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Inquinamento da PFAS: arriverà un po’ di giustizia per il popolo inquinato?

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Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Recentemente sono stati unificati presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza vari procedimenti penali aperti presso le Procure di Padova e Verona e nei giorni scorsi sono stati consegnati 10 avvisi di garanzia ad altrettanti amministratori della Miteni s.p.a., l’industria di Trissino ritenuta responsabile della grave situazione di inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e da cromo e zinco, che riguardano le aree attraversate dal fiume Fratta-Gorzone, nella Regione Veneto.

La grave situazione legata all’inquinamento da PFAS è nota a tutti, da anni e, nei mesi scorsi, ha ripreso vigore, dopo anni di stasi, il relativo procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica vicentina.

Anche il Ministero dell’ambiente sembra finalmente orientato ad avviare l’azione per danno ambientale contro il gravissimo inquinamento.

Era ora.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto esprime la sua soddisfazione per gli sviluppi della vicenda che sembrano aprire spiragli per un po’ di giustizia per il popolo inquinato.

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

L’inquinamento da PFOA e PFAS in Veneto.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si è interessato attivamente al problema fin dal 2013, in seguito alla diffusione dei dati molto preoccupanti emersi dallo “Studio di valutazione del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani”, condotto negli anni 2011 e 2012, dall’Istituto di Ricerca sulle Acque-IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e dalle campagne di monitoraggio effettuate nei mesi di maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013, in corpi idrici superficiali e reflui industriali e di depurazione del reticolo idrografico della provincia di Vicenza, oltre a campioni di acqua potabile nelle province di Padova e Verona.

Lo Studio in questione ha, infatti, evidenziato le elevatissime concentrazioni di PFOA-Acido perfluorootanoico (livelli superiori superiori a 1000ng/L) nel reticolo idrico superficiale nell’area a sud dell’autostrada, nel bacino di Agno e Fratta Gorzone, anche a monte dello scarico del collettore ARICA.

Ma uno dei dati più allarmanti, messo in luce dalla relazione dell’IRSA-CNR, è quello relativo alla misura delle concentrazioni delle medesime sostanze nelle acque potabili prelevate da punti di erogazione sia pubblici che privati. In particolare, nel bacino di Agno-Fratta Gorzone, sono state rilevate concentrazioni crescenti da nord a sud, che raggiungono valori di PFOA superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Se è vero che la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nell’acqua non è ancora fatta oggetto di specifici limiti (standard di qualità ambientale), è altrettanto vero che la direttiva 2013/39/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, individua l’acido perfluoroottansolfonico e derivati (PFOS)[1] come sostanza pericolosa prioritaria, fissandone lo standard di qualità ambientale (SQA) a una concentrazione di 6,5 × 10 –4 μg/l e cioè 0,65 ng/l, a fronte di valori rilevati nelle acque superficiali e sotterranee nella Valle dell’Agno e del Chiampo che, come dimostrato dallo studio (tre campagne di monitoraggio nel maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013) dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque – IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, raggiungono valori di PFOA (acido perfluoroottanoico) superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Questo significa che le acque della Valle dell’Agno e del Chiampo, e di tutto il tessuto idrografico che insiste in quella regione, possono presentare valori di sostanze perfluoro-alchiliche che eccedono di 1.500, 2.000 volte lo standard di qualità proposto dalla Direttiva Quadro sulle Acque di 0,65ng/L .

Peraltro, già nel 2012 l’ARPAV, in seguito a dei controlli effettuati all’epoca, aveva evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta era prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche allo scarico industriale della ditta Miteni Spa., e suggeriva una serie di azioni finalizzate a migliorare la situazione di grave inquinamento dell’intera area, tra le quali anche l’eliminazione nel breve periodo, dal ciclo produttivo le sostanze PFOA e PFOS.

Veneto, aree contaminate da PFAS

Veneto, aree contaminate da PFAS

Nonostante la situazione sia estremamente grave, non risultano tuttora nemmeno affrontati i fattori inquinanti.   Il 20 aprile 2016 sono stati presentati i risultati derivanti dallo studio di biomonitoraggio effettuato dalla Regione Veneto con l’Istituto Superiore di Sanità relativamente all’inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e quanto emerso delinea una situazione altamente compromessa, sotto il profilo sanitario, poiché lo studio ha confermato la presenza di PFAS nell’organismo dei soggetti dell’area di maggiore esposizione, identificata con l’Ulss 5 di Arzignano e, in misura minore, con l’Ulss 6 di Vicenza, in quantità statisticamente significative rispetto all’area di controllo (parte dell’Ulss 6 di Vicenza non interessata, Ulss 8 di Asolo, Ulss 9 di Treviso, Ulss 15 Alta padovana e Ulss 22 di Bussolengo).

Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminateha spiegato l’assessore regionale alla Sanità, Lucio ColettoAltre 250 mila sono interessate dal problema”.

Eppure la Regione Veneto, da due anni (febbraio 2015), era stata invitata dal Ministero dell’ambiente ad adottare limiti provvisori e urgenti per le sostanze inquinanti. Invano, come denunciato anche da un’interrogazione del consigliere regionale Andrea Zanoni.

Ciliegina sulla torta: gli elevati costi di potabilizzazione delle acque verranno scaricati sugli utenti.

campagna veneta

campagna veneta

La pericolosità.

Si ricorda, inoltre, che il PFOS (acido perfluorottano solfonoico) è classificato nel DESC (Database ecotossicologico sulle sostanze chimiche) del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare come cancerogeno (categoria di pericolo 2), tossico per la riproduzione (categoria di pericolo 1b) e nocivo per i lattanti allattati al seno, tossico per diversi organi bersaglio per esposizione ripetuta (categoria di pericolo 1), tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.  Il suo utilizzo è soggetto a forti restrizioni.

D’altra parte, PFOS e PFOA non sono, attualmente, inclusi nella legislazione vigente sulle acque potabili ma sono inclusi nella terza lista di sostanze candidate da US-EPA alla regolamentazione a livello federale. US-EPA (USEPA 2009) ha proposto per PFOS un Provisional Health Advisories di 200ng/L mentre per PFOA di 400ng/L. In Germania, ricorda la relazione dell’IRSA, la Commissione per le acque potabili ha definito delle classi di rischio, espresse come somma di PFOS e PFOA, in base al tempo di esposizione e all’età, fissando a 100ng/L il limite assoluto di sicurezza per una esposizione decennale per ogni classe di individui, mentre per una esposizione breve, nel caso di un adulto sano, si considerano tollerabili concentrazioni fino a 5 µg/L.

La relazione dell’IRSA-CNR ha evidenziato che, in assenza di limiti di potabilità italiani o comunitari, confrontando le concentrazioni rilevate con i limiti proposti in ambito US-EPA (400ng/L per PFOA) e tedeschi (100ng/L per la somma dei perfluorurati per una esposizione decennale) sussiste un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono le acque prelevate dalla falda, posto che tali composti si comportano da interferenti endocrini nel metabolismo dei grassi e hanno sospetta azione estrogenica e cancerogena.

stendardo GrIGL’azione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Come detto il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si occupa concretamente del grave e misconosciuto inquinamento fin dal 2013.    L’ultima, ennesima richiesta di informazioni a carattere ambientale (interessati, tra gli altri, il Ministro dell’Ambiente, la Regione Veneto, l’ARPAV, la ULSS 6, la Provincia di Vicenza, e per conoscenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza e la Commissione Europea) è del 23 giugno 2016.

Le analisi svolte dall’A.R.P.A.V. (nota A.R.P.A.V. Vicenza prot. n. 75059/X.00.00 dell’11 luglio 2013, in  risposta a precedente istanza del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus del 20 settembre 2013) hanno evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta è prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nello scarico industriale della ditta Miteni Spa, allacciata all’impianto di depurazione di Trissino, la quale contribuisce per il 96,989% all’apporto totale di PFAS, in presenza di un impianto di depurazione non in grado di abbattere tale tipo di sostanze, in quanto non dotato di tecnologia adeguata. Scrive l’ARPAV: “Allo stato attuale risulta che la propagazione della contaminazione ha raggiunto un’area di estensione di circa 150 km2 ed interessa principalmente le province di Vicenza, Verona e Padova, con presenza in falda e nei corsi d’acqua superficiali e nel sistema dei pozzi utilizzati per uso potabile nella zona di Lonigo, Sarego, Brendola e Vicenza”.

Un inquinamento folle che infetta e aggredisce una zona che va almeno da Trissino (VI) a Montagnana (PD).

Cologna Veneta, scarichi nel Fiume Fratta-Gorzone

Cologna Veneta, scarichi nel Fiume Fratta-Gorzone

Con la richiesta di informazioni ambientali e opportuni interventi inoltrata il 26 febbraio 2015, l’Associazione ecologista ha voluto verificare l’efficienza depurativa del collettore fognario ARICA posto sul Torrente Fratta-Gorzone, probabilmente il fondamentale veicolo dell’inquinamento: conseguentemente il Sindaco di Cologna Veneta ha chiesto (nota Ufficio tecnico – Servizio ecologia prot. n. 2752/15 – R del 24 marzo 2015) alla Regione Veneto, all’A.R.P.A.V., al Consorzio di gestione del depuratore, alla Provincia di Vicenza, informando contemporaneamente la magistratura e la polizia giudiziaria competenti, tutti gli elementi utili per poter comprendere se vi sia “una situazione di pericolo per l’ambiente” e poter provvedere con un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000 e s.m.i. (Testo unico degli Enti locali).

Dal canto suo, l’A.R.P.A.V. ha indicato (nota del 10 marzo 2015) i siti web istituzionali dove sono conferiti i dati sull’inquinamento, il rischio ambientale e il rischio sanitario per la presenza di acido perfluoroottansolfonico (PFOS).  Eccoli:

* rischio ambientale: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas

* rischio sanitario: http://prevenzione.ulss20.verona.it/pfas.html.

Inoltre, nel mese di maggio 2016, nella località Ponte degli Asini, in Comune di Castelbaldo, sono stati eseguiti in conto proprio, incaricando un laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche, dei prelievi di acque e fanghi che successivamente hanno evidenziato elevati valori di Cromo totale e Zinco.

Pertanto, non essendo a conoscenza dell’avvenuta risoluzione della grave situazione di inquinamento delle aree interessate dalla presenza di PFAS, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus-Veneto ha chiesto alle autorità interessate tutte le informazioni a carattere ambientale al riguardo, ed auspica l’adozione di drastici provvedimenti che garantiscano alle popolazioni residenti nelle località interessate condizioni ambientali salubri, in base al principio di precauzione, previsto dall’art. 191 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e dell’art. 3 ter del Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.) ed in virtù del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, come diritto fondamentale della persona e della collettività.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

anatre_in_volola Società Miteni s.p.a. informa:

 

Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2017

Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2017

(foto M.F., archivio GrIG)



Migliaia e migliaia di ettari di terre collettive occupate da privati in Sardegna: Comuni e Regione devono recuperarli!

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cristalli di neve e alberi

cristalli di neve e alberi

anche su Il Manifesto Sardo (“Migliaia e migliaia di ettari di terre collettive occupate da Privati in Sardegna: Comuni e Regione devono recuperarli!“), n. 231, 1 febbraio 2017

 

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (30 gennaio 2017) una specifica istanza ad alcuni Comuni della Sardegna che vedono migliaia e migliaia di ettari di terreni a uso civico occupati illegittimamente da Privati per l’adozione delle necessarie azioni di recupero ai rispettivi demani civici (art. 22 della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).

I Comuni interessati sono Cabras, Lotzorai, Alà dei Sardi, Porto Torres, Dolianova, Carloforte, Barumini e Posada.

Coinvolta anche la Regione autonoma della Sardegna (Presidenza, Assessorato dell’agricoltura, Agenzia Argea Sardegna) per l’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inerzia comunale, informate per gli accertamenti e i provvedimenti di competenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, la Procura regionale della Corte dei conti per la Sardegna e il Commissariato per gli Usi Civici per la Sardegna.

Sardegna, versanti boscosi

Sardegna, versanti boscosi

Attraverso un’analisi dei dati pubblici dell’Inventario generale delle Terre civiche, è stato possibile verificare un’ampia casistica di terreni appartenenti ai rispettivi demani civici, ma occupati senza alcun titolo da Privati.

In Sardegna sono stati accertati demani civici in ben 236 Comuni sui 377, in altri 120 il provvedimento di accertamento è pronto, ma non è stato promulgato (in 21 Comuni non sono stati riscontrati diritti di uso civico), complessivamente 4-500 mila ettari.

Naturalmente anche in tanti altri Comuni sardi si riscontrano analoghe situazioni, da Orosei a San Gavino Monreale, da Portoscuso a Baunei, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.

Carloforte, Stea

Carloforte, Stea

Fra i casi più rilevanti vi sono gli oltre 550 mila metri quadri di bosco e macchia mediterranea di Bricco Nasca, a Carloforte, le decine di lotti nella località costiera di Tancau, a Lotzorai, i circa 150 mila metri quadri intestati alla società estrattiva Industriale Monte Rosè a Porto Torres.

Singolare quanto accaduto sulla costa di Posada: oltre 550 mila metri quadri intestati a una società immobiliare (la Lagare s.p.a.di Como) a Monte Orvile, vennero venduti illegittimamente (i terreni a uso civico non sono alienabili, se non dopo sdemanializzazione e autorizzazione regionale) con atto del 26 marzo 1964 rogato presso la Prefettura di Nuoro, recentemente (2013) ricomprati dal Comune, dopo varie vicissitudini e rischi speculativi.   Tuttavia non sembrano rientrati nel demanio civico.   Sempre a Posada, tanti piccoli lotti risultano occupati da Privati sulla costa di San Giovanni – Sos Palones.

dune

dune

E ancora: decine e decine di ettari di pascoli e bosco a uso civico intestati a Privati ad Alà dei Sardi (centinaia di ettari di boschi a uso civico sono stati venduti all’allora Azienda Foreste Demaniali della Regione Sardegna) e ben 12.382.732 metri quadri ceduti in diritto di superficie dal Comune per la realizzazione della centrale eolica della Geopower s.r.l. – Falck Renewables.    L’operazione è stata legittimamente autorizzata?       I diritti di uso civico dei residenti sono stati tutelati?

Sulle colline e i monti (loc. Pillonadoris, Monti Mannu, Padentino, Sa Mitza e s’Iixi e altre) di Dolianova risultano parecchi ettari di terreni a uso civico intestati a Privati senza alcuna spiegazione, mentre nel Sinis di Cabras non si contano i terreni appartenenti al demanio civico con intestazione a Privati: da Is Aruttas a Mari Ermi, da Mistras a San Giovanni di Sinis, da Funtana Meiga a S’Acqua Mala, ad Acqua Durci – Sa Concullia Ogai.

Svariati ettari di terreno agricolo appartenenti al demanio civico di Barumini (ma in territorio comunale di Las Plassas) risultano anch’essi intestati a Privati.

Cabras, Is Aruttas, spiaggia

Cabras, Is Aruttas, spiaggia

Finora non si ha notizia di alcuna attività comunale o regionale finalizzata al recupero dei terreni a uso civico occupati senza titolo da Privati.

Anzi.

Come noto, infatti, ormai sta procedendo da tempo la pesante offensiva istituzionale dei vertici della Regione autonoma della Sardegna contro le terre a uso civico: sdemanializzazioni, occupazioni abusive ignorate, mancata dichiarazione pubblica di demani civici accertati sono le principali direttrici di attacco ai danni dei patrimoni collettivi di centinaia di centri piccoli e grandi dell’Isola.

Un nuovo Editto delle Chiudende, come il provvedimento che nella prima metà dell’800 dette inizio alla privatizzazione dei grandi demani collettivi sardi.

L’attuale situazione è descritta puntualmente nell’articolo Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna, ecco coma la Giunta Pigliaru vuole realizzare il nuovo Editto delle Chiudende (2 gennaio 2017).

Chi ci guadagna?  Riscontri elettorali, imprese industriali, piccoli e grandi abusi (forse anche di qualche amministratore pubblico), grandi imprese immobiliari (soprattutto lungo la costa orientale).

Chi ci perde?  Le tante collettività locali sparse in tutta la Sardegna (in tre quarti dei Comuni sono presenti terre a uso civico), a cui vengono sottratti coste, pascoli, boschi senza nulla in cambio.   Tutti noi per quanto concerne il valore ambientale dei demani civici.

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Nessuna trasparenza regola queste operazioni, per esempio l’ultima legge regionale n. 26/2016 che ha introdotto nuove forme di sdemanializzazione delle terre civiche è stata approvata in quattro e quattr’otto di notte, senza alcuna pubblicità né vergogna né giustificazioni plausibili.

Su sollecitazione di tanti cittadini – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini, in poco tempo più di 900 persone hanno messo la loro firma per difendere i demani civici: firma anche tu e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

alba

alba

anatre_in_voloIstruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud. Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

 

animali-aquile_11350-gif-animataqui la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa.

 

Gennargentu, nevaio

Gennargentu, nevaio

(foto S.L., J.I., S.D., archivio GrIG)


Sospesi i lavori nel cantiere intorno alla spiaggia di Spalmatore, a La Maddalena.

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mare e coste (foto Benthos)

mare e coste (foto Benthos)

Il Servizio tutela del paesaggio di Sassari della Regione autonoma della Sardegna, rispondendo alle istanze dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (11 ottobre 2016 e 29 dicembre 2016), ha chiesto (nota prot. n. 3386 del 30 gennaio 2017) al Comune di La Maddalena urgenti informazioni sui lavori del cantiere edilizio per la ristrutturazione e ampliamento di una struttura turistica in base al c.d. piano per l’edilizia (o piano casa, legge regionale n. 4/2009 e s.m.i.) aperto da qualche mese intorno alla spiaggia di Spalmatore, sull’Isola di La Maddalena (OT).

L’ha fatto e ha, soprattutto, reso nota una circostanza estremamente importanza finora non nota: è stata emanata l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 1 del 19 gennaio 2017, di cui non c’è traccia nell’Albo pretorio comunale a più di 10 giorni dall’emanazione.

La Maddalena, Spalmatore, cantiere edilizio (dicembre 2016)

La Maddalena, Spalmatore, cantiere edilizio (dicembre 2016)

I lavori sarebbero stati, quindi, sospesi dal Servizio regionale tutela del paesaggio dopo aver riscontrato l’avvenuta completa demolizione per la successiva ricostruzione e ampliamento, non consentiti dagli artt. 2 e 5, comma 5°, della legge regionale n. 4/2009 e s.m.i.

La situazione giuridico-amministrativa del cantiere appare sempre più di dubbia legittimità.

L’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, infatti, ha comunicato (nota prot. n. 277/17 del 18 gennaio 2017) di aver contestato alle altre Amministrazioni pubbliche competenti (note prot. n. 5832/15 del 14 settembre 2015 e prot. n. 7910 del 18 dicembre 2015) una serie di gravi carenze progettuali e procedurali.

In particolare:

1) illegittimo aumento di volumetrie pari a mc. 84,16 anziché al massimo mc. 38,88, visto che il “volume esistente autorizzato” è pari a mc. 388,85;

2) la relazione di incidenza ambientale – base della procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.) – “non è conforme alle disposizioni contenute nella ‘Guida metodologica alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva Habitat92/43/CEE’ predisposta dalla Commissione Europea … inoltre non si evince uno studio/rilievo puntuale degli habitat e delle specie presenti nell’area interessata dal progetto”.

Non risulta l’eventuale conseguimento del necessario nullaosta (art. 13 della legge n. 394/1991 e s.m.i.) da parte dell’Ente Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena.

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

Il quadro ora appare più chiaro.    Infatti, in seguito a segnalazioni di residenti e a una prima richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti da parte del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (11 ottobre 2016), è stato possibile appurare l’avvenuto rilascio del provvedimento unico da parte del SUAP del Comune di La Maddalena (il n. 35/16 del 17 agosto 2016 prot. 13227), previa acquisizione di autorizzazione paesaggistica condizionata a una serie di modifiche e parere positivo al termine della procedura di valutazione di incidenza ambientale, mentre si ignora l’eventuale conseguimento o meno del parere da parte del Soprintendente per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari.

In seguito il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato una nuova istanza (29 dicembre 2016).

Coinvolti la Regione autonoma della Sardegna (Direzioni generali della Pianificazione e Vigilanza edilizia nonché del Demanio, Servizio valutazioni ambientali, Servizio tutela del paesaggio), la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari, l’Ente parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, il Ministero dell’Ambiente, mentre è stata informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania per gli aspetti di eventuale competenza.

Il rilascio dell’autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’intervento risulta in contrasto con il piano paesaggistico regionale (P.P.R.), che – per giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 189/2016 e n. 11/2016) – prevale su qualsiasi normativa urbanistico-edilizia, compresa quella inerente il c.d. piano per l’edilizia (o piano casa).  Nel caso di specie, quindi, le disposizioni del P.P.R. prevedono interventi di “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti (art. 20, comma 2°, n. 2 delle norme tecniche di attuazione del P.P.R.), ma senza alcun incremento volumetrico.

Ora i seri dubbi sullo stesso computo dell’aumento volumetrico, sulla procedura di V.Inc.A. e sulla stessa fattivbilità dell’intervento.

La spiaggia di Spalmatore, di contenute dimensioni, appartenente al demanio marittimo (artt. 822 e ss. cod. civ.), è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), nonché con vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993.     Rientra, inoltre, nel parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena (legge n. 394/1991 e s.m.i., D.P.R. 17 maggio 1996) e nel sito di importanza comunitariaS.I.C. e zona di protezione speciale – Z.P.S.  Arcipelago La Maddalena (codice ITB010008), ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto rapidi accertamenti da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte, nonché gli opportuni provvedimenti di annullamento in via di autotutela delle autorizzazioni emanate e, se necessario, urgenti provvedimenti cautelari da parte della competente magistratura.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

La Maddalena,. Spalmatore, cantiere edilizio, cartello "inizio lavori"

La Maddalena,. Spalmatore, cantiere edilizio, cartello “inizio lavori”

(foto Benthos, per conto GrIG, archivio GrIG)


L’Assessore Erriu non convince per niente sugli usi civici.

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nevicata nel bosaco

nevicata nel bosco

Dopo averlo fatto nell’ottobre scorso, l’Assessore degli Enti locali, Finanze, Urbanistica della Regione autonoma della Sardegna Cristiano Erriu cerca e cerca ancora di tranquillizzare tutti sul nuovo Editto delle Chiudende confezionato dalla Giunta Pigliaru e approvato dal Consiglio regionale sardo.

A parte il fatto che l’Assessorato competente in materia di usi civici è quello all’Agricoltura, finora silente, spiace, per la stima che gli portiamo, ma non riesce a convincere nemmeno un po’.

Continueremo a difendere i demani civici in Sardegna e altrove con tutti i mezzi a disposizione.

Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

Infatti, non convince nemmeno un po’ una norma – la legge regionale n. 26/2016 – approvata di notte, a poche ore dalla proposta della Giunta, senza alcuna trasparenza, senza uno straccio di dibattito pubblico dopo vari contenziosi davanti alla Corte costituzionale e 120 accertamenti di demani civici effettuati e pagati dalla Regione, ma tuttora non promulgati.

Non convince nemmeno l’intento di volere “affrontare casi specifici” come l’inquinatissimo bacino dei “fanghi rossi” di Portovesme, realizzato su terreni a uso civico.

La legge approvata furtivamente la notte del 25 ottobre 2016 riguarda naturalmente casi generali e astratti, potenzialmente i 4-500 mila ettari dei demani civici sardi.  Se si fosse voluto intervenire su singoli pochi casi, gli istituti applicabili potevano esser altri (la permuta, l’alienazione, il trasferimento dei diritti di uso civico) già previsti dal quadro normativo (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).

In più, sul piano giuridico, costituisce l’ennesimo pastrocchio: in pratica, la Regione (Giunta e Consiglio) ha deciso che i terreni appartenenti ai demani civici siano sclassificati – cioè sdemanializzati – ma la perdita della tutela paesaggistica di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. sarebbe sospesa sine die in attesa delle verifiche svolte dal Ministero per i beni e attività culturali e del turismo e della Regione nell’ambito degli accordi di copianificazione propri della pianificazione paesaggistica.

Non si comprende a quale titolo quelle aree rimarrebbero tutelate con il vincolo paesaggistico, in una sorta di limbo giuridico in attesa di futuri ed eventuali accordi di copianificazione Stato-Regione che chissà quando arriveranno, pur avendo perso la qualifica demaniale civica, cioè la il motivo stesso della presenza del vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.). Tanto per capirci, a oggi, non c’è stata la conclusione di neanche un accordo di copianificazione Stato-Regione autonoma della Sardegna.

Portovesme, bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Avrebbe avuto senso e sarebbe stata ampiamente giustificabile un’operazione di trasferimento dei diritti di uso civico dalle aree compromesse irreversibilmente a boschi, coste, pascoli di proprietà comunale e, eventualmente, regionale, così da compensare sul piano ambientale e sociale la perdita in danno delle collettività locali.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha predisposto in proposito un testo normativo liberamente utilizzabile (Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici).

Ma così non è stato e la legge regionale n. 26/2016 riapre i termini delle “sclassificazioni” (sdemanializzazioni) dei terreni appartenenti ai demani civici senza che sia previsto alcun corrispettivo per le collettività locali titolari dei diritti di uso civico, così derubate due volte, la prima quando sono stati illegittimamente venduti o occupati i terreni a uso civico, la seconda quando la Regione approverà le “sclassificazioni” senza nulla in cambio.

Non nascondiamoci dietro un dito: fra i terreni a uso civico interessati da questa ben poco virtuosa operazione di sdemanializzazione ci sono sì aree industriali come il bacino dei c.d. fanghi rossi di Portovesme, ma ci sono anche lottizzazioni edilizie lungo la costa orientale, realizzate completamente o solo in parte, come sul litorale di Orosei, dove sono ben presenti interessi di importanti gruppi turistico-immobiliari, così come i terreni a uso civico di Capo Altano, sulla costa di Portoscuso.

Altro che assenza di aree costiere, come sembra adombrare l’Assessore Erriu…

Planargia, litorale (foto Benthos)

Planargia, litorale (foto Benthos)

Per non parlare – infatti l’Assessore Erriu se ne guarda bene dal parlarne – dei tanti casi che possono aver determinato la scandalosa mancata promulgazione di ben 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici nei rispettivi territori comunali sardi, pronti fin dal 2012 e non promulgati per motivi ignoti, pur derivando da regolare appalto di servizi collaudato e pagato.

Per non parlare dei mancati recuperi da parte di Comuni e Regione di migliaia e migliaia di ettari di terreni a uso civico illegittimamente occupati da privati senza alcun titolo, spesso e volentieri “non irreversibilmente modificati”, pur in presenza di un preciso obbligo di legge (art. 22 della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).  E sarebbe anche importante sapere se vi siano consiglieri regionali e altri amministratori pubblici in conflitto di interessi diretto o indiretto riguardo proprio le occupazioni illegittime di terreni a uso civico.

Ma anche di questo l’Assessore Erriu evita di parlare.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ricorda anche il già presente conflitto di attribuzione in materia fra Stato e Regione sulla legge regionale n. 5/2016 davanti alla Corte costituzionale: infatti, queste norme regionali, proposte e votate da una maggioranza trasversale sovranista e di centro-sinistra, violano le competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (artt. 9, 117, comma 2°, lettera s, cost.), come già riconosciuto con la sentenza della Corte costituzionale n. 210/2014, che dichiarò illegittima la legge regionale Sardegna n. 19/2013 di analogo contenuto.

Sardegna, muretto a secco, recinzione tipica dopo l'editto delle chiudende (1820-1823)

Sardegna, muretto a secco, recinzione tipica dopo l’editto delle chiudende (1820-1823)

Siamo disponibili a qualsiasi confronto, ma ci opponiamo e ci opporremo con tutti i mezzi al nuovo Editto delle Chiudende, come il provvedimento che nella prima metà dell’800 dette inizio alla privatizzazione dei grandi demani collettivi sardi.

Qualsiasi cittadino, può, comunque fare la sua parte.   Più di mille l’hanno già fatto.

Infatti, su sollecitazione di tante persone – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

foresta mediterranea

foresta mediterranea

Istruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud.

Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

 

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

 

La Nuova Sardegna 2 febbraio 2017

La Nuova Sardegna 2 febbraio 2017

(foto Raniero Massoli Novelli, Benthos, J.I., S.D., archivio GrIG)


I pareri di natura ambientale e storico-culturale espressi in sede di conferenza di servizi sostituiscono ogni autorizzazione della medesima natura.

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Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Rilevante decisione del T.A.R. Lazio in materia di rapporti fra autorizzazioni ambientali e storico-culturali e conferenza di servizi.

La sentenza T.A.R. Lazio, RM, Sez. III, 30 dicembre 2016, n. 12883 ha ricordato che, qualora espressi in sede di conferenza di servizi (artt. 14 e ss. della legge n. 241/1990 e s.m.i.) i pareri espressi in materia di tutela paesaggistico-ambientale e quelli espressi in materia storico-culturale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) assumono natura endo-procedimentale e vanno a confluire nel procedimento unico teso a emanare l’autorizzazione finale o a denegarla.

Infatti, il provvedimento finale (nel caso specifico, trattandosi di un progetto di centrale eolica, l’autorizzazione unica ex art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i.) “sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti” (art. 14 quater, comma 1°, della legge n. 241/1990 e s.m.i.).

Una decisione nel solco della semplificazione amministrativa, anche in ambito ambientale e storico-culturale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

centrale eolica

centrale eolica

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 2 febbraio 2017

TAR Lazio (RM) Sez. III n. 12883 del 30 dicembre 2016
Beni Ambientali. Conferenza di servizi e parere paesaggistico.

Nell’ambito della Conferenza di servizi, i diversi pareri e valutazioni acquisite, ivi comprese quelle a carattere paesaggistico o relative alla esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, assumono natura “endo-procedimentale” e confluiscono nel procedimento unico, in esito al quale viene adottato il provvedimento finale che, appunto, “sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti”.

*******

12883/2016 REG.PROV.COLL.

01110/2016 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1110 del 2016, proposto da:
Comune di Montesano Sulla Marcellana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Bifulco e Paolo Pittori, con domicilio eletto presso lo studio degli Avvocati Amministrativisti “Adlaw” in Roma, Lungotevere dei Mellini, 24;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso i suoi Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, non costituito in giudizio;
Autorità di Bacino Regionale di Campania Sud e Interregionale Per il Bacino Idrografico del Fiume Sele non costituito in giudizio;
Enac – Ente Nazionale Aviazione Civile non costituito in giudizio;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non costituito in giudizio;
Ministero dell’Interno-Dipart.Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico – Difesa Civile non costituito in giudizio;
Ministero della Difesa non costituito in giudizio;
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, non costituita in giudizio;
Regione Campania, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Rosanna Panariello dell’Avvocatura Regionale, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, via Poli, 2;
Comune di Casalbuono non costituito in giudizio;
Comunità Montana Vallo di Diano non costituito in giudizio;
Agenzia Regionale Protezione Ambientale Campania (Arpac) non costituito in giudizio;
Enav Spa non costituito in giudizio;
Provincia di Salerno non costituito in giudizio;
Azienda Sanitaria Locale Salerno non costituito in giudizio;
Soc. Terna S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino, Francesca Covone, Maurizio Carbone, Filippo Di Stefano e Antonio Iacono, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. prof. Mario Sanino in Roma, v.le Parioli, 180;

nei confronti di

Soc Essebiesse Power Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Maria D’Angiolella, con domicilio eletto presso lo studio Sergio Como in Roma, via G. Antonelli, 49;
Soc Ravano Power Srl non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del decreto interministeriale di proroga del 12/10/2015 avente ad oggetto la realizzazione ed esercizio della nuova stazione elettrica della RTN in classe di isolamento 380 kv nel comune di Montesano sulla Marcella e dei raccordi di collegamento all’esistente elettrodotto a 220 kV “Rotonda – Tusciano”

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Regione Campania, Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, Autorità di Bacino Regionale di Campania Sud e Interregionale per il Bacino Idrografico del Fiume Sele, di Enac – Ente Nazionale Aviazione Civile, di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell’Interno-Dipart.Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico – Difesa Civile e di Ministero della Difesa e di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di Soc. Terna Spa e di Soc Essebiesse Power Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2016 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

  1. – Con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 377 del 14.7.2010 (doc. 2 ric.) veniva rilasciata alla società Essebiesse Power s.r.l. l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 per la costruzione e l’esercizio di un impianto per la produzione di energia da fonte eolica, della potenza di 40 MW da realizzare nei territori dei comuni di Casalbuono e Montesano sulla Marcellana (SA), nonché per le relative opere di connessione elettrica, consistenti in una nuova Stazione Elettrica facente parte della Rete di Trasmissione Nazionale (di seguito RTN), in classe di isolamento 380 kV, da collegare in “entra-esce” sulla linea a 220 kV “Rotonda Tusciano”.

Nel provvedimento autorizzatorio si dava atto (doc. 2 ric., pag. 5 lett. w) della nota del Settore Regionale Tutela dell’Ambiente del 28.11.2006 – nella quale si esprimeva parere favorevole con prescrizioni sul progetto presentato (comprensivo della stazione elettrica) – nonché del successivo decreto dirigenziale n. 53 del 19.1.2010 che esprimeva parere favorevole di compatibilità ambientale.

Il complesso iter procedimentale aveva avuto avvio con la presentazione dell’istanza in data 15.9.2005 da parte della società proponente Essebiesse Power s.r.l., che aspirava alla costruzione e al successivo esercizio di un impianto per la produzione di energia eolica, composto da 20 aerogeneratori della potenza di 2 MW ciascuno, localizzati nei territori dei comuni di Casalbuono e Montesano sulla Marcellana. Si erano quindi svolte due sedute, la prima in data 11.9.2008, la seconda in data 24.2.2010, della Conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e ss. L. n. 241 del 1990, secondo quanto prescritto dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Si osservava altresì che la società istante, rispetto al progetto originario allegato all’istanza, aveva in corso di procedimento modificato la localizzazione della stazione elettrica, la cui ubicazione originariamente insistente nel comune di Casalbuono, veniva successivamente trasferita nel Comune di Montesano sulla Marcellana, per tener conto della soluzione tecnica di connessione prescritta da Terna S.p.a., Gestore della Rete Elettrica Nazionale: soluzione, che la medesima Terna aveva indicato anche ad altro produttore, titolare di analogo progetto (Ravano Green Power). Della nuova ubicazione progettata è traccia documentale nel verbale della prima riunione della Conferenza di Servizi tenutasi in data 11.9.2008 (doc. 15 res.) ove si legge che la società proponente aveva: – accettato la proposta di connessione fornita da Terna S.p.a. in data 15.6.2008; – rinunciato alla precedente soluzione progettuale (fornita da Enel Distribuzione); – rielaborato il percorso del cavidotto rispetto a quello di prima redazione.

L’Amministrazione regionale procedente, in ragione di ciò, invitava la società proponente a inoltrare i nuovi elaborati inerenti la connessione agli enti preposti all’espressione del parere di competenza.

Il menzionato verbale veniva comunicato a tutte le Amministrazioni interessate.

Per la realizzazione della nuova tipologia di connessione (comportante la nuova localizzazione della stazione elettrica nel comune di Montesano s. M.), la Essebiesse Power aveva anche stipulato apposito accordo con Ravano Green Power s.r.l. – titolare di altro progetto per la realizzazione di analogo parco eolico in località “Tempa” (sempre nel comune di Montesano s. M.) – onde assumere la titolarità e la realizzazione del progetto definitivo della stazione elettrica, già predisposto dalla citata Ravano (cfr. docc. 16, 17 Terna).

Il provvedimento di autorizzazione unica regionale veniva infine adottato all’esito della riunione della Conferenza dei Servizi del 24.2.2010, alla quale era stato anche invitato il rappresentante dell’Ufficio VIA della Regione Campania che riteneva però di non presentarsi.

  1. – Successivamente, con determina dirigenziale n. 191 del 15 aprile 2011, la Regione Campania disponeva la voltura, in favore di Terna S.p.a., dell’autorizzazione già rilasciata con il menzionato d.d. n. 377/2010, limitatamente alla costruzione ed all’esercizio della Stazione Elettrica a 380/150kV di Montesano sulla Marcellana e dei raccordi di collegamento a 220 kV all’esistente elettrodotto a 220 kV “Rotonda – Tusciano”, opera di rete per la connessione alla RTN (doc. 3-bis ric.).

Iniziati i lavori relativi alla stazione elettrica, gli stessi sono stati contestati in più occasioni dal Comune di Montesano sulla Marcellana (odierno ricorrente) che, in data 17.11.2011, emanava l’ordinanza n. 70 (doc. 23 Terna) che disponeva la demolizione delle opere nel frattempo eseguite da Terna S.p.a. e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, motivando tale determinazione in base: a) all’assenza del parere favorevole da parte della Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici per le province di Salerno e Avellino (giacché il parere favorevole ai fini paesistici n. 24907 del 17.9.2008 si sarebbe riferito al precedente progetto di localizzazione della stazione elettrica nel Comune di Casalbuono); b) alla mancanza di una favorevole Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) pregiudiziale all’autorizzazione unica, in quanto quella acquisita agli atti del procedimento sarebbe stata resa, ad avviso del Comune, con riguardo alla localizzazione della stazione elettrica nel Comune di Casalbuono e non in quello di Montesano sulla Marcellana.

L’ordinanza veniva impugnata da Terna S.p.a. dinnanzi al TAR Lazio che, con la sentenza n. 9881 del 28.11.2012 (poi confermata dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4167 del 7.8.2013) accoglieva il ricorso, con annullamento dell’ordinanza di demolizione e degli ulteriori connessi provvedimenti adottati dal Comune di Montesano sulla Marcellana, ritenendo in particolare che, stante l’adozione del definitivo e non più impugnabile provvedimento autorizzatorio ex art. 12 d.lgs. 387/2003, il Comune (odierno ricorrente), adottando il provvedimento repressivo sopracitato, aveva indebitamente disapplicato un provvedimento che non aveva ritenuto di impugnare entro il termine di legge, nonostante la società proponente avesse provveduto, dopo avere segnalato la variazione delle opere di connessione alla RTN nella citata riunione dell’11.9.2008 (doc. 15 res.), “a reinviare alle amministrazioni partecipanti tutta la documentazione rilevante (ivi compresi gli elaborati relativi al piano particellare, grafico e descrittivo e al layout della stazione)”.

Si legge nella medesima sentenza del TAR Lazio, sezione II, n. 9881 del 2012 che “la valutazione di impatto ambientale, in quanto frutto di un apporto “endoprocedimentale”, è condizione di legittimità della Conferenza di servizi e non già un presupposto o requisito di efficacia della stessa o del provvedimento finale. Nel caso di specie, pertanto, anche nell’ipotesi in cui fosse provato che la stazione elettrica di Montesano non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale (circostanza peraltro documentalmente contrastata da Terna), ci troveremmo comunque di fronte ad un vizio di legittimità dell’autorizzazione unica, che avrebbe dovuto essere tempestivamente dedotto nella pertinente sede giurisdizionale”.

In data 12.9.2014, con determina dirigenziale n. 800 (doc. 12 ric.), la Regione Campania ha concesso a Terna S.p.a. (divenuta la nuova intestataria del progetto per l’opera elettrica, stante la intervenuta voltura dell’autorizzazione unica già rilasciata alla Essebiesse Power) un prima proroga (fino al 14.10.2015) per la realizzazione dell’opera elettrica.

Nelle more della pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 4167/2013 (che ha rigettato gli appelli avverso la menzionata sentenza del TAR Lazio proposti sia dal MIBAC che dal Comune di Montesano s. M.), il Settore Tutela dell’Ambiente della Regione Campania, con nota prot. n. 435821 del 18.6.2013 (doc. 6 ric.), ha avviato un procedimento ex art. 29 del d.lgs. n. 152/2006, ritenendo che la localizzazione della stazione elettrica (modificata rispetto all’originario progetto) non fosse stata considerata né nel procedimento di autorizzazione unica (sfociato nel d.d. Regione Campania n. 377/2010) né nel procedimento di VIA regionale, rilasciata sulla base di documentazione progettuale, che non contemplava lo spostamento della stazione elettrica e delle opere di connessione nel Comune di Montesano (v. doc. 6 ric.). Per tali ragioni il predetto settore regionale avanzava il dubbio che non si doveva ritenere concessa alcuna VIA (né parere di compatibilità ambientale) in ordine alla stazione elettrica ri-progettata da Essebiesse.

  1. – Terna S.p.a., titolare dell’autorizzazione per l’opera elettrica “de qua” a seguito della voltura regionale sopracitata, avendo la necessità di una nuova proroga, ha inoltrato istanza in tal senso (n. TE/P20150004465 del 9.9.2015), non alla Regione ma al Ministero dello Sviluppo Economico, stante il mutamento di competenza introdotto dalla legge regionale n. 16 del 7.8.2014 che, all’art. 1, comma 164, ha previsto che “164. Per le opere di rete per la connessione alla rete elettrica di trasmissione nazionale autorizzate dalla Regione ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), unitamente agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, quando l’autorizzazione unica sia stata volturata per tali opere di connessione in favore del gestore della rete elettrica nazionale, si applicano le norme riguardanti la rete elettrica di trasmissione nazionale.”.

Svolta l’istruttoria del caso e valutato, in particolare, che l’opera elettrica in questione è prevista nel Piano di sviluppo della RTN del 2011 e che la stazione elettrica in oggetto è necessaria per connettere alla RTN numerosi produttori di energia da fonti rinnovabili ai quali la stessa Terna S.p.a. ha rilasciato, quale soluzione di connessone, il collegamento a tale opera (ai fini dello sviluppo degli impianti di generazione da fonte rinnovabile nelle aree limitrofe), con il decreto del 12.10.2015 il MiSE ha concesso a Terna (che nel frattempo ha presentato allo stesso Ministero, in data 11.9.2015, istanza di variante in riduzione rispetto all’autorizzazione originaria) l’ulteriore proroga di due anni per l’ultimazione dei lavori di realizzazione della stazione elettrica della RTN “Montesano sulla Marcellana” e opere connesse, autorizzati con d.d. della Regione Campania n. 377 del 14.7.2010, in precedenza prorogato con d.d. Regione Campania n. 800 del 12.9.2014.

  1. – Il Comune di Montesano sulla Marcellana, con ricorso spedito a notifica in data 14.1.2016 e depositato entro il termine di rito, insorge avverso il menzionato decreto di proroga adottato dal MiSE di concerto con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di cui chiede l’annullamento per i motivi che possono riassumersi come segue:

Incompetenza del Ministero dello Sviluppo Economico a prorogare il termine di conclusione dei lavori come originariamente fissato dal d.d. Regione Campania n. 377 del 14.7.2010, già prorogato una prima volta dalla medesima Regione: secondo parte ricorrente sarebbe costituzionalmente illegittima la disposizione legislativa di cui all’art. 1, comma 164, della legge regionale n. 16 del 7.8.2014, con cui la Regione Campania avrebbe impropriamente dismesso la sua competenza, relativa al rilascio dell’autorizzazione unica sugli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, che l’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 estende alle opere per la connessione alla rete elettrica, espressamente affidandola all’Autorità regionale; anche a livello di legge statale l’art. 1-sexies del d.l. n. 339/2003 attribuisce alle amministrazioni statali l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli elettrodotti ma a condizione che facciano parte delle “reti nazionali del trasporto dell’energia”, profilo che sarebbe estraneo alla stazione elettrica di Montesano s.M.;

Violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e dell’art. 15 d.lgs. 380/2001; insussistenza di una norma attributiva del potere di proroga dell’autorizzazione; incompetenza assoluta; violazione dell’art. 164 del Codice del paesaggio; superamento del termine quinquennale di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica: secondo il Comune ricorrente la proroga dei soli lavori relativi alla stazione elettrica sarebbe illegittima in quanto l’opera principale autorizzata – il parco eolico – non è mai stata realizzata; mancherebbe una previsione normativa che autorizzi l’esercizio di siffatto potere di proroga, peraltro esercitato senza alcuna consultazione con le altre Autorità coinvolte nella Conferenza di servizi ai fini dell’adozione del provvedimento di autorizzazione unica (sotto tale aspetto il Comune deduce l’incompetenza assoluta del MiSE); sarebbe stato inoltre violato l’art. 164 del Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42 del 2004) il quale limita l’efficacia del nulla-osta paesaggistico a 5 anni, i quali, considerata l’acquisizione in data 24.2.2010 del nulla osta in sede di Conferenza di servizi, erano ormai decorsi al momento dell’adozione dell’atto di proroga oggi impugnato; analogamente sarebbero scaduti i termini sia per l’inizio che per la conclusione dei lavori, con conseguente decadenza dall’autorizzazione alla realizzazione dell’opera principale e, quindi, anche dei lavori elettrici accessori (il ricorrente cita l’art. 15 d.lgs. n. 380 del 2001);

Violazione dell’art. 15 d.lgs. n. 380 del 2001 sotto l’ulteriore profilo della mancanza dei presupposti richiesti dal comma 2 dell’art. 15 cit. per poter concedere la proroga del permesso di costruire che è ricompreso nell’autorizzazione unica rilasciata dalla regione Campania; i termini per l’ultimazione dell’opera, ad avviso del Comune ricorrente, sarebbero scaduti senza alcun motivo riconducibile a quelli di cui all’art. 15 cit.;

Illegittimità del decreto di proroga, poichè sarebbe illegittimo lo stesso atto prorogato (autorizzazione ex art. 12 d.lgs. 387 del 2003), adottato in assoluta carenza di VIA (Valutazione di impatto ambientale), atteso che, come confermato dal competente Ufficio regionale che ha avviato il procedimento di verifica ex art. 29 d.lgs. n. 152 del 2006, le modifiche progettuali intervenute, incidenti in modo consistente sulle opere di connessione elettrica, sul tracciato dei cavidotti e sulla ubicazione della stazione elettrica, non sarebbero mai state prese in esame né dalla Commissione VIA né dal Settore Ambiente della Regione Campania (competente al rilascio del parere di compatibilità ambientale), di modo che la stessa autorizzazione originaria è illegittima in quanto adottata in assenza della VIA; la VIA stessa sarebbe in ogni caso scaduta ai sensi dell’art. 26, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006 e pertanto la procedura di VIA doveva essere reiterata.

