè 0,65 ng/l, a fronte di valori rilevati nelle acque superficiali e sotterranee nella Valle dell’Agno e del Chiampo che, come dimostrato dallo studio (tre campagne di monitoraggio nel maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013) dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque – IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, raggiungono valori di PFOA (acido perfluoroottanoico) superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Questo significa che le acque della Valle dell’Agno e del Chiampo, e di tutto il tessuto idrografico che insiste in quella regione, possono presentare valori di sostanze perfluoro-alchiliche che eccedono di 1.500, 2.000 volte lo standard di qualità proposto dalla Direttiva Quadro sulle Acque di 0,65ng/L .

Peraltro, già nel 2012 l’ARPAV, in seguito a dei controlli effettuati all’epoca, aveva evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta era prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche allo scarico industriale della ditta Miteni Spa., e suggeriva una serie di azioni finalizzate a migliorare la situazione di grave inquinamento dell’intera area, tra le quali anche l’eliminazione nel breve periodo, dal ciclo produttivo le sostanze PFOA e PFOS.

Il Mattino di Padova, 23 febbraio 2017

Il Mattino di Padova, 23 febbraio 2017

Nonostante la situazione sia estremamente grave, non risultano tuttora nemmeno affrontati i fattori inquinanti.   Il 20 aprile 2016 sono stati presentati i risultati derivanti dallo studio di biomonitoraggio effettuato dalla Regione Veneto con l’Istituto Superiore di Sanità relativamente all’inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e quanto emerso delinea una situazione altamente compromessa, sotto il profilo sanitario, poiché lo studio ha confermato la presenza di PFAS nell’organismo dei soggetti dell’area di maggiore esposizione, identificata con l’Ulss 5 di Arzignano e, in misura minore, con l’Ulss 6 di Vicenza, in quantità statisticamente significative rispetto all’area di controllo (parte dell’Ulss 6 di Vicenza non interessata, Ulss 8 di Asolo, Ulss 9 di Treviso, Ulss 15 Alta padovana e Ulss 22 di Bussolengo).

Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminateha spiegato l’assessore regionale alla Sanità, Lucio ColettoAltre 250 mila sono interessate dal problema”.

Eppure la Regione Veneto, da due anni (febbraio 2015), era stata invitata dal Ministero dell’ambiente ad adottare limiti provvisori e urgenti per le sostanze inquinanti. Invano, come denunciato anche da un’interrogazione del consigliere regionale Andrea Zanoni.

Ciliegina sulla torta: gli elevati costi di potabilizzazione delle acque verranno scaricati sugli utenti.

campagna veneta

campagna veneta

La pericolosità.

Si ricorda, inoltre, che il PFOS (acido perfluorottano solfonoico) è classificato nel DESC (Database ecotossicologico sulle sostanze chimiche) del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare come cancerogeno (categoria di pericolo 2), tossico per la riproduzione (categoria di pericolo 1b) e nocivo per i lattanti allattati al seno, tossico per diversi organi bersaglio per esposizione ripetuta (categoria di pericolo 1), tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.  Il suo utilizzo è soggetto a forti restrizioni.

D’altra parte, PFOS e PFOA non sono, attualmente, inclusi nella legislazione vigente sulle acque potabili ma sono inclusi nella terza lista di sostanze candidate da US-EPA alla regolamentazione a livello federale. US-EPA (USEPA 2009) ha proposto per PFOS un Provisional Health Advisories di 200ng/L mentre per PFOA di 400ng/L. In Germania, ricorda la relazione dell’IRSA, la Commissione per le acque potabili ha definito delle classi di rischio, espresse come somma di PFOS e PFOA, in base al tempo di esposizione e all’età, fissando a 100ng/L il limite assoluto di sicurezza per una esposizione decennale per ogni classe di individui, mentre per una esposizione breve, nel caso di un adulto sano, si considerano tollerabili concentrazioni fino a 5 µg/L.

Il Corriere Veneto, 24 febbraio 2017

Il Corriere Veneto, 24 febbraio 2017

La relazione dell’IRSA-CNR ha evidenziato che, in assenza di limiti di potabilità italiani o comunitari, confrontando le concentrazioni rilevate con i limiti proposti in ambito US-EPA (400ng/L per PFOA) e tedeschi (100ng/L per la somma dei perfluorurati per una esposizione decennale) sussiste un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono le acque prelevate dalla falda, posto che tali composti si comportano da interferenti endocrini nel metabolismo dei grassi e hanno sospetta azione estrogenica e cancerogena.

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

L’azione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Come detto il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si occupa concretamente del grave e misconosciuto inquinamento fin dal 2013.    L’ultima, ennesima richiesta di informazioni a carattere ambientale (interessati, tra gli altri, il Ministro dell’Ambiente, la Regione Veneto, l’ARPAV, la ULSS 6, la Provincia di Vicenza, e per conoscenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza e la Commissione Europea) è del 23 giugno 2016.

Le analisi svolte dall’A.R.P.A.V. (nota A.R.P.A.V. Vicenza prot. n. 75059/X.00.00 dell’11 luglio 2013, in  risposta a precedente istanza del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus del 20 settembre 2013) hanno evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta è prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nello scarico industriale della ditta Miteni Spa, allacciata all’impianto di depurazione di Trissino, la quale contribuisce per il 96,989% all’apporto totale di PFAS, in presenza di un impianto di depurazione non in grado di abbattere tale tipo di sostanze, in quanto non dotato di tecnologia adeguata. Scrive l’ARPAV: “Allo stato attuale risulta che la propagazione della contaminazione ha raggiunto un’area di estensione di circa 150 km2 ed interessa principalmente le province di Vicenza, Verona e Padova, con presenza in falda e nei corsi d’acqua superficiali e nel sistema dei pozzi utilizzati per uso potabile nella zona di Lonigo, Sarego, Brendola e Vicenza”.

Un inquinamento folle che infetta e aggredisce una zona che va almeno da Trissino (VI) a Montagnana (PD).

stendardo GrIGCon la richiesta di informazioni ambientali e opportuni interventi inoltrata il 26 febbraio 2015, l’Associazione ecologista ha voluto verificare l’efficienza depurativa del collettore fognario ARICA posto sul Torrente Fratta-Gorzone, probabilmente il fondamentale veicolo dell’inquinamento: conseguentemente il Sindaco di Cologna Veneta ha chiesto (nota Ufficio tecnico – Servizio ecologia prot. n. 2752/15 – R del 24 marzo 2015) alla Regione Veneto, all’A.R.P.A.V., al Consorzio di gestione del depuratore, alla Provincia di Vicenza, informando contemporaneamente la magistratura e la polizia giudiziaria competenti, tutti gli elementi utili per poter comprendere se vi sia “una situazione di pericolo per l’ambiente” e poter provvedere con un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000 e s.m.i. (Testo unico degli Enti locali).

Dal canto suo, l’A.R.P.A.V. ha indicato (nota del 10 marzo 2015) i siti web istituzionali dove sono conferiti i dati sull’inquinamento, il rischio ambientale e il rischio sanitario per la presenza di acido perfluoroottansolfonico (PFOS).  Eccoli:

* rischio ambientale: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas

* rischio sanitario: http://prevenzione.ulss20.verona.it/pfas.html.

Inoltre, nel mese di maggio 2016, nella località Ponte degli Asini, in Comune di Castelbaldo, sono stati eseguiti in conto proprio, incaricando un laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche, dei prelievi di acque e fanghi che successivamente hanno evidenziato elevati valori di Cromo totale e Zinco.

acqua e gemme

acqua e gemme

Che cosa fare?

