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La realizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili in area agricola è eccezionale e deve tenere conto delle caratteristiche paesaggistiche e del territorio.

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campo di grano

campo di grano

Interessante pronuncia del T.A.R. Emila-Romagna riguardo l’ubicazione degli impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile in area agricola.

La sentenza T.A.R. Emilia-Romagna, PR, Sez. I, 19 novembre 2016 ha consolidato l’orientamento giurisprudenziale (accolto anche dalla Corte costituzionale, vds. sent. n. 166/2014) secondo il quale la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in aree classificate “agricole” negli strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale è consentita in via eccezionale dall’art. 12, comma 7°, del decreto legislativo n. 387/2013, “essa, tuttavia, prevede … che si tenga conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale (cfr. Tar Lazio II quater 12754/2014)”.

Infatti, “la rilevanza costituzionale del paesaggio se giustifica un sacrificio parziale di tale valore, in un’ottica di contemperamento con altri interessi di pari rilevanza, quali l’ambiente e la tutela della salute, in ogni caso impone di ricercare un limite di compatibilità che impedisca di annullare i valori identitari e culturali per rendere il territorio compatibile con altre forme di utilizzo necessarie alla salvaguardia di interessi di pari rango, per evitare che i richiamati caratteri identitari, spirituali e culturali, già in precedenza compromessi dall’intervento dell’uomo, possano venire definitivamente cancellati (cfr. Tar Lazio II quater n. 12754/2015)”.

Conseguentemente, ai sensi dell’art. 12, comma 7°, del decreto legislativo n. 387/2003, i Comuni possono pienamente esprimere, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, la propria valutazione di compatibilità dell’impianto proposto nelle aree agricole, sindacabile dal giudice amministrativo solo per profili che attengano all’evidente illogicità.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

campo di mais

campo di mais

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 10 gennaio 2017

TAR Emilia Romagna (PR) Sez. I n.326 del 18 novembre 2016
Sviluppo sostenibile. Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in zona agricola.

La norma derogatoria dettata dall’art. 12, settimo comma, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, è stata sicuramente introdotta per consentire in via eccezionale la costruzione in zona agricola di impianti, quali quello di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che, per loro natura, sarebbero incompatibili con la predetta destinazione. Essa, tuttavia, prevede, altresì, che si tenga conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale.

***************

00326/2016 REG.PROV.COLL.

00299/2010 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 299 del 2010, proposto dalla Biobuilding Engineering Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Cornetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Parma, via al Collegio dei Nobili, 5;

contro

Comune di Parma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Cugurra, Elena Pontiroli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Elena Pontiroli in Parma, via Mistrali, 4;
Provincia di Parma non costituita in giudizio;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

– del provvedimento del Comune di Parma, Settore Controlli, prot. gen. n. 132086 del 23.07.2010, con cui si ordina alla società ricorrente di non effettuare l’intervento previsto nel titolo abilitativo relativo a posa di impianto fotovoltaico “in quanto inammissibile” e che “contestualmente, archivia la d.i.a. n.1855/2010 per le motivazioni esposte in premessa”;

– del RUE del Comune di Parma, art.3.2.70 (attrezzature tecnologiche) delle Norme Tecniche di Attuazione e punto 3 (impianti fotovoltaici) dell’Allegato C alle NTA, nella parte de quo;

– della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Parma n.11 del 27.01.2009 e della deliberazione del Consiglio Comunale n.71/17 del 20.07.2010 con cui, rispettivamente, si adotta e si approva la variante generale al R.U.E. del Comune di Parma, limitatamente

all’art.3.2.70 (attrezzature tecnologiche) delle Norme Tecniche di Attuazione e al punto 3 (impianti fotovoltaici) dell’Allegato C alle NTA, nella parte de quo;

-nonché di tutti gli atti precedenti presupposti e/o connessi alle medesime;

e per il di risarcimento del danno subito per non aver potuto realizzare l’impianto fotovoltaico.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Parma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2016 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso, spedito per la notifica il 9 novembre 2010 e depositato il successivo 24 novembre, la società Biobuilding Engineering srl (d’ora in poi Biobuilding) impugna il provvedimento del Comune con il quale viene impedito l’intervento di cui alla DIA (centrale fotovoltaica da 999KW), presentata il 5/7/2010, in quanto inammissibile, nonché le disposizioni di cui agli strumenti urbanistici nella parte in cui precludono la realizzazione di impianti da fonte rinnovabile su terreni agricoli.

Avverso i predetti atti la società ricorrente formula il seguente motivo di doglianza:

1) eccesso di potere per sviamento, falso presupposto di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, del D.M. 10 settembre 2010 (Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) Allegato 1, paragrafo 1 e 12, Allegato 3, paragrafo 17, dell’art. 28 della legge regionale Emilia Romagna n. 20 del 24/3/2000, in quanto, secondo la ricorrente, il provvedimento avrebbe posto a base del diniego l’erroneo presupposto che l’intervento riguardi volumi tecnici anziché una “opera di pubblica utilità indifferibile ed urgente”, in base all’art. 12 del d.lgs. 387/2003, così impropriamente richiamando l’art. 3.2.70 del RUE che individua, all’interno degli ambiti agricoli, le aree destinate ad attrezzature tecnologiche per la produzione di energia da fonte rinnovabile. Il punto 3.3 dell’Allegato C delle NTA, inoltre, consente la realizzazione su tutto il territorio solo di impianti con potenza nominale fino a 50 KWp, così illegittimamente limitando la realizzazione di impianti fotovoltaici in contrasto con le statuizioni della Corte Costituzionale (sent. 119/2010) e del D.M. 10 settembre 2010, che consentirebbe solo alle Regioni, e non anche ai Comuni, di porre limitazioni e divieti in ordine alla realizzazione degli impianti, individuando le aree ed i siti non idonei.

Parte ricorrente, oltre alla proposizione del gravame che investe anche gli strumenti urbanistici nelle parti sopra menzionate, formula anche domanda di risarcimento del danno che quantifica in oltre 8 milioni di euro.

Con atto depositato il 25 novembre 2010 si costituisce il Comune di Parma.

Il 19 gennaio 2011 la Provincia di Parma deposita una relazione a firma del Coordinatore dell’Area Ambiente e Agricoltura nella quale, dopo avere premesso la propria estraneità al giudizio, non risultando impugnati atti della Provincia, rende noto che la Biobuilding Engineering in data 9 luglio 2010 ha ritirato la documentazione per la domanda di autorizzazione unica presentata per la posa di campo fotovoltaico da 999 KW con cabina prefabbricata di trasformazione da realizzarsi in Strada Del Cavo Formica n. 34 Località Bogolese e che, in conseguenza di detto ritiro, la Provincia non ha potuto dare seguito all’iter per il rilascio della suddetta autorizzazione, e ne ha informato la ricorrente. A seguito di detto scambio la Biobuilding ha presentato nuovamente la propria istanza di autorizzazione unica, acquisita al protocollo dell’Ente con n. 68256 del 14 ottobre 2010, per la quale la Provincia ha fatto richiesta di integrazione documentale, rimasta inevasa al 18 gennaio 2011.

Il 14 giugno 2011 la ricorrente presenta domanda cautelare incidentale.

Con memoria depositata il 25 giugno 2011 il Comune resiste alla domanda cautelare, evidenziando che ad impedire la realizzazione dell’impianto non è il diniego di DIA, ma il mancato rilascio dell’Autorizzazione Unica di competenza della Provincia per fatto della stessa parte ricorrente, la quale non ha dato seguito alla richiesta di integrazione documentale di quest’ultima.

Con ordinanza n. 348 del 2011 il Tribunale respinge la richiesta misura cautelare.

Seguono altre memorie e repliche.

Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016 il ricorso è trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e ciò esime il Collegio dallo scrutinio della eccezione in rito proposta dal Comune.

Oggetto dell’odierno gravame è il diniego di DIA, tempestivamente adottato dal Comune di Parma il 23 luglio 2010, su denuncia presentata il 5 luglio 2010 per la realizzazione di Campo Fotovoltaico da 999,6 KW con Cabina prefabbricata di trasformazione, nonché le previsioni di cui alle NTA del Comune di Parma nelle parti in cui individuano le zone idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile ammettendo su tutto il territorio comunale solo impianti di potenza fino a 50 KWp.

La vicenda per cui è causa ha avuto il seguente svolgimento:

– in data 5 luglio 2010 la società ricorrente ha presentato DIA per la realizzazione di un campo fotovoltaico da 999,6 KW in area agricola sottoposta alle tutele di PSC (da reperire nelle tavole CTG1 e CTHG2) in base a quanto si legge a p. 11 della DIA;

– nel termine di trenta giorni dalla presentazione di detta denuncia, il 23 luglio 2010, il Comune ha ordinato di non effettuare l’intervento, in quanto inammissibile, ed ha contestualmente archiviato la d.i.a. in quanto l’area interessata “non risulta classificata come “Attrezzature tecnologiche per la produzione di energia da fonte rinnovabile”;

– il 13 ottobre 2010 la ricorrente ripresenta alla Provincia nuova istanza di autorizzazione unica per la realizzazione dell’impianto, dopo una prima rinuncia alla precedente istanza (v. allegazioni della Provincia convenuta in giudizio);

– il 18 ottobre 2010 la Provincia chiede integrazioni alla società che, in data gennaio 2011, la ricorrente non aveva ancora presentato;

– nel dicembre 2010 la Regione emana le Linee Guida.

Questi alcuni dei fatti salienti.

Tanto premesso, con un unico articolato motivo, la ricorrente deduce l’erroneità del presupposto posto a base del diniego (qualificazione dell’intervento come volumi tecnici e non come opere di pubblica utilità), nonché la violazione della normativa di cui all’art. 12 del d.lgs. 387/2003, al D.M. 10 settembre 2010 (Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) Allegato 1, paragrafo 1 e 12, Allegato 3, paragrafo 17 ed all’art. 28 della legge regionale Emilia Romagna n. 20 del 24/3/2000, assumendo l’illegittimità delle previsioni di NTA ove limitano la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile, confinando a determinate aree la loro realizzazione e ponendo un tetto di potenza su tutto il territorio comunale.

Il motivo è infondato.

Viene innanzitutto in evidenza la disciplina introdotta dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003 ove al comma 1, prevede che:

le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”;

al comma 3, che:

la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”;

al 7° comma, che:

“Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c) […], possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici (…)”.

Secondo un consolidato orientamento, dal quale il Collegio non ravvede ragioni per discostarsi, la norma derogatoria dettata dall’art. 12, settimo comma, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, è stata sicuramente introdotta per consentire in via eccezionale la costruzione in zona agricola di impianti, quali quello di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che, per loro natura, sarebbero incompatibili con la predetta destinazione (cfr. Cons. St., Sez. V, 26-09-2013, n. 4755).

Essa, tuttavia, prevede, altresì, che si tenga conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale (cfr. Tar Lazio II quater 12754/2014).

Il quadro normativo inerente la materia dell’energia si rinviene nel combinato disposto del d.lgs n.387 del 2003, di recepimento della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, come modificato, da ultimo, dal d.lgs n. 28 del 2011, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, e dalla legge n. 239 del 2004 di “riordino” del settore energetico. In detto contesto la direttiva comunitaria 2001/77/CE, nel determinare gli obiettivi indicativi nazionali di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili per ciascuno Stato membro, impone ad ognuno di essi di verificare l’assetto regolativo vigente per conformarlo al fine di «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili», «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili» (articolo 6). Pertanto, in esecuzione della fonte comunitaria, con l’articolo 4 del d.lgs, n. 387 del 2003, l’Italia si è prefissata lo scopo di incrementare la quota minima di elettricità prodotta da fonte rinnovabile da immettere nel sistema elettrico nazionale dello 0,35% annuo, per il periodo 2004/06 e dello 0,75% annuo, per il periodo 2007/12; ma tanto «nel rispetto delle tutele di cui all’articolo 9 della Costituzione».

Anche la Corte Costituzionale (sent. 166/2014), nel ricordare che lo sviluppo della rete energetica resta l’interesse prioritario, evidenzia la necessità di trovare “un contemperamento nella possibilità di sottrarre limitate porzioni di territorio agricolo all’insediamento dell’impianto, ove esse meritino cure particolari, connesse alle tradizioni agroalimentari locali, alla biodiversità, al patrimonio culturale e al paesaggio rurale”.

La rilevanza costituzionale del paesaggio se giustifica un sacrificio parziale di tale valore, in un’ottica di contemperamento con altri interessi di pari rilevanza, quali l’ambiente e la tutela della salute, in ogni caso impone di ricercare un limite di compatibilità che impedisca di annullare i valori identitari e culturali per rendere il territorio compatibile con altre forme di utilizzo necessarie alla salvaguardia di interessi di pari rango, per evitare che i richiamati caratteri identitari, spirituali e culturali, già in precedenza compromessi dall’intervento dell’uomo, possano venire definitivamente cancellati (cfr. Tar Lazio II quater n. 12754/2015).

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 12 c.7 d.lgs. n.387/2003, i Comuni possono esprimere, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, quel giudizio di compatibilità dell’impianto nelle aree suindicate, sindacabile dal giudice amministrativo solo per profili che attengano all’evidente illogicità (giur.za pacifica; cfr., ex plurimis, Tar Lazio II quater n. 12754/2015, Tar Toscana, Sez. III, 10-03-2015, n. 380; T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 24-06-2014, n. 1570; T.A.R. Umbria Sez. I, 23-05-2013, n. 303).

Nell’ambito di tali principi deve escludersi che il diniego di DIA, da parte del comune di Parma, per la realizzazione di un campo fotovoltaico da 999kw in area agricola sottoposta alle tutele del PSC, per le quali è richiesta autorizzazione paesaggistica, si configuri come manifestamente illogica, anche in considerazione della consistenza dell’impianto.

Né assume rilevanza l’avere descritto nel provvedimento impugnato la presenza di volumi tecnici, la cui sussistenza non è contestabile, alla luce della documentazione allegata alla DIA presentata (v. manufatto in cemento prefabbricato per la cabina di trasformazione).