  1. – Si sono costituiti il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che, con memoria depositata in data 10.3.2016, contestano puntualmente i motivi di ricorso di cui chiedono l’integrale rigetto.
  2. – Si è costituita in giudizio, altresì, in data 19.2.2016, la Società Terna S.p.a., quale Gestore della rete elettrica nazionale e attuale titolare del progetto di stazione elettrica la cui realizzazione è contrastata dal Comune ricorrente. Terna ha depositato articolata memoria corredata da ampia documentazione attraverso la quale si ricostruisce la pregressa vicenda amministrativa al fine di dimostrare l’infondatezza di tutte le censure articolate in ricorso.
  3. – Si sono altresì costituiti in causa la Essebiesse Power e la Regione Campania. Quest’ultima, con l’atto di costituzione depositato, chiede l’accoglimento del ricorso, aderendo alle censure mosse dal Comune ricorrente avverso il provvedimento ministeriale di proroga. La difesa regionale produce due relazioni istruttorie provenienti dalla Direzione Generale per l’Ambiente e l’Ecosistema della Regione, nelle quali si afferma che l’atto di proroga sarebbe lesivo delle competenze regionali in quanto la stazione elettrica di Montesano sulla Marcellana costituisce un’infrastruttura di connessione alla rete elettrica nazionale, la quale deve essere considerata come “opera connessa” ai fini dell’applicazione dell’art. 12, commi 1 e 3 , d.lgs. 387 del 2003, la cui competenza è delle Regioni.
  4. – Alla camera di consiglio del 15.2.2016, fissata per l’esame della domanda cautelare proposta, il difensore del Comune ricorrente ha formulato istanza di rinvio al merito. Concordi le parti, la causa è stata rinviata al merito.

In vista della pubblica udienza del 5 ottobre 2016, parte ricorrente ha prodotto ulteriori documenti; Terna S.p.a. ha depositato memoria conclusionale; quindi il Comune ricorrente ha depositato due distinte memorie di replica (rispettivamente in data 19.9.2016 e in data 24.9.2016); Terna S.p.A. ha del pari depositato note di replica.

Alla pubblica udienza del 5 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

  1. – Venendo all’esame dei motivi di ricorso, il Collegio ritiene che nessuno di essi meriti accoglimento.
  2. – Con riguardo alla asserita incompetenza statale al rilascio del provvedimento di proroga per cui è causa (primo motivo di gravame), si osserva che il provvedimento adottato costituisce espressione di una competenza spettante allo Stato e, precisamente, al Ministero dello Sviluppo Economico sulla base delle seguenti considerazioni.

L’atto di proroga – il quale protrae temporalmente gli effetti di un precedente provvedimento, analogamente a quanto in generale e sulla base di principi condivisi si afferma in tema di esercizio del potere di autotutela sugli atti in precedenza adottati dall’Amministrazione – è espressione del medesimo potere e della medesima competenza che si manifestano con l’adozione dell’atto amministrativo “di primo grado”.

Ciò premesso, si rileva che la stazione elettrica di Montesano sulla Marcellana, dopo essere stata autorizzata dalla Regione Campania con il decreto dirigenziale n. 377 del 14.7.2010 di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. 387 del 2003, quale opera elettrica di connessione alla rete di trasmissione nazionale (RTN) (afferente al parco eolico originariamente progettato e proposto dalla Essebiesse Power), per effetto della voltura dell’autorizzazione disposto con decreto dirigenziale n. 191 del 15.4.2011 (doc. 3bis ric.) – che ha volturato a Terna la citata autorizzazione n. 337/2010 “limitatamente alla costruzione ed esercizio della Stazione Elettrica a 380/150 kV di Montesano sulla Marcellana…” – è entrata a far parte della RTN, così assumendo la funzione di nodo di raccolta e trasformazione a beneficio di tutti i potenziali utenti della rete.

Quanto precede trova conferma nel Piano di Sviluppo delle rete elettrica nazionale (anno 2011), elaborato da Terna nella sua qualità di Gestore della rete elettrica nazionale ed approvato dal MiSE con nota prot. n. 19100 del 2.10.2012 (doc. 5 AGS), ove si legge che nel Piano è compresa la nuova stazione nel Comune di Montesano sulla Marcellana, da inserire sulla linea 220 kV “Rotonda – Tusciano”, finalizzata a raccogliere la produzione dei parchi eolici nell’area del Cilento (vedi doc. 4 AGS, pagine 124 e 153). Inoltre, nel d.P.R. del 12 novembre 2009 pubblicato nella G.U.R.I. n. 31 dell’8.2.2010 (doc. 6 AGS), si menziona all’art. 2 la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 28 ottobre 2009 con la quale la stazione di Montesano è inserita tra le opere ritenute “interventi relativi alla trasmissione e alla distribuzione dell’energia per i quali ricorrono particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo socio-economico”, i quali devono essere realizzati ai sensi di cui all’art. 4, comma 1, d.l. 1 luglio 2009, n. 78 (conv. con legge 3 agosto 2009, n. 102).

Gli atti menzionati provano che la stazione elettrica, oggetto della proroga oggi impugnata, è opera avente un rilievo strategico nazionale e qualificata da un interesse pubblico di rango statale che, a seguito della voltura dell’originaria autorizzazione al Gestore della rete elettrica, affranca l’opera stessa dalla suo ruolo originario di “opera di connessione” accessoria – afferente al parco eolico progettato dalla Essebiesse Power che, peraltro, non è mai stato realizzato – rendendola del tutto autonoma da esso e oggetto di un interesse statale preminente o “strategico”.

Prevede infatti l’art. 1-sexies del D.L. 29/08/2003, n. 239, che “1. Al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e di promuovere la concorrenza nei mercati dell’energia elettrica, la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica sono attività di preminente interesse statale e sono soggetti a un’autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, rilasciata dal Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e previa intesa con la regione o le regioni interessate, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi e ad attraversare i beni demaniali, in conformità al progetto approvato. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio provvede alla valutazione di impatto ambientale e alla verifica della conformità delle opere al progetto autorizzato…..”.

Appare coerente con il quadro sopra descritto e non pone seri dubbi di costituzionalità, stante l’attribuzione alla legislazione concorrente della materia della produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell’energia (art. 117, comma 3, Cost.), la legge regionale n. 16 del 2014 che all’art. 1, comma 164, testualmente prevede che “164. Per le opere di rete per la connessione alla rete elettrica di trasmissione nazionale autorizzate dalla Regione ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), unitamente agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, quando l’autorizzazione unica sia stata volturata per tali opere di connessione in favore del gestore della rete elettrica nazionale, si applicano le norme riguardanti la rete elettrica di trasmissione nazionale”, il che significa applicazione del sopracitato art. 1-sexies del D.L. 29/08/2003, n. 239, con conseguente competenza del MiSE al rilascio dell’autorizzazione unica sulle opere che entrino a far parte della RTN. 10.2. – Da tutto quanto precede si desume che vi è competenza del Ministero sopracitato ad adottare gli eventuali atti di proroga di cui faccia richiesta il Gestore delle rete nazionale, anche nelle fattispecie in cui la proroga abbia ad oggetto autorizzazioni che, come nel caso di specie, erano state originariamente rilasciate dall’Amministrazione regionale (ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003): per effetto dell’interesse strategico nazionale assunto dall’opera di connessione, in quanto inserita nella RTN, ove si fosse dovuta autorizzare oggi la stazione elettrica, il relativo potere sarebbe spettato all’Amministrazione statale; è pertanto alla stessa Amministrazione, competente ad assumere ogni determinazione sulle opere rientranti nella RTN, che deve farsi riferimento ai fini della concessione della proroga e dell’individuazione della competenza amministrativa, spettando allo Stato (e non alla Regione) la valutazione attuale degli interessi pubblici in gioco ai fini del prolungamento dell’efficacia dei termini di conclusione dei lavori.

Per le ragioni che precedono il primo motivo deve essere respinto.

  1. – Anche il secondo motivo va respinto.

Con esso, come detto, il Comune ricorrente impugna il decreto ministeriale di proroga perché violerebbe l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e l’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 e perché non sarebbe rinvenibile una norma attributiva del potere di proroga; si lamenta inoltre la violazione del giusto procedimento, dell’art. 164 del d.lgs. 42 del 2004 e del termine di efficacia dell’autorizzazione paesistica.

11.1. – Quanto all’assenza di una norma attributiva del potere e alla dedotta incompetenza assoluta, il Collegio si limita a richiamare quanto appena affermato circa la necessità di ricondurre il potere di proroga nell’ambito della stessa competenza statale all’adozione del provvedimento di primo grado, la quale, evidentemente, va riferita all’assetto attuale delle competenze, come vigente al momento della concessione della proroga. In altri termini, l’inserimento della stazione elettrica di Montesano sulla Marcellana nell’ambito della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) ha determinato l’attribuzione di ogni determinazione relativa a detta opera alla sfera di competenza del MiSE, con attribuzione di un potere da esercitare di concerto con il MATTM, Amministrazioni che, pertanto, legittimamente hanno adottato la proroga oggi impugnata.

Come si è sopra rilevato, per effetto della voltura dell’autorizzazione di cui al decreto dirigenziale della Regione Campania n. 191 del 15.4.2011 (doc. 3bis ric.) – che ha volturato a Terna la citata autorizzazione n. 337/2010 “limitatamente alla costruzione ed esercizio della Stazione Elettrica a 380/150 kV di Montesano sulla Marcellana…” – quest’ultima è entrata a far parte della RTN, assumendo così la funzione di nodo di raccolta e trasformazione a beneficio di tutti i potenziali utenti della rete, così acquisendo un ruolo di interesse nazionale e non meramente regionale (vedi a conferma di ciò: il Piano di Sviluppo delle rete elettrica nazionale del 2011 – doc. 5 AGS; la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 28 ottobre 2009 in cui la stazione di Montesano è inserita nella tra le opere individuate come “interventi relativi alla trasmissione e alla distribuzione dell’energia per i quali ricorrono particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo socio-economico” – doc. 6 AGS). Per tale ragione l’opera ha acquistato una sua piena autonomia rispetto al parco eolico e si è venuta a “scorporare” dall’autorizzazione unica regionale di cui al d.d. n. 377 del 2010, avendo una sua autonoma funzionalità che ne impone la realizzazione a prescindere dalla costruzione o non costruzione del parco eolico, a cui inizialmente accedeva in base al progetto originario della Essebiesse Power.

11.2. – Sulla sopravvenuta inefficacia dell’autorizzazione paesaggistica per superamento dei termini di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, il Collegio osserva quanto segue. L’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 alla realizzazione del parco eolico e delle opere di connessione alla Rete Elettrica Nazionale (doc. 2 ric.), in favore della Essebiesse Power S.r.l., è stata assunta all’esito della Conferenza di servizi a suo tempo promossa dalla Regione Campania. Secondo la disciplina propria della Conferenza di servizi richiamata dall’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, l’Amministrazione procedente “valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza…” (art. 14-ter, comma 6 bis, della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente “ratione temporis”). Aggiunge il comma 7 del citato art. 14-ter che si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità e alla tutela ambientale (esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA), paesaggistico-territoriale, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata. Pertanto, nell’ambito della Conferenza di servizi, i diversi pareri e valutazioni acquisite, ivi comprese quelle a carattere paesaggistico o relative alla esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, assumono natura “endo-procedimentale” e confluiscono nel procedimento unico, in esito al quale viene adottato il provvedimento finale che, appunto, “sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti”. Su questa linea procedimentale, pertanto, il parere favorevole sul progetto dell’opera espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici di Salerno e Avellino con nota prot. n. 24907 del 17.9.2008 (menzionato alle lettere m) e n) del decreto di autorizzazione unica, doc. 2 ric.), acquisito agli atti della Conferenza di servizi indetta, non integra un’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, sottoposta ai termini di efficacia ivi contemplati, bensì un parere confluito nel procedimento unico di cui all’art. 12 d.lgs. 387/2003, conclusosi con il decreto dirigenziale della Regione Campania n. 377 del 14.7.2010. Poiché, come si è detto, la determinazione motivata di conclusione del procedimento “sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza…” (art. 14-ter, comma 6 bis, della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente “ratione temporis”), è l’autorizzazione unica finale che assorbe in sé tutti i distinti atti e le valutazioni endoprocedimentali confluite nella Conferenza di servizi indetta dalla Regione e che produce efficacemente l’assetto di interessi finale, con la conseguenza che è soltanto dal provvedimento conclusivo (c.d autorizzazione unica) – sostitutivo di ogni “atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti” – che possono farsi decorrere i termini di efficacia dei diversi atti confluiti nella Conferenza.

In questo quadro la previsione di cui all’art. 14- ter, comma 8-bis, Legge n. 241 del 1990 (secondo cui “I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall’adozione del provvedimento finale”), seppur introdotta dall’art. 25, comma 1, lett. a), D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), esprime una regola derivante da un principio connaturato alla peculiare dinamica della Conferenza di servizi “decisoria”, nella quale gli effetti finali si producono soltanto con l’adozione del provvedimento conclusivo, mentre atti e valutazioni che confluiscono nella Conferenza assumono ruolo necessariamente preparatorio e endoprocedimentale.

11.3. – In ogni caso il citato comma 8-bis dell’art. 14-ter era pienamente vigente al momento dell’adozione dell’atto di proroga per cui è causa, trattandosi di norma applicabile a tutti quegli atti – tra i quali, oltre al parere paesaggistico, la VIA regionale in questione ed il permesso a costruire contenuto implicitamente nell’autorizzazione unica – che non avevano ancora esaurito i rispettivi effetti al momento dell’entrata in vigore della norma.

Deriva da quanto precede che la validità e l’efficacia tanto del parere paesaggistico della competente Sovrintendenza, quanto della VIA rilasciata dalla Regione Campania e del permesso a costruire confluiti nel d.d. regionale n. 377 del 2010, erano pienamente sussistenti all’atto della proroga per cui è causa, al momento dell’adozione della quale certamente era pienamente efficacie l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003.

Con specifico riguardo al premesso a costruire va peraltro osservato che l’art. 15 del d.lgs. n. 380 del 2001, invocato da parte ricorrente, è inconferente rispetto alla normativa del settore della produzione energetica in quanto per le infrastrutture elettriche vale la disciplina speciale, anche con riferimento ai permessi a costruire.

11.4. Quanto alla presunta violazione del termine quinquennale di efficacia della VIA di cui all’art. 26, comma 6, d.lgs. n. 152/2006 deve aggiungersi, in adesione a quanto evidenziato dalla difesa di Terna (v. in part. memoria dif. 14.9.2016, pag. 3), che l’art. 26, comma 6, d.lgs. n. 152 / 2006, nel prevedere che i progetti sottoposti alla fase di valutazione debbono essere ultimati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di VIA, stabilisce anche che detti termini “si applicano (soltanto) ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4” (“…Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall’autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell’impatto ambientale deve essere reiterata. I termini di cui al presente comma si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4”). Viceversa ai sensi dell’art. 4 del menzionato d.lgs. n. 4 del 2008, “ai progetti per i quali, alla data alla data di entrata in vigore del presente decreto, la VIA è in corso, con l’avvenuta presentazione del progetto e dello studio di impatto ambientale, si applicano le norme vigenti al momento dell’avvio del relativo procedimento”.

Cio significa che, a prescindere da ulteriori considerazioni, non può invocarsi l’applicazione del menzionato termine quinquennale entro cui realizzare l’intervento, in quanto al progetto “de quo” – sottoposto a VIA dalla Essebiesse Power in data 13.9.2005, con istanza acquisita al prot. n. 756604 del 15.9.2005 (vedi decreto VIA n. 53 del 19.1.2010, doc. 3 ric.) – non si applica la citata disposizione del d.lgs. n. 152 del 2006 ma la normativa previgente.

11.5. – Quanto alla dedotta violazione dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, per non avere il Ministero resistente adottato la proroga con provvedimento motivato e fondato su “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso” (nei termini esemplificati nello stesso comma 2 dell’art.- 15 cit.), il Collegio ritiene che la proroga appaia invece adeguatamente giustificata: dall’azione amministrativa svolta dall’Amministrazione regionale, Settore Tutela dell’Ambiente, che con nota prot. n. 435821 del 18.6.2013 (doc. 6 ric.) avviava un procedimento ex art. 29 del d.lgs. n. 152/2006, ritenendo che la modifica progettuale relativa alla localizzazione della stazione elettrica non fosse stata oggetto né del procedimento di autorizzazione unica (sfociato nel d.d. Regione Campania n. 377/2010) né della VIA, rilasciata su documentazione progettuale non contemplante lo spostamento della stazione elettrica e delle opere di connessione ad essa nel Comune di Montesano (v. doc. 6 ric.), così avanzando il dubbio che non si potesse ritenere concessa alcuna VIA sulla stazione elettrica “ri-progettata” da Essebiesse; dall’ordinanza di sospensione dei lavori e dalla successiva ordinanza di demolizione adottate dal Comune di Montesano sulla Marcellana (doc. 23 Terna); dall’ampio contenzioso alimentato dal medesimo Comune allo scopo di contrastare la realizzazione del progetto di stazione elettrica sul proprio territorio. Infine, nel provvedimento impugnato, si fa ampio riferimento all’istanza della Terna n. TE/P20150004465 del 9.9.2015 la quale menziona “un imprevedibile mutamento dello scenario elettrico dell’area”, per cui si sono rese necessarie la revisione e la modifica dell’assetto della nuova stazione, procedendo ad una nuova “magliatura più efficiente delle rete a 150kV di trasmissione locale, raccordando la nuova Stazione alla linea 150 kV Lauria – Padula”; si fa inoltre riferimento all’istanza del medesimo Gestore della rete elettrica mirante ad ottenere l’autorizzazione ad un ridimensionamento degli impianti interni alla realizzanda stazione elettrica (doc. 1 ric.).

  1. – Con il quarto ed ultimo motivo articolato, come detto, l’Ente ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto di proroga perché sarebbe illegittimo lo stesso atto prorogato (autorizzazione ex art. 12 d.lgs. 387 del 2003), asseritamente adottato in assoluta carenza di VIA (Valutazione di impatto ambientale), atteso che le modifiche progettuali intervenute, incidenti in modo consistente sulle opere di connessione elettrica, sul tracciato dei cavidotti e sulla ubicazione della stazione elettrica, non sarebbero mai state prese in esame né dalla Commissione VIA né dal Settore Ambiente della Regione Campania, di modo che la stessa autorizzazione originaria è illegittima in quanto adottata in assenza della (imprescindibile) VIA.

Il Collegio ritiene che l’esame della censura sia precluso per la fondamentale ragione che né il provvedimento di VIA, né l’autorizzazione unica n. 377 del 14.7.2010 (doc. 2 ric.) – nella quale la VIA è confluita nell’ambito della Conferenza dei servizi appositamente indetta ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 / 2003 – sono stati impugnati nei termini di legge. I vizi di legittimità dedotti dal Comune ricorrente concernono la non coincidenza tra il progetto esaminato nel procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 cit. e quello oggetto della parere favorevole di compatibilità ambientale di cui al d.d. Regione Campania n. 53/2010 (doc. 3 ric.), parere che avrebbe avuto ad oggetto una diversa localizzazione della stazione elettrica, riferita ad un Comune diverso da quello di Montesano sulla Marcellana a cui si riferisce invece il decreto autorizzatorio (ma non il predetto parere regionale di compatibilità ambientale e il precedente giudizio espresso nella seduta del 23.2.2006 dalla Commissione VIA). L’illegittimità del parere di compatibilità ambientale è vizio che si riflette sul provvedimento autorizzatorio finale che detto parere presuppone e “recepisce”. L’autorizzazione unica, pertanto, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica e tempestiva impugnazione, sotto tale profilo, da parte del Comune odierno ricorrente il quale, al contrario, oltre a non avere tempestivamente impugnato il d.d. 377 del 2010, esprimeva in sede di Conferenza di servizi parere favorevole all’iniziativa (doc. 2 ric., pag. 4, lettere h) e i).

Infatti, secondo quanto espressamente prevede l’art. 29, commna 1, d.lgs., n. 152 del 2006, “…i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”: da ciò si desume che la mancanza o l’illegittimità della VIA (e, a maggior ragione del più “limitato” parere di compatibilità ambientale espresso dalla Regione nel caso di specie), ove dimostrati, possono costituire vizio di legittimità derivata del provvedimento finale ma non tale da determinarne la nullità o l’inesistenza, sicché era onere dell’Ente territoriale e di ogni amministrazione interessata promuovere tempestiva azione di annullamento.

In mancanza di tempestiva impugnativa, l’atto autorizzatorio è da tempo divenuto definitivo e inoppugnabile ed esula dai poteri di questo Giudice poterlo sindacare sul piano della legittimità, “incidenter tantum”, ai fini di una sua ipotetica ed inammissibile disapplicazione.

Al riguardo, invero, si è già ampiamente espresso questo TAR con la sopracitata sentenza n. 9881 del 2012 (confermata da Cons. Stato, sez. VI, 7.8.2013, n. 4167) dalle cui conclusioni, come di seguito trascritte, il Collegio non ritiene di doversi discostare:

“Nel caso in esame (…) né il Comune di Montesano né la Soprintendenza, hanno mai mostrato effettivo interesse a difendere, nella pertinente sede giurisdizionale, le proprie prerogative. E’ bene ancora precisare, che l’(eventuale) violazione di tali prerogative incide sulla legittimità, e non già sull’esistenza, del titolo abilitativo alla realizzazione dell’impianto in quanto non è la volontà espressa in Conferenza ma l’autorizzazione adottata dalla Regione a produrre l’effetto di “sostituzione” delle autorizzazioni, concessioni, nulla osta o altro “atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti” (art. 14-ter, comma 9, della l. n. 241/90, nella versione vigente “ratione temporis”).