Pertanto, essendo ancora lontana la piena risoluzione della grave situazione di inquinamento delle aree interessate dalla presenza di PFAS, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus-Veneto chiede alle autorità interessate l’adozione di drastici provvedimenti che garantiscano alle popolazioni residenti nelle località interessate condizioni ambientali salubri, in base al principio di precauzione, previsto dall’art. 191 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e dell’art. 3 ter del Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.) ed in virtù del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, come diritto fondamentale della persona e della collettività.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

anatre_in_volola Società Miteni s.p.a. informa:

 

Il Gazzettino, 24 febbraio 2017

Il Gazzettino, 24 febbraio 2017

 

che acqua si beve in Veneto?

che acqua si beve in Veneto?

 

(foto M.F., S.D., archivio GrIG)


Assemblea pubblica “S.O.S. Demani civici Sardegna!” a Oristano, informazione e partecipazione per difendere le terre collettive.

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Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis

Si è svolta lo scorso 24 febbraio 2016 presso il Centro Servizi Culturali U.N.L.A. a Oristano una partecipata assemblea sulla realtà delle terre collettive isolane e sulle prospettive di azione per la loro difesa.

S.O.S. DEMANI CIVICI SARDEGNA!, promossa dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, ha visto la partecipazione di tecnici, ricercatori universitari, amministratori pubblici, soprattutto di tanti cittadini interessati a conoscere quale sia lo stato dei terreni a uso civico e quali iniziative possano esser messe in campo per tutelare efficacemente questo straordinario patrimonio collettivo.

Oristano, assemblea per la difesa degli usi civici (24 febbraio 2017)

Oristano, assemblea per la difesa degli usi civici (24 febbraio 2017)

Fra i tanti, sono intervenuti Giovanni Battista Piras, tecnico impegnato nella conoscenza e nella pianificazione dei demani civici, Barbara Poddi (responsabile Ufficio Usi civici Cabras), Giovanni Soro (responsabile Ufficio Usi civici Villacidro), Pierfranco Devias, responsabile della formazione indipendentista Libe.R.U., il Sindaco di San Vero Milis Luigi Tedeschi, impegnato in complesse vicende per la gestione degli usi civici lungo la costa del Sinis, Artemio Casula, già Sindaco di Morgongiori e protagonista di un’epica vicenda di recupero delle terre a uso civico del piccolo centro del Monte Arci, a suo tempo occupate illegittimamente.

Oristano, assemblea per la difesa degli usi civici (24 febbraio 2017)

Oristano, assemblea per la difesa degli usi civici (24 febbraio 2017)

Tante le vicende esposte, le domande e le riflessioni del nutrito pubblico, ma tutti concordi su un punto fondamentale: i demani civici e i diritti di uso civico vanno difesi a ogni costo, perché rappresentano un elemento importante per le comunità locali sul piano economico-sociale e su quello ambientale e costituiscono una parte importante della loro storia e identità.  Ben 4-500 mila ettari di terre collettive sarde.

Da tempo, infatti, l’attuale Amministrazione regionale sta conducendo una vera e propria operazione per realizzare un nuovo Editto delle Chiudende.

Migliaia di ettari di terreni a uso civico risultano occupati illegittimamente, mentre Comuni e Regione non esercitano le dovute azioni di recupero e mentre 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici giacciono nei cassetti regionali.

Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

Ricordiamo che ogni cittadino può farsi sentire: infatti, su sollecitazione di tante persone – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Planargia, litorale (foto Benthos)

Planargia, litorale (foto Benthos)

Istruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud. Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione. Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni. Chi vuole può firmare serenamente.

 

stendardo GrIGqui il sintetico dossier Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna

 

 

stendardoqui la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa

 

foresta mediterranea

foresta mediterranea

(foto Benthos, J.I., S.D., archivio GrIG)


Un nuovo scoiattolo in Italia!

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Scoiattolo meridionale (Sciurus meridionalis)

Scoiattolo meridionale (Sciurus meridionalis)

Straordinaria scoperta da parte di un gruppo di ricercatori italiani, coordinato dall’Università degli Studi dell’Insubria.E’ stato scoperto lo Scoiattolo meridionale (Sciurus meridionalis), specie propria dell’Appennino meridionale, fra Calabria e Basilicata e già a rischio di estinzione per la riduzione degli habitat naturali e la competizione con gli altri Scoiattoli di provenienza “straniera”.

E’ una grande conferma della non comune ricchiezza di biodiversità della fauna selvatica italiana.

E rimbocchiamoci le maniche per difenderla.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

bosco e girasoli

bosco e girasoli

A.N.S.A., 23 febbraio 2017

Scoperto in Italia nuovo mammifero, lo scoiattolo meridionale. E’ in Calabria e Basilicata, rischia già estinzione.

E’ tutto ‘made in Italy’ un nuovo parente stretto degli scoiattoli comuni europei scoperto in Calabria e Basilicata e che potrebbe essere già a rischio estinzione: è lo scoiattolo meridionale (nome scientifico è Sciurus meridionalis), di colore nero con ventre bianco, quindi diverso da quello europeo detto ‘scoiattolo rosso’ (Sciurus vulgaris) per la colorazione che può variare dal rosso-arancione al bruno scuro ed è presente in tutto il resto d’Italia, ad eccezione di Sicilia e Sardegna. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Hystrix the Italian Journal of Mammalogy.
Lo scoiattolo meridionale potrebbe essere ‘specie a rischio’ sia per la riduzione degli habitat, sia per la competizione con le specie di sciuridi alloctone, ossia introdotte artificialmente dall’uomo come lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) di provenienza nord americana e lo scoiattolo variabile (Callosciurus finlaysonii) dal sud est asiatico, delle vere e proprie forme di inquinamento biologico incentivate dall’uomo. Con la scoperta del nuovo mammifero l”Italia conferma il suo primato di Paese europeo con la maggior biodiversità.
Grazie a un approfondito studio genetico, morfologico ed ecologico fatto da un team di ricercatori italiani, coordinato dall’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) , si è scoperto che le popolazioni di scoiattolo presenti in Calabria e Basilicata – che già dal 1900 erano state riconosciute come “peculiari” al punto tale da considerarle come una sottospecie dello scoiattolo comune europeo – appartengono a tutti gli effetti a una nuova specie di scoiattolo.
Oltre all’Università dell’Insubria hanno partecipato al lavoro esperti di Università di Milano Bicocca, Università di Firenze, Museo La Specola, Università della Calabria, Museo di Storia Naturale della Calabria ed Orto Botanico, Cnr, Istituto per lo Studio degli Ecosistemi e dalla Società Italiana per la Storia della Fauna “G. Altobello”.
“Il lavoro in gruppo, unendo diverse competenze, approcci e capacità”, spiega Adriano Martinoli che insieme a Damiano Preatoni e Lucas Wauters opera nell’Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali del Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate dell’Università degli Studi dell’Insubria, “è ormai un passaggio obbligato se si punta a ottenere risultati di buona qualità, garantendo inoltre il valore aggiunto di un continuo confronto e di fatto di un permanente controllo critico delle attività”.
“La certezza di trovarsi di fronte a una nuova specie è giunta dopo aver analizzato un grande quantitativo di dati genetici e morfologici”, raccontano Martinoli e Wauters, “che hanno consentito ai ricercatori del nostro gruppo integrato e multidisciplinare, di giungere alla pubblicazione del lavoro, per altro” aggiungono con una punta di orgoglio Martinoli e Preatoni, “su una rivista scientifica del settore teriologico (la teriologia è la scienza che studia i mammiferi), Hystrix the Italian Journal of Mammalogy, che è la quarta al mondo per importanza tra tutte le riviste che si occupano di zoologia, competendo con le riviste delle grandi multinazionali mondiali dell’editoria, certamente un ulteriore motivo di vanto per il nostro Paese e per la comunità scientifica nazionale dei teriologi e per l’Associazione Teriologica Italiana che è l’editore della rivista, completamente open access”.
“Purtroppo la scoperta della nuova specie che risulta essere un endemismo dell’Italia, ovvero una specie presente soltanto nel nostro Paese, una ‘esclusiva’ tutta italiana” spiega il professor Martinoli “ci spinge anche a evidenziare che la specie potrebbe già risultare a rischio di estinzione, sia per la riduzione degli habitat, sia per la competizione con le specie di sciuridi alloctone, ossia introdotte artificialmente dall’uomo, come lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) di provenienza nord americana e lo scoiattolo variabile (Callosciurus finlaysonii) dal sud est asiatico, delle vere e proprie forme di inquinamento biologico incentivate dall’uomo”
L’Italia conferma il suo primato di Paese europeo con la maggior biodiversità ospitando più di 58.000 specie animali note, tra i quali circa 1300 di vertebrati. Di questi il 5% sono esclusivi dell’Italia come pure circa il 10% degli invertebrati italiani.