Del pari infondata è la censura con la quale si assume che gli strumenti urbanistici comunali vieterebbero su tutto il territorio impianti di potenza superiore a 50 kw, non ritrovandosi tale estensione del limite nel testo del punto 3 dell’Allegato C, ove sono individuate tipologie di zone idonee per le quali non si menziona detto limite.

La censura è peraltro inammissibile per carenza di interesse, in quanto l’area agricola di cui si tratta è anche area sottoposta alle tutele di PSC e di POC, profilo sul quale non vi sono censure.

Va, infine, rilevato che nelle more della fissazione del merito la Regione Emilia Romagna ha approvato, con delibera n. 28 del 6 dicembre 2010, le Linee Guida regionali in attuazione di quelle Statali, che, secondo le incontestate deduzioni del Comune di Parma, introducono limiti ancor più stringenti alla realizzazione di impianti in area agricola, confermando quelli qui opposti dal Comune con la gravata DIA.

Atteso che l’art. 12, al comma 3, prevede che “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”, e che “l’autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni (comma 4)”, deve ritenersi accertato che la lamentata impossibilità di realizzare l’impianto sia da imputare al mancato rilascio dell’autorizzazione unica.

La circostanza dedotta da parte ricorrente, ma non provata, che l’arresto procedimentale nel rilascio dell’Autorizzazione Unica sia imputabile al diniego di DIA, è esclusa dalla mancata allegazione di un provvedimento, anche interlocutorio, in tal senso, della Provincia, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale Emilia-Romagna n. 26/2004, e dalla eventuale mancata impugnazione del silenzio o, se esistente, del diniego.

Per quanto osservato il gravame va respinto, come anche la domanda risarcitoria, attesa l’insussistenza del presupposto della illegittimità degli atti da cui si ritiene di far discendere l’asserito danno.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Anna Maria Verlengia Sergio Conti
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in segreteria il 18 novembre 2016

 

Cisto (Cistus)

Cisto (Cistus)

(foto S.D., archivio GrIG)



Che cosa dicono i cittadini sul nuovo Editto delle Chiudende?

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Baunei, Baccu Goloritzè

Baunei, Baccu Goloritzè

“Ritengo che privare la Sardegna di questa particolarissima forma comune d’uso del territorio – che se reinterpretata in chiave contemporanea potrebbe offrire strumenti importanti, per gestire collettivamente beni ambientali preziosi, fondamentali per ripensare ad una nuova scala la nostra stessa dimensione urbana – sia un gesto miope e poco attento al futuro di questa Terra” (Lidia Decandia).

“Tancas serradas a muru 2.0” (Massimiliano Soru).

“I sardi dovrebbero rendersi conto che le terre cosiddette civiche sono in realtà una proprietà collettiva che appartiene a tutti e che tutti dovrebbero sentire la responsabilità e l’orgoglio di governare” (Mario Cubeddu).

“Doveroso partecipare per tutelare il patrimonio demaniale e contrastare le occupazioni abusive” (Giovanni Devias).

“il solito furto di terre, è un condono illegittimo, le terre ad uso civico abusate devono tornare al demanio o sostituite con altre e sanzionati i responsabili!” (Mario Cabiddu).

“Questa Giunta e’ stata votata da tanti perche’ difendesse l’interesse pubblico, e non perche’ favorisse le speculazioni dei privati” (Marco Siddi).

foresta mediterranea

foresta mediterranea

“Evitiamo che le terre della collettività vengano svendute da politici miopi, sordi e incompetenti” (Cornelio Mesina).

“Contro la privatizzazione della “modernità” difendiamo i beni collettivi degli usi civici. Essi sono stati le risorse di tutti e tutte per secoli, devono tornare ad esserlo senza che l’onda individualista della attuale crisi concentri il patrimonio in oche mani. Contro la divisione sociale, ripartiamo dalle comunitá e dalle risorse condivise” (Luca Liverani).

“Condivido. Iniziativa sacrosanta” (Antonio Dessì).

“Le terre collettive sono patrimonio di tutti. Questa proposta va solo l’interesse di pochi furbi che hanno occupato abusivamente o che hanno interesse ad appropriarsi di terre d’uso civico. Basti con gli abusi proteggiamo la Sardegna” (Andrea Romano).

“Fermate l’appropriazione del nostro patrimonio! Firmate la petizione!” (Carlo Poddi).

“salviamo la nostra Sardegna da ulteriori scempi”. (Valentina Monaldi).

 “Sarebbe il caso di indagare seriamente su chi sia il vero ‘sponsor’ di questa nuova edizione della legge delle chiudende che, sicuramente, non porterà niente di buono alla Sardegna”. (Francesco Cubeddu)

Cabras, Is Aruttas, spiaggia

Cabras, Is Aruttas, spiaggia

“I demani civici sono un’importante ricchezza ambientale, collettiva e locale, e la loro “sclassificazione” è illegittima” (Fabio Parascandolo).

Sono pienamente d’accordo con voi” (Giovanni Battista Piras).

“Vogliono distruggere le terre civiche” (Francesco Mastromarco).

“Giù le mani dalle terre dei comunisti. Basta con l’ennesimo regalo pagato dai cittadini. Amministrare non vuol dire svendere” (Francesca Mesina).

“Basta Editto delle Chiudende. Dobbiamo salvare e tutelare la nostra meravigliosa Sardegna” (Rina Murgia).

Alghero, costa di Punta Cristallo

Alghero, costa di Punta Cristallo

“No alla privatizzazione dei beni comuni!” (Davide Canu).

“La mia firma per aiutare la nostra terra, piu’ semplice di cosi’!!! Firmate, firmate e firmateeee………………..” (Marisa Serrenti).

“No alla privatizzazione dei beni collettivi dei sardi!” (Paolo Mugoni).

“Difendiamo il patrimonio comune, lottiamo contro le appropriazioni di ciò che ci appartiene” (Umberto Guerra).

“contro la sottrazione di coste, pascoli, boschi che sono un bene per tutti. Il bene dell’ambiente equivale al bene comune della popolazione che ci abita” (Maria Pasqua Meloni).

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

Questi sono alcuni dei commenti degli oltre 500 firmatari che in pochi giorni hanno sottoscritto la Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende promossa dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per la difesa delle terre civiche in Sardegna.

Questo è quel che pensano i cittadini sull’operazione di sdemanializzazione delle terre a uso civico sarde.

Come noto, infatti, ormai sta procedendo da tempo la pesante offensiva istituzionale dei vertici della Regione autonoma della Sardegna contro le terre a uso civico: sdemanializzazioni, occupazioni abusive ignorate, mancata dichiarazione pubblica di demani civici accertati sono le principali direttrici di attacco ai danni dei patrimoni collettivi di centinaia di centri piccoli e grandi dell’Isola.

Un nuovo Editto delle Chiudende, come il provvedimento che nella prima metà dell’800 dette inizio alla privatizzazione dei grandi demani collettivi sardi.

Sardegna, muretto a secco, recinzione tipica dopo l'editto delle chiudende (1820-1823)

Sardegna, muretto a secco, recinzione tipica dopo l’editto delle chiudende (1820-1823)

L’attuale situazione è descritta puntualmente nell’articolo Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna, ecco coma la Giunta Pigliaru vuole realizzare il nuovo Editto delle Chiudende (2 gennaio 2017).

Chi ci guadagna?  Riscontri elettorali, imprese industriali, piccoli e grandi abusi (forse anche di qualche amministratore pubblico), grandi imprese immobiliari (soprattutto lungo la costa orientale).

Chi ci perde?  Le tante collettività locali sparse in tutta la Sardegna (in tre quarti dei Comuni sono presenti terre a uso civico), a cui vengono sottratti coste, pascoli, boschi senza nulla in cambio.   Tutti noi per quanto concerne il valore ambientale dei demani civici.

Nessuna trasparenza regola queste operazioni, per esempio l’ultima legge regionale n. 26/2016 che ha introdotto nuove forme di sdemanializzazione delle terre civiche è stata approvata in quattro e quattr’otto di notte, senza alcuna pubblicità né vergogna.

stendardoSu sollecitazione di tanti cittadini – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 123 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

animali-aquile_11350-gif-animataIstruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud.

Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

 

Gennargentu, nevaio

Gennargentu, nevaio

(foto J.I., S.D., archivio GrIG)


E chi può fermare il GrIG delle Apuane?

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Alpi Apuane, Sagro, manifestazione sotto la neve (genn. 2017)

Alpi Apuane, Sagro, manifestazione sotto la neve (genn. 2017)

Continua incessante l’azione del Presidio GrIG delle Apuane, senza sosta, anche in inverno, anche al gelo e sotto la neve.

Niente e nessuno può fermarlo.

Dopo l’impresa del bagno nelle fredde acque del Fiume Frigido (si chiama Frigido mica per caso…) per denunciare il pesante e continuo inquinamento dalla marmettola, una sorta di fango prodotto dagli scarti della lavorazione del marmo nel corso dell’estrazione dalle cave sulle Alpi Apuane, han pensato bene di offrire un po’ di sana acqua alla marmettola ai sindaci della zona impegnati nella nomina del nuovo – o nuovovecchio – presidente del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, istituzione finora ben poco impegnata nel contrastare lo scempio di montagne e corsi d’acqua da parte dell’attività estrattiva.

acqua alla marmettola, se la bevano tutti quegli amministratori pubblici che non difendono le Apuane

acqua alla marmettola, se la bevano tutti quegli amministratori pubblici che non difendono le Apuane

Non solo.

Sotto un’autentica bufera di neve, ecco una decisa manifestazione contro il progetto di nuova strada a esclusivo beneficio delle imprese estrattive nell’area naturalisticamente importantissima del Sagro, già oggetto di un’azione legale (5 luglio 2016), che a breve avrà un seguito.

Ma c’è un’altra importantissima iniziativa: la petizione diretta al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per evitare che Alberto Putamorsi, uomo politico locale, sia nuovamente nominato presidente del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane: la sua scarsa voglia di combattere scempi ambientali e inquinamenti delle acque consiglia seriamente di restituirlo alla vita privata.

Naturalmente siamo tutti invitati a firmare, qui: https://www.change.org/p/enrico-rossi-regione-toscana-it-abito-qui-sulle-apuane-ma-non-sarai-il-mio-presidente?recruiter=43902470&utm_source=share_petition&utm_medium=email&utm_campaign=share_email_responsive

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus è impegnato duramente in una decisa battaglia legale e di sensibilizzazione contro gli scempi ambientali compiuti quotidianamente sulle Alpi Apuane e l’inquinamento delle acque da marmettola, c’è bisogno dell’aiuto di tutti, anche del tuo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Pontestazzemese, manifestazione GrIG Apuane in occasione di riunione dei sindaci del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane (10 gennaio 2017)

Pontestazzemese, manifestazione GrIG Apuane in occasione di riunione dei sindaci del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane (10 gennaio 2017)

(foto GrIG Apuane, archivio GrIG)


Crotone: Capo Colonna – Punta Scifo, ennesima speculazione immobiliare a due passi dal mare?

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Crotone, Torre di Punta Scifo

Crotone, Torre di Punta Scifo

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (16 gennaio 2017) una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti riguardo i lavori in corso di realizzazione del Marine Park Village, sulla costa di Capo Colonna – Punta Scifo, nel Comune di Crotone, a breve distanza dalla nota area archeologica nazionale di Capo Colonna.

La struttura, definita “turistica alberghiera – agrituristica” nel relativo permesso di costruire emanato con atto Comune di Crotone – Settore 4 n. 162/NC del 20 dicembre 2011, dovrebbe prevedere 79 bungalows in legno (3 posti letto ciascuno), piscine, servizi turistici, su una superficie complessiva dell’azienda agricola di riferimento di più di 7 ettari, a due passi dal mare.

Crotone, area di Capo Colonna - Capo Scifo

Crotone, area di Capo Colonna – Capo Scifo

Un punto, però, è finora rimasto in ombra rispetto al groviglio di autorizzazioni più o meno disinvolte: non risulta svolto e concluso positivamente il procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).  Infatti, l’Azienda agricola a cui – per legge – non possono non fare riferimento le attività ricettive agrituristiche è estesa più di 7 ettari, e i “villaggi turistici di superficie superiore a 5 ettari” di qualsiasi natura (albergo, residence, agriturismo, case per vacanza, ecc.) devono essere assoggettati al vincolante e preventivo procedimento di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (art. 20 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., allegato IV alla parte II, punto 8, lettera a).

La realizzazione del complesso ricettivo agrituristico risulta dai mezzi d’informazione anche a carattere nazionale (vds. “Capo Colonna, così un villaggio turistico devasta un gioiello della natura”, Francesca Sironi, L’Espresso, 24 ottobre 2016; “Calabria, a Torre Scifo un Natale con le ruspe. E non è una buona notizia”, Manlio Lilli, Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2016; “I 79 bungalow nell’area vincolata? Ancora non ci sono, ma per lo Stato sì”, Gian Antonio Stella, Il Corriere della Sera, 31 dicembre 2016) aver avuto un iter procedimentale molto complesso, contraddittorio e travagliato, a voler usare degli eufemismi, con vari interventi da parte delle Amministrazioni pubbliche competenti e procedimenti penali aperti dalla competente Procura della Repubblica.

Crotone, progetto ricettivo agrituristico Capo Scifo

Crotone, progetto ricettivo agrituristico Capo Scifo

Un punto, però, è finora rimasto in ombra rispetto al groviglio di autorizzazioni più o meno disinvolte: non risulta svolto e concluso positivamente il procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).  Infatti, l’Azienda agricola a cui – per legge – non possono non fare riferimento le attività ricettive agrituristiche è estesa più di 7 ettari, e i “villaggi turistici di superficie superiore a 5 ettari” di qualsiasi natura (albergo, residence, agriturismo, case per vacanza, ecc.) devono essere assoggettati al vincolante e preventivo procedimento di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (art. 20 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., allegato IV alla parte II, punto 8, lettera a).