Per quanto occorrer possa, il Collegio rileva comunque che, già nella Conferenza dell’11.9.2008, le amministrazioni partecipanti (tra cui il Comune di Montesano) vennero rese chiaramente edotte della necessità di spostare la stazione elettrica, e che, in data 12.12.2008, Essebiesse ebbe ad inviare alla Regione e al Comune di Montesano sulla Marcellana, l’intero progetto rielaborato.

Al riguardo, non giova al Comune sostenere (come fatto nella “relazione tecnica” versata in atti), che la nota in questione, pervenne ai propri Uffici priva di allegati.

Non è chiaro infatti perché (conformemente ad elementari principii di buona amministrazione), non abbia ritenuto di sollecitare un nuovo invio ovvero di consultare gli elaborati depositati presso gli Uffici della Regione, quantomeno in data immediatamente antecedente alla Conferenza del 24.2.2010, occasione in cui, peraltro, Essebiesse ha provveduto a reinviare alle amministrazioni partecipanti tutta la documentazione rilevante (ivi compresi gli elaborati relativi al piano particellare, grafico e descrittivo, e al layout della stazione)…..”.

Quanto alla VIA che avrebbe riguardato la precedente localizzazione della stazione elettrica, nella stessa sentenza in commento questo TAR ha avuto modo di chiarire che:

“secondo la disciplina della Conferenza di Servizi applicabile alla fattispecie, il procedimento di VIA non ha autonomia alcuna, ma è destinato a confluire nella Conferenza medesima (…. ). Ne deriva che la valutazione di impatto ambientale, in quanto frutto di un apporto “endoprocedimentale”, è condizione di legittimità della Conferenza di servizi e non già un requisito o presupposto di efficacia della stessa o del provvedimento finale.

Nel caso di specie, pertanto, anche nell’ipotesi in cui fosse provato che la stazione elettrica di Montesano non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale (circostanza peraltro documentalmente contrastata da Terna), ci troveremmo comunque di fronte ad un vizio di legittimità dell’autorizzazione unica, che avrebbe dovuto essere tempestivamente dedotto nelle pertinente sede giurisdizionale”.

  1. – In definitiva, per tutto quanto argomentato, il ricorso deve essere respinto.

In ragione della complessità delle questioni, e del carattere sensibile degli interessi coinvolti, appare equo compensare integralmente tra tutte le parti in causa le spese e gli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Gabriella De Michele, Presidente

Achille Sinatra, Consigliere

Claudio Vallorani, Referendario, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Vallorani Gabriella De Michele
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria il 30 dicembre 2016

 

 

Papaveri (foto di Cristiana Verrazza)

Papaveri (foto di Cristiana Verrazza)

(foto Cristiana Verazza, S.D., archivio GrIG)


TGR Mediterraneo su Tuvixeddu.

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Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica

Domenica 5 febbraio 2017, alle ore 12.25, TGR Mediterraneo, la trasmissione di attualità internazionale realizzata da Rai e France 3, in collaborazione con ENTV Algeria, si occupa dell’area archeologica punico-romana di Tuvixeddu, a Cagliari.Realtà e prospettive della più importante e ben poco valorizzata area archeologica punico-romana del Mediterraneo.

Buona visione!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

(foto S.D., archivio GrIG)


Il Ministero dell’ambiente sta per respingere – forse – le ricerche petrolifere nel Mar di Sardegna

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Balena (da National Geographic)

Balena (da National Geographic)

Il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale Valutazioni Ambientali ha recentemente inviato alla Società norvegese TGS-NOPEC Geophysical Company ASA il preavviso di rigetto (art. 10 bis della legge n. 241/1990 e s.m.i.) dell’istanza di pronuncia di compatibilità ambientale al termine del procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativo al progetto di indagine geofisica 2D – 3D nell’area dell’istanza di prospezione a mare “d.2 E.P.-TG” in una vastissima area del Mar di Sardegna ampia kmq. 20.922.  

In poche parole, sta per comunicargli che non potranno esser effettuate le ricerche petrolifere nel Mar di Sardegna, fra Asinara e Sinis.

Se la Società energetica non riuscirà a dimostrare l’innocuità sul piano ambientale del programma di ricerche, l’esito definitivo della procedura di V.I.A. sarà negativo.

Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)

Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)

La procedura di V.I.A. è in corso dal 2015: all’avvìo il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus era intervenuto con un atto di “osservazioni” (2 febbraio 2015). In seguito, dopo le richieste di integrazione da parte del Ministero dell’Ambiente, la Società energetica aveva depositato (luglio 2016) ulteriore documentazione tesa a supportare la propria istanza di ricerca petrolifera, riguardo cui il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva inoltrato (30 luglio 2016) un nuovo atto di intervento.

Sono stati coinvolti il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (titolare del procedimento), il Servizio valutazione impatti (S.A.V.I.) della Regione autonoma della Sardegna, il Parco nazionale dell’Asinara, il Parco naturale regionale di Porto Conte, l’Area marina protetta del Sinis – Mal di Ventre e tutti i Comuni rivieraschi (Alghero, Bosa, Cuglieri, Magomadas, Narbolia, Porto Torres, San Vero Milis, Sassari, Stintino, Tresnuraghes, Villanova Monteleone).

airgun, modalità di ricerca (da “A deaf Whale is a dead Whale”, Oceana)

airgun, modalità di ricerca (da “A deaf Whale is a dead Whale”, Oceana)

Il progetto prevede una prima fase comprendente “una campagna di indagini geofisiche per l’acquisizione di dati di tipo 2D, seguita da una successiva campagna di acquisizione di dati 3D, da svolgersi in una seconda fase”. Secondo quanto dichiarato, “le linee di acquisizione 2D si estenderanno per una lunghezza complessiva di circa 7,818 km, mentre l’area dove verrebbero sviluppate le indagini geofisiche per l’acquisizione di dati 3D sarebbe stimata in 6.000 chilometri quadrati.

L’ampia area di mare interessata dal progetto (quasi 21 mila chilometri quadrati) è contigua al ben noto Santuario Pelagos, il Santuario per i Mammiferi marini istituito come area marina protetta di interesse internazionale e area specialmente protetta di interesse mediterraneo (A.S.P.I.M.), in base all’Accordo internazionale sottoscritto a Roma il 25 novembre 1999, ratificato con legge n. 391/2001.

Oloturia (Holothuria poli)

Oloturia (Holothuria poli)

L’attività di prospezione a mare generalmente consiste in “spari” di aria compressa (airgun) per un tracciato complessivo di migliaia di km. per un periodo di 10 settimane.  I suddetti “spari” hanno una cadenza ravvicinata (uno ogni 5-15 secondi), con intensità sonora variabile fra 240 e 260 decibel, intensità superata in natura solo da terremoti ed esplosioni di vulcani sottomarini.

Al contrario di quanto sostenuto dal Soggetto proponente (“gli impatti ambientali … nel complesso non sono risultati né elevati né irreversibili”), come documentato scientificamente, il danno alle specie di Cetacei e di Tartarughe marine ben presenti nell’area marina interessata sarebbe devastante, sia sul piano uditivo che sotto il profilo dell’orientamento, come riportato dalla letteratura scientifica (vds. S. Mazzariol e altri, Sometimes Sperm Whales (Physeter macrocephalus) Cannot Find Their Way Back to the High Seas: A Multidisciplinary Study on a Mass Stranding, in Plos One, 2011).   Altrettanto potrebbe ipotizzarsi per le specie ittiche, anche di interesse commerciale, con indubbi riflessi negativi sull’economia del settore della pesca.

mare e coste (foto Benthos)

mare e coste (foto Benthos)

Ricordiamo che per analoga istanza presentata dalla Schlumberger Italiana s.p.a. in relazione ad analogo progetto di prospezione a mare per la ricerca di idrocarburi nella stessa area marina (avverso il quale l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva presentato l’atto di intervento nel procedimento di V.I.A. con “osservazioni” del 24 giugno 2014), il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, ha provveduto a negare la compatibilità ambientale, con decreto n. 240 del 12 novembre 2015[1], concludendo negativamente anche la procedura di richiesta di titolo per ricerca ed estrazione idrocarburi.

Mare

Mare

Non c’è e non ci può esser spazio per simili progetti dal pesante impatto sull’ambiente e la fauna marina.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha messo a disposizione di chiunque lo avesse richiesto un fac simile di atto di intervento nel procedimento di V.I.A.: Comuni, comitati e singoli cittadini ne hanno virtuosamente approfittato.

Come accaduto nel procedimento di V.I.A. contro il progetto Schlumberger Italiana s.p.a. (ben 377 atti di intervento), anche nel procedimento relativo al progetto TGS-NOPEC Geophysical Company ASA sono stati decine gli atti di intervento contrari.

Gli speculatori dell’energia devono esser respinti una volta per tutte dal santuario naturalistico del Mediterraneo: lasciate in pace Balene, Delfini, Tartarughe e ogni altro essere vivente del mare!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

_____________

[1] In precedenza la Commissione tecnica V.I.A./V.A.S. aveva emesso l’articolato parere negativo n. 1650 del 7 novembre 2014.

 

Saraghi (Diplodus Rafinesque)

Saraghi (Diplodus Rafinesque)

 

L'Unione Sarda, 5 febbraio 2017

L’Unione Sarda, 5 febbraio 2017

(foto da National Geographic, Benthos, S.D., archivio GrIG)


Nuova Eurallumina? No, diamo lavoro bonificando il territorio.

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Portovesme, bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri.

Com’è noto, si insiste colpevolmente nel voler riattivare l’Eurallumina, una delle industrie più inquinanti del Sulcis.

Si prevede una nuova centrale a carbone e l’ampliamento del bacino dei “fanghi rossi”.

Senza valutare alcuna alternativa meno inquinante, meno energivora, più economica, come il riciclaggio dell’alluminio. E questo in una situazione di disastro sanitario.

Ricatti occupazionali, ma anche egoismi autolesionisti.   Pluriennali sprechi di denaro pubblico e ottusità istituzionale, con la sola eccezione del Ministero per i beni e attività culturali e il turismo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

bacino c.d. fanghi rossi, visto da Carloforte

Portoscuso, Eurallumina, bacino c.d. fanghi rossi, visto da Carloforte

L’Associazione Adiquas e i Carlofortini Preoccupati esprimono il loro dissenso non solo per la nascita di una nuova centrale a carbone, ma anche per il riavvio dell’Eurallumina e annesso bacino dei fanghi rossi.
Ci sorprende l’attivismo della politica regionale interamente schierata a favore del riavvio di questa fabbrica altamente inquinante.

Sono passati otto anni dalla chiusura degli impianti e nessun  progetto  è stato elaborato, negli uffici regionali, per porre fine a un ciclo industriale antieconomico e gravemente nocivo al territorio e alla sua salute.
Riteniamo che quanto sollevato dal Ministero dei Beni culturali nel fornire un parere non positivo, puntando il dito su un problema paesaggistico sia riduttivo.

Infatti non vi è solo un problema paesaggistico, il nuovo progetto non farebbe che ulteriormente devastare un territorio già martoriato,  ci si dimentica di sottolineare il problema sanitario e di grave inquinamento del territorio terrestre, marino e dell’aria.

Dove sono gli altri Enti mentre nel Sulcis si muore di industria?

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Il numero dei malati tumorali e cardiovascolari  è in aumento,  circa un anno fa con una nota del 18/1/2016 la Asl dichiarava che le malattie legate all’inquinamento anche quelle mortali sono aumentate, pure tra i più bambini.
Non condividiamo l’asserzione che definisce il riavvio dell’Eurallumina un problema esclusivamente politico non è accettabile che i problemi tecnici sollevati dal Ministero vengano trasformati in problemi politici.

Se ci sono delle responsabilità sull’allungamento dei tempi, vanno ricercate nella politica locale e Regionale che è stata incapace a creare un’alternativa al sistema industriale verso soluzioni e interventi eco compatibli per esempio l’urgente necessità di bonifica del territorio.

Adiquas           Carlofortini Preoccupati

 

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino "fanghi rossi"

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino “fanghi rossi”

 

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

(foto Raniero Massoli Novelli, T.C., S.D., archivio GrIG)



Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus chiede la revoca delle autorizzazioni per la Cava Valsora Palazzolo, a Massa.

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Massa, Cava Valsora Palazzolo

Massa, Cava Valsora Palazzolo

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto (6 febbraio 2017) la revoca delle concessioni e autorizzazioni relative alla Cava Valsora Palazzolo, sulle Alpi Apuane, in Comune di Massa.

Coinvolti il Comune di Massa, il parco naturale regionale delle Alpi Apuane, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Lucca, la Regione Toscana, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa.

Alpi Apuane, cave del Sagro (fra cui Castelbaito Fratteta)

Alpi Apuane, cave del Sagro (fra cui Castelbaito Fratteta)

La cava – insieme alla vicina Cava Romana – è gestita dalla Turba Cava Romana s.r.l. e in passato ha già visto (primavera 2016) il blocco dei lavori estrattivi per attività di cava non autorizzata. Non solo: fa parte di un ampio nòvero di cave oggetto di un procedimento penale aperto nel 2016 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa riguardo violazioni paesaggistiche, reati di inquinamento delle acque e del suolo (in particolare da marmettola, residuo dell’estrazione marmifera).  In esso confidiamo e la sosteniamo con forza.

Le zone interessate fan parte del parco naturale regionale delle Alpi Apuane e rientrano in aree (siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale) della Rete europea Natura 2000 (direttive n. 92/43/CEE e n. 09/147/CE).

Ma l’attività estrattiva del marmo senza efficaci controlli e il rispetto delle normative ambientali sta causando un vero e proprio disastro nel territorio.

Non si può non ricordare che la Procura regionale per la Toscana della Corte dei conti nel marzo 2016 ha aperto un’indagine per verificare l’eventuale sussistenza di danno erariale causata dalla cattiva gestione delle cave di marmo delle Alpi Apuane.       Canoni di concessione e tassa sui marmi estratti irrisori, mancata caducazione delle concessioni delle cave inattive, vendite a importi ridotti sono alcuni dei campi su cui si stanno concentrando le analisi della Procura erariale.   Per ora, si tratta delle cave di marmo in Comune di Massa, in seguito l’indagine potrebbe allargarsi.

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Molto vi han contribuito vari esposti effettuati negli anni scorsi da parte di Franca Leverotti, già consigliere nazionale di Italia Nostra e poi coordinatrice del Presidio GrIG delle Alpi Apuane.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, in proposito, inoltrato diversi documentati esposti (20 agosto 2015, 20 gennaio 2016, 18 settembre 2016) indirizzati alla magistratura e alle amministrazioni pubbliche competenti relativamente al gravissimo inquinamento ai danni dei corsi d’acqua delle Apuane determinato dalla marmettola e dalla cattiva gestione delle cave, inquinamento conclamato ma finora scarsamente contrastato dalle amministrazioni pubbliche titolari delle competenze in materia[1], nonostante le richieste (27 agosto 2015, 30 settembre 2015) provenienti anche dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare.  Analogamente sono numerose le azioni legali ( fra le varie Cave Piastramarina e Granolesa, Cave Castelbaito Frattetta e Vittoria, progetto nuova strada del Sagro, Cava Padulello) avverso la fin troppo disinvolta attività estrattiva del marmo.

Non può esser dimenticato, inoltre, come siano presenti disposizioni favorevoli all’eccessiva attività estrattiva nello stesso Piano di indirizzo territoriale (P.I.T.) con valenza di piano paesaggistico della Toscana, tanto da aver determinato ricorsi in proposito da parte del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus al Commissario per gli usi civici di Roma (10 settembre 2015) e alle Istituzioni comunitarie (4 gennaio 2016), nonché un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (poi trasposto davanti al T.A.R. Toscana) da parte di Mountain Wilderness Italia, Società Italiana di Geologia Ambientale (S.I.G.E.A.), Amici della Terra, Verdi Ambiente e Società (V.A.S.), Lega Italiana Protezione degli Uccelli (L.I.P.U.), Club Alpino Italiano – Toscana, il Centro “Guido Cervati” di Seravezza e il Centro culturale “La Pietra Vivente” di Massa (18 settembre 2015).

Alpi Apuane, Cava Fratteta, scarico detriti (15 luglio 2016)

Alpi Apuane, Cava Fratteta, scarico detriti (15 luglio 2016)

C’è bisogno della salvaguardia dei valori naturalistici e ambientali delle Alpi Apuane e della difesa della salute pubblica, ma in primo luogo del ripristino della legalità.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

_____________

[1] l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (A.R.P.A.T.) con la sua newsletter n. 168 del 13 agosto 2015 ha presentato un report sulle “Alpi Apuane e marmettola” e ha descritto gli eventi di inquinamento ambientale altamente pregiudizievoli per la salvaguardia dei Fiumi Carrione e Frigido e gli habitat naturali connessi.

 

il Fiume Frigido reso bianco dalla marmettola

il Fiume Frigido reso bianco dalla marmettola

(foto A.G., F.L., archivio GrIG)


Un po’ di giustizia per il Parco del Castello di Bari!

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Bari Vecchia, veduta aerea

Bari Vecchia, veduta aerea

Novità nell’incredibile vicenda del Parco del Castello di Bari.

Come si ricorda, il Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Puglia e la Basilicata sta realizzando un edificio in palese violazione del vincolo storico-culturale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) posto a protezione fin dal 1930 del Castello normanno-svevo, a due passi dalla Chiesa e Convento di S. Chiara e dalla Chiesa e Convento di S. Francesco, a Bari vecchia.

Un procedimento penale è in corso e il battagliero Comitato per il Parco del Castello si sta battendo senza risparmio.

Ora il Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. VI, 16 gennaio 2017, n. 105, ha riconosciuto tempestivo il ricorso effettuato avverso le autorizzazioni e ha nominato come consulente tecnico il Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma “La Sapienza” per indicare se e quanto si estenda il vincolo indiretto per la salvaguardia del Castello normanno-svevo.

Un po’ di giustizia, finalmente.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Bari, planimetria dell'area del Castello normanno-svevo e di Bari Vecchia

Bari, planimetria dell’area del Castello normanno-svevo e di Bari Vecchia

 

L’abuso edilizio nell’area portuale consumato dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Puglia e Basilicata comincia finalmente a venire alla luce anche nelle aule giudiziarie grazie alla ostinata attività di denuncia da parte del Comitato Parco del Castello di Bari.

Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza parziale n. 105 del 16 gennaio 2017, ha annullato in via definitiva la decisione del Tar Puglia che aveva dichiarato la tardività del ricorso delle associazioni di volontariato riunite nel Comitato Parco del Castello di Bari e dei cittadini attivi, addirittura imputando agli stessi le spese del giudizio.

Il Consiglio di Stato, supremo Organo di giustizia amministrativa, ha capovolto quel giudizio del Tar Puglia, dichiarando invece pienamente tempestivo il ricorso e nominando un consulente tecnico d’ufficio per entrare finalmente nel merito della contestata violazione del vincolo posto a tutela del Castello Medioevale di Bari.

Il Comitato Parco del Castello di Bari prende atto con soddisfazione di questa decisione, idonea finalmente a squarciare il velo su un inaccettabile torto di massa perpetrato ai danni della comunità cittadina.

Comitato Parco del Castello di Bari

 *****

 

00105/2017 REG.PROV.COLL.

10047/2015 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10047 del 2015, proposto da:
Franca Marina Convertino, Andrea Guarnieri Calò, Carducci, Augusto De Cillis, Emilia Alfonsi, rappresentati e difesi dall’avvocato Luigi Paccione C.F. PCCLGU59L06L220M, con domicilio eletto presso Alfredo Studio Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo Regione Puglia, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello o Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Bari, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE III n. 01158/2015, resa tra le parti, concernente realizzazione nuova sede provveditorato interregionale opere pubbliche Puglia e Basilicata – diniego sospensione lavori – abuso edilizio su area con vincolo monumentale –

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Regione Puglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Paccione e l’avvocato dello Stato Marrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Con ricorso innanzi al T.a.r. Puglia, sede di Bari, gli odierni ricorrenti (Franca Maria Convertino, Andrea Guarnieri Calò Carducci, Augusto De Cillis ed Emilia Alfonsi, in qualità di residenti nella stessa zona urbana) hanno lamentato che l’edificio in costruzione (costituito da un nuovo ed autonomo corpo di fabbrica collegato ad altro preesistente ed omologo da un passaggio coperto), destinato ad ospitare la nuova sede in ampliamento del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche di Puglia e Basilicata, sito in Bari, sul lungomare De Tullio, in prossimità del castello medioevale della città, sia abusivo perché realizzato senza la necessaria autorizzazione su area gravata da vincolo monumentale ex art. 45 d.lgs. 42/2004.
  2. Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.a.r. Puglia ha:

– dichiarato in parte inammissibile il ricorso collettivo, rilevando il difetto di legittimazione di alcune associazioni di volontariato, ricorrenti in primo grado, aventi come fine istituzionale di salvaguardare i valori storici, urbanistici e ambientali della città (in questa parte la sentenza non è stata appellata ed è, quindi, passata in giudicato);

– dichiarato infondata la domanda di nullità, escludendo che la mancanza dell’autorizzazione imposta dal vincolo monumentale indiretto configuri una causa di nullità del provvedimento per difetto di un elemento essenziale;

– dichiarato irricevibile per tardività la domanda di annullamento notificata l’11 settembre 2014, individuando come dies a quo del termine decadenziale di 60 giorni la data dal 28 febbraio 2014, data in cui risultavano realizzati i lavori di fondazione dell’opera e installato il cartello descrittivo dei lavori.

  1. I ricorrenti nominati in epigrafe hanno appellato la sentenza chiedendone la riforma.
  2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il l Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Regione Puglia.
  3. Alla pubblica udienza del 6 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.
  4. Con un primo gruppo di censure i ricorrenti deducono l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto la domanda di nullità dell’intesa Stato-Regione formalizzata nel provvedimento del 21 settembre 2010, per assenza di un elemento essenziale, rappresentato dall’autorizzazione all’esecuzione dei lavori da parte dell’Autorità statale preposta alla tutela del vincolo momumentale indiretto a protezione del Castello Medioevale di Bari.

Secondo i ricorrenti, l’esecuzione di lavori in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela indiretta integra la fattispecie del reato di cui all’art. 172 d.lgs. n. 42 del 2004, integrando, quindi, una causa di nullità del provvedimento.

  1. Il motivo è infondato.

L’autorizzazione da parte dell’Amministrazione preposto al vincolo di tutela indiretta non costituisce un elemento essenziale del (successivo) provvedimento che autorizza i lavori di edificazione nell’area indirettamente tutelata, ma soltanto un suo presupposto di legittimità, la mancanza del quale determina, secondo la regola generale (art. 21-octies, comma 1, legge n. 241 del 1990), l’annullabilità (e non la nullità) del secondo provvedimento amministrativo.