 

bosco sotto la neve

bosco sotto la neve

(foto A.N.S.A., S.L., S.D., archivio GrIG)


Sospesa l’attività estrattiva di un’altra cava sulle Alpi Apuane.

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Alpi Apuane, Massa, Padulello, notare la Via di Lizza del Padulello, manufatto storico

Alpi Apuane, Massa, Padulello, notare la Via di Lizza del Padulello, manufatto storico

 

Il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, con ordinanza presidenziale n. 2 del 17 febbraio 2017, ha sospeso l’attività estrattiva della Cava Padulello, a Massa, gestita dalla Sermattei s.r.l., in seguito all’avvenuto riscontro di “lavorazioni realizzate … in difformità dalla Pronuncia di Compatibilità Ambientale e di Nulla osta del Parco” e ha ordinato il ripristino ambientale (art. 64 della legge regionale Toscana n. 30/2015 e s.m.i.).

Nel dicembre 2016 il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Presidio Apuane, insieme ad Amici della Terra – Club VersiliaClub Alpino Italiano – ToscanaLa Pietra Vivente, aveva presentato alle amministrazioni pubbliche e alla magistratura competenti specifica segnalazione con richiesta di accertamenti sullo svolgimento dell’attività estrattiva.

Senza dubbio, però, rimane una notevole carenza normativa: l’assenza della previsione della revoca in caso di gravi violazioni dei criteri, limiti, principi dell’autorizzazione all’attività estrattiva.  Sarebbe possibile in forza della norma generale prevista per ogni atto amministrativo dalla legge n. 241/1990 e s.m.i. (l’art. 21 quinques), ma nessuno ha il coraggio di farlo.

Lo scorso 25 febbraio 2017, nell’ambito della manifestazione De Mundo Apuano – Confini, promossa dal Gruppo Speleologico Archeologico Apuano, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Presidio Apuane ha presentato Alpi Apuane, confini sconfinati, un’analisi ragionata fra acqua, vegetazione, attività estrattive e legalità a cura di Elia Pegollo, Andrea Ribolini, Franca Leverotti.

Proponiamo di seguito la parte finale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Alpi Apuane, Massa, panoramica fra Padulello e Focolaccia

Alpi Apuane, Massa, panoramica fra Padulello e Focolaccia

Se il rispetto della legge costituisce un confine, una demarcazione, qui lo si è superato più volte: è stato superato dalle istituzioni, dai concessionari, dall’indifferenza dei cittadini. Ma, soprattutto, la legge viene interpretata discrezionalmente: le pronunce di compatibilità ambientale (P.C.A.) delle cave distinguono di fatto fra “abuso permissibile” e “non permissibile”. A oggi si è condonato di tutto e di più, con sanzioni risibili imposte dalle normative regionali toscane: ma si può condonare l’asportazione di una cresta, il taglio di una guglia, l’inquinamento delle sorgenti?

Il Grippo d’Intervento Giuridico onlus (GrIG) chiede il rispetto delle leggi e, poichè è senza padrini e senza padroni, cerca di portare alla luce tutto ciò che ha superato il confine. Da qui le cave chiuse….

Vi porto pochi esempi: ieri è stata formalizzata la chiusura di una cava: ci sono voluti due mesi da quando Comune, Carabinieri e Guardiaparco hanno riscontrato gli abusi (alcune migliaia di tonnellate asportate senza autorizzazione), abusi che sono in parte presenti nella recente richiesta di variante (a volumi zero: cioè non si scaverebbe oltre il consentito, ma si distribuirebbero diversamente i volumi concessi).

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Che cosa vuol dire? Che prima si fa l’abuso, poi si cerca di legittimarlo con una variante di piano a volumi zero, certi che nessuno controlli lo stato di fatto della cava:  infatti, per decenni è stato così. Di questa cava  non si può tacere il fatto che alcuni anni fa ha scavato  per quasi un anno, pur in possesso di un solo permesso di ripristino ambientale con divieto “tassativo di scavo al monte”, perché l’amministrazione voleva che un imprenditore terminasse le sue commesse.

Grazie alla mancanza di controlli, una cava in galleria ha potuto scavare diverse gallerie senza averne l’autorizzazione. Non solo, è entrata anche in area Parco. Stando alle dichiarazioni della Ditta le tonnellate scavate (cioè detriti e blocchi) sono diverse migliaia. Ci si chiede: se il detrito viene usato per chiudere le gallerie abusive esaurite, da dove sono passate le tonnellate di blocchi scavati in più che non risultano alla pesa?

Ma se il Comune e il Parco non controllano, perché la ASL PISSL delegata alla sicurezza, che spesso fa sopralluoghi, non ha riscontrato le difformità? Perché non compete: gli addetti alla sicurezza hanno l’obbligo di controllare che le gallerie siano sicure, non devono accertarne la presenza nel piano estrattivo.

Un cittadino si domanda: perché invitarli alle conferenze dei servizi? Che significato ha l’obbligo di un loro parere sulla posizione di una galleria, se molte gallerie non rispettano le indicazioni della ASL? Ne è stata fatta una, traslata e alzata di 16 metri rispetto al progetto originario, ma non è stata sanzionata perché era sicura!

E’ comune che le Ditte nel momento in cui chiedono il rinnovo del piano estrattivo, dichiarino che non hanno esaurito il quantitativo concesso per la crisi del mercato (una ditta lo dichiara da decenni…) oppure perché il tempo non ha permesso di lavorare quanto previsto ecc. Ci chiediamo: è normale che si continuino ad accettare piani che contengono queste giustificazioni, nel momento in cui la stessa ditta dichiara di aver scavato migliaia di tonnellate extra?

Alpi Apuane, Cava Vittoria, scarico detriti (luglio 2016)

Alpi Apuane, Cava Vittoria, scarico detriti (luglio 2016)

Ancora il confine violato: il Comune tollera che le Ditte tentino di appropriarsi di beni della Comunità, quando nei contratti notarili dichiarano falsamente la proprietà di alcuni mappali o affermano di avere in uso un intero mappale e non 1/10 della sua superficie. Il Comune concede in affitto   mappali adiacenti all’area estrattiva , affitto tenue, di solito per un quinquennio, poi il mappale viene incorporato all’area di cava, senza preoccuparsi se è censito come bene comunale o area estrattiva….I 30.000 mq di terreno comunale su cui sorge l’Aronte sono finiti in mano agli arabi della Focolaccia in questo modo.