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi chiesto alle varie Amministrazioni pubbliche coinvolte (Ministero dell’Ambiente, Ministero per i Beni e Attività Culturali, Regione Calabria, Comune di Crotone) l’adozione degli opportuni provvedimenti di sospensione dei lavori e di annullamento in via di autotutela delle autorizzazioni emanate.     Alle Istituzioni europee è stata chiesta la verifica sul rispetto della normativa comunitaria in materia di valutazioni di impatto ambientale, mentre è stata, nel contempo, informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

mare

mare

(foto da mailing list ambientalista, M.F., archivio GrIG)

 

 


SURPRISE US PRESIDENT TRUMP!

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L’AMBIENTALISMO ITALIANO SI UNISCE PER SCRIVERE A TRUMP

SURPRISE US PRESIDENT TRUMP!

Venerdì 20 gennaio, alle ore 11, in Piazza Barberini a Roma i Presidenti delle Associazioni ambientaliste italiane presenteranno la Campagna e andranno all’Ambasciata americana a consegnare la prima copia della lettera “Surprise us, President Trump!”, dalla quale partirà lo stesso giorno una campagna web di sottoscrizione.

Le maggiori associazioni ambientaliste italiane hanno aderito alla Campagna “Surprise us, President Trump!”, in occasione della investitura del nuovo Presidente statunitense.

La Campagna nasce dalla preoccupazione destata dalle dichiarazioni di Trump in campagna elettorale sulle questioni ambientali, che se dovessero avere un seguito, porterebbero indietro di decenni la comunità internazionale rispetto alla lotta ai cambiamenti climatici.

Venerdì 20 gennaio, alle 11.00, i Presidenti delle Associazioni partecipanti alla campagna e molti noti ambientalisti si riuniranno a Piazza Barberini, a Roma, per “spedire” la loro lettera al nuovo capo della Casa Bianca. Nell’occasione ogni partecipante dichiarerà i motivi dell’adesione alla campagna, in una conferenza stampa all’aperto.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus spedirà la propria lettera da Cagliari, nell’occasione coinvolta dall’iniziativa nazionale.

Una delegazione dei Partecipanti alla manifestazione romana si recherà poi all’Ambasciata americana per consegnare la “prima” copia della lettera “Surprise Us President Trump!”, firmata dai Presidenti delle Associazioni, a cui poi seguiranno tutte quelle che i cittadini dal 20 gennaio stesso potranno sottoscrivere attraverso internet.

Infatti, a partire dalle ore 11 di venerdì 20 sarà online sul sito www.surpriseuspresidenttrump.com il testo della lettera in italiano, inglese e spagnolo e sarà possibile sottoscrivere i contenuti della missiva.

Hanno già aderito a SURPRISE US PRESIDENT TRUMP le seguenti Associazioni (in ordine cronologico):

ACCADEMIA KRONOS – LIPU – LEGAMBIENTE – WWF ITALIA –  EARTHDAY ITALIA – FONDAZIONE UNIVERDE / OBIETTIVO TERRA – FOCSSIV- POLICY – FIPSAS – ANPANA – GRUPPO INTERVENTO GIURIDICO –  RANGERS ITALIA – CLIMALTERANTI – MAREVIVO – ITALIAN CLIMATE NETWORK

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

lettera GrIG al Presidente U.S.A. D. Trump

lettera GrIG al Presidente U.S.A. D. Trump

(foto GrIG, archivio GrIG)


Lettera aperta all’Assessore Erriu sul nuovo Editto delle Chiudende.

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Portoscuso, Capo Altano - Guroneddu

Portoscuso, Capo Altano – Guroneddu

Dopo averlo fatto nell’ ottobre scorso, l’Assessore degli Enti locali, Finanze, Urbanistica della Regione autonoma della Sardegna Cristiano Erriu cerca nuovamente di tranquillizzare tutti sul nuovo Editto delle Chiudende confezionato dalla Giunta Pigliaru e scodellato dal Consiglio regionale sardo.

A parte il fatto che l’Assessorato competente in materia di usi civici è quello all’Agricoltura, finora silente, spiace, per la stima che gli portiamo, ma non riesce a convincere nemmeno un po’.

Continueremo a difendere i demani civici in Sardegna e altrove con tutti i mezzi a disposizione.

Infatti, non convince nemmeno un po’ una legge – la legge regionale n. 26/2016 – approvata di notte, a poche ore dalla proposta della Giunta, senza alcuna trasparenza, senza uno straccio di dibattito pubblico dopo vari contenziosi davanti alla Corte costituzionale e 120 accertamenti di demani civici effettuati e pagati dalla Regione, ma tuttora non promulgati.

Portovesme, bacino "fanghi rossi" bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Portovesme, bacino “fanghi rossi” bauxite (foto Raniero Massoli Novelli, 1980)

Non convince nemmeno l’intento di volere “affrontare casi specifici” come l’inquinatissimo bacino dei “fanghi rossi” di Portovesme, realizzato su terreni a uso civico.

La legge approvata furtivamente la notte del 25 ottobre 2016 riguarda naturalmente casi generali e astratti, potenzialmente gli oltre 400 mila ettari dei demani civici sardi.  Se si fosse voluto intervenire su singoli pochi casi, gli istituti applicabili potevano esser altri (la permuta, l’alienazione, il trasferimento dei diritti di uso civico) già previsti dal quadro normativo (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).

In più, sul piano giuridico, è l’ennesimo pastrocchio: in pratica, la Regione (Giunta e Consiglio) ha deciso  che i terreni appartenenti ai demani civici siano sclassificati – cioè sdemanializzati – ma la perdita della tutela paesaggistica di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. sarebbe sospesa sine die in attesa delle verifiche svolte dal Ministero per i beni e attività culturali e del turismo e della Regione nell’ambito degli accordi di copianificazione propri della pianificazione paesaggistica.

Non si comprende a quale titolo quelle aree rimarrebbero tutelate con il vincolo paesaggistico, in una sorta di limbo giuridico, in attesa di futuri ed eventuali accordi di copianificazione Stato-Regione che chissà quando arriveranno, pur avendo perso la qualifica demaniale civica, cioè la il motivo stesso della presenza del vincolo di uso civico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Tanto per capirci, a oggi, non c’è stata la conclusione di neanche un accordo di copianificazione Stato-Regione autonoma della Sardegna.

Avrebbe avuto senso e sarebbe stata ampiamente giustificabile un’operazione di trasferimento dei diritti di uso civico dalle aree compromesse irreversibilmente a boschi, coste, pascoli di proprietà comunale e, eventualmente, regionale, così da compensare sul piano ambientale e sociale la perdita in danno delle collettività locali.

stendardo GrIGIl Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha predisposto in proposito un testo normativo liberamente utilizzabile (Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici).

Ma così non è stato e la legge regionale n. 26/2016 riapre i termini delle “sclassificazioni” (sdemanializzazioni) dei terreni appartenenti ai demani civici senza che sia previsto alcun corrispettivo per le collettività locali titolari dei diritti di uso civico, così derubate due volte, la prima quando sono stati illegittimamente venduti o occupati i terreni a uso civico, la seconda quando la Regione approverà le “sclassificazioni” senza nulla in cambio.

Non nascondiamoci dietro un dito: fra i terreni a uso civico interessati da questa ben poco virtuosa operazione di sdemanializzazione ci sono sì aree industriali come il bacino dei c.d. fanghi rossi di Portovesme, ma ci sono anche lottizzazioni edilizie lungo la costa orientale, realizzate completamente o solo in parte, come sul litorale di Orosei, dove sono ben presenti interessi di importanti gruppi turistico-immobiliari, così come i terreni a uso civico di Capo Altano, sulla costa di Portoscuso.

Altro che assenza di aree costiere, come sembra adombrare l’Assessore Erriu…

Sardegna, costa meridionale

Sardegna, costa meridionale

Per non parlare – infatti l’Assessore Erriu se ne guarda bene dal parlarne – dei tanti casi che possono aver determinato la scandalosa mancata promulgazione di ben 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici nei rispettivi territori comunali sardi, pronti fin dal 2012 e non promulgati per motivi ignoti, pur derivando da regolare appalto di servizi collaudato e pagato.

Per non parlare dei mancati recuperi da parte di Comuni e Regione di migliaia e migliaia di ettari di terreni a uso civico illegittimamente occupati da privati senza alcun titolo, spesso e volentieri “non irreversibilmente modificati”, pur in presenza di un preciso obbligo di legge (art. 22 della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).  E sarebbe anche importante sapere se vi siano consiglieri regionali e altri amministratori pubblici in conflitto di interessi diretto o indiretto riguardo proprio le occupazioni illegittime di terreni a uso civico.

Ma anche di questo l’Assessore Erriu evita di parlare.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ricorda anche il già presente conflitto di attribuzione in materia fra Stato e Regione sulla legge regionale n. 5/2016 davanti alla Corte costituzionale: infatti, queste norme regionali, proposte e votate da una maggioranza trasversale sovranista e di centro-sinistra, violano le competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (artt. 9, 117, comma 2°, lettera s, cost.), come già riconosciuto con la sentenza della Corte costituzionale n. 210/2014, che dichiarò illegittima la legge regionale Sardegna n. 19/2013 di analogo contenuto.

Siamo disponibili a qualsiasi confronto, ma ci opponiamo e ci opporremo con tutti i mezzi al nuovo Editto delle Chiudende, come il provvedimento che nella prima metà dell’800 dette inizio alla privatizzazione dei grandi demani collettivi sardi.

nevicata nel bosaco

nevicata nel bosco

Qualsiasi cittadino, può, comunque fare la sua parte.   Più di 650 l’hanno già fatto.

Infatti, su sollecitazione di tante persone – oltre alla campagna permanente legale e di sensibilizzazione – il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus propone una petizione popolare al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru con richieste semplici e dirette: l’abrogazione della legge regionale n. 26/2016 di sdemanializzazione delle terre civiche (da proporre al Consiglio regionale), la promulgazione dei 120 provvedimenti di accertamento di altrettanti demani civici che dormono nei cassetti regionali da più di 4 anni, l’avvio delle operazioni di recupero delle migliaia di ettari occupati abusivamente.

Bisogna far sentire la propria voce, bisogna far sentire la volontà dei cittadini: firma e fai firmare la petizione in difesa delle terre collettive!

Si può firmare qui: Petizione contro il nuovo Editto delle Chiudende!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

animali-aquile_11350-gif-animataIstruzioni per l’adesione: la petizione si può sottoscrivere al link https://buonacausa.org/cause/petizione-popolare-contro-il-nuovo-editto-delle-chiud.

Basta cliccare sul tasto verde dov’è scritto “Sottoscrivi”.     Poi giunge un messaggio all’indirizzo indicato nella sottoscrizione per la conferma.   Basta confermare l’avvenuta sottoscrizione.

Non c’è alcun obbligo di donazione di neanche un centesimo.

Buonacausa.org è una piattaforma che ospita sia petizioni che iniziative di raccolta fondi per tutela dell’ambiente e diritti civili. L’abbiamo scelta perchè non riempie di e-mail pubblicitarie i sottoscrittori delle petizioni.

Chi vuole può firmare serenamente.

 

stendardo

 

L’attuale situazione è descritta puntualmente nell’articolo Diritti di uso civico e demani civici in Sardegna, ecco coma la Giunta Pigliaru vuole realizzare il nuovo Editto delle Chiudende (2 gennaio 2017).

 

 

 

stemma Regione Sardegna

stemma Regione Sardegna

da Sardinia Post, 16 gennaio 2017

Usi civici, l’assessore Erriu: “L’allarme sulla svendita è ingiustificato”

Da Cristiano Erriu, Assessore regionale degli Enti locali, Finanze e Urbanistica, riceviamo e pubblichiamo.

Il Gruppo di Intervento Giuridico ha lanciato un allarme per una presunta “svendita” dei beni comuni rappresentati dalle terre gravate dagli usi civici, quasi si fosse alla vigilia di un nuovo Editto delle chiudende, con il quale, nel 1820, si consentiva di recintare e appropriarsi privatamente di terreni da sempre utilizzati collettivamente. Al di là del forte impatto emotivo, questo allarme è del tutto ingiustificato in quanto la Legge regionale n. 26/2016 ha ben altro scopo e conseguenze di una ‘svendita di beni comuni’ e cioè la ricomposizione di un conflitto con lo Stato in merito alle competenze per l’accertamento dei particolarissimi casi in cui è ammessa quella cessazione degli usi civici già prevista nella stessa legge n. 1766 del 1927 che li regolamenta. Si impone, pertanto, un preciso chiarimento sul significato del nuovo provvedimento legislativo, resosi necessario proprio per rimuovere ogni ambiguità in relazione a quei casi di manifesta e consolidata cessazione degli usi civici tradizionali, e stabilire una rigorosa procedura di verifica della relativa sclassificazione anche sotto il delicato profilo paesaggistico, da effettuarsi congiuntamente al Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (MiBACT), in quanto i terreni gravati da usi civici costituiscono beni paesaggistici ai sensi dell’art.142 del D.Lgs n. 42/2004 (Codice Urbani).

Nessuna svendita, pertanto, ma la presa d’atto e la verifica rigorosa di quei casi in cui la trasformazione dei territori sia irreversibilmente avvenuta da tempo, in alcuni casi assai prima della conclusione della procedura di ricognizione sul territorio regionale del 2005, come nell’emblematico caso del bacino dei fanghi rossi di Portoscuso, realizzato nel 1976, con evidente perdita della destinazione d’uso originaria.
Non è un caso che tale intervento legislativo sia stato sollecitato e apprezzato dalle forze sociali e sindacali proprio in quanto difende quegli interessi reali della collettività in alcuni casi messi in discussione da una lettura obsoleta di tali interessi, come rimarcato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 511/1991, relativamente alla legittimità costituzionale della L.R. n. 25/1988 della Regione Abruzzo.