Ѐ sufficiente sotto tale profilo osservare che l’autorizzazione di tutela indiretta rappresenta un presupposto “esterno” rispetto al provvedimento di cui si lamenta la nullità e non può, pertanto, integrare alcuno degli elementi essenziali cui fa riferimento (pur senza individuarli esplicitamente) l’art. 21-septies legge n. 241 del 1990. Gli elementi essenziali di cui all’art. 21-septies legge n. 241 del 1990 sono, invero, elementi “intrinseci” dello stesso provvedimento di cui si lamenta la nullità, la mancanza dei quali incide sulla stessa possibilità di ritenere completamente perfezionata una fattispecie di provvedimento amministrativo. Si tratta, quindi, di un difetto strutturale intrinseco dello stesso provvedimento, che deriva da carenze sue proprie (e non da mancanze “esterne”).

Non è pertinente, per fondare la nullità, neanche il richiamo al reato di cui all’art. 172 d.lgs. n. 42 del 2004. La norma citata punisce l’inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta e presuppone, pertanto, che sia stato adottato (e poi violato nella fase esecutiva dei lavori) il provvedimento di tutela indiretta di cui all’art. 45 dello stesso decreto legislativo n. 42 del 2004. Nel caso di specie viene in rilievo, invece, una diversa situazione in cui si assume che il provvedimento ex art. 45 d.lgs. n. 42 del 2004 non sia stato proprio adottato.

  1. L’appello è, invece, fondato nella parte in cui lamenta l’erroneità del capo della sentenza appellata che ha dichiarato irricevibile per tardività la domanda di annullamento.

Il T.a.r., partendo dalla premessa che i ricorrenti contestano la stessa possibilità che l’opera sia realizzata (stante la allegata violazione del vincolo monumentale a tutela del castello svevo) e non le modalità concrete di realizzazione dell’opera, ha ritenuto che il termine di impugnativa cominci a decorrere dal momento in cui è apprezzabile il posizionamento del manufatto erigendo. Ha così individuato come dies a quo la data del 28 febbraio 2014, data in cui risultavano realizzati i lavori di fondazione dell’opera e installato il cartello descrittivo dei lavori.

  1. L’assunto non è condiviso dal Collegio.

Deve ritenersi, in conformità con l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di impugnazione dei titoli abilitativi, che ai fini del dies a quo rilevi non solo l’an della lesione, ma anche il quantum della stessa, e che, pertanto, il termine per ricorrere cominci a decorrere solo con l’ultimazione dell’opera o, comunque, quando questa ha raggiunto uno sviluppo tale da rivelare in modo inequivoco la sua consistenza, entità e reale portata.

Fino a tale momento, invero, il titolare della situazione giuridica lesa, sebbene sia già certa e conoscibile l’esistenza di una costruzione abusiva (e, quindi, l’esistenza di una lesione agli interessi di cui è titolare) può ragionevolmente scegliere di tollerare quella violazione, ritenendo che il quantum della lesione non sia tale da indurlo al ricorso giurisdizionale. Ѐ solo nel momento in cui il titolare della situazione giuridica lesa conosce non solo l’an della lesione, ma anche il quantum della stessa (il che, come si è detto, accade con la sostanziale ultimazione dei lavori), che il quadro fattuale è completo e consente una compiuta valutazione ai fini della proposizione dell’impugnativa giurisdizionale. Solo da quel momento, pertanto, decorre il termine di decadenza.

La domanda di annullamento è, quindi, tempestiva essendo stata proposta in un momento in cui i lavori non risultavano ancora sostanzialmente ultimati.

La domanda va, dunque, esaminata nel merito.

  1. Ai fini della decisione del merito, il Collegio, considerato che risulta contestata l’esistenza e l’effettiva perimetrazione del vincolo di tutela indiretta, ritiene indispensabile disporre una consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi dell’art. 67c.p.a., individuando come consulente tecnico il Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma “La Sapienza”, riconoscendogli la facoltà di designare in sostituzione un professore ordinario della stessa Facoltà.

Il quesito che si sottopone al C.T.U. è il seguente: “Dica il C.T.U. se effettivamente esiste e, in caso affermativo, quale è l’esatta perimetrazione del vincolo monumentale di tutela indiretta, specificando se esso incide su tutta o su soltanto una parte dell’area interessata dai lavori di realizzazione dell’edificio destinato ad ospitare la nuove sede del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche di Puglia e Basilicata, sito in Bari, sul lungomare De Tullio, in prossimità del castello medioevale della città”.

Ai sensi del citato art. 67 del Cod. proc. amm.:

a) il professore designato dovrà comparire innanzi al magistrato delegato entro il 23 marzo 2017; per assumere l’incarico e prestare giuramento;

b) le parti, in solido, dovranno corrispondere al consulente, quale anticipo e salva definitiva attribuzione all’esito del giudizio secondo la regola della soccombenza, la somma di € 3.000,00 (euro tremila/00), entro il 9 marzo 2017;

c) assegna al CTU il termine del 30 aprile 2017 per la trasmissione dello schema della propria relazione alle parti ovvero, se nominati, ai loro consulenti tecnici;

d) assegna alle parti il termine del 31 maggio 2017 per la trasmissione al consulente tecnico d’ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;

e) assegna al CTU il termine del 30 giugno 2017 per il deposito in segreteria della relazione finale, in cui il consulente darà altresì conto delle osservazioni e delle conclusioni dei consulenti di parte sulle quali dovrà prendere posizione.

f) le parti forniranno al consulente tutti gli atti necessari allo svolgimento dell’incarico

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi specificati in motivazione. Dispone l’incombente istruttorio nei tempi e nei modi indicati in motivazione.

Rinvia per il prosieguo ad una udienza da fissarsi nell’ultimo trimestre del 2017.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Italo Volpe, Consigliere

 
 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Roberto Giovagnoli

Ermanno de Francisco

 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria il 16 gennaio 2017

 

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Bari, distanza del cantiere dal Castello normanno-svevo

(foto Comitato Parco del Castello di Bari)


S.O.S. Demani civici Sardegna!

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Venerdi 24 febbraio 2017, con inizio alle ore 16.00, presso il Centro Servizi Culturali U.N.L.A., in Via Carpaccio n. 9 a Oristano, si terrà l’assemblea S.O.S. DEMANI CIVICI SARDEGNA! promossa dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus sulla realtà dei terreni a uso civico, su che cosa sta accadendo alle terre collettive isolane e su quali azioni possono esser intraprese per la loro difesa.

Da tempo, infatti, l’attuale Amministrazione regionale sta conducendo una vera e propria operazione per realizzare un nuovo Editto delle Chiudende.

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Cabras, Torre di S. Giovanni di Sinis e Tharros

Migliaia di ettari di terreni a uso civico risultano occupati illegittimamente, mentre Comuni e Regione non esercitano le dovute azioni di recupero e mentre 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici giacciono nei cassetti regionali.

L’assemblea pubblica del prossimo 24 febbraio è un’importante occasione per informarsi e sapere che cosa sta accadendo sui 4-500 mila ettari di terre collettive sarde.

Siamo tutti invitati a partecipare!

Ma fin d’ora ogni cittadino può farsi sentire: infatti, su sollecitazione di tante persone – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

animali-aquile_11350-gif-animataIstruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud. Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

animali-aquile_11350-gif-animatal’attuale situazione è descritta puntualmente nell’articolo Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna, ecco coma la Giunta Pigliaru vuole realizzare il nuovo Editto delle Chiudende (2 gennaio 2017)

animali-aquile_11350-gif-animataqui la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa

foresta mediterranea

foresta mediterranea

(foto J.I,, S.D., archivio GrIG)


Il Giorno del Ricordo.

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esodo giuliano-dalmata

esodo giuliano-dalmata

 

In Italia dal 2005 (legge n. 92/2004) il 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata negli anni ‘40-’50 del secolo scorso.

Circa 350 mila nostri connazionali furono costretti in un clima di violenza a lasciare le loro terre.

Una pesantissima e crudele pulizia etnica.  

Migliaia di morti, nelle foibe e nei campi di concentramento titini.

Italiani, ma anche sloveni e croati non in linea con il nuovo potere comunista.

Anche Trieste e il suo territorio furono interessati dal pesante clima di violenza.

Esodo degli Italiani da Pola (1947)

Esodo degli Italiani da Pola (1947)

Al clima di violenza, purtroppo di lunga data sulle rive dell’Adriatico, in precedenza, contribuirono duramente anche gli italiani.

Al di là delle politiche dei governi, spesso esacerbate da crudo sciovinismo, chi ne ha pagato le tristi conseguenze sono state fondamentalmente le persone comuni, senza alcuna difesa.

Conoscere, ricordare, è importante e fondamentale, per comprendere ed evitare che queste vicende si ripetano.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

P.S.   è importante informarsi, leggere, confrontare le tesi e le opinioni: solo la conoscenza e l’obiettività unita alla reciproca comprensione delle ragioni delle comunità e dei singoli permette di superare odi etnici che hanno avvelenato l’Europa per troppo tempo[1].

 

Luigi Fogagnolo.

Luigi Fogagnolo era nato ad Arquà Polesine, in Provincia di Rovigo, il 17 gennaio 1887.  Figlio di Gustavo Fogagnolo e di Angelina Rosati.

Fin da giovane aveva iniziato a lavorare nelle Ferrovie dello Stato, facendo anche carriera.   Divenne, infatti, capo-stazione della Stazione ferroviaria di Gorizia – Montesanto (oggi di Nova Gorica).

L’1 maggio 1945 le truppe comuniste jugoslave entrarono a Gorizia,  Il 12 maggio 1945, senza nessuna accusa, Luigi Fogagnolo venne prelevato dalla propria abitazione, dove viveva con moglie e figli.

Non se ne seppe più nulla.

Il 10 febbraio 2007 l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano consegnò al figlio Gustavo Fogagnolo la medaglia d’oro alla memoria quale vittima della pulizia etnica.

 

Qui la storia di una professoressa italiana antifascista, Elena Pezzoli (43 anni).

Qui la storia di un’ostetrica italiana, Giovanna Moscardin (31 anni).

Qui la storia di una ragazza italiana di Parenzo, Mafalda Codan, sopravissuta alle carceri jugoslave.

Qui la storia di un ebreo italiano, di Fiume: Angelo Adam.

Qui la storia di tre sorelle: Fosca (17 anni), Caterina (19 anni) e Albina Radecchi (21 anni).

Qui la storia di Norma Cossetto (24 anni) e di Giovanni Radeticchio (sopravvissuto all’infoibamento).

Qui la storia di un prete di campagna (don Francesco Bonifacio, 34 anni)

esodo degli Italiani da Pola

esodo degli Italiani da Pola

_______________

[1]  una bibliografia, per chi volesse approfondire:

  • AA.VV., “Istria nel tempo: manuale di storia regionale dell’Istria con riferimenti alla città di Fiume”, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 2006
  • Joze Pirjevec e Guido Franzinetti, “Foibe, una storia d’Italia”, Einaudi, 2009
  • Claudia Cernigoi, Operazione Foibe – Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine, 2005
  • Mafalda Codan, Diario di Mafalda Codan in: Mario Dassovich, Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana – Unione degli Istriani – Bruno Fachin Editore – Trieste 1997 ISBN 8885289541
  • Paolo De Franceschi, Foibe, prefazione di Umberto Nani, Centro Studi Adriatici, Udine 1949
  • Federico Goglio: “Foibe : inferno a nord-est”, Editore Baranzate di Bollate Cidal, 2001
  • Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Kappa VU, Udine, 2003
  • Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, LEG, Gorizia, 2010
  • Jožko Kragelj,Pobitim v spomin: žrtve komunističnega nasilja na Goriškem 1943-1948, Goriška Mohorjeva, Gorizia 2005
  • Giancarlo Marinaldi (vero nome Carlo Gonan),La morte è nelle foibe, Cappelli, Bologna 1949
  • Adamo Mastrangelo, Foibe, ciò che non si dice, Calendario del Popolo, Luglio 2008, Nicola Teti Editore
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra vol 1. Le Lettere. Firenze, 2004
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924 vol 2. Le Lettere. Firenze, 2007
  • Gianni Oliva, Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria, Mondadori, Milano 2003, ISBN 88-0448978-2
  • Frank Perme e altri,Slovenia, 1941, 1948, 1952: Anche noi siamo morti per la patria, Milano 2000.
  • Luigi Papo,L’Istria e le sue foibe, Settimo sigillo, Roma, 1999
  • Luigi Papo,L’ultima bandiera. Storia del reggimento Istria, L’Arena di Pola, Gorizia 1986
  • Eno Pascoli,Foibe: cinquant’anni di silenzio. La frontiera orientale, Aretusa, Gorizia 1993
  • Pierluigi Pallante,La tragedia delle foibe, Editori Riuniti, Roma 2006
  • Arrigo Petacco,L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Mondadori, Milano 1999
  • Raoul Pupo (aprile 1996).Le foibe giuliane 1943-45 .
  • Raoul Pupo,Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, Rizzoli, 2005. ISBN88-17-00562-2
  • Raoul Pupo, Roberto Spazzali,Foibe, Bruno Mondadori, 2003. ISBN 88-424-9015-6
  • Raoul Pupo,Trieste ’45, Laterza, Roma-Bari 2010 ISBN 978-88-420-9263-6
  • Leonardo Raito,Il PCI e la resistenza ai confini orientali d’Italia, Temi, Trento, 2006
  • Franco Razzi,Lager e foibe in Slovenia, E.VI, Vicenza 1992
  • Guido Rumici, I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano 2002
  • Giorgio Rustia,Contro operazione foibe a Trieste a cura dell’Associazione famiglie e congiunti dei deportati italiani in Jugoslavia e infoibati, 2000
  • Fulvio Salimbeni,Le foibe, un problema storico, Unione degli istriani, Trieste 1998
  • Cesare Salmaggi-Alfredo Pallavicini,La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989 ISBN 88-04-39248-7
  • Giacomo Scotti,Dossier Foibe, Manni, San Cesario (Le), 2005
  • Frediano Sessi,Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel ’43, Marsilio, Venezia 2007.
  • Giovanna Solari,Il dramma delle foibe, 1943-1945: studi, interpretazioni e tendenze, Stella, Trieste 2002
  • Roberto Spazzali,Foibe: un dibattito ancora aperto. Tesi politica e storiografica giuliana tra scontro e confronto, Lega Nazionale, Trieste 1990
  • Roberto Spazzali,Tragedia delle foibe: contributo alla verità, Grafica goriziana, Gorizia 1993
  • Giampaolo Valdevit (cur.),Foibe, il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1997

 

(foto da mailing list storiche)

 

 

 

 


Un deposito di gas e un rigassificatore a Cagliari.

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Cagliari, Poetto, Torre spagnola

Cagliari, Poetto, Torre spagnola

Abbandonato – giustamente – il progetto di gasdotto Galsi s.p.a. nel maggio 2014, si è fatta strada l’ipotesi di portare il gas naturale in Sardegna (unica regione italiana a non averlo) mediante una serie di depositi costieri e relativi rigassificatori.

Il piano energetico ambientale (P.E.A.R.S.) è stato approvato definitivamente e prevede l’utilizzo del gas naturale.

E’ attualmente in via di conclusione la procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativa alla realizzazione da parte della Edison s.p.a. di un deposito di gas naturale (7 serbatoi per complessivi mc. 9.000, capacità annua mc. 520.000) e di un connesso impianto di rigassificazione nel porto industriale di Oristano, mentre recentemente il progetto di dorsale metanifera sarda è stato inserito nella Rete Nazionale dei Gasdotti, sebbene l’ipotesi di utilizzare il tracciato progettato per il gasdotto Galsi s.p.a. per la rete metanifera isolana riproporrebbe i pesanti impatti ambientali, decisamente fuori luogo e da respingere.

Cagliari, Bastione di S. Croce

Cagliari, Bastione di S. Croce

In questo quadro s’inserisce la proposta, finora sconosciuta, di installare un deposito costiero di gas naturale liquefatto e un impianto di rigassificazione nel porto canale di Cagliari.

Silos per 20.000 metri cubi di gas naturale destinati a Cagliari, alla relativa area metropolitana e alla zona industriale di Macchiareddu nel progetto della IsGas s.p.a.

Sarà pure definito “piccolo”, ma questi – per la loro pericolosità intrinseca – sono considerati impianti a rischio di incidente rilevante (direttive n. 82/501/CEE, n. 96/82/CEE, n. 2003/105/CE, 2012/18/UE).

Nel caso malaugurato di incidente, sarebbero coinvolti Cagliari, il porto canale, l’aeroporto di Cagliari-Elmas, la S.S. n. 195, la zona industriale di Macchiareddu.

Come si può facilmente comprendere, non si tratta di decisioni da prendere con superficialità, ma da sottoporre a una reale ed efficace procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), scevra da pregiudizi e decisioni precostituite, e – perché no? – da una procedura di consultazione pubblica preventiva aperta all’intera collettività regionale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Cagliari, panorama dal Bastione di S. Croce

Cagliari, panorama dal Bastione di S. Croce

da L’Unione Sarda, 9 febbraio 2017

Isgas: «Un piccolo impianto».

PORTO CANALE. Per la direttiva Seveso a rischio i depositi dove si trasforma il gnl in metano. Il rigassificatore servirà la città metropolitana e Macchiareddu.  (Andrea Piras)

Usa gli esempi e confronta i numeri per scacciare dubbi, timori e perplessità. Barcellona, 540 mila metri cubi, Panigaglia, 100 mila. «Ecco, quelli sono rigassificatori. In realtà per Cagliari stiamo parlando di un deposito costiero cui sono collegati dei vaporizzatori per trasformare il gas naturale liquefatto, il Gnl, nel metano immediatamente utilizzabile nelle reti cittadine». Parola di Giuseppe De Roma, amministratore di IsGas, la società concessionaria del servizio di distribuzione del gas e titolare del progetto per la realizzazione al Porto canale di un impianto da 20 mila metri cubi. Dunque di proporzioni ben più modeste. «Il nostro schema – spiega – è sullo stile di quelle mini centrali costiere che funzionano nel mare del nord dove, non essendo possibile realizzare infrastrutture con rete fissa, si usa la tecnica del deposito».
LE DIMENSIONI. Piccolo, dunque, destinato a garantire il metano non solo a Cagliari ma anche alla città metropolitana (con i suoi 450 mila abitanti) e alla zona industriale di Macchiareddu, ma pur sempre un impianto classificato “a rischio” dalla normativa Seveso. Intanto perché il Gnl è materiale altamente infiammabile ed esplodente. Per questo l’iter per l’approvazione dell’impianto Small scale e la sua costruzione non sarà di breve termine. Il deposito, o piccolo rigassificatore del Porto canale che dir si voglia, dovrà vedersela con la severità della “direttiva Seveso”, con le altrettanto rigorose verifiche dei Vigili del Fuoco, con la Valutazione di impatto ambientale. E questo perché l’incidente, in centrali simili, va previsto eccome, perché possibile evidentemente lo è. «Assolutamente sì», avverte l’amministratore di IsGas. «Questo impianto è previsto nel Piano energetico regionale che permetterà, dopo trentacinque anni, di avere finalmente il metano. Per quanto riguarda la capacità di resa tutto dipende dalla richiesta. Se il fabbisogno cresce, allora faremo aumentare i viaggi delle navi gasiere che trasportano il Gnl. Anche per questo stiamo, in fase di progettazione, modulando l’impianto». De Roma si dice comunque certo che la domanda sarà piuttosto alta per via dei costi energetici che da sempre hanno condizionato lo sviluppo anche industriale dell’Isola e inciso sulle bollette dei suoi abitanti.
I PERICOLI Benefici a parte, restano i timori per questo stabilimento classificato “a rischio“ e che sorgerà nelle vicinanze di insediamenti urbani come appunto il capoluogo, lo stesso Porto canale, il porto di Cagliari, l’aeroporto di Elmas. «Nessuno ci ha ancora informati del progetto», dice Marco Di Giugno, direttore aeroportuale dell’Enac per la Sardegna. «Per noi la sicurezza è preminente, nelle vicinanze dello scalo insistono limitazioni rigorose alle quali i Comuni, sulla base del regolamento, si devono attenere, anche adeguando i loro piani urbanistici. Per il rigassificatore attendiamo informazioni dettagliate».
LE ASSOCIAZIONI. Spiega Stefano Deliperi, responsabile del Gruppo d’intervento giuridico: «È necessario capire intanto il rapporto tra costi e benefici. Ventimila metri cubi sono quantità piuttosto modeste, è un impianto di dimensioni ridotte ma che comunque deve rispettare, per la sua autorizzazione, precisi parametri». Dice il responsabile scientifico di Legambiente, Vincenzo Tiana: «Parlare di rigassificatore è improprio e crea confusione. A questo tipo di impianto noi siamo d’accordo, esattamente come lo siamo stati per l’altro deposito costiero di Oristano-Santa Giusta».
GLI ESEMPI. In effetti sono due i depositi previsti per la costa centro-occidentale dell’Isola, leggermente più piccoli di quello da 18 silos della lunghezza ognuno di 50 metri per sei d’altezza che sorgeranno al Porto canale di Cagliari. «Sia il nostro che gli altri due dell’Oristanese – spiega Giuseppe De Roma – sono impianti definiti di “rilevanza strategica” dal decreto-legge del dicembre 2016. Ciò significa, per quanto riguarda le autorizzazioni, che dovrà esserci una conferenza unica tra ministeri dell’ Ambiente e delle Attività produttive per accelerare l’iter. Restano, invece, gli altri passaggi: i vigili del fuoco e la Via regionale».

 

Cagliari, veduta da Castello in direzione di S. Elia

Cagliari, veduta da Castello in direzione di S. Elia

da L’Unione Sarda, 8 febbraio 2017

Cagliari, rigassificatore al porto canale: avviato il lungo e complesso iter. (Marco Noce)

 

Rigassificatore al porto canale, sarà un iter lungo e complesso. Primo passo: il sì del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi. (Marco Noce)

Il percorso per la realizzazione di un deposito/rigassificatore al porto canale sarà lungo e complesso. Prima tappa: passare l’esame del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi. Un passaggio inevitabile, previsto dal decreto Seveso: che è la normativa di riferimento quando si tratta di quegli stabilimenti definiti “a maggior rischio” in caso di incidenti. E qui si parla di Gnl, un materiale altamente infiammabile e che può esplodere.

LA RIUNIONE DI IERI. È questo, in sintesi, il risultato della riunione che si è tenuta ieri mattina nella sede dell’Autorità portuale. Attorno al tavolo, oltre a Roberto Isidori, commissario straordinario dell’ente padrone di casa, che rappresenta anche la Capitaneria di porto di cui è comandante, c’erano la dirigente del Comune Claudia Madeddu (edilizia privata) e funzionari di vigili del fuoco e Genio civile. Non una conferenza di servizi, che sarebbe già una tappa formale, ufficiale: piuttosto un incontro preliminare, informale, un modo per saggiare il terreno burocratico prima di poggiare il primo passo.