Ma capita anche che nel momento in cui il Comune li concede in affitto, si precisi se sono concessi come area estrattiva, oppure per bonifica, sicurezza, ripristino ambientale ecc. Ebbene, quando su questi mappali concessi “per altro” si fa attività estrattiva, è normale che l’Amministrazione non intervenga?

Una nota sulla “sicurezza”: in nome della presunta sicurezza si concede tutto e di più. Si giustificano gli abusi ex post. Un pezzo di montagna (area estrattiva), scavato senza i regolari permessi del Parco, solo con l’autorizzazione impropria e insufficiente del Dirigente e del Responsabile Unico del Procedimento del Comune, diventa ex post un ravaneto instabile.  Improvvidi i concessionari di 30-40 anni prima che sul ravaneto instabile avevano costruito una casetta in muratura per gli operai e la cabina elettrica….

E ancora, in un piano approvato si specifica che una cava produce di detrito solo scaglie e blocchi per scogliere, ma quando vengono autorizzati 7-8 camion al giorno esentasse per 10 mesi per trasportare terre….viene il dubbio che il confine sia stato superato dal concessionario e anche dall’Amministrazione.

Ancora un caso di totale cecità del Parco e dell’Amministrazione…La Regione fin dal 1980, con il progetto Ertag Marmi, fa mappature complete delle cave e delle qualità del marmo presente: ma tutto ciò viene dimenticato. Nel 2007 si specifica nel PRAER che alcuni marmi rari non possono essere scavati perché vanno lasciati allo scopo di restaurare monumenti storici. Evidentemente si chiede ai Comuni di segnalare la presenza di cave con quella tipologia di marmo….il Comune di Massa segnala due cave chiuse e si dimentica la sola in attività che continua a scavarlo ancora oggi, consapevole del pregio del materiale come si legge nella pubblicità che non a caso rimanda a Cosimo de’ Medici.

Alpi Apuane, marmettola in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola in un corso d’acqua

Come si arriva a conoscere le procedure, a vedere i piani estrattivi? Con molta difficoltà: per almeno due anni le delibere sulle cave non sono state messe all’albo on line del Comune: una grave violazione di legge. Solo da un anno il Comune consente l’accesso al suo Archivio dietro richiesta scritta e si possono avere a pagamento fotocopie, ancora dietro richiesta scritta. Sempre dietro richiesta scritta si può accedere al materiale del Parco recente, quello presente nella sede di Massa: materiale che non contempla però le infrazioni riscontrate dai Guardiaparco. Per gli altri Enti, ASL e ARPAT l’accesso, dietro richiesta scritta , non è diretto: sono gli Enti che selezionano il materiale che possono dare e ne fanno loro fotocopie a pagamento.

Un cittadino rappresentante di Associazioni Ambientaliste ha il dovere di chiedere e ricevere questo materiale: a quale scopo?  Per la tutela degli interessi collettivi. Questo stesso cittadino ha il dovere di chiedere informazioni e chiarimenti ai diversi Enti al fine di segnalare le violazioni riscontrate e percorsi impropri. Questo che sarebbe un percorso legittimo  e riconosciuto negli Stati democratici, sembra trovare limiti nella Toscana Nord occidentale, se arrivano ad un sindaco e ad un imprenditore una busta contenente materiale attribuito al GrIG e che sarebbe stato inviato dal GrIG a diversi Enti pubblici, senza che queste persone sentano il dovere di consegnare questo materiale all’Autorità giudiziaria perché ne verifichi la provenienza, ma queste persone, beneficiarie del materiale,  si sentono in dovere  di chiedere spiegazioni in merito al GrIG direttamente.

Esiste ancora un confine? Esiste il rispetto della legge? Siamo in Italia, nel 2017 oppure altrove?

 

Pontestazzemese, manifestazione GrIG Apuane in occasione di riunione dei sindaci del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane (10 gennaio 2017)

Pontestazzemese, manifestazione GrIG Apuane in occasione di riunione dei sindaci del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane (10 gennaio 2017)

(foto A.G., F.L., archivio GrIG)


Portoscuso: soldi pubblici sprecati, inquinamento, salute e paracarri.

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Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

anche su Il Manifesto Sardo (“Portoscuso: soldi pubblici sprecati, inquinamento, salute e paracarri“), n. 233, 1 marzo 2017

 

Incredibile.

Donatella Emma Ignazia Spano, Assessore della Difesa dell’Ambiente della Regione autonoma della Sardegna, e Tore Cherchi, già parlamentare della Repubblica nonché amministratore locale sulcitano e ora coordinatore del Piano Sulcis, all’unisono magnificano i risultati della recente conferenza di servizi tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente sulla bonifica e messa in sicurezza della falda acquifera  di Portoscuso: i costi saranno sostenuti dalle aziende che hanno inquinato.

Portovesme, bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Si tratta della banale applicazione del principio secondo cui chi inquina paga.  E’ stabilito dalla legge (art. 3 ter del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni) e dalla normativa comunitaria.

Nessun regalo, nessuna vittoria, solo l’applicazione della legge.

La dice lunga su come vengano affrontati i problemi ambientali, sanitari di un’intera popolazione e della riconversione industriale.

Su connottu.    Come si è sempre fatto.

Industria pesante e inquinante, fuori mercato e sostenuta da fondi pubblici.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino "fanghi rossi"

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino “fanghi rossi”

Per esempio, ben 74,1 milioni di euro sui 668,6 milioni di euro del Piano Sulcis sono destinati alla ripresa dell’attività dell’Eurallumina. Ampliamento del bacino dei fanghi rossi, “solita” attività inquinante, nessuna certezza di poter vendere sul mercato internazionale l’alluminio primario.

Magari fra solo qualche anno ritorneremo punto e a capo.

Con i lavoratori ancora in cassa integrazione (tranquilli, nessuno è realmente sulla strada, per fortuna) a batter i caschi sui sampietrini romani in attesa dell’ennesimo summit in qualche Ministero.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Valeva la pena di impegnare tutti questi soldi per tenere aperte produzioni sulla cui sostenibilità economica c’erano già allora fondati dubbi? Il fatto è che di fronte a emergenze di occupazione e di reddito, l’istinto italiano, sbagliato, è di esercitare un vero e proprio accanimento terapeutico a favore dell’impresa in crisi, anche quando le prospettive di mercato sono improbabili o nulle”.

Non solo.

Sono interventi che bruciano risorse pubbliche preziose e, creando false aspettative, consumano futuro. Quasi sempre sarebbe più saggio lasciare le imprese al loro destino e occuparsi invece dei lavoratori, sostenendo il loro reddito e accompagnandoli con servizi di qualità (orientamento e formazione, in primo luogo) verso una nuova occupazione”.

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

Caspita, è vero!

Nel Sulcis e per il Sulcis non mancano proposte ragionevoli e di buon senso. Nel territorio ci sono almeno due importanti attrattori in grado di creare occupazione diffusa e sostenibile: la straordinaria dotazione di bellezze naturali e la ricchezza della storia mineraria. In più, c’è un agro-alimentare di qualità che, come in gran parte della Sardegna, può crescere ben oltre il suo livello attuale. In altre parti del mondo, Europa compresa, risorse di questa qualità e dimensione sono state sufficienti a dare reddito, occupazione, benessere a grandi comunità territoriali”.