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

La legge regionale n. 26 del 2016, di cui l’appello del Grig stravolge la valenza, non introduce ulteriori ipotesi di “sdemanializzazione” ma, in presenza delle condizioni previste fin dal 1994, ribadisce e regolamenta il coinvolgimento nelle valutazioni, in ottemperanza agli obblighi di copianificazione paesaggistica, del Ministero dei Beni e Attività culturali. Nessuna “ennesima operazione di sdemanializzazione di terreni ad uso civico”, nessuna vendita, nessuna autorizzazione a ulteriori cessioni o trasformazioni, come sostiene il Gruppo di Intervento Giuridico, ma solo la regolamentazione dal punto di vista paesaggistico degli effetti delle sclassificazioni previste da sempre nella legge che ne regolamentava nel 1927. Regolamentazione degli aspetti paesaggistici concordata con lo stesso Ministero che, per questo motivo, non ha impugnato il provvedimento. Tanto meno corrisponde al vero che si vogliano “svendere le coste”, in quanto gli usi civici riguardano – come stabilito dalla suddetta L. 1766/1927 – i “terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente o convenientemente utilizzabili per la coltura agraria”.

Si fa presente, inoltre, che la sclassificazione non può mai avere come obiettivo una vendita a privati che ne ricavino un vantaggio proprio ed esclusivo, ma deve sempre essere sempre finalizzata “a un reale beneficio per la collettività” che non può più sempre intendersi, come nel passato, al legnatico o al fungatico, ma che può esprimersi anche in relazione alle mutate esigenze delle popolazioni, come stabilito dalla citata sentenza della Corte Costituzionale.

La L.R. n.26/2016, in conclusione, non introduce nulla di nuovo rispetto alle possibilità di sclassificazione da sempre previste nell’ordinamento, ma sancisce una volta per tutte la necessità di operare nei confronti delle terre gravate da usi civici nel pieno rispetto della normativa legata ai beni paesaggistici quali sono riconosciuti dal Codice Urbani. Per chiarezza, propongo una lettura del testo integrale della legge: “Ai fini della valutazione degli aspetti paesaggistici la Regione e il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact) effettuano le analisi e le verifiche di competenza in occasione dell’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico regionale o, in fase anticipata, attraverso singoli accordi di copianificazione adottati ai sensi degli articoli 11 e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e successive modifiche ed integrazioni. Sino all’effettuazione di tali adempimenti il decreto di cui al comma 7 non produce effetti in merito alla sottrazione dei terreni oggetto di sclassificazione dalla categoria di beni paesaggistici vincolati ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera h), del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche e integrazioni”.

Cristiano Erriu, Assessore degli Enti locali, Finanze e Urbanistica della Regione autonoma della Sardegna

 

foresta mediterranea

foresta mediterranea

(foto Raniero Massoli Novelli, J.I., S.D., archivio GrIG)

 


La vera natura delle associazioni venatorie sarde: egoismo e disinteresse verso l’ambiente.

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La Sardegna è interessata da giorni – come buona parte d’Italia – da una serie di perturbazioni atmosferiche che hanno portato abbondanti nevicate e gelate in gran parte dell’Isola.  Come non si vedeva da lungo tempo.

Paesi e ovili isolati, strade bloccate, boschi e campi innevati e ghiacciati, greggi e mandrie in gravi difficoltà.

La fauna selvatica non sta certo meglio, anzi.

nevicata nel bosaco

nevicata nel bosaco

Migliaia di animali selvatici morti, migliaia di animali selvatici fortemente deperiti e in condizioni estreme.

E che ti fanno le associazioni venatorie isolane?

Cpa, Ucs, Federcaccia, Libera caccia, Associazione armieri, Lasc (Libera associazione sarda caccia), Associazione cacciatori sardi uniti e Federcaccia pretendono tre giornate di caccia in più rispetto a quanto stabilito dal calendario venatorio regionale 2016-2017 a Tordo e Beccaccia, facendo il solito piagnisteo su quanto il mondo è cattivo con loro.

Vorrebbero sparare a quell’avifauna migratoria scampata a neve e gelo e già oggetto di caccia fino al 19 gennaio.

Mostrano la loro vera natura: a costoro non interessa per nulla tutelare e conservare il patrimonio faunistico, interessa sparare e ammazzare quanto più possibile.

Tordo bottaccio (Turdus philomelos, foto Raniero Massoli Novelli)

Tordo bottaccio (Turdus philomelos, foto Raniero Massoli Novelli)

A parte il fatto che la chiusura della caccia deriva fondamentalmente dalla normativa comunitaria e nazionale vincolante e che la caccia su terreni coperti in tutto o in parte di neve è vietata (artt. 21, comma 1°, lettera m, della legge n. 157/1992 e s.m.i., nonché 61, comma 1°, lettera o, della legge regionale Sardegna n. 23/1998 e s.m.i.), il semplice buon senso vorrebbe che appendessero – almeno per questa stagione di caccia – il fucile al chiodo senza fare storie.

Arroganza ed egoismo, questo è il vero volto di queste associazioni venatorie.

Ci auguriamo che all’Assessore regionale della difesa dell’ambiente Donatella Spano non passi nemmeno per l’anticamera del cervello una qualsiasi proroga della stagione di caccia.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, Lega per l’Abolizione della Caccia, Amici della Terra

 

 

(foto Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)


Stop alla legge regionale liberticida veneta!

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Sergio Antonio Berlato è un consigliere regionale veneto, già assessore regionale ed europarlamentare, piuttosto monomaniaco.

Si occupa pressochè esclusivamente di caccia e di tutto quanto possa garantire la possibilità di ammazzare quei pochi esseri viventi che in Veneto riescono a sfuggire a quella giungla di pedemontane, svincoli, capannoni, villette a schiera, diserbanti, città mercato, tangenziali, inquinamenti che ammorbano la un tempo ridente campagna veneta.

In un Paese normale, cioè non in Italia, non lo calcolerebbe nessuno, in Veneto, invece, fa il legislatore.

La sua è un’attività continua – dall’amputazione del parco naturale regionale dei Colli Euganei, ai monolocali per la caccia, al nomadismo venatorio –  che inizia a stufare pure gli alleati della Lega Nord, che pure sono di bocca buona in materia.

Fagiano (Phasianus colchicus, foto Bottazzo)

Fagiano (Phasianus colchicus, foto Bottazzo)

L’ultima perla giuridica frutto dell’on. Berlato e dell’accondiscendenza un po’ succube della maggioranza di centro-destra della Regione Veneto è la legge regionale Veneto n. 1 del 17 gennaio 2017, che dispone sanzioni amministrative da 600 a 3.600 euro nei confronti di “chiunque … ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo” contro la caccia o la pesca sportiva.

Nelle intenzioni del buon Berlato, così verrebbero sanzionati i partecipanti alle manifestazioni anti-caccia in occasione delle aperture delle stagioni venatorie.

Una norma liberticida, in palese contrasto con il diritto di esprimere la propria opinione e la connessa libertà di manifestazione sanciti dagli artt. 17 e 21 della Costituzione.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, provveduto (19 gennaio 2017) a interessare con una motivata istanza il Governo nazionale perché impugni la legge regionale Veneto n. 1/2017 davanti alla Corte costituzionale per lesione dei diritti fondamentali del cittadino e delle competenze statali esclusive (art. 127 Cost.).

Non solo.

Mette gratuitamente a disposizione di associazioni, comitati, cittadini un fac simile di analoga istanza da completare e spedire direttamente al Governo. Per ottenerla basta richiederla all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com.

E’ ora di difendere le libertà fondamentali contro questi beceri tentativi.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Allodola (Alauda arvensis)

Allodola (Alauda arvensis)

(foto S. Bottazzo. M.F., archivio GrIG)



Poca cura e troppi silenzi per il verde pubblico nella Capitale.

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Roma, Prati, giardino pubblico Via Gulli, albero tagliato

Roma, Prati, giardino pubblico Via Gulli, albero tagliato

Una vicenda che può apparire di modesta portata costituisce invece un indice piuttosto preoccupante della scarsa attenzione per il proprio patrimonio di verde pubblico urbano e per le giuste esigenze dei propri cittadini da parte del Comune di Roma Capitale.

Si tratta della vicenda del bel giardino pubblico di Via Gulli, angolo Via Faà di Bruno, nello storico Rione Prati.

Lo scorso 6 dicembre 2016 addetti del Comune di Roma Capitale vi hanno tagliato un Platano forse secolare.

Roma, Prati, giardino pubblico di Via Gulli, taglio di un albero (6 dicembre 2016)

Roma, Prati, giardino pubblico di Via Gulli, taglio di un albero (6 dicembre 2016)

A nulla sono valse le rimostranze e le domande di numerosi residenti, così come la specifica richiesta di informazioni ambientali inoltrata (5 dicembre 2016) dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus al Servizio Giardini di Roma Capitale e al Municipio I per appurare la natura dell’intervento e le motivazioni.

Nessuna informazione preventiva e nessuna risposta.

Anche un solo albero è importante, per questo l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, facendosi interprete dei desideri dei residenti, ha chiesto (12 dicembre 2016) al Dipartimento Tutela Ambientale e alla Direzione della Gestione Territoriale Ambientale e del Verde di Roma Capitale, nonché al Municipio I la piantumazione di un nuovo Platano in sostituzione di quello recentemente tagliato.

Roma, Via Gulli, giardino pubblico

Roma, Via Gulli, giardino pubblico

Il 23 dicembre 2016 la Presidenza del Municipio I (Centro Storico) ha comunicato di aver richiesto (nota prot. n. 214897 del 23 dicembre 2016) informazioni in proposito all’ufficio del Sindaco Virginia Raggi, in quanto tuttora titolare delle deleghe al verde pubblico, e al Dipartimento comunale Ambiente.

Ancora una volta nessuna risposta.

Eppure i grandi Platani sono un autentico polmone verde in una zona della Capitale congestionata dal traffico veicolare.

Eppure i tagli degli alberi avvengono quotidianamente senza alcuna informazione per i residenti e senza alcuna prevista sostituzione.

Anzi, spesso e volentieri, dopo l’intervento di taglio rimangono ad saecula saeculorum, visto che siamo nella Città Eterna, ferri e reti da cantiere a perenne testimonianza dell’opera.

Roma, Piazzale Eugenio Morelli (Portuense), perenne recinzione da cantiere intorno a un ceppo di albero tagliato (gennaio 2017)

Roma, Piazzale Eugenio Morelli (Portuense), perenne recinzione da cantiere intorno a un ceppo di albero tagliato (gennaio 2017)

Qualche dato, per comprendere l’ampiezza dei tagli degli alberi del verde pubblico romano.

Secondo le informazioni disponibili, nel corso del 2016 (fino al 27 ottobre 2016) risultano abbattuti ben 738 alberi “in economia” cioè con personale e risorse proprie del Servizio Giardini (altri 18 sono caduti), più altri 40 “in appalto” da parte di Imprese esterne (fino al 7 novembre 2016).  Di questi, nel solo ambito del Municipio I (Centro storico) sono stati abbattuti ben 123 alberiin economia”, più altri 30in appalto”.

I dati parziali disponibili indicano, quindi, in 778 gli alberi abbattuti nel solo 2016 nel territorio capitolino, mentre nel centro storico di Roma sono stati eliminati per varie ragioni ben 153 alberi.

Si ignora se vi sia la previsione della loro sostituzione, nonostante la legge n. 10/2013 disponga il mantenimento e l’incremento del patrimonio arboreo pubblico delle città.

Eppure ancora in questo inverno il livello di polveri sottili PM10 è così elevato a Roma da richiedere sistematici provvedimenti di limitazione del traffico veicolare.

Roma, Piazza della Balduina, pino tagliato per motivi non conosciuti (dicembre 2016)

Roma, Piazza della Balduina, pino tagliato per motivi non conosciuti (dicembre 2016)

Eppure gli alberi danno ogni giorno la vita alle città.     Sì, non solo offrono qualità ambientale, ma permettono la stessa possibilità di avere condizioni ambientali minimali per poter soggiornare e lavorare nelle nostre città.

Come riportato nelle più recenti ricerche scientifiche sull’argomento, gli alberi non solo sottraggono anidride carbonica e forniscono ossigeno all’aria che respiriamo, ma eliminano proprio anche le pericolosissime polveri sottili, specialmente il particolato fine inquinante (inferiore ai 2,5 micron, o PM2,5), generati soprattutto dai sistemi di riscaldamento tradizionali e dal traffico veicolare.

Anche un solo albero è importante, per questo l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, facendosi interprete dei desideri dei residenti, ha nuovamente chiesto (20 gennaio 2017) al Dipartimento Tutela Ambientale e alla Direzione della Gestione Territoriale Ambientale e del Verde di Roma Capitale, nonché al Municipio I la piantumazione di un nuovo Platano in sostituzione di quello recentemente tagliato.

Questa volta – visto il mantenimento delle deleghe in materia di verde pubblico – l’istanza ecologista è stata rivolta anche alla Sindaca Virginia Raggi.

Risponderà?    Farà qualcosa in proposito?

Gli alberi di Via Gulli, come tutto il patrimonio di verde pubblico romano, devono essere curati e salvaguardati, ne va dell’ambiente e della stessa salute dei cittadini.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Roma, giardino pubblico (Rione Quirinale)

Roma, giardino pubblico (Rione Quirinale)

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Abusi edilizi in quel cantiere intorno alla spiaggia di Spalmatore, a La Maddalena?

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La Maddalena, Spalmatore, cantiere edilizio (dicembre 2016)

La Maddalena, Spalmatore, cantiere edilizio (dicembre 2016)

L’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena ha risposto (nota prot. n. 277/17 del 18 gennaio 2017) all’istanza dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (29 dicembre 2016) per lo svolgimento di accertamenti e l’adozione di provvedimenti riguardo un cantiere edilizio per la ristrutturazione e ampliamento di una struttura turistica in base al c.d. piano per l’edilizia (o piano casa, legge regionale n. 4/2009 e s.m.i.) aperto da qualche mese intorno alla spiaggia di Spalmatore, sull’Isola di La Maddalena (OT).

L’Ente Parco ha reso noto  di aver contestato alle altre Amministrazioni pubbliche competenti (note prot. n. 5832/15 del 14 settembre 2015 e prot. n. 7910 del 18 dicembre 2015) una serie di gravi carenze progettuali e procedurali.

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

In particolare:

1) illegittimo aumento di volumetrie pari a mc. 84,16 anziché al massimo mc. 38,88, visto che il “volume esistente autorizzato” è pari a mc. 388,85;

2) la relazione di incidenza ambientale – base della procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.) – “non è conforme alle disposizioni contenute nella ‘Guida metodologica alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva Habitat92/43/CEE’ predisposta dalla Commissione Europea … inoltre non si evince uno studio/rilievo puntuale degli habitat e delle specie presenti nell’area interessata dal progetto”.