LA DIRETTIVA. Poche le informazioni filtrate nel pomeriggio. Tra queste, la più importante è sicuramente la definizione dell’iter che dovrà seguire il progetto presentato dalla Isgas, che a Cagliari già gestisce la rete del gas di città. A indicarlo è stato il rappresentante dei vigili del fuoco, competenti in materia di sicurezza quando c’è da esprimere un parere di fattibilità. «Nel caso specifico – spiega il comandante provinciale Luciano Cadoni – la tipologia di impianto rientra fra quelle per cui si applica la “direttiva Seveso”, normativa europea adottata negli anni ’80 dopo il disastro causato da una fuga di diossina da un’impianto chimico a Seveso, bassa Brianza, e recepita dall’Italia nel 1988».

IL GAS LIQUIDO. L’impianto che la Isgas vuole realizzare nel porto canale consiste in un sette o otto silos a forma di sigaro disposti in orizzontale uno accanto a l’altro, per la capienza complessiva di 20mila metri cubi, nei quali dovrebbe essere stoccato il Gnl, gas naturale liquido, composto principalmente da metano. Il Gnl è benedetto dal piano energetico della Regione: per la Sardegna rappresenterebbe un’alternativa ecologica ed economicamente vantaggiosa rispetto ai carburanti fossili su cui è basato l’attuale sistema energetico sardo e all’aria propanata usata come gas di città. Viaggerebbe non in un gasdotto ma nelle stive di navi metaniere, conservato allo stato liquido, a una temperatura di 160° sotto zero. Per poter essere bruciato come carburante per alimentare i motori di auto e navi ma anche come gas di città, il Gnl deve però necessariamente essere riportato allo stato gassoso. La trasformazione avverrebbe appunto nell’impianto che la Isgas vuole realizzare al porto canale, dunque in un’area in cui arrivano, fanno manovra, attraccano navi portacontainer fra le più grandi al mondo, sono depositati e vengono movimentati migliaia di container e tonnellate di merci sfuse e lavorano centinaia di persone.

IL COMITATO. «Pronunciarsi sui profili di sicurezza, stabilire le caratteristiche tecniche dell’impianto e la distanza minima tra questo e, per esempio, la strada statale 195 è prerogativa del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi», prosegue Cadoni: «A esso la ditta proponente dovrà sottoporre un rapporto in cui si ipotizzino i rischi nelle varie fattispecie di eventuali incidenti. Solo dopo il via libera del Comitato l’Autorità portuale potrà esprimere il parere sulla compatibilità fra l’impianto e il luogo destinato ad accoglierlo». Del Comitato fanno parte il comandante regionale e quelli provinciali dei vigili del fuoco, il comandante della Capitaneria di porto e rappresentanti di Arpas, Inail, Ordine degli ingegneri e Comune. L’organismo, nei mesi scorsi, ha dato il via libera alla realizzazione, nel porto di Santa Giusta, di due depositi/rigassificatori molto simili a quello che si vorrebbe costruire nel porto canale. In quei casi fu necessario adeguare i progetti alle osservazioni formulate dalla Capitaneria di porto di Oristano che aveva ritenuto non compatibili le caratteristiche degli approdi.

 

Cagliari, Castello, l'Elefante sulla Torre

Cagliari, Castello, l’Elefante sulla Torre

2 febbraio 2017

«Il rigassificatore nel porto canale». Al posto della stazione marittima nuovo hotel affacciato sul mare. (Marco Noce)

Un rigassificatore nel porto canale, dove il metano arriverà via nave, e un albergo a tre piani nel porto storico, al posto della vecchia stazione marittima: sono le due novità annunciate da Roberto Isidori, comandante della Capitaneria di porto di Cagliari, nel tracciare il bilancio dei suoi sedici mesi da commissario straordinario dell’Autorità portuale del capoluogo isolano.

METANO Il rigassificatore, dunque. Immaginate sette o otto silos a forma di sigaro affiancati in un’area del porto canale: ventimila metri cubi in cui verrebbe stoccato il gnl (gas naturale liquido, composto prevalentemente da metano) trasportato a Cagliari dalle navi metaniere, e quindi riportato allo stato gassoso. Per fare cosa? Per essere distribuito nelle case (per cucinare, fornire acqua calda, riscaldare) attraverso la rete del gas di città che ora eroga aria propanata (più costosa e meno efficiente del gnl), alimentare i motori delle automobili e anche quelli delle navi di nuova generazione. Un impianto simile a quello che la Higas comincerà a costruire l’estate prossima a Oristano. È il progetto che «un importante soggetto commerciale isolano» ha chiesto il permesso di realizzare alle porte di Cagliari.

PIANO EUROPEO. «Il piano europeo 20 20 20 detta misure in difesa dell’ambiente», ricorda Isidori. «Tra le misure c’è l’incentivazione dell’adozione del gas naturale al posto dei carburanti attualmente in uso. Gli armatori stanno già cominciando ad abbandonare gasolio e nafta: le navi di nuova generazione, quelle che già solcano i mari del Nord Europa, vanno a gas e Cagliari potrebbe essere uno fra i primi porti europei a fornire un servizio di bunkeraggio». Il 7 febbraio l’istanza presentata dal misterioso «soggetto imprenditoriale» verrà esaminata in una conferenza di servizi preliminare. «La collaborazione con Regione e Comune è eccellente», sorride Isidori: «Stiamo cercando di intercettare la tendenza e di guardare al futuro per continuare a far crescere il porto di Cagliari».

SEMPRE PIÙ MERCI. Isidori lo sottolinea con decisione: il porto di Cagliari continua a crescere pure in un contesto nazionale e internazionale segnato da una flessione. Dalla città non lo si percepisce, ma il porto canale, dove lavorano più di 2.000 persone, è animato dall’andirivieni di container e merci alla rinfusa che qui, a metà strada fra stretto di Gibilterra e canale di Suez, sbarcano da mezzo mondo e, una volta smistate, ripartono per numerose destinazioni. Si chiama trasnshipment e dà frutti. «Siamo il terzo porto in Italia per movimento merci», gongola il comandante: «Secondo Assoporti, tra il 2005 e il 2015 siamo passati da 37 milioni a 41 milioni di tonnellate movimentate (tra container, rinfuse e forniture Saras). La crescita annua del 2015 è stata del 22,9 per cento». Nessuno, in Itaia, ha fatto meglio. Livorno e Venezia seguono a distanza con crescite del 15,4 e 15,3. Il sistema dei porti di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres segna -7, e concorrenti temibili come Gioia Tauro e Taranto sono a -13,8 e -19.

CROCIERISTI. Crescono anche i passeggeri. Merito soprattutto del traffico crocieristico: «L’anno scorso sono arrivati a Cagliari 260 mila crocieristi. Nel 2012 erano stati 80 mila. Per il 2017 ne abbiamo prenotati 420 mila». L’instabilità politica del Nord Africa insanguinato dagli attentati jihadisti conta ma fino a un certo punto: «Altri porti, tipo Catania, Palermo o Napoli, non hanno avuto una crescita analoga. Tutto sta a farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, prima pianificando con cura e poi facendo gioco di squadra. Come quello che ha consentito alla Sardegna di presentarsi compatta all’importantissima fiera della crocieristica di Fort Lauderdale e proporsi nel mercato statunitense». Che a volte buona parte dei crocieristi resti a bordo anziché sbarcare e spendere non smonta l’entusiasmo del commissario: «Studi econometrici dicono che ogni crocierista, in media, spende 60 euro a scalo». E i negozi che a volte restano chiusi? «Episodi sporadici. La città, anche grazie al contributo positivo di Confcommercio, è cresciuta molto, su questo piano».

FONDALI. Isidori non è turbato neanche dalla polemica sollevata di recente da un agente marittimo sull’adeguatezza dei fondali del porto cittadino: «L’anno scorso abbiamo fatto una ricognizione sui fondali e rassicuro tutti: sono più che sufficienti a ospitare le navi più grandi del mondo, che infatti attraccano senza problemi. La profondità minima è di 11 metri, il pescaggio delle navi da crociera è di 9, e quello della Queen Elizabeth di 10. Giorni fa anche alcune portaerei spagnole impegnate in un’esercitazione hanno attraccato in tutta tranquillità».

LA VARIANTE. Il commissario va fiero di quella che definisce l’iniziativa più importante assunta da capo dell’Authority: la proposta di una variante al piano regolatore del porto che, «attesa da 15 anni», permetterà di dare un assetto razionale al sistema di moli e banchine. La variante, che è ora all’esame del Comune e dovrà essere discussa dal Consiglio, prevede alcune cose decisive: «Primo, lo spostamento nel porto canale del traffico Ro-ro, cioè delle navi che trasportano merci su rimorchi gommati. Abbiamo già i progetti, in attesa dell’autorizzazione ambientale e paesaggistica. Il porto storico sarà liberato dalla presenza di navi che nulla hanno a che fare con la sua vocazione diportistica e crocieristica (a proposito: il 30 aprile sarà pronta la darsena pescherecci a Sa Perdixedda, e in maggio trasferiremo lì tutti i pescherecci). Lo spostamento del Ro-ro al porto canale permetterà di valorizzare lo splendido waterfront cittadino e di liberare il centro dal traffico di autorimorchi. E le navi merci avranno a disposizione piazzali e capannoni».

ALBERGO SULL’ACQUA. Altra novità rilevante: la vecchia stazione marittima, scatolone celeste sbiadito ora semiabbandonato al centro del porto storico, sarà abbattuta e lascerà il posto a un albergo di tre piani affacciato sull’acqua. «Sono già arrivate manifestazioni di interesse. Probabilmente si farà una gara. Intendiamo concedere a chi costruisce una concessione di durata sufficiente ad ammortizzare l’investimento». Oltre al via libera del Comune, occorrono anche le valutazioni ambientali e paesaggistiche: dovranno pronunciarsi anche ministero dei Lavori pubblici e Regione.

CANTIERI. Nell’elenco ci sono anche lavori a medio e breve termine. Il distretto della cantieristica, per esempio: «Le opere a terra sono già completate; per quelle a mare abbiamo ottenuto l’autorizzazione più impegnativa, quella ambientale, e attendiamo a breve quella paesaggistica. I lavori potrebbero cominciare entro l’anno». Saranno invece avviati «a giorni» quelli per il prolungamento della passeggiata lungomare nel porto storico. Poi ci sono le cose già fatte, come la demolizione dei vecchi capannoni industriali, zeppi di amianto, a Sa Perdixedda.

La politica regionale si accapiglia da mesi sul nome del primo presidente dell’autorità portuale regionale, che unificherà le due attuali. Isidori, finora mai inserito nelle rose dei papabili, si schermisce: «Guardo alle cose realizzate e a quelle avviate. E sono soddisfatto: non mi sono certo limitato all’ordinaria amministrazione. A chi assumerà l’incarico lascerò una realtà in crescita. Poi, per carità, se dovesse succedere…», e ride di gusto, «… a Cagliari mi trovo benissimo».

 

Cagliari, il mare sotto la Sella del Diavolo

Cagliari, il mare sotto la Sella del Diavolo

3 febbraio 2017

«No a una città davanti alla città» Un hotel nella vecchia stazione marittima? Le perplessità di Zedda.

La Regione: il progetto di un mini gassificatore nel porto non contrasta col Piano energetico. (Mariella Careddu)

Comunicazione non pervenuta. L’albergo sul mare? «Non ne so niente». Il rigassificatore al porto canale? «Mi avevano parlato di un deposito, se hanno cambiato idea, vedremo. Di certo bisognerà che i progetti passino dagli uffici. Non si può ragionare per compartimenti stagni nello sviluppo di un’area come il porto. Non si può costruire una città davanti alla città, a coprire il centro storico». Il sindaco Massimo Zedda è costretto a fare i conti con informazioni di seconda mano. E valuta gli annunci del commissario dell’Autorità portuale Roberto Isidori che, illustrando il futuro del porto, ha parlato della realizzazione di un rigassificatore nel Porto canale e della costruzione di un hotel a tre piani al posto della vecchia stazione marittima.

CAOS VIETATO. «Serve una programmazione armonica. Non ci si può muovere nel caos se si vogliono creare opere che siano utilizzabili immediatamente. Non si può pensare allo sviluppo del porto senza valutare, tra le altre cose, la crescita di Su Siccu, viale Colombo, la Fiera. E poi, sia chiaro: nessuno tocchi il liceo Alberti». Il primo cittadino ha le idee chiare anche sull’impianto utile alla distribuzione del metano liquido.

La differenza sta nella taglia. Quello nel Porto canale dovrebbe essere un rigassificatore in formato mini, a basso impatto ambientale. Un cosiddetto “vaporizzatore” annesso al deposito costiero e necessario per la messa in rete del metano che viene stoccato in forma liquida. Il progetto è ancora in una fase embrionale, porta la firma di Is Gas e avrà la capacità di 20 mila metri cubi. Una quantità necessaria a soddisfare il fabbisogno delle famiglie che vivono nell’area metropolitana ma del tutto insufficiente alle industrie. Nel giorno in cui il ministero dello Sviluppo economico annuncia di aver autorizzato la realizzazione della dorsale sarda per il trasporto e la distribuzione del metano, però, è chiaro che i numeri sono destinati a crescere. Il tema poi è più che mai attuale perché l’amministrazione si prepara a pubblicare il nuovo bando per l’affidamento della gestione della rete a metano ora gestita proprio da Is Gas.

Zedda, nell’attesa di vedere le carte, si mostra prudente. «L’ipotesi di un deposito che serva la città è positiva. Avere un impianto di approvvigionamento in un’area sterile, sotto controllo e di quelle dimensioni porterebbe anche un risparmio dal punto di vista economico e ambientale». Specificare le dimensioni dell’impianto appare doveroso, perché anche solo l’ipotesi che il rigassificatore (quello in formato gigante) possa trovare posto in città viene esclusa a priori. «Avere questo tipo di deposito è un bene e consentirà di sfruttare una rete che è già stata completata e che ora viene sotto utilizzata. Ma un impianto gigante sarebbe un male».

L’ASSESSORA PIRAS. Della stessa opinione anche l’assessora regionale all’Industria Maria Grazia Piras: «Qualora servisse un impianto più grande – benché quelli inseriti nel Piano energetico regionale siano tutti di piccola taglia – verrà individuato un altro sito in una delle due aree a vocazione industriale, ovvero Sarroch o Porto Torres. Quel che si sta prospettando sono depositi con rigassificatori molto leggeri». Il decreto ministeriale porta la data del 31 gennaio e dà conto dell’inserimento della dorsale sarda nella rete nazionale. Si tratta di tre linee: quella “Sarroch-Oristano-Porto Torres”, “Cagliari-Sulcis” e “Codrongianus-Olbia”. Se i tempi saranno rispettati i lavori potranno iniziare prima della fine dell’anno.

 

macchia mediterranea, sole, mare

macchia mediterranea, sole, mare

(foto S.D., archivio GrIG)

 

 


Alghero, Porto Conte, Sant’Imbenia: arriva la prescrizione per lo scempio ambientale.

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La Nuova Sardegna, 11 febbraio 2017

La Nuova Sardegna, 11 febbraio 2017

Ecco qui.

Come prevedibile, il Tribunale penale di Sassari ha dichiarato l’intervenuta prescrizione nel dibattimento penale in corso sugli abusi edilizi compiuti nel “campeggio Sant’Imbenia”, vicino all’omonima area archeologica, sulla costa di Porto Conte, ad Alghero, in area rientrante nel parco naturale regionale “Porto Conte”, in un sito di importanza comunitaria, tutelata con vincolo paesaggistico e con vincolo di conservazione integrale

Sotto sequestro penale dall’ottobre 2011, nel settembre 2015 l’area era stata devastata da un pericolosissimo incendio.  Solo nel gennaio 2017, dopo varie vicissitudini, è stato finalmente avviato l’intervento di bonifica ambientale.

Alghero, Porto Conte, campeggio abusivo

Alghero, Porto Conte, campeggio abusivo

A questo punto, visto che i terreni sembra vengano restituiti ai proprietari, il Comune di Alghero dovrebbe valutare l’eventuale sussistenza delle condizioni giuridiche per chieder loro il rimborso delle spese per la bonifica ambientale.

Ripercorriamo la storia di questo scandaloso esempio di abusivismo edilizio e dei casi analoghi sulla costa di Porto Conte.

Nel corso degli anni sono stati numerosi (17 maggio 1999, 11 luglio 2000, 3 agosto 2004, 18 giugno 2005, 21 ottobre 2006, 30 marzo 2007, 5 maggio 2009, 20 luglio 2010) gli esposti delle associazioni ecologiste Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico nei confronti delle amministrazioni pubbliche e della magistratura competenti avverso il dilagante quanto inquinante fenomeno dei campeggi-lottizzazioni abusivi nella Baia delle Ninfe.

Una dozzina i “campeggi” nella medesima situazione di abusivismo.

Alghero, Porto Conte, campeggio abusivo

Alghero, Porto Conte, campeggio abusivo

Nel luglio 2010 la Corte di Cassazione aveva confermato il decreto G.I.P. (dott. Lupinu) del Tribunale di Sassari del 9 maggio 2009 di sequestro preventivo del “campeggio Sant’Igori”, in precedenza annullato dal Tribunale del riesame di Sassari (dott. M. Brianda) nel giugno 2009: la motivazione risiederebbe nel fatto che il terreno sarebbe stato effettivamente frazionato in favore dei singoli lottisti dalla Liberturist s.r.l., qualificando così l’ipotesi della lottizzazione abusiva.    In seguito è avvenuto lo sgombero.

Molto interessante anche la storia di questo campeggio-lottizzazione abusiva: realizzato dalla Libertourist s.r.l. di Alghero, ha oltre 250 lottisti con altrettante strutture edilizie e precarie per soggiorni estivi. Fin dalla metà degli anni ‘80 del secolo scorso e poi nel 1990 (ordinanze nn. 2-3/u del 2227 luglio 1984, n. 94 del 23 maggio 1990) il Comune di Alghero ordinò la sospensione e demolizione dei lavori abusivi (numerosi prefabbricati e altrettanti basamenti in cemento) ed il ripristino ambientale.

Alghero, Porto Conte, campeggio S. Igori

Alghero, Porto Conte, campeggio S. Igori

Con decreto del 23 maggio 1990 l‘allora G.I.P. presso la Pretura circondariale di Sassari dott. M. Brianda disponeva il sequestro preventivo dell‘area del campeggio Sant‘Igori nell‘ambito dei procedimenti penali n. 2774/90 R.G. e n. 7211/90 G.I.P., sequestro revocato rapidamente in data 14 giugno 1990, all‘inizio della stagione estiva. Nel 1994 venne richiesto l‘intervento del Servizio vigilanza edilizia dell’Assessorato regionale EE.LL., finanze, urbanistica per utilizzare i mezzi regionali per procedere alla demolizione. Nei mesi successivi erano stati programmati gli interventi di demolizione con i mezzi regionali insieme ad altri abusi lungo la costa “catalana”, ma, inspiegabilmente, una qualche “mano” spense i motori già accesi dei “caterpillar”.

Nel 1998 (ordinanza n. 194 del 23 novembre 1998) il Sindaco di Alghero ordinò la chiusura dei campeggi per motivi di ordine igienico-sanitari, senza far tuttavia cenno, a quanto è dato conoscere, della situazione di abusivismo delle strutture. Nel 2000 l‘Assessorato regionale P.I. e BB.CC. – Ufficio tutela paesaggio di Sassari provvide a contestare gli abusi edilizi riscontrati (nota n. 1724 del 24 febbraio 2000), reiterando quanto già fatto 10 anni prima (note n. 6784 del 6 giugno 1990 e n. 11464 del 9 ottobre 1990).

sito di importanza comunitaria - SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio”

sito di importanza comunitaria – SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio”

Nell‘ambito del procedimento penale R.G.N.R. 6052/05 mod. 21 pendente presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari, il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale avrebbe accertato e comunicato anche alle pubbliche amministrazioni competenti (artt. 27 del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni e 20, commi 4° e 6°, della legge regionale n. 23/1985) per i conseguenziali provvedimenti l‘avvenuto riscontro, nel solo “campeggio Sant’Igori”, un numero impressionante di violazioni ambientali: le strutture edilizie (prefabbricati, roulottes fissate al suolo, pergolati, servizi igienici, pavimentazioni, impianti tecnologici, ecc.) sarebbero circa 270, realizzate a partire dal 1982 fino ai nostri giorni, prive di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica.   In proposito sembrerebbero sussistere, pur in palese carenza dei termini di legge per la concessione, 77 istanze di condono edilizio.    Inoltre, non sussisterebbe alcun impianto di depurazione, ma solo due grandi fosse biologiche e serbatoi in pvc.   I servizi comuni di lavaggio scaricherebbero a dispersione (vds. note Servizio igiene pubblica Azienda USL n. 1 – Distretto di Alghero prot. n. 6179 del 13 settembre 1998, n. 288/VS del 6 settembre 1995, n. 10225 del 18 agosto 1992).

Non sussisterebbe alcuna autorizzazione allo scarico.  Nel periodo estivo le presenze sarebbero di circa 1.000 unità (soci, familiari, ospiti), mentre i reflui prodotti giornalmente si dovrebbero aggirare fra i 10.000 e i 20.000 litri, data la produzione giornaliera pro capite stimata in 100-200 litri.    Il Servizio igiene pubblica dell’Azienda USL n. 1 – Distretto di Alghero avrebbe certificato gravi problemi igienico-sanitari per la spiaggia e la retrostante pineta.

mare e coste (foto Benthos)

mare e coste (foto Benthos)

Nell‘agosto 2004 il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale metteva sotto sequestro un campeggio abusivo sempre a Porto Conte (loc. Stamparogias). 70 piazzole per roulottes, alcuni fabbricati, reti elettriche in corso di realizzazione su3 ettari a due passi dalla battigia marina.

L’ennesimo sequestro preventivo era del settembre 2007, operato dal Corpo forestale e di vigilanza ambientale, su disposizione della Magistratura inquirente, relativo ad un campeggio abusivo nella Pineta Mugoni.

Nel maggio 2009 il T.A.R. Sardegna respingeva il ricorso di vari proprietari di strutture abusive entro il “campeggio” di Sant’Imbenia, nella baia di Porto Conte, contro alcune ordinanze di demolizione emesse dal Comune di Alghero (SS) nel 2005.

Tuttavia nulla è cambiato in concreto.

Già nell’agosto 2007 si è anche corso il rischio di una vera e propria strage nei campeggi abusivi affollati (oltre 10 mila presenze) a causa di un disastroso incendio.

Nel 2002 il Sindaco di Alghero avv. Marco Tedde, nelle sue dichiarazioni programmatiche esposte in Consiglio comunale, aveva esplicitamente affermato che la sua amministrazione avrebbe provveduto alla demolizione dei campeggi abusivi nella splendida Baia di Porto Conte. Naturalmente senza alcun esito.