Geniale!

Ma chi è che afferma queste verità di buon senso?

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Francesco Pigliaru nell’agosto 2012, docente universitario ed economista, la stessa persona che da tre anni è Presidente della Regione autonoma della Sardegna e decide la prosecuzione di quel “su connottu senza alcuna prospettiva” in un “balbettio demagogico a cui abbiamo spesso assistito”.

Certo, solo i paracarri non cambiano mai posizione, ma qualche spiegazione sarebbe d’obbligo.

Soprattutto, perchè in così tanti anni la classe politica isolana non ha nemmeno provato a individuare alternative meno inquinanti e meno energivore, anche nello stesso comparto industriale.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

da La Nuova Sardegna, 31 agosto 2012

Sulcis, l’ultima sfida: ora soluzioni credibili. (Francesco Pigliaru, Alessandro Lanza)

L’angoscia degli operai del Sulcis e le aspettative per un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie meritano il massimo rispetto. Ma soprattutto meritano il massimo impegno da parte delle istituzioni locali e centrali, oggi chiamate a proporre con urgenza soluzioni credibili, lontane dal balbettio demagogico a cui abbiamo spesso assistito.

Carbosulcis e Alcoa rappresentano vicende decisive per il futuro dell’isola. Per quanto riguarda il carbone, il tema è presto riassunto. Nel 1996 il Corriere della Sera pubblicò un articolo che ebbe allora molta risonanza. Nell’articolo veniva ricostruita, con dovizia di dettagli, la lunga sequenza dei contributi pubblici concessi alle miniere. Già da allora la situazione era molto critica: i soli sussidi a fondo perduto concessi dallo Stato nel decennio 1985-1995 avevano superato i 900 miliardi di lire. Cui andrebbero aggiunti, per completezza, gli interventi diretti dell’Eni (250 miliardi nel 1985), i contributi concessi dalla Regione Sardegna in tutti questi anni, e l’impegno dell’Enel ad acquistare l’energia elettrica prodotta con il carbone del Sulcis a un prezzo di oltre il cento per cento superiore al normale costo di produzione dell’impresa elettrica.

Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

Valeva la pena di impegnare tutti questi soldi per tenere aperte produzioni sulla cui sostenibilità economica c’erano già allora fondati dubbi? Il fatto è che di fronte a emergenze di occupazione e di reddito, l’istinto italiano, sbagliato, è di esercitare un vero e proprio accanimento terapeutico a favore dell’impresa in crisi, anche quando le prospettive di mercato sono improbabili o nulle.

Sono interventi che bruciano risorse pubbliche preziose e, creando false aspettative, consumano futuro. Quasi sempre sarebbe più saggio lasciare le imprese al loro destino e occuparsi invece dei lavoratori, sostenendo il loro reddito e accompagnandoli con servizi di qualità (orientamento e formazione, in primo luogo) verso una nuova occupazione.

Per dare un’idea dell’ordine di grandezza degli sprechi che si generano per sostenere cause (imprenditoriali) dubbie, provate a immaginare cosa sarebbe successo se i soldi spesi per il carbone del Sulcis fossero stati attribuiti non all’impresa ma, appunto, ai lavoratori. Potenzialmente, ogni lavoratore avrebbe avuto a disposizione una dote iniziale di miliardo di lire, avrebbe potuto godere per vent’anni di una rendita mensile di circa 1400 euro, e a fine periodo il capitale iniziale sarebbe rimasto invariato.

Tutto questo per sottolineare che una frazione di quei soldi così malamente spesi sarebbe stata sufficiente a finanziare interventi capaci di aiutare le persone a trovare nuova occupazione.

fumi industrialiMa le lezioni del passato rimangono in gran parte inascoltate. Oggi come ieri, la ragione fondamentale all’origine della crisi delle miniere del Sulcis non si è modificata. E’ un carbone di scarsa qualità, ha troppo zolfo e costa troppo per poter essere utilizzato in modo economico, qualunque sia la tecnologia adottata. E si fa dunque fatica a capire perché le tecnologie di carbon sequestration, costose e incerte anche in contesti più favorevoli, ma richieste a gran voce qui in Sardegna, dovrebbero cambiare improvvisamente in meglio la situazione.

Il caso Alcoa è simile. La Sardegna non produce bauxite e, persino con favorevolissime condizioni di costo (e non è questo il caso), sarebbe anti economico importare allumina ed esportare alluminio. Non c’è un mercato al mondo in cui questo accade. Mentre si discute di Alcoa, in Russia e in Arabia Saudita – dove esiste un costo dell’energia incomparabilmente più basso – realizzano impianti grandi 5 o 6 volte lo smelter di Portovesme, con enormi economie di scala capaci di ridurre ulteriormente i costi. Il problema supera i confini regionali: riduzioni importanti di capacità produttiva sono in programma in tutta Europa.

Una classe politica seria dovrebbe dirsi e dire che ragioni strutturali e non di congiuntura impediscono che queste produzioni possano continuare a offrire un credibile futuro economico. Poi dovrebbe affrontare con urgenza il tema di cosa fare in alternativa. Nel Sulcis e per il Sulcis non mancano proposte ragionevoli e di buon senso. Nel territorio ci sono almeno due importanti attrattori in grado di creare occupazione diffusa e sostenibile: la straordinaria dotazione di bellezze naturali e la ricchezza della storia mineraria. In più, c’è un agro-alimentare di qualità che, come in gran parte della Sardegna, può crescere ben oltre il suo livello attuale. In altre parti del mondo, Europa compresa, risorse di questa qualità e dimensione sono state sufficienti a dare reddito, occupazione, benessere a grandi comunità territoriali.

Fluminimaggiore, area mineraria di Baueddu, forni

Fluminimaggiore, area mineraria di Baueddu, forni

Non è facile ma si può fare anche da noi. Bisogna però capire questo: che la vera emergenza per il Sulcis non è una fabbrica che va via o una miniera che chiude. E’ invece una qualità delle istituzioni che oggi non dà garanzie sufficienti a coloro che devono affrontare le profonde e anche dolorose (socialmente ed economicamente) trasformazioni necessarie per raggiungere una nuova sicurezza economica. Chi li accompagnerà in quel percorso? Chi li orienterà, offrendo loro consulenze di certificata professionalità? Chi li aiuterà ad acquisire le competenze di cui hanno bisogno per diventare piccoli imprenditori o per essere assunti in una nuova, diversa impresa? Chi gli garantirà, e a quali condizioni, un reddito nel periodo di orientamento e formazione? Chi è in grado di sboccare le bonifiche per rendere credibile la prospettiva di un decente e sostenibile sviluppo basato sulla bellezza paesaggistica del territorio? Chi si occuperà, e come, e con quali tempi, di semplificare la vita a chi vorrà investire nel Sulcis?

I territori che hanno gestito con successo crisi profonde sono stati in grado di dare risposte positive a tutte queste domande. Le loro istituzioni hanno saputo adottare con decisione una prospettiva chiara e hanno evitato che si trasformasse in occasione di sprechi e di elargizioni a favore di interessi di parte. Governo, regione e autorità territoriali dichiarino subito, ognuno per il proprio ambito di competenza, come intendono garantire che i prossimi interventi straordinari a favore del Sulcis saranno ora più efficaci rispetto a quelli del disastroso passato: per esempio, in che modo intendono sbloccare la pluriennale vicenda di bonifiche finanziate ma mai effettuate? Quali correttivi adotteranno perché il parco geo-minerario si faccia davvero e diventi un credibile attrattore internazionale? E così via. “Cosa” fare è piuttosto ovvio. “Come” riuscire a farlo, come sbloccare resistenze e interessi di parte, no.