Non risulta l’eventuale conseguimento del necessario nullaosta (art. 13 della legge n. 394/1991 e s.m.i.) da parte dell’Ente Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena.

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

La Maddalena, spiaggia di Spalmatore, cantiere edilizio (10 ottobre 2016)

La situazione giuridico-amministrativa del cantiere appare sempre più di dubbia legittimità.

Infatti, in seguito a segnalazioni di residenti e a una prima richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti da parte del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (11 ottobre 2016), è stato possibile appurare l’avvenuto rilascio del provvedimento unico da parte del SUAP del Comune di La Maddalena (il n. 35/16 del 17 agosto 2016 prot. 13227), previa acquisizione di autorizzazione paesaggistica condizionata a una serie di modifiche e parere positivo al termine della procedura di valutazione di incidenza ambientale, mentre si ignora l’eventuale conseguimento o meno del parere da parte dell’Ente Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena e da parte del Soprintendente per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari.

In seguito il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato una nuova istanza (29 dicembre 2016).

Coinvolti la Regione autonoma della Sardegna (Direzioni generali della Pianificazione e Vigilanza edilizia nonché del Demanio, Servizio valutazioni ambientali, Servizio tutela del paesaggio), la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari, l’Ente parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, il Ministero dell’Ambiente, mentre è stata informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania per gli aspetti di eventuale competenza.

spiaggia, vegetazione pioniera

spiaggia, vegetazione pioniera

Il rilascio dell’autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’intervento risulta in contrasto con il piano paesaggistico regionale (P.P.R.), che – per giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 189/2016 e n. 11/2016) – prevale su qualsiasi normativa urbanistico-edilizia, compresa quella inerente il c.d. piano per l’edilizia (o piano casa).  Nel caso di specie, quindi, le disposizioni del P.P.R. prevedono interventi di “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti (art. 20, comma 2°, n. 2 delle norme tecniche di attuazione del P.P.R.), ma senza alcun incremento volumetrico.

Ora i seri dubbi sullo stesso computo dell’aumento volumetrico e sulla procedura di V.Inc.A.

La spiaggia di Spalmatore, di contenute dimensioni, appartenente al demanio marittimo (artt. 822 e ss. cod. civ.), è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), nonché con vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993.     Rientra, inoltre, nel parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena (legge n. 394/1991 e s.m.i., D.P.R. 17 maggio 1996) e nel sito di importanza comunitariaS.I.C. e zona di protezione speciale – Z.P.S.  Arcipelago La Maddalena (codice ITB010008), ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto rapidi accertamenti da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte, nonché gli opportuni provvedimenti di annullamento in via di autotutela delle autorizzazioni emanate e, se necessario, urgenti provvedimenti cautelari da parte della competente magistratura.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

macchia meditarranea (ginestre, olivastri, cisto)

(foto per conto GrIG, archivio GrIG)


Tempesta a Cagliari e sulla Protezione civile.

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Cagliari, Via Milano, intervento di emergenza per un albero caduto (21 gennaio 2017)

Cagliari, Via Milano, intervento di emergenza per un albero caduto (21 gennaio 2017)

Ma in che razza di mani siamo?”  

La signora d’una certa età arranca sul marciapiede con un ombrello rotto e il carrellino della spesa, schivando un ramo che cade a un paio di metri da lei.

Scena vista (e signora agèe soccorsa) in una strada di Cagliari, sabato 21 gennaio 2017.

Regione autonoma della Sardegna, avviso di criticità ordinaria (gialla), 21 gennaio 2017

Regione autonoma della Sardegna, avviso di criticità ordinaria (gialla), 21 gennaio 2017

La Protezione civile della Regione autonoma della Sardegna ha diffuso un banale avviso di criticità ordinaria (gialla).

Decine di alberi e rami schiantati al suolo, strade interrotte, il Poetto allagato dal mare in burrasca di Scirocco (70-80 km/h, con raffiche che han superato i 100 km/h), la strada statale n. 195 chiusa per allagamento e detriti, scuole, abitazioni e automobili danneggiate, milioni di euro di danni.

In poche parole, un disastro.

Si replica quanto accaduto nei giorni scorsi, quando neve e ghiaccio hanno creato non pochi problemi in gran parte della Sardegna con indubbi ed evidenti limiti della macchina operativa della Protezione civile sarda.

L’Assessore regionale competente Donatella Emma Ignazia Spano, che il Cielo l’abbia sempre in gloria, in questi giorni convulsi ha trovato il tempo di ricevere i rappresentanti delle associazioni venatorie che chiedevano tre giorni di caccia in più e, con involontario senso dell’ironia, ha parlato di “equivoco comunicativo” fra Regione e Comuni, mentre il direttore generale della Protezione civile Mario Graziano Nudda ha invitato i sindaci a fare la loro parte nella gestione della prevenzione e delle emergenze.

Senza dubbio non è tutta colpa della carente organizzazione regionale e senza dubbio i Comuni devono fare la loro parte e preoccuparsi magari di farsi dotare di un bel paio di spazzaneve, piuttosto che pretendere ancora finanziamenti per piani turistici con stazioni per sport invernali decisamente fuori luogo in Sardegna[1].

l'unico "gattino" delle nevi presente in Sardegna (2017)

l’unico “gattino” delle nevi presente in Sardegna (2017)

Il sindaco di Cagliari Massimo Zedda ha comunque preso alla lettera quanto affermato dal direttore generale della Protezione civile Mario Graziano Nudda e ha fatto da solo: avvisi alla popolazione, chiusura di parchi e cimiteri, squadre di emergenza per strada fin dalla mattina di sabato 21 gennaio.

Alla faccia dell’avviso di criticità ordinaria (gialla) diffuso dalla Protezione civile regionale.

A questo punto sorge spontanea una domanda: non è che c’è qualcosa di sbagliato in questa organizzazione della protezione civile in Sardegna?

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

da Sardinia Post, 22 gennaio 2017

Maltempo, Zedda attacca la Protezione civile e lancia una “allerta autogestita”.

Dopo i sindaci del Nuorese, anche quello di Cagliari. Massimo Zedda, con un allarmato post sulla sua pagina Facebook (che ha più di 40mila fan), ha lanciato l’allarme alle 17 di sabato, mentre il capoluogo e l’hinterland venivano flagellati dal vento e dalla pioggia.

“La Protezione Civile regionale – ha scritto Zedda – continua a dare su Cagliari un avviso di allerta meteo gialla, di livello ordinario per rischio idrogeologico e idraulico. Viste le condizioni di forte vento, però, l’invito a tutti è quello di limitare al minimo indispensabile gli spostamenti in auto o a piedi, per evitare possibili pericoli derivanti in particolare dalla caduta di rami e per non intralciare il lavoro delle squadre che sono tutte all’opera in queste ore nelle operazioni di messa in sicurezza delle strade”.

Qui la mappa di allagamenti e disagi nell’Isola con foto e video

Insomma, quella lanciata da Zedda è stata “allerta autogestita” (con 800 like raccolti, oltre 400 condivisioni e innumerevoli commenti) che porta ai massimi livelli il conflitto tra i comuni, la Protezione civile e la Regione. Uno scontro cominciato nei giorni scorsi quando la Barbagia è rimasta isolata e bloccata per via della neve: sotto accusa l’assessore all’Ambiente, Donatella Spano. È seguito un botta e risposta tra Comuni e governo centrale con la Giunta che ha subito stanziato due milioni di euro per fronteggiare disagi e danni causati dal maltempo.

Ma nel giro di ventiquattro ore, da venerdì a sabato, a sorprendere la Sardegna è stato il vento senza che dalla Protezione civile sia stata diffusa alcuna allerta. E invece lo scirocco ha colpito l’intera Isola: oltre a Cagliari e hinterland, si è registrata anche una tromba d’aria a Olbia. E proprio in Gallura, nella serata di ieri, si è aggiunta una frana che ha invaso i binari della linea ferroviaria, nel tratto tra Berchidda e Monti. Per fortuna non ci sono stati feriti. Ma il treno regionale si è dovuto fermare e i passeggeri stati fatti scendere. Sono poi arrivati a destinazione con un autobus messo a disposizione da Trenitalia.

 

_____________

[1]  Solo con il programma integrato d’area NU 13-14 sono stati investiti 4,5 milioni di euro (deliberazione Giunta regionale n. 8/25 del 4 febbraio 2009).

 

Cagliari, Poetto, dopo la bufera di Scirocco (22 gennaio 2017)

Cagliari, Poetto, dopo la bufera di Scirocco (22 gennaio 2017)

(foto S.D., archivio GrIG)


TG 3 – Buongiorno Regione Sardegna su Tuvixeddu!

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Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche). Sullo sfondo le "torri" del complesso Immobiliareuropea s.p.a.

Cagliari, Tuvixeddu, area archeologica (tombe puniche). Sullo sfondo le “torri” del complesso Immobiliareuropea s.p.a.

Buongiorno Regione Sardegna, la trasmissione del TG 3 Sardegna dedicata all’approfondimento giornalistico, martedi 24 gennaio 2017, sarà dedicata al presente e al futuro dell’area archeologica punico-romana di Tuvixeddu, a Cagliari.

Appuntamento per le ore 7.30 di martedi 24 gennaio 2017.

Buona visione!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

(foto S.D., archivio GrIG)


La Foca Monaca: sempre a rischio di estinzione, ma gli esemplari sono in aumento!

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Buone notizie per la Foca monaca (Monachus monachus), l’unica e rarissima foca del Mediterraneo

Foca monaca (Monachus monachus), mare della Sardegna

Foca monaca (Monachus monachus), mare della Sardegna (2010)

Una recente ricerca coordinata dal biologo Alexandros A. Karamanlidis e pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Mammal Review (The Mediterranean monk seal Monachus monachus: status, biology, threats, and conservation priorities, aprile 2016) stima in 700 esemplari la popolazione complessiva del mammifero marino.

Certo è ancora a rischio di estinzione, ma il numero degli esemplari è ben superiore ai 400 precedentemente stimati.

Suddivisa in tre o quattro colonie dove si riproduce (Madera, Capo Blanco, Mar Egeo e, forse, Isole Dalmate), grazie alla straordinaria mobilità compare tuttora in numerose località del Mediterraneo, dalla costa orientale sarda alle Egadi, dall’Istria alle coste triestine, dai litorali algerini a quelli tunisini.

In Sardegna viveva e si riproduceva una colonia forse fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso.

Fondamentali in proposito le ricerche di P. Antonio Furreddu, indimenticabile figura di scienziato.

Dorgali, donne in costume e piccolo di Foca Monaca (anni '60 del secolo scorso)

Dorgali, donne in costume e piccolo di Foca Monaca (anni ’60 del secolo scorso)

Avvistamenti di esemplari erratici ve ne sono stati e ve ne sono tuttora lungo le coste isolane (Carloforte, La Maddalena, Cagliari – Sella del Diavolo, Quartu S. Elena – Is Mortorius, Teulada, Villasimius – Capo Carbonara, Villaputzu – Porto Corallo, litorale di Baunei – Dorgali, Castelsardo, Asinara), ma la piccola colonia della Grotta del Fico (Baunei) è ormai scomparsa.

Oggi, purtroppo, nelle calette del Golfo di Orosei nel periodo estivo barconi vomitano incessantemente bagnanti mordi-e-fuggi e le uniche foche sono riproduzioni nella Grotta del Fico.

Sì, il turismo, pur mal gestito, ha portato un po’ di soldi, ma ha fatto perdere un bel pezzo di anima.

Per questo, per garantire un po’ di pace alla nostra Foca monaca, abbiamo quindi deciso di non divulgare i luoghi di eventuali avvistamenti di cui possiamo venire a conoscenza.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Grotta del Fico, Foca Monaca

Grotta del Fico, Foca Monaca (anni ’60 del secolo scorso)

Grotta del Fico, Foca Monaca

Grotta del Fico, Foca Monaca (anni ’60 del secolo scorso)

 

manifesto a lutto per la Foca Monaca, becero esempio di autolesionismo

manifesto a lutto per la Foca Monaca, becero esempio di autolesionismo (1987)

 

 

 

(foto P. A. Furreddu, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Gli strumenti attuativi non sono eterni.

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Pula, Is Molas, cantiere edilizio

Pula, Is Molas, cantiere edilizio

Gli strumenti urbanistici attuativi non beneficiano della vita eterna.

Come già sostenuto, non esistono diritti edificatori tendenzialmente senza scadenza (vds. sentenza Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656) e nemmeno strumenti urbanistici attuativi (piani di lottizzazione e piani particolareggiati) aventi efficacia potenzialmente sine die (vds. sentenza sez. VI, 5 luglio 2013, n. 5807, sentenza Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2012, n. 3969).

Lo ha ribadito recentemente il T.A.R. Umbria con la sentenza, Sez. I, 28 novembre 2016, n. 745, che ha sottolineato come il termine massimo decennale non sia suscettibile di proroga nemmeno su accordo delle parti interessate (Comune e Soggetto privato), in quanto previsto ex lege.

Se è vero, infatti, che gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica (P.T.C., P.R.G., P.U.C.) hanno durata indeterminata (artt. 6, 11 della legge n. 1150/1942 e s.m.i.), al piano di lottizzazione non può che applicarsi il termine decennale per analogia con quanto previsto per il piano particolareggiato (art. 17 della legge n. 1150/1942 e s.m.i.): “la durata massima dei piani di lottizzazione, se ad essi non fosse applicabile il termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati, sarebbe quella, indeterminata, degli strumenti urbanistici generali, invece di quella decennale dello strumento urbanistico attuativo: il che costituirebbe di per sé motivo di incoerenza” (Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2012, n. 3969).