Ora la prescrizione.

Uno scempio ambientale e giuridico in danno di quel gioiello naturalistico super-tutelato sulla carta rappresentato dal parco naturale regionale di Porto Conte.

Evviva…

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Alghero, Isola Piana

Alghero, Isola Piana

(foto Benthos, S.D., archivio GrIG)


Nel procedimento di VIA il parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo non è espressione di mediazione di interessi.

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Maremma, bosco

Maremma, bosco

A fronte di interpretazioni che lo vorrebbero ridotto quasi a un’opinione, seppure autorevole, ma in fondo poco rilevante, il T.A.R. Marche ha delineato recentemente il ruolo del parere ai fini di tutela del paesaggio/ambiente espresso dal Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo nell’ambito del procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).

La sentenza T.A.R. Marche, Sez. I, 5 gennaio 2017, n. 21 si inserisce nella linea giurisprudenziale ormai costante (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2015, n. 3652) secondo la quale “alla funzione di tutela del paesaggio (che il Ministero dei beni culturali esercita esprimendo il suo obbligatorio parere nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione”.

Conseguentemente “il parere del Ministero dei beni culturali è atto strettamente espressivo di discrezionalità tecnica, dove, similmente al parere dell’art. 146 d.lgs. 242 del 2004, l’intervento progettato va messo in relazione con i valori protetti ai fini della valutazione tecnica della compatibilità fra l’intervento medesimo e il tutelato interesse pubblico paesaggistico, valutazione che è istituzionalmente finalizzata a evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto”.

Non vi sono, quindi, spazi per un bilanciamento degli interessi coinvolti, ma l’unico punto di riferimento dev’essere la salvaguardia dei valori ambientali/paesaggistici tutelati.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

bosco sotto la neve

bosco sotto la neve

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 10 febbraio 2017

TAR Marche, Sez. I, n. 21 del 5 gennaio 2017

Beni ambientali. Parere espresso dal Ministero dei beni culturali nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale.

Alla funzione di tutela del paesaggio (che il Ministero dei beni culturali esercita esprimendo il suo obbligatorio parere nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: il parere del Ministero dei beni culturali è atto strettamente espressivo di discrezionalità tecnica, dove, similmente al parere dell’art. 146 d.lgs. 242 del 2004, l’intervento progettato va messo in relazione con i valori protetti ai fini della valutazione tecnica della compatibilità fra l’intervento medesimo e il tutelato interesse pubblico paesaggistico, valutazione che è istituzionalmente finalizzata a evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto.

*******

00021/2017 REG.PROV.COLL.

00627/2015 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 627 del 2015, proposto da:
Comune di Fano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Romoli C.F. RMLFRC76P04G479N, con domicilio eletto presso Salvatore Menditto in Ancona, corso Stamira, 10;

contro

Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare e Ministero per i beni e le attività culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Ancona, piazza Cavour, 29;
Autostrade per l’Italia S.p.A., Regione Marche, Provincia di Pesaro e Urbino, Comune di Pesaro non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– del decreto n.83 del 7.5.2015 del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo, ricevuto a mezzo pec in data 13.5.2015. avente ad oggetto giudizio negativo di compatibilità ambientale del progetto Autostrade A14 realizzazione nuovo svincolo di Fano Nord,

– del parere negativo espresso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prot. 0026978 del 15.10.2013;

– del parere negativo n.1619 del 3.10.2014 espresso dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare;

– di ogni altro atto conseguente, connesso e/o preordinato non noto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare e del Ministero per i beni e le attività culturali e del Turismo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 maggio 2016 il dott. Giovanni Ruiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso, il Comune di Fano impugna giudizio negativo di compatibilità ambientale espresso con decreto n. 83 del 7.5.2015 dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e i relativi pareri negativi indicati in epigrafe che formano parte integrante della Valutazione di impatto ambientale sul progetto per la realizzazione dello svincolo autostradale Fano Nord quale opera complementare al progetto di ampliamento della terza corsia della Autostrada A14 nel tratto Rimini Nord-Pedaso.

Espone il Comune ricorrente che lo svincolo è stato previsto dalla di Conferenza di servizi per l’intesa Stato Regioni ai sensi dell’art. 81, DPR n. 616 del 1977 e successive modifiche di cui al DPR n. 383 del 199.

In particolare, nella seduta della Conferenza di servizi del 23.6.2006 si dava atto del parere favorevole della Regione Marche alla volontà, espressa con delibera di giunta n. 583 del 2006, rispetto alla richiesta del consiglio comunale di realizzare una bretella di collegamento tra l’esistente casello autostradale di Fano e la viabilità principale di Pesaro (espressa con delibera di consiglio comunale n. 92 del 26.4.2006, come integrata dalla successiva n. 583 del 15.5.2006).

Nella seduta di conferenza di servizi del 23.6.2006 si sarebbe preso atto della successiva delibera di giunta regionale n. 735 del 19.6.2006 con la quale, fra l’altro, si condivideva la proposta di realizzazione del nuovo casello di Pesaro unitamente alla prescrizione che venisse realizzato il nuovo casello di Fano in località Fenile, con asseriti miglioramenti della viabilità.

Nella successiva Conferenza del 7.7.2006 veniva espresso nuovo parere favorevole da parte del rappresentante della Regione Marche, richiamando le precedenti delibere e il collegamento, in ogni caso, tra il nuovo casello di Pesaro, quello di Fano e quello di Fano nord. Il Comune prendeva atto degli impegni della Regione e, in caso di mancata realizzazione del nuovo casello di Pesaro, si richiedeva la realizzazione imprescindibile di una complanare di collegamento tra il nuovo casello di Fano nord e la SS. 16 Adriatica in direzione Pesaro.

Alla luce di quanto sopra è stato adottato il decreto direttoriale n. 6839 del 21.122006 con il quale, constatata la raggiunta intesa tra Stato e Regione Marche, si autorizzava la realizzazione dell’ampliamento della terza corsia dell’autostrada A14.

La società Autostrade per l’Italia presentava quindi in data 6.6.2012 richiesta di compatibilità ambientale sul progetto per la realizzazione del nuovo svincolo di Fano Nord come concordato in sede di conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 7 c.3 del d.lgs 152 del 2006.

Con nota 0026978 in data 15.10.2013, il Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo esprimeva parere negativo. Anche la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (di seguito Commissione tecnica e Ministero dell’ambiente) con deliberazione n. 1619 del 3.102014 esprimeva parere negativo e il procedimento si concludeva con l’impugnato decreto n. 83 del 7.5.2015, di valutazione negativa sull’impatto ambientale del progetto.

Il Comune ricorrente ha inizialmente impugnato gli atti in epigrafe dinanzi al Tar Lazio-Roma che, con ordinanza n. 11279 del 16.9.2015, ha dichiarato la competenza di questo Tar, davanti al quale il ricorso è stato riassunto in data 16.10.2015.

L’impugnazione degli atti in epigrafe è affidata a quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo il parere negativo della Commissione tecnica e il giudizio finale sono contestati per difetto di adeguata istruttoria, eccesso di potere, manifesta contraddittorietà, perplessità e illogicità, con particolare riferimento alla mancata considerazione del carattere unitario dell’opera che, insieme allo svincolo Pesaro Sud, tendeva a un generale alleggerimento del traffico veicolare tra i due comuni.

Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione, eccesso di potere per sviamento e incompetenza, in quanto l’impianto motivazionale del parere e del relativo decreto si baserebbe su considerazioni che esulano dalle competenze spettanti al procedimento di valutazione di incidenza ambientale, soffermandosi illegittimamente sull’utilità dell’opera.

Con il terzo motivo si contesta in maniera specifica il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo (di seguito Ministero dei beni culturali) n. 0026978 in data 15.10.2013, richiamato nel successivo parere della Commissione tecnica, con riferimento alla sua contraddittorietà con una precedente valutazione e all’erronea applicazione del decreto del Presidente della giunta regionale delle Marche n. 668 del 81, istitutivo del vincolo paesaggistico su parte dell’area interessata.

Infine, con il quarto motivo si contesta nel merito la valutazione, contenuta nei pareri impugnati, di incompatibilità dei valori paesaggistici tutelati con l’opera, e si afferma altresì che il parere in data 15.10.2013 avrebbe valutato negativamente l’interesse pubblico al progetto, esorbitando dalla competenza del Ministero dei beni culturali.

Si sono costituiti sia il Ministero dell’ambiente sia il Ministero dei beni culturali, resistendo al ricorso, anche in seguito a richiesta istruttoria del Tribunale con ordinanza n. 855 del 2015.

Alla pubblica udienza del 6.5.2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

1 Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

1.1 Va preliminarmente ricordato l’ambito della discrezionalità di cui è titolare il Ministero dell’ambiente e, riguardo all’istruttoria, la Commissione tecnica. Difatti, l’amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa (Cons. Stato V, 27.3.2013, n. 1783).

1.2 Di conseguenza, le censure dei primi due motivi di ricorso, basate sull’asserita inesistenza di motivazioni di carattere ambientale e difetto d’istruttoria, oltre che su profili di eccesso di potere, richiederebbero la presenza di aspetti di macroscopica irrazionalità o vizi della motivazione, dato che l’ordinamento non consente, al giudice amministrativo, la sovrapposizione di valutazioni proprie a quelle dell’amministrazione nell’esercizio della discrezionalità tecnica.

1.3 Parte ricorrente lamenta, in particolare, che la Commissione tecnica non avrebbe preso in esame il progetto in maniera adeguata, non valutandolo in maniera sistemica unitariamente allo svincolo di Pesaro, anch’esso previsto nei lavori di realizzazione dell’autostrada.

1.4 In realtà, con una motivazione estremamente articolata, la Commissione tecnica compie la valutazione di natura tecnica e scientifica, a supporto del Ministero dell’Ambiente, per cui è costituita: verificare l’impatto dell’opera in rapporto all’interesse pubblico alla sua realizzazione e stabilire se, con le eventuali misure di mitigazione, l’impatto dell’opera possa essere compatibile con uno sviluppo sostenibile.

1.5 Che la valutazione sia di questa natura appare evidente delle ultime pagine del parere impugnato, dove si afferma, pur riconoscendo che l’alternativa di progetto sviluppata nell’ambito delle integrazioni presentate è migliorativa rispetto al contesto territoriale, almeno in considerazione del minor consumo di suolo, rimangono irrisolte alcune problematiche basilari che rendono l’opera ambientalmente non sostenibile in quanto generatrice di impatti attualmente non mitigabili. Si osserva che il nuovo svincolo di Fano Nord produrrebbe un unico incanalamento del traffico proveniente dalla Al4 e dalla SP 45 Carignano, su via Trave, e quindi sul centro cittadino, in quanto, attualmente, non rientra nella programmazione dei lavori pubblici del bilancio comunale il proseguimento delle tangenziali nella periferia Nord di Fano ai fini del collegamento con la SS 16, per cui la realizzazione del nuovo casello, non solo creerebbe un inutile consumo del suolo, peraltro in area importante ai fini dei vincoli paesaggistici come rilevato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma creerebbe impatti aggiuntivi, per le componenti atmosfera, rumore, e vibrazioni e salute pubblica.

1.6 Non è altresì condivisibile la tesi del Comune di Fano per cui la Commissione tecnica non avrebbe tenuto conto del carattere sistemico dell’opera e dei suoi collegamenti con il casello di Pesaro Sud. In particolare, il parere osserva come la realizzazione di un casello autostradale a soli 4,3 km da quello esistente di Fano Sud, e a pochi km da un ulteriore svincolo verso nord già programmato dalla società Autostrade per l’Italia (Pesaro Sud), non sia supportata supportato da reali necessità territoriali, ossia da una mancanza di alternative stradali della viabilità ordinaria, risultando sufficienti le altre opere compensative.

1.7 Riguardo il pregiudizio ambientale e paesaggistico, non è condivisibile, come già accennato, l’affermazione che non vi sia stata sufficiente motivazione sul punto. In particolare, il parere si sofferma sull’aumento di rumore e vibrazioni con relativo impatto sulla salute pubblica, non mitigati dal progetto (a causa del congestionamento da traffico su una strada interessata dal progetto) e l’incidenza sulla componente ambientale suolo, in area rilevante a fini paesaggistici, ritenuta certa in considerazione degli impatti indiretti causati dalla successiva inevitabile urbanizzazione dell’area agricola limitrofa allo svincolo. Ancora, la Commissione tecnica giudica non chiaro l’intervento compensativo per la sottrazione di habitat prioritari Natura 2000 “91E0 –Foreste alluvionali di Alnis glutinosa e Fraxinus excelsior, e afferma, tra l’altro, che non si ritiene sostenibile l’esistenza di “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” che possano imporre la realizzazione del secondo casello di Fano, previa compensazione del danno provocato all’habitat, in quanto la ridotta distanza dall’esistente primo casello di Fano e la realizzazione delle bretelle tangenziali comunali che sostituiscono in realtà gli obiettivi della realizzazione del casello ai fini della risoluzione del traffico della città di Fano, rendono non sostenibile detta condizione di rilevante interesse pubblico.

1.8 Legittimamente gli atti impugnati basano il giudizio negativo di compatibilità ambientale anche su considerazioni relative al futuro assetto urbanistico dell’area, le quali non possono che far parte della valutazione d’insieme dell’impatto ambientale, secondo i principi sopra ricordati, di un’opera di tale importanza.

1.9 Nel caso in esame, l’ente ricorrente appare volere sostituire il proprio giudizio a quello dell’organo, dotato della massima competenza in materia, previsto proprio a questo scopo. Come già detto, ciò richiederebbe evidenti profili di irrazionalità o travisamento dei fatti che non sono presenti, in tutta evidenza, nel caso in esame.

1.10 Infine, allo stato non trova riscontro, a parere del Collegio, l’affermazione secondo cui, in mancanza dello svincolo di Fano Nord non sarebbero realizzate le altre opere compensative in materia di viabilità, non essendo tale condizione rintracciabile in alcuna parte del decreto direttoriale n. 6839 del 21.12.2006.

2 Dalle considerazioni di cui sopra deriva l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso.

2.1 L’infondatezza dei primi due motivi sarebbe sufficiente a provocare l’infondatezza dell’intero ricorso, dato che le considerazioni di natura ambientale contenute nei provvedimenti impugnati danno adeguato conto delle ragioni del diniego, anche in assenza del riferimento al parere n. 25978 del 15.10.2013 della Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee del Ministero dei beni culturali.

In ogni caso, anche il terzo e il quarto motivo di ricorso, che contestano in maniera specifica quest’ultimo parere, sono infondati.

2.2 Riguardo l’affermata contraddittorietà del parere, in tutta evidenza il parere della Soprintendenza reso in sede in approvazione dello strumento urbanistico (delibera del Consiglio comunale di Fano. n. 34 del 19.2.2009) è di natura differente (non fosse altro per i diversi organi ministeriali coinvolti) rispetto all’approfondimento proprio della Valutazione di impatto ambientale. Non è altresì rilevante, evidentemente, l’eventuale presenza di valutazioni diverse rispetto a quelle del Ministero dell’ambiente e della Commissione tecnica, in presenza di un concorde giudizio negativo di compatibilità.

2.3 Appare altresì priva di pregio la tesi per cui il Ministero dei beni culturali non avrebbe potuto valutare la presenza del vincolo adottato con decreto del Presidente della Regione ai sensi dell’art. 2 della legge 29.6.1939 n. 1497 (Decreto del Presidente della Regione Marche 668/1981), trattandosi in ogni caso di vincolo paesaggistico sottoposto alla valutazione di detto Ministero in sede di VIA, che non viene, ovviamente, posto nel nulla, dagli atti relativi al parere favorevole al progetto reso dalla Regione Marche in sede di Intesa stato-regioni.

2.4 Infine, l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si afferma che l’intervento sarebbe compatibile con i valori paesaggistici tutelati, costituisce sostanzialmente un’inammissibile sostituzione di un nuovo giudizio discrezionale a quello effettuato dall’ente competente in materia. Del resto, non spetta al Ministero dei beni culturali la comparazione tra la protezione del vincolo e l’interesse pubblico dell’opera, ma solo la valutazione circa la sua compatibilità con i valori protetti (si veda, in particolare Cons. Stato Sez. VI. 16.7.2015 n. 3652).

2.5 Difatti, come osservato condivisibilmente in giurisprudenza, alla funzione di tutela del paesaggio (che il Ministero dei beni culturali esercita esprimendo il suo obbligatorio parere nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: il parere del Ministero dei beni culturali è atto strettamente espressivo di discrezionalità tecnica, dove, similmente al parere dell’art. 146 d.lgs. 242 del 2004, l’intervento progettato va messo in relazione con i valori protetti ai fini della valutazione tecnica della compatibilità fra l’intervento medesimo e il tutelato interesse pubblico paesaggistico, valutazione che è istituzionalmente finalizzata a evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto (Cons. Stato, VI 3652/2015, cit.).

2.6 Vale a dire che, nel caso in esame, la valutazione negativa sull’interesse pubblico dell’opera, sia pure presente nel parere impugnato e non di competenza del Ministero dei beni culturali, è un semplice corollario del separato giudizio di non compatibilità con i beni protetti. Perciò è al limite superflua, ma non certo tale da rendere illegittimo il parere (il caso potrebbe essere diverso qualora tali interessi fossero valutati e ritenuti, al contrario prevalenti rispetto all’impatto negativo sul paesaggio, si veda Cons. Stato 3652/2015, cit.).

2.7 Il Ministero dei beni culturali non esorbitando dalle sue competenze ha quindi espresso un giudizio di non compatibilità dell’intervento con i vincoli paesaggistici esistenti (oltre al citato decreto 668/1981, il DM 25.10.1965, relativo alla zona a nord del torrente Arzilla fino al fosso Setore). Il parere si esprime, infatti, sui valori paesaggistici, in particolare osservando come l’area occupata dall’eventuale casello, laddove caratterizzata da un intervento con estese superfici asfaltate e volumi aggiunti (barriere di passaggio, locali di servizio) e segnaletiche d’uso risulterebbe certamente apprezzabile e, proprio per quanto sopra detto, recepita quale assolutamente impropria rispetto al contesto. Il progetto interferirebbe, inoltre, con complessi di rilevanza storica e architettonica tutelati.

3 Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, i procedimenti impugnati resistono alle censure dedotte, con conseguente infondatezza del ricorso.

3.1 La delicatezza della materia e della valutazione degli interessi contrapposti della varie amministrazioni coinvolte giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente

Giovanni Ruiu, Consigliere, Estensore

Simona De Mattia, Primo Referendario

 
 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Giovanni Ruiu Maddalena Filippi
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in Segreteria il 5 gennaio 2017

 

Alghero, Isola Piana

Alghero, Isola Piana

(foto E.R., S.L., S.D., archivio GrIG)



Basta con i danni alla Sella del Diavolo!

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Cagliari, la Sella del Diavolo si protende verso il Golfo degli Angeli

Cagliari, la Sella del Diavolo si protende verso il Golfo degli Angeli

Le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra sono state quelle che – ormai una quindicina di anni fa – con la realizzazione del sentiero naturalistico ed archeologico hanno promosso la riscoperta e la fruizione pubblica della Sella del Diavolo, promontorio demaniale militare fra i più rilevanti gioielli naturalistici e storico-culturali del Mediterraneo.

L’esigenza era, allora, anche evitare opere pubbliche tanto dispendiose quanto assurde in un contesto ambientale e paesaggistico così delicato e già a rischio idrogeologico: la Sella del Diavolo si poteva – e si può – fruire senza funivie, senza obelischi e monumenti vari e non ha bisogno di visibilissime opere per giunta abusive come la croce recentemente rimossa.

Cagliari, Sella del Diavolo, danni da percorrenza da mountain bike

Cagliari, Sella del Diavolo, danni da percorrenza da mountain bike

Men che meno c’è bisogno di nuovi sperperi di denaro pubblico per iniziative improbabili, c’è stato un intervento comunale di sistemazione ambientale e messa in sicurezza, mentre l’ormai notevole fruizione pubblica da parte di tanti escursionisti più o meno attenti ai valori naturalistici dell’area ha bisogno di una non più procrastinabile regolamentazione.

In particolare è il caso dei tanti, troppi, ciclisti in mountain bike, spesso poco attenti agli escursionisti a piedi e, soprattutto, incuranti dei danni al fondo naturale in calcare e alla vegetazione: purtroppo, non sono isolati i recenti tagli alla macchia mediterranea per aprire nuovi percorsi.

Cagliari, Sella del Diavolo, Torre di S. Elia e postazione antiaerea

Cagliari, Sella del Diavolo, Torre di S. Elia e postazione antiaerea

La Sella del Diavolodemanio militare – ramo Esercito e ramo Marina – è tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e in parte con vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i.). Sono presenti i due siti di importanza comunitaria (S.I.C.)Torre del Poetto” (codice ITB042242) e “Monte S. Elia, Cala Mosca e Cala Fighera” (codice ITB042243) ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna e la flora, ed è prevista quale riserva naturale regionale “Capo S. Elia” (legge regionale n. 31/1989 – Allegato A).

Il piano di gestione dei S.I.C.  “Torre del Poetto” e “Monte S. Elia, Cala Mosca e Cala Fighera, approvato con decreto Assessore Difesa Ambiente Regione autonoma Sardegna n. 3 dell’11 febbraio 2011 prevede, quali prescrizioni e indirizzi specifici, il divieto di apertura di nuovi sentieri e il mantenimento di quelli esistenti “solo al fine di una loro percorribilità pedonale.

Le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra hanno, quindi, chiesto (13 febbraio 2017) al Comune di Cagliari (soggetto gestore dei S.I.C.), al Servizio Tutela della Natura della Regione autonoma della Sardegna e alla Direzione generale Protezione della Natura del Ministero dell’Ambiente l’adozione delle opportune misure di salvaguardia e difesa delle condizioni naturalistiche della Sella del Diavolo, fra cui la limitazione dell’accessibilità con mountain bike.

Si tratta di un’area di grandissima importanza naturalistica, non di un circuito ciclistico.  Un po’ di buon senso.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra

Cagliari, Sella del Diavolo, recenti tagli della vegetazione per apertura di percorso ciclistico

Cagliari, Sella del Diavolo, recenti tagli della vegetazione per apertura di percorso ciclistico

(foto S.D., archivio GrIG)


Erboristeria selvatica!

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Iris planifolia, variante bianca

Iris planifolia, variante bianca

Riceviamo e pubblichiamo volentieri per chi fosse interessato!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cisto (Cistus)

Cisto (Cistus)

Keya Escursioni propone un corso per imparare a utilizzare le erbe selvatiche tipiche della macchia mediterranea sarda presso la propria sede di Selargius (Via Tirana n. 74) e con alcune escursioni all’aperto in zone circostanti .
Il corso sarà tenuta da Laura Dell’Aquila, un’amante della Sardegna e grande conoscitrice della Natura sarda (http://www.pimpinella.it).