Una migliore performance istituzionale è il passaggio obbligato e urgente per dare un futuro accettabile al Sulcis e all’intera Sardegna. In sua assenza, rimarremo incastrati in un su connottu senza alcuna prospettiva.

 

Fluminimaggiore, Tempio di Antas

Fluminimaggiore, Tempio di Antas

(foto Raniero Massoli Novelli, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Prelievi di sabbia e disastri ambientali.

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Cina, Lago Poyang, spesso prosciugato

Cina, Lago Poyang, spesso prosciugato

Non ci pensa nessuno o quasi.

Eppure gli eccessivi prelievi di sabbia possono portare a veri e propri disastri ambientali.

A Cagliari i sistematici pluridecennali prelievi di sabbia dai fondali prospicienti la spiaggia del Poetto han portato all’erosione della spiaggia emersa e alla successiva scellerata operazione di ripascimento, oggetto anche di vicissitudini giudiziarie.

Ma non è nulla (o quasi) rispetto a quanto sta accadendo in varie parti del mondo.

In un silenzio assordante.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cagliari, spiaggia del Poetto con il "ripascimento"

Cagliari, spiaggia del Poetto con il “ripascimento”

da La Stampa, 28 febbraio 2017

Isole cancellate e disastri ambientali, è la sabbia il nuovo oro nero. Essenziale per l’edilizia. In pochi anni la Cina ha usato più cemento che gli Usa in un secolo.

Una catastrofe ambientale che avrà gravi conseguenze sugli ecosistemi, sulla disponibilità di acqua potabile, sull’erosione di fiumi, laghi e coste è in corso da anni, in un colpevole silenzio.  (Vittorio Sabadin)

Forse non se ne parla abbastanza perché riguarda la più umile delle risorse naturali: la sabbia. Abbiamo la convinzione che ce ne sia così tanta, nei deserti, nel fondo del mare e nelle spiagge, che è inutile preoccuparsi se ogni anno se ne raccolgono milioni di tonnellate destinate ai cantieri edili. Ma qualcosa ci sta sfuggendo di mano, e gli allarmi che si levano in molte parti del mondo dovrebbero essere ascoltati.

La sabbia è un componente essenziale del calcestruzzo, che si ottiene mescolandola a ghiaia, acqua e cemento. Da secoli si fa così, e non si è trovato un modo migliore per costruire in modo economico un edificio. La sabbia serve anche a produrre il vetro delle finestre e l’asfalto che ricopre le strade. Ogni volta che una città si ingrandisce, è la sabbia a renderlo possibile. Le persone che visitano Shanghai, in Cina, restano ammirate dagli splendidi grattacieli, dalle autostrade urbane e dalle infrastrutture realizzate negli ultimi anni. Dal 2000, la città ha aggiunto 7 milioni di persone ai suoi abitanti, toccando i 23 milioni di residenti. In 10 anni, ha costruito più nuovi grattacieli di tutti quelli che si trovano a Manhattan. La sabbia con la quale sono stati eretti è arrivata quasi tutta dal lago Poyang, il più esteso della Cina. Grandi macchine in grado di estrarre 10 mila tonnellate di materiale l’ora hanno permesso di inviare su barche, lungo lo Yangtze, 236 milioni di metri cubi l’anno di sabbia. Ma il Poyang, che era la maggiore riserva di acqua potabile del Paese, è ora secco per molti mesi dell’anno. Gli uccelli migratori che vi si rifugiavano sono scomparsi, le rive franano e la bocca verso lo Yangtze è diventata così grande che l’acqua del lago vi si riversa subito, lasciando i fondali scoperti.

Cina, Pechino, smog

Cina, Pechino, smog

Mezzo miliardo .

Mezzo miliardo di cinesi vive oggi in una città e molti altri desiderano farlo: occorrerà altra sabbia. Ma il problema non è limitato alla Cina. L’India ha triplicato dal 2000 il suo consumo di sabbia; Singapore in 20 anni ne ha importata per 517 milioni di tonnellate, stabilendo un record mondiale di 5,4 tonnellate per abitante. In Indonesia 24 isole sabbiose sono scomparse, divorate dalle scavatrici. Non sono solo le grandi compagnie a estrarre sabbia. In India, Cina e nel Sud Est asiatico lo fa anche la gente comune, che poi la trasporta verso le città su camion e a volte a dorso di asino, e viene già taglieggiata da organizzazioni criminali.

Gli enti che lanciano l’allarme, come il Global Environmental Alert Service delle Nazioni Unite che ha redatto un rapporto sul «sand mining», non prevedono che la situazione migliorerà: nel 2010 la superficie della Terra coperta da cemento, asfalto e parcheggi era di un milione di chilometri quadrati, una superficie pari al doppio della Spagna. La popolazione urbana, che oggi tocca i 3,9 miliardi di persone, arriverà a 6,3 miliardi nel 2050. Per questo in tutto il mondo si raccoglie altra sabbia, deviando il corso dei fiumi e dei laghi, rendendo sempre più fragili le rive, distruggendo ecosistemi e depredando le spiagge, come avviene persino in California dove la società Cemex, grazie a un cavillo legale, ha ancora un permesso di prelievo. Ed Thornthon, ingegnere di Monterey esperto nella preservazione delle coste, ha detto al Guardian che 30 chilometri quadrati di spiagge californiane spariscono ogni anno per diventare calcestruzzo. Cemex ha smentito.

Chi pensa che la sabbia dei fiumi e dei laghi debba essere protetta comincia a protestare, ma senza troppe speranze. Gruppi di attivisti hanno fermato i prelievi sul Lough Neagh in Irlanda, e in California hanno riportato simbolicamente qualche sacco di sabbia sulle spiagge. Il Kenya ha deciso di chiudere le miniere sui fiumi, la Cina ha fermato gli scavi sulle rive dello Yangtze dopo che erano pericolosamente franate vicino a Shanghai. Ma nessuno si fa troppe illusioni: quando fra poco più di 30 anni due esseri umani su tre abiteranno in una città, vivranno circondati da un mare di sabbia impastato nei muri, nei parcheggi e nei centri commerciali e nessuno forse si ricorderà più di com’era il mondo quando la sabbia era ancora al proprio posto.

 

estrazione di sabbia nel Mondo (da La Stampa)

estrazione di sabbia nel Mondo (da La Stampa)

(foto A.N.S.A., La Stampa, S.D., archivio GrIG)

 


Giù le mani da Porto Ferro!

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L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (2 marzo 2017) uno specifico atto di intervento con “osservazioni” nella procedura di approvazione del piano di utilizzo dei litorali (P.U.L.) di Sassari con la finalità di evitare l’assurda previsione di realizzazione di ben tre stabilimenti balneari e relativi servizi sul litorale di Porto Ferro.

Interessati il Comune di Sassari, la Direzione generale della pianificazione urbanistico territoriale e della vigilanza edilizia della Regione autonoma della Sardegna, il Servizio valutazioni ambientali (S.V.A.) della Regione autonoma della Sardegna.

dune

dune

Il litorale e la spiaggia di Porto Ferro, con le sue tre Torri costiere del XVII secolo (Bantine Sale, Torre Negra, Torre Bianca), costituiscono un sistema costiero di rilevante importanza naturalistica ambientale e paesaggistica, con ambienti dunali e di macchia mediterranea di rara suggestione e bellezza. L’area è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e con vincolo di conservazione integrale (della legge regionale n. 23/1993).