Badesi, cantiere edilizio in area dunale (maggio 2013)

Badesi, cantiere edilizio in area dunale (maggio 2013)

Così il termine decennale è previsto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, quanto per l’edificazione dei singoli lotti: “non giova … rilevare che l’art. 28 della LUN (legge urbanistica nazionale n. 1150/1942, n.d.r.), come modificato dall’art. 8 della L. 6 agosto 1967 n. 765, preveda un termine decennale soltanto per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione e non per l’edificazione dei singoli lotti, tenuto conto che la fissazione di un termine risponde ad un preminente interesse pubblico, non soltanto per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, ma anche per l’edificazione dei lotti”. E ancora: “il disegno di fissazione di un termine di decadenza per le licenze prima, poi per le concessioni edilizie e poi, ancora, per i permessi di costruire, diretto ad assicurare l’effettività e l’attualità delle nuove previsioni urbanistiche, sarebbe incompleto alla fonte se, prima del rilascio del titolo abilitativo, le lottizzazioni convenzionate avessero l’efficacia di condizionare a tempo indeterminato, con l’affidamento dei suoi titolari, la pianificazione urbanistica futura” (ancora Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2012, n. 3969).

Si tratta, ormai, di giurisprudenza costante.

Infatti, si deve rammentare che “l’art.28 della predetta legge n. 1150/1942, così come modificato dall’art.8 L. 6.8.1967, n.765, avendo dato un particolare rilievo al ruolo dei piani di lottizzazione (che costituiscono ormai strumenti urbanistici specifici preordinati e normalmente alternativi rispetto ai piani particolareggiati), deve essere applicato in via analogica ai piani di lottizzazione medesimi, con la conseguenza che va riconosciuta anche ad essi l’applicabilità del termine massimo di validità decennale entro il quale devono essere attuati (art. 16, comma 5, L. n. 1150/1942) e decorso il quale divengono inefficaci per la parte inattuata (art.17, comma 1, della stessa legge), salvi gli allineamenti e le prescrizioni di zona nel rispetto sia dell’interesse pubblico per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione (cui si riferisce l’art. 28 cit.) che per quello volto alla edificazione dei lotti (cfr. Cons. St., Sez. IV, 3.11.1998, n. 1412; 25.7.2001, n. 4073)”, così come autorevolmente interpretato da Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 200/2003. E così vari altri pronunciamenti giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2007, n. 6170; Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 200; Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 1999, n. 286; Cons. Stato, 3 novembre 1998, n. 1412).

Opportunamente ricorda infine il Consiglio di Stato che nemmeno “può ipotizzarsi una proroga tacita del termine di efficacia di una convenzione di lottizzazione, in conseguenza del rilascio di concessione edilizia da parte del Comune, ovvero in difetto di una espressa revoca della stessa convenzione o della modifica o della introduzione di un nuovo strumento urbanistico, poiché costituisce avviso pacifico in giurisprudenza che, in materia urbanistico-edilizia, l’amministrazione può correttamente manifestare la sua volontà soltanto mediante atti aventi la forma scritta e cioè, avuto presente il caso in esame, o con una nuova convenzione sempre che coerente con le previsioni urbanistiche del territorio comunale e con l’eventuale specifica qualità dei suoli, o con un riesame di quella scaduta, nell’esercizio, ovviamente, dei propri poteri discrezionali volti ad una nuova valutazione di tutti gli interessi in gioco” (sempre Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2012, n. 3969).

Pula, Is Molas, cartelli "inizio lavori"

Pula, Is Molas, cartelli “inizio lavori”

Anche, quindi, se vi fosse accordo fra le parti (Comune e Soggetto privato), “conformemente alla previsione di cui al primo comma dell’articolo 17 della legge urbanistica del 1942, deve ritenersi che il decorso del termine decennale previsto per l’esecuzione del piano particolareggiato (termine, questo, che nel caso di specie risulta certamente spirato) comporta la radicale inefficacia delle previsioni del piano in questione – per la parte rimasta inattuata -, restando fermo soltanto l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti ‘gli allineamenti e le prescrizioni di zona previsti dal piano stesso’” (Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 2013, n. 5807).

Una pronuncia, quindi, che conforta la corretta gestione del territorio, assegnando alle attività di pianificazione attuativa un ragionevole ambito temporale per la relativa esecuzione e mantenendo ai pubblici poteri la possibilità – una volta spirati i termini ultimi di efficacia – di riconsiderare le scelte pianificatorie in vista di una migliore salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici.

Giusto per render l’idea, si tratta della fattispecie riscontrabile in concreto in relazione ai cantieri edilizi sulle dune di Badesi (OT), nelle campagne di Is Molas (Pula, CA), sul litorale di Terra Mala (Quartu S. Elena, CA) e in vari altri luoghi d’Italia.

Vedremo mai i conseguenti interventi da parte delle amministrazioni pubbliche e della magistratura competenti?

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Quartu S. Elena, Terra Mala, lottizzazione San Luce, cartello pubblicitario

Quartu S. Elena, Terra Mala, lottizzazione San Luce, cartello pubblicitario

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 3 gennaio 2017

TAR Umbria Sez. I n.745 del 28 novembre 2016
Urbanistica. Piani di lottizzazione e/o particolareggiati.

Nel sistema normativo attualmente vigente i piani di lottizzazione e/o particolareggiati hanno durata decennale, sicché, decorso infruttuosamente detto termine, essi perdono efficacia. Tale limite temporale, specificatamente stabilito dagli artt. 16, comma 5, e 17 della legge n. 1150 del 1942 per i piani particolareggiati, non è suscettibile di deroga neppure sull’accordo tra le parti e decorre dalla data di completamento del complesso procedimento di formazione del piano attuativo; ciò in quanto la convenzione è per certo un atto accessorio al piano di lottizzazione, deputato alla regolazione dei rapporti tra il soggetto esecutore delle opere ed il Comune con riferimento agli adempimenti derivanti dal piano medesimo, ma che, tuttavia, non può incidere sulla validità massima, prevista dalla legge, del sovrastante strumento di pianificazione secondaria.

********************

00745/2016 REG.PROV.COLL.

00347/2013 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 347 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Coop Centro Italia soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Amici, C.F. MCAFBA68C07D653X, e Alarico Mariani Marini, C.F. MRNLRC31S26A475M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Perugia, via Mario Angeloni, 80/B;

contro

Comune di Foligno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Bartolini, C.F. BRTNTN67T27G478L, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, corso Vannucci, 10;

nei confronti di

Magazzini Gabrielli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe La Spina, C.F. LSPGPP41M21H154W, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via Baglioni, 36;

per l’accertamento

– quanto al ricorso introduttivo notificato il 2 agosto 2013 e depositato il successivo 17 settembre 2013: dell’inadempimento del Comune di Foligno delle obbligazioni assunte con la convenzione urbanistica sottoscritta il 21 novembre 2005, non essendo stata avviata la procedura espropriativa per l’acquisizione di aree di proprietà di soggetti non aderenti al consorzio per l’attuazione del P.P.E. “Il Campus”;

per l’annullamento

– quanto ai motivi aggiunti notificato il 30 dicembre 2014 e depositati il 10 gennaio 2015: della nota del Comune di Foligno in data 11 novembre 2014, prot.0057789, limitatamente alla parte in cui è stato chiesto a Coop Centro Italia soc. coop. entro perentorio termine di giorni 30 di provvedere al pagamento della somma di € 2.145.485,87 a titolo di indennità di esproprio, non ancora determinato nelle forme di legge, da corrispondere alla soc. Magazzini Gabrielli con l’avvertimento che in difetto di pagamento nel termine si procederà alla escussione della fidejussione rilasciata in garanzia;

per l’accertamento

– quanto alla domanda riconvenzionale del Comune di Foligno notificata il 27 febbraio 2015 e depositata il 10 marzo 2015: dell’obbligo di Coop. Centro Italia soc. coop di mettere a disposizione del Comune di Foligno la somma di € 2.145.485,87 a titolo d’indennità di esproprio (ricorso incidentale in via riconvenzionale); nonché per la condanna della ricorrente principale ad adempiere al predetto obbligo mettendo a disposizione senza indugio la predetta somma e per il risarcimento del danno derivante dall’eventuale mancata messa a disposizione di tale somma.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Foligno e di Magazzini Gabrielli s.p.a.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale con domanda riconvenzionale proposto dal ricorrente incidentale Comune di Foligno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Bartolini, C.F. BRTNTN67T27G478L, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, corso Vannucci, 10;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2016 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Con atto di ricorso (n.r.g. (347/13) notificato il 2 agosto 2013 e depositato il successivo 17 settembre 2013, Coop Centro Italia, in qualità di società incaricata in forza di convenzione urbanistica sottoscritta in data 21 novembre 2005, dei lavori di urbanizzazione di un’area industriale situata nel territorio del Comune di Foligno, ha adito l’intestato Tribunale per chiedere che venga accertato il proprio diritto ad ottenere il risarcimento del danno conseguente al mancato e/o ritardato avvio, da parte della predetta Amministrazione comunale, della procedura espropriativa per l’acquisizione delle aree di proprietà di soggetti non aderenti al consorzio per l’attuazione del P.P.E. di cui alla citata convenzione edilizia.

1.2. Nello specifico, la società ricorrente chiede che il Comune di Foligno venga condannato al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma pari ad € 10.831.000,00, ovvero della diversa somma da stabilirsi nel corso del giudizio, anche ai sensi dell’art. 34, comma 4, del codice del processo amministrativo.

1.3. Con successivo atto per motivi aggiunti, notificato il 30 dicembre 2014 e depositato il 10 gennaio 2015, l’odierna società ricorrente ha altresì domandato l’annullamento della nota del Comune di Foligno in data 11 novembre 2014, prot. 0057789, limitatamente alla parte in cui è stato chiesto alla medesima società di provvedere al pagamento della somma di € 2.145.485,87, a titolo di indennità di esproprio da corrispondere alla società Magazzini Gabrielli in qualità di attuale proprietaria di parte dei terreni da espropriare, con l’avvertimento che in difetto di pagamento nel termine si sarebbe proceduto alla escussione della fidejussione rilasciata in garanzia.

  1. Con ricorso incidentale proposto in via riconvenzionale ex art. 42, comma 5, c.p.a., notificato il 27 febbraio 2015 e depositato il 10 marzo 2015, il Comune di Foligno ha di contro chiesto l’accertamento, in via precauzionale, dell’obbligo per la società ricorrente principale di mettere a disposizione, ai sensi dell’art. 1, comma 4, della convenzione urbanistica del 21 novembre 2005, la richiesta somma di € 2.145.485,87 da corrispondere a Magazzini Gabrielli s.p.a., a titolo di indennità di esproprio.
  2. Con memoria depositata in data 19 febbraio 2016, l’Amministrazione comunale ha infine chiesto il rigetto delle domande proposte dalla società ricorrente principale, in ragione dell’adozione del provvedimento di esproprio delle aree in questione (cfr. decreto n. 3, rep. 24348 del 23 marzo 2015) entro la data di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità.
  3. Si è altresì costituita in giudizio la società odierna contro interessata (Magazzini Gabrielli s.p.a.), la quale si è richiamata agli scritti difensivi di cui ai ricorsi n.r.g. 256/2005 e n.r.g. 59/2015, entrambi dichiarati improcedibili.
  4. Alla pubblica udienza del giorno 28 settembre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Con il presente gravame, la società ricorrente principale (Coop Centro Italia), in qualità di soggetto incaricato dei lavori di urbanizzazione primaria di un’area industriale situata nel territorio del Comune di Foligno, ha adito l’intestato Tribunale per chiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del mancato e/o ritardato avvio da parte della predetta Amministrazione comunale, della procedura espropriativa delle aree ricadenti nel piano particolareggiato di cui alla delibera comunale n. 32 del 17 marzo 2005, nonché per l’annullamento della nota 11 novembre 2014, prot. n, 0057789, a firma del dirigente dell’area servizi finanziari del Comune di Foligno, recante l’obbligo per la stessa società ricorrente di mettere a disposizione ex art. 1, comma 4, della convenzione urbanistica del 21 novembre 2005, la somma di € 2.145.485,87 da corrispondere a titolo d’indennità di esproprio a Magazzini Gabrielli s.p.a., in qualità di proprietaria di parte dei terreni da espropriare.

6.1. Alcune preliminari considerazioni in punto di diritto appaiono utili al Collegio ai fini del decidere.

6.2. Nel sistema normativo attualmente vigente i piani di lottizzazione e/o particolareggiati hanno durata decennale, sicché, decorso infruttuosamente detto termine, essi perdono efficacia (cfr., Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2109; idem, T.A.R. Umbria, sez. I., 7 dicembre 2001, n. 650).

Tale limite temporale, specificatamente stabilito dagli artt. 16, comma 5, e 17 della legge n. 1150 del 1942 per i piani particolareggiati, non è suscettibile di deroga neppure sull’accordo tra le parti e decorre dalla data di completamento del complesso procedimento di formazione del piano attuativo; ciò in quanto la convenzione è per certo un atto accessorio al piano di lottizzazione, deputato alla regolazione dei rapporti tra il soggetto esecutore delle opere ed il Comune con riferimento agli adempimenti derivanti dal piano medesimo, ma che, tuttavia, non può incidere sulla validità massima, prevista dalla legge, del sovrastante strumento di pianificazione secondaria (cfr., in detti termini, Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2013, n. 5807; Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2013, n. 1574; Cons. St., sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703).

6.3. Ne consegue che, scaduto il termine di efficacia stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, nella parte in cui esso è rimasto inattuato, non è più possibile portare ad esecuzione gli espropri preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, non potendosi, in particolare, procedere all’edificazione residenziale per assenza di tale fondamentale presupposto (in tal senso, Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2009, n. 6572).

6.4. Tanto premesso, occorre rilevare che nel caso di specie la delibera del Comune di Foligno n. 465 del 17 novembre 2010, ha espressamente preso atto del fatto che la validità decennale del piano particolareggiato in questione, precedentemente approvato con delibera comunale n. 32 del 17 marzo 2005, “decorre dalla data di notifica ai proprietari dell’avvenuta approvazione, ovvero dal giorno 23/05/2005, e pertanto la proroga non può eccedere il termine del 23/05/2015”.

6.5. Risultando, allo stato, ampiamente decorso detto termine finale, detto piano attuativo, nonché tutti gli atti e provvedimenti preordinati alla sua realizzazione, ivi compresi quelli oggetto del presente giudizio, hanno perduto la loro efficacia e non possono pertanto essere portati ad esecuzione.