Ecco il programma.

Escursioni di Erboristeria selvatica

Riconoscimento, raccolta, proprietà e impieghi delle erbe della Sardegna

2 giorni dedicati a riconoscimento delle piante selvatiche sarde di interesse alimentare, officinale, cosmetico e tradizionale.

Prima giornata: escursione con erborizzazione. Di ogni pianta viene fornito descrizione e inquadramento botanico, modalità di riconoscimento, periodo e modalità di raccolta, proprietà e usi tradizionali.

Al termine dell’escursione  tutti in cucina a cucinare con semplici e veloci ricette le piante raccolte.

Seconda giornata: in un altro ambiente naturale escursione con erborizzazione. Di ogni pianta viene fornito descrizione e inquadramento botanico, modalità di riconoscimento, periodo e modalità di raccolta, proprietà e usi tradizionali.

Al termine della giornata preparazione di un oleolito contro dolori muscolari, tensioni e contratture, adatto a sportivi e ottimo dopo lunghe passeggiate e giornate di sport.

Chi fosse interessato può scrivere a keyast@tin.it.

 

Anchusa Sardoa

Anchusa Sardoa

(foto M.G.A., S.D., archivio GrIG)


Sequestrato dalla magistratura il villaggio turistico a Capo Colonna – Punta Scifo (Crotone).

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Crotone, Torre di Punta Scifo

Crotone, Torre di Punta Scifo

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus esprime forte soddisfazione per il provvedimento di sequestro preventivo adottato ieri, 14 febbraio 2017, dalla magistratura crotonese riguardo il cantiere dei lavori in corso di realizzazione del Marine Park Village, sulla costa di Capo Colonna – Punta Scifo, nel Comune di Crotone, a breve distanza dalla nota area archeologica nazionale di Capo Colonna.

A ora non si conoscono ulteriori dettagli.

In precedenza aveva inoltrato (16 gennaio 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti riguardo i lavori in corso di realizzazione del Marine Park Village, sulla costa di Capo Colonna – Punta Scifo, nel Comune di Crotone, a breve distanza dalla nota area archeologica nazionale di Capo Colonna.

La struttura, definita “turistica alberghiera – agrituristica” nel relativo permesso di costruire emanato con atto Comune di Crotone – Settore 4 n. 162/NC del 20 dicembre 2011, dovrebbe prevedere 79 bungalows in legno (3 posti letto ciascuno), piscine, servizi turistici, su una superficie complessiva dell’azienda agricola di riferimento di più di 7 ettari, a due passi dal mare.

Crotone, progetto ricettivo agrituristico Capo Scifo

Crotone, progetto ricettivo agrituristico Capo Scifo

La realizzazione del complesso ricettivo agrituristico risulta dai mezzi d’informazione anche a carattere nazionale (vds. “Capo Colonna, così un villaggio turistico devasta un gioiello della natura”, Francesca Sironi, L’Espresso, 24 ottobre 2016; “Calabria, a Torre Scifo un Natale con le ruspe. E non è una buona notizia”, Manlio Lilli, Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2016; “I 79 bungalow nell’area vincolata? Ancora non ci sono, ma per lo Stato sì”, Gian Antonio Stella, Il Corriere della Sera, 31 dicembre 2016) aver avuto un iter procedimentale molto complesso, contraddittorio e travagliato, a voler usare degli eufemismi, con vari interventi da parte delle Amministrazioni pubbliche competenti e procedimenti penali aperti dalla competente Procura della Repubblica, su forte e ammirevole impulso di associazioni e comitati locali.

Un punto, però, è finora rimasto in ombra rispetto al groviglio di autorizzazioni più o meno disinvolte: non risulta svolto e concluso positivamente il procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).  Infatti, l’Azienda agricola a cui – per legge – non possono non fare riferimento le attività ricettive agrituristiche è estesa più di 7 ettari, e i “villaggi turistici di superficie superiore a 5 ettari” di qualsiasi natura (albergo, residence, agriturismo, case per vacanza, ecc.) devono essere assoggettati al vincolante e preventivo procedimento di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (art. 20 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., allegato IV alla parte II, punto 8, lettera a).

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi chiesto alle varie Amministrazioni pubbliche coinvolte (Ministero dell’Ambiente, Ministero per i Beni e Attività Culturali, Regione Calabria, Comune di Crotone) l’adozione degli opportuni provvedimenti di sospensione dei lavori e di annullamento in via di autotutela delle autorizzazioni emanate.     Alle Istituzioni europee è stata chiesta la verifica sul rispetto della normativa comunitaria in materia di valutazioni di impatto ambientale, mentre è stata, nel contempo, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone.

In seguito all’istanza ecologista, la Regione Calabria – Dipartimento Ambiente e Territorio ha chiesto (nota prot. n. 31107 del 2 febbraio 2017) al Comune di Crotone – Settore 4 Pianificazione e Gestione del Territorio una “dettagliata relazione con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento assentito”, mentre il Ministero dell’Ambiente – Direzione generale Protezione natura ha attivato (nota prot. n. 2642 del 7 febbraio 2017) le proprie verifiche coinvolgendo anche la Direzione generale Valutazioni ambientali e la Regione Calabria.

Per ora, è arrivata prima la magistratura crotonese.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Crotone, area di Capo Colonna - Capo Scifo

Crotone, area di Capo Colonna – Capo Scifo

(foto da mailing list ambientalista, M.F., archivio GrIG)


Polo dell’alluminio di Portoscuso, fiera dell’inquinamento e dell’ambiguità.

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Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

anche su Il Manifesto Sardo (“Eurallumina, fiera delle balle“), n. 232 , 16 febbraio 2017

 

Com’è a tutti noto, anche con aspetti drammatici, la situazione industriale e lavorativa delle Aziende del polo dell’alluminio nel Basso Sulcis (zona industriale di Portovesme) attraversa da anni una profonda crisi che ragionevolmente non appare avere facili vie d’uscita.     Non solo riguarda migliaia di lavoratori delle Aziende (principalmente Eurallumina s.p.a. e Alcoa s.p.a.) e dell’indotto con i loro familiari, ma l’intero Basso Sulcis, zona fra le più depresse d’Italia sotto il profilo economico-sociale e ambientale.

Com’è altrettanto noto, le motivazioni della crisi industriale risiedono principalmente nell’alto costo dell’energia e nelle condizioni del mercato internazionale dell’alluminio primario, dove il Gruppo Alcoa riveste una posizione di grande rilievo. Alcuni anni fa l’apertura di nuovi impianti in Islanda e in Arabia Saudita, dove l’Azienda beneficia di grandi quantitativi di energia a prezzo ridotto, di fatto ha segnato la sorte degli impianti sardi, ritenuti non più competitivi dalla Multinazionale statunitense.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, impianti Alcoa

Grandi speranze appaiono riposte nel “Progetto di ammodernamento della raffineria di produzione di allumina ubicata nel Comune di Portoscuso, ZI Portovesme (CI)[1], presentato dalla Eurallumina s.p.a. nella zona industriale di Portovesme.[2]

Il progetto prevede la realizzazione e l’esercizio di una centrale termica cogenerativa alimentata a carbone (potenza 285 MWh) e opere connesse, fra cui l’ampliamento fino a un’altezza di mt. 46 (oggi sono 26,5) del bacino dei “fanghi rossi”, le scorie della lavorazione della bauxite, dall’agosto 2009 in buona parte sotto sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale per gravi reati ambientali.

La nuova centrale è finalizzata a garantire la totale copertura delle necessità di energia termica ed elettrica degli impianti di lavorazione della bauxite dell’Eurallumina s.p.a., impianti che riprenderebbero la produzione in caso di realizzazione ed entrata in esercizio della nuova centrale.   La centrale esistente sarebbe utilizzata solo in caso di fermata di quella attualmente in progetto, l’impianto di abbattimento delle polveri sarebbe in uso anche per l’abbattimento dei contenuti inquinanti dei fumi dell’attuale centrale.

La ripresa della produzione sarebbe sostenuta da ben 74 milioni di euro di fondi pubblici sui 100 complessivi dell’investimento, grazie al contratto di sviluppo sottoscritto nel dicembre 2015 da Invitalia ed Eurallumina.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, striscione operai Allumina

Insomma, con la nuova centrale ripartirebbe la produzione di alluminio primario e centinaia di operai (357 addetti diretti + circa 100 addetti nell’indotto) riprenderebbero il lavoro.

Però, seppure vi fossero le condizioni del mercato internazionale per sostenere l’impresa (fatto tutto da dimostrare), ambiente e salute ne risentirebbero. E non poco.

Non solo.    E’ altrettanto ben conosciuta la gravissima situazione di crisi ambientale e sanitaria che affligge il territorio.

Infatti, l’intero territorio comunale di Portoscuso rientra nel sito di interesse nazionale (S.I.N.) per le bonifiche ambientali del Sulcis-Iglesiente-Guspinese (D.M. n. 468/2001)[3].       I siti di interesse nazionale, o S.I.N. rappresentano delle aree contaminate molto estese classificate fra le più pericolose dallo Stato.   Necessitano di interventi di bonifica ambientale del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitate danni ambientali e sanitari.   I S.I.N. sono stati definiti dal decreto legislativo n. 22/1997 e s.m.i. (decreto Ronchi) e nel D.M. Ambiente n. 471/1999, poi ripresi dal decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (Codice dell’ambiente), il quale ne stabilisce l’individuazione “in relazione alle caratteristiche del sito, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini sanitari e ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali”. Caratteristica fondamentale relativa alle aree ricadenti nei S.I.N. è la necessità che i carichi inquinanti diminuiscano anziché aumentare.

Fin d’ora, la situazione ambientale/sanitaria dei residenti di Portoscuso, in particolare della fascia infantile, è già al limite del collasso.

Portovesme, bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Nel gennaio 2012 (nota stampa ASL n. 7 del 23 gennaio 2012) così avvertiva un comunicato stampa dell’A.S.L. n. 7 di Carbonia, in seguito a comunicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero dell’ambiente: “…si ritiene necessario informare la popolazione di Portoscuso di fare in modo di differenziare la provenienza dei prodotti ortofrutticoli da consumare per la fascia di età dei bambini da 0 a 3 anni. Occorre perciò fare in modo che in questa fascia di età non siano consumati esclusivamente prodotti ortofrutticoli provenienti dai terreni ubicati nel Comune di Portoscuso. Già nel 2008 l’Università di Cagliari (Dipartimento Sanità pubblica, Medicina del lavoro) nel corso di una ricerca (Plinio Carta, Costantino Flore) affermò chiaramente la sussistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di Portoscuso, dovuto a valori di piombo nel sangue superiori a 10 milligrammi per decilitro (vds. “Environmental exposure to inorganic lead and neurobehavioural tests among adolescents living in the Sulcis-Iglesiente, Sardinia” in Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergonomia, 15 aprile 2008, in http://www.biowebspin.com/pubadvanced/article/18409826/#sthash.kjkUGkfA.dpuf). La letteratura medica, infatti, indica un’associazione inversa statisticamente significativa tra concentrazione di piombo ematico e riduzione di quoziente intellettivo, corrispondente a 1.29 punti di QI totale per ogni aumento di 1 µg/dl di piomboemia (sulla tossicità del piombo vds. http://www.phyles.ge.cnr.it/htmlita/tossicitadelpiombo.html).

Il Rapporto S.E.N.T.I.E.R.I. – studio epidemiologico, Ministero della salute, S.I.N. Sulcis-Iglesiente-Guspinese (2012) ha evidenziato un pesantissimo rischio per la salute, fra cui un “rischio osservato di circa 500 volte l’atteso … per tumore della pleura fra i lavoratori del settore piombo-zinco (Enirisorse, ex Samin), un incremento di mortalità per tumore del pancreasfra i lavoratori del settore alluminio (Alcoa), mentre fra i “produttori di allumina dalla bauxite (Eurallumina) la mortalità per tumore del pancreas e per malattie dell’apparato urinario è risultata in eccesso”.

Facussa

Facussa

Ormai è la stessa catena alimentare a esser pesantemente interessata.

La Direzione generale dell’Azienda USL n. 7 di Carbonia aveva reso noto (nota prot. n. PG/201416911 dell’11 giugno 2014) che “gli esiti” dei monitoraggi condotti con la stretta collaborazione dell’I.S.P.R.A. e dell’Istituto Superiore di Sanità hanno portato alla “richiesta al Sindaco del Comune di Portoscuso di adozione di provvedimenti contingibili e urgenti che al momento consistono in:

* divieto di commercializzazione/conferimento del latte ovicaprino prodotto da sette allevamenti operanti sul territorio comunale con avvio a distruzione presso impianto autorizzato;

divieto di movimentazione in vita e di avvio a macellazione dei capi allevati presso le attività produttive del territorio, nelle more della effettuazione di verifiche  mirate sulla eventuale presenza di diossina nelle carni;

* permane il divieto di raccolta dei mitili e dei granchi nel bacino di Boi Cerbus;

*  permane divieto di commercializzazione e raccomandazione di limitazione del consumo di prodotti ortofrutticoli e vitivinicoli prodotti nel territorio”.

In poche parole, di fatto a Portoscuso non si può vendere il latte ovicaprino né fare allevamento ovicaprino, non si possono raccogliere mitili e crostacei, non si possono vendere frutta, verdura e vino, chi li consuma lo fa a rischio e pericolo.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino "fanghi rossi"

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, cartelli bonifica bacino “fanghi rossi”

Recenti analisi I.S.P.R.A. e consulenze peritali svolte nell’ambito del procedimento penale n. 10117/2010 R.N.R. (n. 7207/11 G.I.P.) e nei mesi scorsi rese pubbliche[4] hanno evidenziato una gravissima compromissione del suolo, delle falde idriche e dell’ambiente in generale determinata dalla presenza del c.d. bacino dei fanghi rossi, contenente gli scarti della lavorazione della bauxite dell’Eurallumina s.p.a. e contenente elevatissime concentrazioni di arsenico (110 volte il limite tollerabile per le acque sotterranee), cromo esavalente (32 volte superiore al limite), fluoruri, alluminio, mercurio.

Sotto il profilo energetico, basterebbe evidenziare la sentenza Corte Giust. UE, sez. VIII, 12 dicembre 2013, causa C-411/12, recentemente confermata, che ha condannato alla restituzione, quali indebiti aiuti di Stato, gli importi (più di 18 milioni di euro) delle agevolazioni pubbliche per l’acquisto dell’energia nei confronti di varie Aziende del polo industriale di PortovesmeAnche nei confronti della Portovesme s.r.l. che aveva fatto ricorso in appello.

I fatti delle ultime settimane sono, purtroppo, nel solco della consuetudine.

Il pessimo clima creatosi a Portoscuso ha fatto sì che l’ambientalista locale Angelo Cremone – al quale va tutta la nostra solidarietà – sia stato fatto oggetto per l’ennesima volta di pesanti minacce.

I lavoratori Eurallumina, in cassa integrazione dal 2009, hanno avuto il sostegno di una Giunta regionale schierata “senza se e senza ma” in favore di “questo” progetto industriale.

Si è opposta unicamente la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Cagliari (nota prot. n. 1952 del 30 gennaio 2017) per palese contrarietà del progetto al piano paesaggistico regionale (P.P.R.), in particolare artt. 15, 20, 21, 41, 42, 49, 58 e 59.

La Giunta regionale ha fatto spallucce, volendo considerare il parere negativo non vincolante, perché la conferenza di servizi sarebbe stata retta dalla disciplina previgente al provvedimento attuativo della c.d. Legge Madia (decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127).

Opinione autorevole, ma in contrasto con la giurisprudenza amministrativa (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2015, n. 3652, T.A.R. Marche, Sez. I, 5 gennaio 2017, n. 21).

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Non solo.

Assessori regionali, deputati, sindacalisti han fatto a gara per congratularsi in modo autoreferenziale per la “positiva conclusione della conferenza di servizi”. l’Assessore regionale della Difesa dell’Ambiente Donatella Emma Ignazia Spano ha affermato: “la Conferenza dei servizi si è conclusa”, salvo dire subito dopo “la Rusal ha chiesto almeno un mese per presentare altri documenti. Non appena si concluderà l’istruttoria, predisporremo la delibera sul progetto, che sarà portata in tempi serrati in Giunta”.

Insomma, interpretando la dichiarazione dissociata, si capisce che non c’è alcun verbale di conclusione della conferenza di servizi, tantomeno un provvedimento conclusivo della procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), tant’è che sul sito web istituzionale delle Valutazioni Ambientali il procedimento risulta tuttora “in istruttoria”.

La Rusal, titolare dell’impianto, dovrà quindi fornire ulteriore documentazione.   Non solo, ancora.

Chi e come garantisce che la magistratura revochi completamente il sequestro preventivo su quella bomba ecologica rappresentata dal bacino dei fanghi rossi, soprattutto per ampliarlo (dai 159 ettari attuali ai 178 ettari in progetto, dai mt 26,5 di altezza attuale degli argini ai mt 46 previsti in progetto) e, quindi, ampliare la portata offensiva dei reati ipotizzati?

Chi garantisce che cosa?

Un’alternativa il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus l’ha proposta da tempo (maggio 2016) a Governo, Regione, sindacati.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Nessuna risposta ufficiale, solo disinteresse.

La ristrutturazione del polo dell’alluminio primario in polo dell’alluminio riciclato.

L’alluminio, infatti, è materiale completamente riciclabile e riutilizzabile all’infinito per la produzione di oggetti anche sempre differenti.                       L’Italia (insieme alla Germania) è oggi il terzo Paese al mondo per la produzione di alluminio riciclato, dopo gli Stati Uniti e il Giappone.

Attualmente ben il 90% dell’alluminio utilizzato in Italia (il 50% nel resto dell’Europa occidentale) è alluminio riciclato e ha le stesse proprietà e qualità dell’alluminio originario: viene impiegato nell’industria automobilistica, nell’edilizia, nei casalinghi e per nuovi imballaggi.

La raccolta differenziata, il riciclo e recupero dell’alluminio apportano numerosi benefici alla Collettività in termini economici perché il riciclo dell’alluminio è un’attività particolarmente importante per l’economia del nostro Paese, storicamente carente di materie prime, in termini energetici, perchè permette di risparmiare il 95% dell’energia necessaria a produrlo dalla materia prima[5], nonchè sotto il profilo ambientale in quanto abbatte drasticamente le emissioni inquinanti e necessità di molte meno risorse naturali.

Nel 2014 in Italia sono state recuperate ben 47.100 tonnellate di alluminio, il 74,3% delle 63.400 tonnellate immesse nel mercato nello stesso anno: così sono state evitate emissioni inquinanti pari a 402 mila tonnellate di CO2 ed è stata risparmiata energia per oltre 173 mila tonnellate equivalenti petrolio (dati Consorzio Italiano Imballaggi Alluminio – CIAL, 2015).     Attualmente nel nostro Paese operano undici fonderie che trattano rottami di alluminio riciclato, con una capacità produttiva globale di circa 846 mila tonnellate di alluminio secondario (2014), un fatturato complessivo di oltre 1,57 miliardi di euro e circa 1.500 lavoratori occupati nel settore.

Portovesme, fumata nera (aprile 2014)

Portovesme, fumata nera (aprile 2014)

Per quale motivo quantomeno non si valuta la trasformazione del polo industriale dell’alluminio di Portovesme in polo produttivo dell’alluminio riciclato (raccolta, riciclo e riutilizzo, nuovi prodotti)?

I posti di lavoro sarebbero conservati, i costi di produzione diminuirebbero, l’ambiente e la salute di residenti e lavoratori finalmente ne avrebbero benefici, infine – ma non ultimo per ragioni d’importanza – si smetterà di buttar via soldi pubblici per iniziative industriali fuori mercato da tempo.

Senza considerare i posti di lavoro nell’ambito di quella bonifica ambientale doverosa sotto il profilo ambientale e sociale ma finora praticamente inattuata.

Sarebbe ora di aprire gli occhi.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

________________

[1]  In precedenza era stato presentato nello stesso sito il progetto di “costruzione ed esercizio di un impianto di cogenerazione alimentato a carbone di potenza termica pari a 285 MWt” presentato dalla EuralEnergy s.p.a. (Gruppo Eurallumina s.p.a.).

[2] La procedura V.I.A. è stata sospesa, su istanza dell’Azienda, per un periodo di 90 giorni (vds. nota Servizio S.V.A. della Regione autonoma della Sardegna prot. n. 9042 del 9 maggio 2016).

[3]  In realtà da più di 25 anni sono disponibili piani e risorse finanziarie per le bonifiche ambientali: il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio del Sulcis – Iglesiente (D.P.C.M. 23 aprile 1993), sulla base della dichiarazione di zona ad alto rischio ambientale (D.P.C.M. 30 novembre 1990, legge regionale n. 7/2002), ed il successivo accordo di programma attuativo (D.P.G.R. 3 maggio 1994, n. 144) hanno in gran parte beneficiato economicamente le medesime industrie responsabili dello stato di inquinamento dell’area. L’obiettivo era quello del disinquinamento e del risanamento ambientale. Obiettivo, a quanto pare, miseramente fallito.

[4]  Vds.  “Eurallumina, l’accusa: ‘Un inferno di veleni sotto il bacino dei fanghi rossi’”, di Piero Loi su Sardinia Post, 1 maggio 2016; ” “Veleni nella falda per tre secoli”, di Veronica Nedrini, su L’Unione Sarda, edizione del 9 maggio 2016, e “Il mistero delle analisi interne”, di Veronica Nedrini, su L’Unione Sarda, edizione del 10 maggio 2016.

[5] la produzione di un kg. di alluminio di riciclo ha un fabbisogno energetico (0,7 kwh) che equivale solo al 5% di quello di un kg. di metallo prodotto a partire dal minerale (14 kwh).

 

Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

(foto Raniero Massoli Novelli, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Siamo molto contenti di esser senza padroni e senza padrini.

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Pettirosso (Erithacus rubecula)

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Solo un paio di righe per ribadire una cosa molto semplice, che ci rende felici fin da quando venne fondata l’Associazione, nel 1992: non abbiamo “padroni” e non abbiamo “padrini”.

Lo afferma la nostra storia, piccola o grande che sia, ma ci teniamo a ribadirlo.

Inutile tirarci per la giacca, come magari fa anche qualche mezzo d’informazione, non siamo aprioristicamente o ideologicamente a favore o contro questo o quest’altro Governo, questa o quest’altra Giunta: siamo a favore della salvaguardia dell’ambiente e della salute, siamo contro gli scempi e gli inquinamenti, per un’equilibrato benessere in armonia con i valori naturalistici e storico-culturali.

Chi difende ambiente e salute ha il nostro apprezzamento, di qualunque colore sia, chi non lo fa no.

E’ questo il ruolo di un’associazione ecologista.

Buona vita a tutti!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

stendardo

(foto S.D., archivio GrIG)


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