Nel piano paesaggistico regionale – P.P.R. l’area rientra nella fascia costiera (artt. 15, 19, 20 delle norme tecniche di attuazione), ambito paesaggistico n. 14 “Golfo dell’Asinara”, non trasformabile e destinata a conservazione integrale (campi dunali e sistemi di spiaggia).   Inoltre, rientra nel sito di importanza comunitaria – S.I.C. “Lago di Baratz – Porto Ferro (codice ITB011155), ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora.

Lago di Baratz, paesaggio

Lago di Baratz, paesaggio

Il P.U.L. di Sassari è stato adottato con la con deliberazione Consiglio comunale n. 3 del 24 gennaio 2017, ma, pur interessando aree rientranti nella Rete Natura 2000 (S.I.C., Z.P.S.) con specifico piano di gestione, non risulta sottoposto preventivamente alla necessaria procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.).

L’inopinata previsione di tre stabilimenti balneari a Porto Ferro, fra l’altro giustamente raggiungibile solo con una viabilità di modeste dimensioni, ha provocato finora una vera e propria rivolta popolare da parte delle tantissime persone che amano quella splendida costa sarda: il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus mette a disposizione di chiunque voglia intervenire nella procedura un fac simile di atto di intervento con “osservazioni”, da richiedere all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com e poi da completare con i propri riferimenti e da inviare al Comune di Sassari.

Giù le mani da Porto Ferro!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Saraghi (Diplodus Rafinesque)

Saraghi (Diplodus Rafinesque)

 

piano paesaggistico regionale (P.P.R.), Baratz e Porto Ferro

piano paesaggistico regionale (P.P.R.), Baratz e Porto Ferro

(foto S.D., archivio GrIG)



Adotta un Danese, aiutalo!

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Rendiamoci conto che c’è chi al mondo sta veramente male.

E’ noto, c’è del marcio in Danimarca, dove s’ammazzano Giraffe e Leoni e si macellano davanti ai bambini.

Riflettiamoci e facciamo qualcosa anche noi.

Aiutiamoli.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

 


Il GrIG chiede lo stop della Cava Breccia Capraia. E le Imprese estrattive pagano i canoni concessori per il marmo estratto senza autorizzazione?

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Alpi Apuane, Sagro, manifestazione sotto la neve (genn. 2017)

Alpi Apuane, Sagro, manifestazione sotto la neve (genn. 2017)

Dopo la recente (ordinanza presidenziale n. 2 del 17 febbraio 2017) sospensione dell’estrazione del marmo e l’ordine di ripristino ambientale nella Cava Padulello (Massa) per le gravi violazioni riscontrate da parte del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (GrIG) ha chiesto (3 marzo 2017) il diniego del prolungamento dell’attività estrattiva nella Cava di Breccia Capraia, in Comune di Massa, a causa di una serie di rilevanti criticità ambientali relative al noto sito estrattivo del pregiato marmo “Fior di Pesco”, in teoria tutelato per la propria rarità.

Coinvolti il Comune di Massa, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Lucca, il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, la Regione Toscana, l’A.R.P.A.T.

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Ma c’è anche un altro aspetto di grande rilievo.

Le Società estrattive pagano il prescritto canone di concessione (legge regionale Toscana n. 78/1978), cioè la c.d. tassa marmi, per i quantitativi estratti senza autorizzazione?

Quando – molto spesso ormai, grazie anche alle azioni legali del GrIG – vengono riscontrate estrazioni abusive di marmo e viene ordinata la sospensione dell’attività estrattiva e il ripristino ambientale, vengono anche riscossi i relativi canoni di concessione?

Alpi Apuane, marmettola in un corso d'acqua

Alpi Apuane, marmettola in un corso d’acqua

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato in proposito (4 marzo 2017) una specifica segnalazione alla Procura regionale della Corte dei conti per la Toscana e alla Guardia di Finanza riguardo un “caso pilota” relativo a un sito estrattivo del comprensorio delle Alpi Apuane.

L’Associazione, grazie all’incessante attività del Presidio Apuane del GrIG, continua senza sosta la battaglia per la legalità e la salvaguardia ambientale delle Alpi Apuane.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Massa, Cava Valsora Palazzolo

Massa, Cava Valsora Palazzolo

(foto A.G., F.L., archivio GrIG)


Quando il rumore diventa illecito.

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Fernando Botero, Uomo che suona il tamburo (1999)

Fernando Botero, Uomo che suona il tamburo (1999)

Rilevante pronuncia della Suprema Corte in materia di qualificazione del reato di cui all’art. 659 cod. pen.

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 7 febbraio 2017, n. 5613 ha indicato la fattispecie di cui all’art. 659 cod. pen. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) quale reato di pericolo presunto, essendo sufficiente l’idoneità della condotta (schiamazzi, rumori, ecc.) a disturbare un nòvero indeterminato di persone.    L’idoneità dei rumori a recare disturbo alla quiete pubblica non necessariamente dev’essere accertata mediante perizia o consulenza tecnica, essendo valide anche testimonianze che indichino caratteristiche e intensità dei rumori molesti oltre la soglia della normale tollerabilità.

La giurisprudenza, però, non è unanime: secondo Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 40329, invece, si tratta di reato di pericolo concreto, nel senso che, sebbene non sia necessaria ai fini della integrazione della fattispecie penale, la concreta lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice – da individuarsi nel diritto alla quiete nelle proprie occupazioni ed al riposo di una pluralità tendenzialmente ampia ed indeterminata di soggetti e non solo del singolo e ristretto gruppo di individui che per avventura si trovino a soggiornare nei pressi del luogo dal quale originano gli schiamazzi, i rumori o le emissioni sonore – è, tuttavia, necessario che siffatta idoneità potenziale alla lesione di una indeterminata pluralità di persone si presenti e sia dimostrata in termini di concreta sussistenza (per questo, appunto, si parla di reato di pericolo concreto e non astratto).

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Roma, Corte di cassazione

Roma, Corte di cassazione

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 2 marzo 2017

Cass. Sez. III n. 5613 del 7 febbraio 2017 (Ud 15 dic 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Mengoni Imputato: Santovito
Rumore. Requisiti per la configurazione del reato di cui all’art. 659 cod. pen.

L’affermazione di responsabilità per la fattispecie di cui all’art.659 cod. pen., attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato. L’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 12/6/2015, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dichiarava Vincenza Santovito colpevole del reato di cui all’art. 659 cod. pen. e la condannava alla pena di 200,00 euro di ammenda (Candeloro Siracusa, coimputato, era invece prosciolto per morte); alla stessa era contestato di aver provocato disturbo al riposo ed alle occupazioni dei vicini, non impedendo ai propri due cani di latrare ed abbaiare di giorno e di notte.