  1. Ciò comporta che dovranno essere dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, sia l’atto per motivi aggiunti con cui è stato chiesto l’annullamento della nota con la quale il Comune di Foligno aveva intimato a Coop Centro Italia di mettere a disposizione exart. 1, comma 4, della convenzione urbanistica del 21 novembre 2005, la somma di € 2.145.485,87 a titolo d’indennità di esproprio da corrispondere ad uno dei proprietari da espropriare (la Magazzini Gabrielli, s.p.a.), sia il ricorso incidentale proposto in via riconvenzionale exart. 42, comma 5, c.p.a., con il quale la predetta Amministrazione comunale ha chiesto che venga accertato nei confronti della ricorrente suddetta l’obbligo di consegnare tale somma di denaro.
  2. Rimane dunque da esaminare la domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti da Coop Centro Italia in conseguenza del mancato e/o ritardato avvio da parte del Comune di Foligno della procedura espropriativa preordinata alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione di cui allo scaduto piano particolareggiato.

8.1. Osserva al riguardo il Collegio, che il decreto di esproprio del 23 marzo 2015, con riferimento al quale il Comune di Foligno ritiene di aver adempiuto ai propri obblighi di cui alla convenzione urbanistica del 21 novembre 2005, è stato emanato soltanto due mesi prima della scadenza del termine di validità del piano particolareggiato di riferimento, con la conseguenza che la società ricorrente si è trovata nell’evidente impossibilità di provvedere all’espletamento delle attività progettuali ed esecutive ivi previste, trattandosi di piano frattempo divenuto inefficace e quindi non eseguibile.

8.3. Da questo punto di vista, dunque, la responsabilità del Comune di Foligno, per aver ingiustificatamente ritardato i propri adempimenti relativi alla procedura espropriativa, appare senz’altro fondata, anche in ragione degli obblighi dal medesimo assunti con la succitata convenzione urbanistica, nella parte in cui essa dispone che “non essendosi verificate le condizioni per l’attuazione del PPE da parte di tutti i proprietari interessati mediante la costituzione del Consorzio (…) l’Ente (il Comune di Foligno) provvederà, con successivi e specifici atti, agli adempimenti per l’acquisizione delle aree” (cfr. pag 5 della conv.), dando “avvio alla procedura espropriativa entro due anni dalla stipula della presente convenzione (…)”(cfr., art. 2, comma 4, conv. urb.).

8.4. Né è possibile ritenere che un così immotivato ritardo nell’adozione degli atti inerenti la procedura espropriativa, sia in parte addebitabile alla società ricorrente per non aver provveduto a compilare l’elenco dei beni da espropriare e delle somme da offrire per la loro espropriazione ex art. 20 del d.P.R. n. 327 del 2001.

8.5. Tale circostanza non può infatti valere quale esimente in ordine al mancato adempimento degli obblighi assunti in via convenzionale Comune di Foligno, tenuto conto in particolare del fatto che, nel caso di specie, il proprietario dell’area da espropriare (la Magazzini Gabrielli s.p.a.) e i confini della stessa erano ben noti all’Amministrazione comunale, la quale avrebbe pertanto potuto investire l’Agenzia delle Entrate del compito di determinare il valore della indennità provvisoria di esproprio, e dunque procedere all’espropriazione di detti terreni, con congruo anticipo rispetto ai termini riportati nella convenzione urbanistica ed indipendentemente dai comportamenti posti in essere dalla società promotrice del piano particolareggiato.

  1. In conclusione la domanda risarcitoria appare fondata e deve pertanto essere accolta, con condanna del Comune di Foligno a risarcire i danni subiti dalla società ricorrente in conseguenza del ritardo accumulato nell’adozione degli atti inerenti la procedura espropriativa per cui è causa, quantomeno fino alla data del 23 maggio 2015, individuata dalla delibera di giunta comunale n. 465 del 17 novembre 2010, quale termine ultimo di validità del piano particolareggiato.

9.1. Per quanto riguarda l’ammontare del danno da risarcire, rileva il Collegio che esso dovrà essere pari ai soli costi economici sostenuti dalla società ricorrente per la realizzazione delle opere di urbanizzazione poste in essere fino allo scadere del termine di validità del piano particolareggiato.

9.2. Costi, questi, che dovranno essere quantificati e documentati da Coop Centro Italia entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza e che dovranno essere risarciti entro e non oltre 90 giorni dalla loro comunicazione all’Amministrazione resistente, ovvero secondo altre modalità da concordare con la predetta società ricorrente, ferme comunque restando le eventuali e diverse determinazioni che, sempre entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione della presente decisione, potranno essere consensualmente assunte dalle parti in causa, per addivenire ad una diversa composizione della controversia in esame, anche sotto il profilo risarcitorio, mediante l’adozione di un nuovo piano particolareggiato.

9.3. Non ritiene invece il Collegio, di dover accogliere la domanda risarcitoria concernente le voci di danno da immobilizzazione dei capitali da impiegare per le opere in questione e da mancato guadagno per l’inutilizzo delle stesse, non essendo stata fornita prova di un eventuale diverso impiego di detti capitali e dell’effettiva futura destinazione a reddito degli edifici che sarebbero dovuti essere costruiti.

  1. In conclusione, la domanda risarcitoria proposta da Coop Centro Italia va accolta come da motivazione.
  2. Tenuto conto della evidente particolarità della vicenda trattata e del lungo periodo durante il quale si sono svolti i fatti oggetto di causa, si rinvengono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti costituite le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso principale, l’atto per motivi aggiunti e il ricorso incidentale, come in epigrafe proposti:

– dichiara accertato il diritto della società ricorrente principale al risarcimento dei danni subiti come da motivazione e, per l’effetto, condanna il Comune di Foligno al risarcimento degli stessi.

– dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse i motivi aggiunti al ricorso principale e il ricorso incidentale proposto in via riconvenzionale.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Potenza, Presidente

Paolo Amovilli, Primo Referendario

Enrico Mattei, Primo Referendario, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Enrico Mattei Raffaele Potenza
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in Segreteria il 28 novembre 2016

 

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(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


No e ancora no alla caccia al Lupo!

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Lupo europeo (Canis lupus lupus)

Lupo europeo (Canis lupus lupus)

 

Siamo proprio alla follìa.

Il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare sta da tempo portando avanti un’assurda ipotesi di riapertura di caccia controllata al Lupo (Canis lupus) nell’ambito del Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia (dicembre 2015) esaminato a partire dal febbraio 2016 presso il relativo Comitato paritetico Stato – Regioni e adottato in via tecnica il 24 gennaio 2017 da parte della  Conferenza Stato – Regioni e Province autonome.

Il prossimo 2 febbraio 2017 è prevista l’approvazione anche in via politica.

Apecchio, Lupo morto investito da auto (2 novembre 2013)

Apecchio, Lupo morto investito da auto (2 novembre 2013)

La precedente edizione del Piano (2002) prevedeva esclusivamente misure di salvaguardia del Lupo, quella attualmente in discussione prevede la possibilità di abbattere il 5% della popolazione stimata di Lupo in Italia (circa 1.500 esemplari dalla Sila alle Alpi) per risolvere con il piombo eventuali situazioni di conflitto locali con gli allevatori.

La situazione del Lupo in Italia è certamente migliorata nel corso degli ultimi anni[1] proprio grazie alle normative di tutela e alle varie iniziative di contrasto della predazione del bestiame domestico finanziate con fondi comunitari e nazionali.  Tuttavia nel solo periodo 2013-2015 sono stati uccisi da bracconaggio (40,8%) e incidenti vari (45,6%) almeno 115 esemplari. E un altro grave rischio è rappresentato dall’inquinamento genetico.

Una seria politica di gestione ambientale dovrebbe:

  • inasprire la lotta al bracconaggio, elevando pene e sanzioni e potenziando la vigilanza con l’attivazione di squadre specializzate nella prevenzione e nelle indagini antibracconaggio;
  • intensificare il contrasto al randagismo, per prevenire danni al bestiame domestico e il fenomeno dell’ibridazione con il Lupo;
  • diffondere capillarmente gli strumenti di contrasto della predazione del bestiame domestico fra gli allevatori;
  • garantire tempestivi e completi risarcimenti dei danni subiti dagli allevatori, in misura analoga su tutto il territorio nazionale;
  • predisporre e attuare una campagna informativa su “chi è” veramente il Lupo, per confinare nel mondo delle favole quelle che favole sono (es. i rapimenti di persone…);
  • realizzazione di un monitoraggio della specie a livello nazionale e trans-frontaliero (per le Alpi).

Purtroppo, invece, si sta regredendo pericolosamente.

stendardo GrIGIl Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha scritto (25 gennaio 2017) al Ministro dell’ambiente Gianluca Galletti e al Presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini perché non sia permessa la caccia al Lupo.

Invitiamo tutti anche a un ulteriore piccolo impegno: manifestiamo direttamente al Ministro Galletti (segreteria.ministro@minambiente.it) e al Presidente Bonaccini (sbonaccini@regione.emilia-romagna.it) la nostra contrarietà alla caccia al Lupo con un breve messaggio dal seguente tenore:

 

Appennino, Lupo (Canis lupus italicus)

Appennino, Lupo (Canis lupus italicus)

Al Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare,

al Presidente della Conferenza delle Regioni,

Gent.mo Sig. Ministro, gent.mo Presidente,

Vi chiedo di non concedere alcuna deroga che consenta l’abbattimento di Lupi nell’ambito del Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia e in qualsiasi altra forma.

Sono dalla parte del Lupo, così come ritengo che gli allevatori debbano esser sostenuti con politiche di diffusione dei sistemi di contrasto alla predazione del bestiame domestico e indennizzi.

Seguirò con attenzione gli sviluppi della vicenda.

Grazie per il Vostro interessamento, cordiali saluti.

Firma

Il Lupo ha bisogno anche di te, ora.

Gruppo d’Intervento Giuridico

 

 

Tarquinia, Lupo massacrato (24 gennaio 2014)

Tarquinia, Lupo massacrato (24 gennaio 2014)

A.N.S.A., 24 gennaio 2017

Primo sì tecnico a Piano lupo, prevede abbattimento controllato.  Galletti, dobbiamo permettere convivenza lupi-agricoltori. Approvazione politica definitiva il 2 febbraio.

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato nel pomeriggio in sede tecnica il Piano di Conservazione del lupo. L’approvazione finale del piano, in sede politica, è fissata per il 2 febbraio. Lo fanno sapere fonti del Ministero dell’Ambiente. Quest’ultimo ha recepito alcune richieste di modifica da parte degli enti locali, che nel complesso hanno apprezzato il Piano. Una posizione più critica è stata assunta dalla Regione Lazio. Il Piano lupo, elaborato con la collaborazione di un settantina di esperti, prevede 22 azioni per favorire la convivenza fra i lupi e le attività agricole. Negli ultimi tempi l’aumento del numero di questi animali selvatici in Italia ha creato grossi problemi agli allevatori, che hanno visto colpite mandrie e greggi. Il Piano indica tutta una serie di misure da prendere per tutelare gli allevamenti, dalle recinzioni speciali ai rimborsi. La misura più controversa è la 22, che prevede un abbattimento controllato di un numero di lupi non superiore al 5% del numero complessivo in Italia, previo un piano regionale approvato dal Ministero dell’Ambiente. Le associazioni animaliste sono insorte, mentre il Ministero difende la misura, dicendo che non minaccia la sopravvivenza della specie e previene il bracconaggio.

branco di Lupo europeo (Canis lupus lupus)

branco di Lupo europeo (Canis lupus lupus)

Galletti, dobbiamo permettere convivenza lupi-agricoltori.
“Nessuno vuole ammazzare i lupi. Vogliamo una normativa che permetta di conservare la biodiversità e che permetta la convivenza fra i lupi e gli agricoltori”. Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, alla presentazione a Roma della prima edizione del calendario dei Carabinieri dedicato alle specie animali e vegetali a rischio. “Il problema del lupo è ormai evidente – ha detto Galletti -. Mi rifiuto di affrontarlo solo con la pancia, voglio affrontarlo in un modo scientifico. E’ un tema scottante. In certe zone la presenza del lupo è diventata un rischio per le attività agricole. Ci sono attività che chiudono per la presenza dei lupi. Per questo ho messo intorno ad un tavolo 70 esperti, che hanno predisposto 22 azioni per migliorare la convivenza fra i lupi e gli agricoltori”. Le azioni compongono il Piano per la conservazione del lupo, che deve essere approvato in Conferenza Stato-Regioni. Le associazioni animaliste sono già insorte contro il Piano, criticando il fatto che permette un abbattimento controllato degli animali. “La ventiduesima azione – ha spiegato il ministro – prevede che, dopo l’espletamento di un certo numero di procedure (un piano della Regione per il lupo, verificato dal Ministero dell’Ambiente), sia permesso il prelievo di un massimo del 5% del numero complessivo di questi animali sul territorio nazionale. Questa percentuale, dicono gli esperti, non mette a rischio la presenza del lupo in Italia. Se non facciamo questo, il bracconaggio diventerà lo strumento di tutela degli agricoltori. E allora davvero la sopravvivenza del lupo sarà a rischio”.

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[1]  In questi ultimi anni il Lupo ritornato sulle Alpi e nel parco nazionale dell’Alta Murgia, in Puglia.

Italia, distribuzione del Lupo (Canis lupus italicus)

Italia, distribuzione del Lupo (Canis lupus italicus)

 

Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

 

(foto da mailing list ambientaliste, S.D., archivio GrIG)



Il giorno della memoria.

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Germania, negozio di ebrei deturpato, 2007

Germania, negozio di ebrei deturpato, 2007

 

Il 27 gennaio è il giorno della memoria.

Per non dimenticare mai quello che è accaduto, anche in Italia.

Proponiamo la storia di una ragazza, Marta Ascoli, cresciuta anzitempo fra tragedie devastanti e quell’incubo umano della shoah.

Che rimangano impresse queste poche parole, perchè questo non accada mai più.

Non c’è bisogno di molti commenti.