    2. Propone appello la Santovito, a mezzo del proprio difensore, invocando – con unico motivo – la declaratoria di assoluzione. La condanna non terrebbe conto del fatto che le deposizioni assunte provenivano esclusivamente dalle parti civili o da loro parenti, soggetti tutt’altro che indifferenti alla luce dei pessimi rapporti di vicinato correnti da anni, anche in forza di altre querele (e con la precisazione che nessun vicino diverso da questi soggetti si sarebbe mai lamentato). Ancora, non sarebbe stata verificata l’incidenza dei rumori sulla pubblica tranquillità (anche alla luce del contesto territoriale), né l’idoneità a recare disturbo ad un numero indeterminato di persone; al riguardo, infatti, non sarebbe stata compiuta alcuna verifica tecnica. Infine, nessuno dei testimoni avrebbe mai visto i cani in esame abbaiare, sì da non potersi confermare che si trattasse proprio degli animali posseduti dall’imputata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Rileva innanzitutto la Corte che, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda.
    Di seguito, deve esser qui ribadito il costante indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di conversione dell’impugnazione ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., l’appello erroneamente proposto avverso la sentenza di condanna a pena pecuniaria non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo – al di là dell’apparente nomen iuris – alle reali intenzioni dell’impugnante ed all’effettivo contenuto dell’atto di gravame, con la conseguenza che ove dall’esame di tale atto si tragga la conclusione che l’impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l’appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, n. Nexhi, Rv. 209336; Sez. 2, n. 47051 del 25/9/2013, Ercolano, Rv. 257481; Sez. 5, n. 35442 del 3/7/2009, Mazzola, Rv. 245150).

    4. Orbene, ciò premesso, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, tale conversione non possa esser compiuta, atteso il carattere eminentemente fattuale (id est: legato al merito) del presente gravame, con il quale si contesta l’attendibilità dei testimoni tutti, l’assenza di una affidabile prova di responsabilità e, in conclusione, si invoca l’assoluzione dell’imputata.
    Nessun profilo, quindi, che possa esser ricondotto nell’alveo dell’art. 606 cod. proc. pen..

    5. A ciò si aggiunga, peraltro, che la sentenza impugnata ha affermato la responsabilità della Santovito con logico percorso argomentativo, privo di vizi od illogicità di sorta.
    Ed invero, il Tribunale ha riconosciuto la colpevolezza dell’appellante in ragione di plurimi elementi istruttori e, in particolare, delle deposizioni rese da numerosi soggetti che avevano confermato quanto contestato ex art. 659 cod. pen.; e cioè che i cani di proprietà dell’appellante erano soliti abbaiare di giorno e di notte, con grande frequenza, sì da disturbare il sonno, reso assai difficoltoso, e recare evidente disturbo al riposo dei testi, tutti abitanti nelle immediate adiacenze. La sentenza, di seguito, ha esaminato anche le dichiarazioni rese dall’imputata medesima, verificando che questa aveva confermato che il cane (uno solo) abbaiava, ma precisando «non ogni tre minuti».

    6. Orbene, con questa motivazione la sentenza ha di fatto richiamato: 1) il costante principio secondo cui l’affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato (per tutte, Sez. 3, n. 8351 del 24/6/2014, Calvarese, Rv. 262510); 2) l’ulteriore principio, del pari consolidato, per cui l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (per tutte, Sez. 3, n. 11031 del 5/2/2015, Montoli, Rv. 263433, a mente della quale in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete); 3) la piena attendibilità delle deposizioni assunte, invero non contestata con argomenti concreti neppure nel presente gravame.
    Sì da manifestarsi la piena infondatezza degli argomenti dedotti e, in particolare, l’invocata necessità di esperire comunque accertamenti di natura tecnica, nonché di provare il numero indeterminato di soggetti potenzialmente danneggiati, non risultando a ciò sufficienti numerose persone.

    7. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016

 

Roma, Viale Angelico, pista ciclabile

Roma, Viale Angelico, pista ciclabile

(foto da mailing list sociale, S.D., archivio GrIG)


Bonificare i cumuli di rifiuti a Cussorgia!

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Calasetta, Cussorgia, litorale

Calasetta, Cussorgia, litorale

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto (6 marzo 2017) la bonifica ambientale dei numerosi cumuli di rifiuti abbandonati fra le sponde del Rio Tupei e la ferrovia in disuso di Cussorgia, lungo il litorale di Calasetta.

Coinvolti il Comune di Calasetta, il Corpo forestale e di vigilanza ambientale, i Carabinieri del N.O.E.

Calasetta, Cussorgia, cumulo di rifiuti

Calasetta, Cussorgia, cumulo di rifiuti

L’abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, nel suolo, nelle acque superficiali e sotterranee sono vietati (art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.): il sindaco competente dispone con ordinanza a carico del trasgressore in solido con il proprietario e con il titolare di diritti reali o personali sull’area la rimozione dei rifiuti e il ripristino ambientale. Trascorso infruttuosamente il termine assegnato, provvede d’ufficio l’amministrazione comunale in danno degli obbligati.

L’area è anche tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica una rapida bonifica ambientale e un successivo costante controllo del territorio per prevenire nuovi inquinamenti ambientali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Calasetta, Cussorgia, cumulo di rifiuti

Calasetta, Cussorgia, cumulo di rifiuti

(foto per conto GrIG, archivio GrIG)


8 marzo, Giornata internazionale della Donna.

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New York, incendio della Triangle Factory (25 marzo 1911)

Il 25 marzo 1911 a New York vi fu il terribile incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini), in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica.

New York, condizioni di lavoro nella Triangle Factory (inizio ‘900)

Le condizioni di lavoro erano durissime (turni di 14 ore al giorno, per una settimana lavorativa di 60-72 ore) e ai lavoratori di fatto era impedito di allontanarsi dal posto di lavoro.

camicetta “shirtwaist”

Gli ambienti di lavoro erano quelli di inizio ‘900: sotto le luci a gas, tessuti infiammabili immagazzinati dove capitava, scarti di stoffa sparsi per il pavimento, i “tagliatori” spesso fumavano, i rimedi contro gli incendi erano costituiti da pochi secchi d’acqua. Nessuna uscita o scala di sicurezza.

La fabbrica era agli ultimi tre piani di un palazzo di dieci, nel quartiere di Greenwich. Vi lavoravano circa 500 operai per 6-7 dollari alla settimana. Producevano le shirtwaist, camicette alla moda del tempo.

Nel pomeriggio del 25 marzo 1911 si sviluppò il disastroso incendio.

I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, scapparono, lasciando richiusi i lavoratori. Ben 62 di loro morirono lanciandosi dalle finestre per evitare la morte per asfissia.

Nel successivo processo penale furono assolti.

New York, incendio della Triangle Factory, riconoscimento delle vittime (25 marzo 1911)

L’assicurazione pagò ai titolari della fabbrica 445 dollari per ogni lavoratore morto.   Le rispettive famiglie ricevettero un risarcimento di 75 dollari.

Ai funerali parteciparono migliaia di persone.

L’8 marzo 1908, diversamente da quanto si ritiene generalmente, non andò a fuoco nessuna inesistente fabbrica Cotton a New York.

La data dell’8 marzo quale Giornata internazionale della donna prese piede dopo la risoluzione n. 33/142 del 16 dicembre 1977, con cui l’Assemblea generale dell’O.N.U. propose a ogni Stato nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale” (“United Nations Day for Women’s Rights and International Peace“).

Conseguentemente l’8 marzo, già festeggiato in diversi Paesi (fra cui l’Italia, a partire dall’8 marzo 1945), venne scelto come la data ufficiale da molte Nazioni.

Ci sono ancora molti passi da fare per raggiungere un’effettiva giustizia sociale, perché il significato di una giornata diventi clima quotidiano di tutto l’anno.

Facciamoli insieme.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

New York, incendio della Triangle Factory, vittime sul marciapiede (25 marzo 1911)

 

Siria, Rojava, donna siriana si libera dal velo (giugno 2015)

(foto storiche, da Il Corriere della Sera, Wikipedia)


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