Per chi volesse sentire dalla viva voce di chi ha vissuto quei tragici momenti segnaliamo l’iniziativa promossa dall’Associazione dei Sardi in Torino “A. Gramsci”:

Sabato 28 gennaio 2017 presso la sede dell’ANPI in via Bianzè 28/aMario Gesuino Paba (classe 1924) cittadino torinese di origine sarda, racconta la sua storia da prigioniero nel lager nazista di Buchenwald. 83964 un numero che è diventato il suo nome per settecento giorni, quei giorni che l’hanno visto soffrire insieme ai suoi commilitoni tra il filo spinato di un campo di concentramento. Gesuino è socio onorario dell’Associazione dei Sardi in Torino “A.Gramsci”.  Nell’ottobre 1943, dopo l’armistizio viene catturato nella caserma di appartenenza, a seguito dei rastrellamenti tedeschi. Una storia che Mario, ex carabiniere, non voleva mai più ricordare ma che oggi è finita tra le pagine di un libro, quasi a segnare la memoria dei suoi compaesani. A diciasette anni, arruolato nell’Arma dei Carabinieri, dopo un breve periodo alla Scuola allievi di Roma, viene inviato sul fronte greco-balcanico. E’ l’inizio dell’inferno e di quel viaggio in prigionia che lo condurrà nei lager nazisti.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Trieste, Marta Ascoli nella Risiera di San Sabba

Trieste, Marta Ascoli nella Risiera di San Sabba

da I nomi della Shoah Italiana

Marta Ascoli, figlia di Giacomo Ascoli e Ida Tommasini è nata in Italia a Trieste il 9 novembre 1926.
Arrestata a Trieste (Trieste). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz.
È sopravvissuta alla Shoah.

 

 

stella gialla di riconoscimento che gli ebrei dovevano obbligatoriamente portare sugli indumenti nei territori occupati dai tedeschi (1939-1945)

stella gialla di riconoscimento che gli ebrei dovevano obbligatoriamente portare sugli indumenti nei territori occupati dai tedeschi (1939-1945)

da Maria Mole’s weblog (2010, 2015)

PER NON DIMENTICARE LA SHOAH: LA STORIA DI MARTA ASCOLI.

Il Parlamento italiano, con la Legge n° 211 del 20 luglio 2000, ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio GIORNO DELLA MEMORIA in ricordo delle vittime del nazionalsocialismo (nazismo) e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. La data è stata scelta perché all’inizio del 1945, proprio il 27 gennaio, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa abbatterono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz liberando i pochi superstiti.

Da quel giorno, proprio grazie alla voce dei sopravvissuti allo spaventoso genocidio voluto da Hitler, furono svelate al mondo le atrocità commesse dai nazisti nei vari campi di concentramento. Anche se Auschwitz è per antonomasia il Campo di Sterminio, furono ben 1.188 i campi realizzati dai tedeschi in cui vennero deportati 13.000.000 di uomini, donne e bambini di ogni Paese d’Europa e di questi 12.000.000 furono sterminati.

Della Shoah si sa ormai davvero tanto, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e alla letteratura sul tema. Uno dei testi più noti è il romanzo-testimonianza di Primo LeviSe questo è un uomo. Io, però, oggi vorrei parlare di una “voce della Shoa” meno conosciuta, quella di Marta Ascoli, triestina, deportata ad Auschwitz nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1944. Aveva solo 17 anni e da quel giorno la sua vita di studentessa delle magistrali cambiò del tutto e per sempre. Dopo oltre cinquant’anni di silenzio e una lunga maturazione, Marta è riuscita a raccontare la sua esperienza in un piccolo ma toccante libro: Auschwitz è di tutti. Non solo, ha avuto la forza e il coraggio di portare la sua testimonianza in giro per l’Italia, in numerose scuole, perché i ragazzi devono sapere quello che lei, alla loro età, ha vissuto. Soprattutto perché i giovani conoscano la verità e non la dimentichino mai.

Forse non tutti sanno che la Risiera di San Sabba a Trieste è l’unico esempio di lager nazista in Italia. I nazisti utilizzarono il complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso costruito nel 1913 in un primo tempo solo come campo di prigionia provvisorio, poi come Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia). Nella risiera vennero soppresse e bruciate tra le tre e le cinquemila persone – triestini, sloveni, croati, friulani, istriani ed ebrei – ma ben maggiore fu il numero di prigionieri – ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei – smistati verso altri campi di sterminio o di lavoro coatto.
La Risiera fu quasi semidistrutta dai nazisti in fuga, utilizzata poi come campo profughi e nel 1975 fu ristrutturata dall’architetto Romano Boico. Dal 1965 è monumento nazionale e dalla riapertura è meta di pellegrinaggi da ogni parte d’Italia.

Tornando a Marta Ascoli, la sua deportazione fu, come tante altre, del tutto insensata anche perché non è ebrea. Non che la deportazione degli ebrei abbia un senso, ovviamente, ma lei è cattolica, battezzata dalla nascita, sua madre era cattolica e i suoi genitori pure, aveva tre nonni ariani. Tuttavia, dato che il suo è un cognome di città e i cognomi di città hanno di solito origine ebrea, a nessuno interessò questo fatto né alcuno ascoltò la voce della madre che con tutte le sue forze tentò di opporsi alla deportazione della figlia e del marito, dopo che lei fu liberata dal campo triestino. Marta e il padre, invece, dalla Risiera di San Sabba proseguirono il loro viaggio di dolore e morte fino ad Auschwitz. Il padre morì ma Marta, inaspettatamente e miracolosamente, sopravvisse. Eppure il 16 agosto 1944 alla madre arrivò una lettera firmata dall’SS. Oberhauser; poche e lapidarie parole per comunicale che Marta e Giovanni, il marito, erano morti, vittime di un attacco terroristico vicino a Monaco. Il convoglio su cui viaggiavano per essere trasferiti da un lager di transito all’interno della Germania era stato bruciato cosicché risultava difficile riconoscere i corpi carbonizzati. Ma Marta era là, secondo Oberhauser, ed era morta. Suona strana, nel documento, la parola “atto terroristico”, come se la deportazione di milioni di ebrei e anche non ebrei, semplicemente “nemici” del regime o appartenenti a “razze” diverse da quella ariana, non lo fosse.

Marta era ad Auschwitz, anche se la mamma non lo sapeva, ma avrebbe preferito essere morta davvero in quel convoglio bruciato. Eppure era là, privata di tutto, vestita di pochi stracci, sempre gli stessi, in tutte le stagioni, con il caldo e il freddo, senza acqua per lavarsi, senza cibo, senza un nome, solo un numero, e soprattutto senza dignità. Testimone oculare di sevizie di ogni genere, di vite che finivano, di morti invocate. Le malattie si diffondevano velocemente nelle baracche sovraffollate che servivano da ricovero per i deportati, nelle poche ore che venivano concesse al riposo. La denutrizione e l’assoluta mancanza d’igiene facevano il resto: ogni giorno Marta si confrontava con la morte, lei giovane donna di soli diciassette anni che aveva sempre amato la vita e che nei sogni di ragazza aveva spesso immaginato il futuro. Ma quel futuro, che ora per lei rappresentava il presente, era davvero inimmaginabile.

Ogni giorno nel campo avvenivano le selezioni per la camera a gas. Marta ne superò quattro fino all’ottobre 1944. Dell’esperienza che “superava ogni credibilità”, la Ascoli parla in questi termini:

La cosa più assurda era che non sempre si era scelte perché ritenute inabili al lavoro, sistema crudele ma che aveva per i nostri aguzzini una sua logica. Talvolta usavano il sistema di contarci ogni tre, ogni quattro, a caso, e ridendo segnavano il nostro numero sul taccuino, decidendo la nostra fine.auschwitzditutti

Le giornate nel lager trascorrevano tutte uguali, fra lavoro e punizioni. I lavori erano per lo più assurdi: ad esempio, dovevano stracciare dei tessuti, ricavandone strisce uguali che a gruppi di tre venivano fissate ad un tavolo con un chiodo. Le internate dovevano poi confezionare delle trecce lunghe almeno tredici centimetri, resistenti perché altrimenti i Kapò punivano le malcapitate. Non si sapeva bene a cosa poi servissero quelle trecce di stoffa, ma se il lavoro non veniva svolto bene ne seguiva la giusta punizione. Una di quelle che divertivano maggiormente le SS era chiamata “sport”. Così la descrive Marta:

Nel poco tempo che ci era concesso per mangiare la zuppa, le SS che erano di turno, donne incluse, per ragioni insignificanti e spesso anche senza motivo alcuno sceglievano parecchie persone, obbligandole a correre senza fermarsi avanti e indietro, o a inginocchiarsi a lungo o a portare grosse pietre finché cadevano sfinite. Quando crollavano a terra, e ciò succedeva spesso, i militi intervenivano con bastonate e ridevano tra di loro. Credo che questo si possa definire con una sola parla: sadismo.

Il 31 dicembre 1944 Marta fu trasferita a Bergen-Belsen, lo stesso campo di concentramento in cui morì Anna Frank. Il luogo non era stato pensato come campo di lavoro, quindi i deportati non avevano nulla da fare. Proprio perché gli “ospiti” del lager non prestavano alcun servizio, i Tedeschi ritenevano inutile mantenerli in vita, quindi il cibo era poco e saltuario, tanto che si erano verificati casi di cannibalismo. Marta era allo stremo delle forze e si augurava di morire presto per alleviare le sofferenze. Ma la morte che portava via ogni giorno tante vite, sembrava disinteressarsi a lei ed essere insensibile alle preghiere con cui l’invocava. Fu così che la giovane volle andarle incontro:

Un pensiero mi assillava: morire prima possibile per evitare il prolungarsi di atroci sofferenze.
Io che avevo cercato di resistere fino all’ultimo, ero ormai distrutta. Invocavo la morte che si attardava su di me, invidiavo chi al mio fianco aveva finito di soffrire. Cercavo solo il modo di chiudere al più presto questa indicibile agonia. Mi alzai dal mio giaciglio e scavalcai i corpi dei morti e dei vivi accanto a me; non potevo più sopportare i loro gemiti, la loro agonia e il fetore che c’era nella baracca; io stessa ero nelle loro condizioni e sapevo di essere impotente a portare qualsiasi aiuto
. […] Sorreggendomi a fatica mi inoltrai nella zona boscosa che si trovava ai lati delle baracche e mi avvicinai al filo spinato che circondava tutto il comprensorio. […] Giunta nei pressi della recinzione, un milite che io ritenni molto giovane mi vide e avanzò verso di me. Mi intimò di spostarmi, ma io non mi mossi, lo guardai fisso e lo supplicai di spararmi. A questo punto egli si voltò e senza dire nulla si allontanò nella direzione opposta. […] Il mio tentativo fallì, ma il gesto sta a dimostrare a che punto fosse giunta la mia disperazione, sapendo che mi attendeva una fine atroce assieme agli altri.

Poi, ormai insperata, giunse la liberazione: il 6 luglio 1945 Marta seppe che sarebbe tornata a casa.
Il ritorno a Trieste fu emozionante. La madre, credendola morta, quasi svenne dalla sorpresa e dalla gioia. Ma ritornare a vivere dopo quei lunghi mesi di dolore non fu facile: la famiglia stette vicina a Marta e la curò, ma lei era minata non solo nel fisico, anche nell’animo, cosa che rese difficoltoso il recupero completo. Della sua ripresa la Ascoli racconta:

Dopo le esperienze passate, per molti anni sono stata ossessionata da incubi: il fischio dei treni, il fumo delle ciminiere, il sentir gridare in tedesco ancor oggi mi fa sussultare e tuttora, anche se saltuariamente, faccio sogni attinenti a quel lager infernale. L’esperienza che ho attraversato ha cambiato molto il mio carattere, minando la mia volontà, una volta ferrea, e riuscendo a farmi perdere il mio ottimismo e la fiducia nel prossimo.

Rimane un segno indelebile di quella esperienza: il numero tatuato sul braccio sinistro che Marta non ha mai cercato di nascondere; dice, infatti: ho sempre pensato che la vergogna di averci marchiato doveva ricadere su chi ce l’aveva imposto.

Grazie al contributo di Marta Ascoli e di molte altre persone che più di sessant’anni fa hanno subito la deportazione e l’odio razziale insensato e irrazionale, noi oggi possiamo conoscere quella verità che solo i testimoni diretti possono riferirci.
La signora Ascoli conclude il suo libro, Auschwitz è di tutti, con queste parole:
Auschwitz è patrimonio di tutti.
Nessuno lo dimentichi, nessuno lo contesti.
Auschwitz rimanga luogo di raccoglimento e di monito per le future generazioni
.

Noi celebriamo il Giorno della Memoria, appunto, per non dimenticare. Il ricordo che conserviamo del nostro vissuto nella mente e nel cuore si affianchi a quella memoria civile che non può e non deve essere dimenticata, perché è la memoria di un popolo, quindi la memoria di tutti.

 

Trieste, Piazza Unità d'Italia

Trieste, Piazza Unità d’Italia

(foto da mailing list sociale, P.F., archivio GrIG)

 


Realizzare una discarica controllata in area agricola è un fatto non ordinario, ma possibile.

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quattro spighe nel campo di grano

quattro spighe nel campo di grano

Rilevante sentenza del T.A.R. Liguria nello spinoso tema dell’ubicazione delle discariche controllate.

La sentenza T.A.R. Liguria, Sez. I, 14 dicembre 2016, n. 1237 ha riconosciuto legittima l’autorizzazione per la realizzazione di una discarica di inerti in area agricola, in quanto la destinazione agricola della zona ha la finalità di impedirne la trasformazione residenziale, ma non di escludere – in via assoluta – la realizzazione di interventi di modifica del territorio, se autorizzati sotto gli altri aspetti ambientali e urbanistico-territoriali.

Infatti, la “prevalente opinione giurisprudenziale … a mente della quale la destinazione a zona agricola di un’area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone, in positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha lo scopo soltanto di evitare insediamenti residenziali, e quindi non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l’edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna: così, ad esempio sono stati ritenuti via via compatibili, con zone agricole, impianti di derivazione di acque pubbliche, attività di cava, depositi di esplosivi e, infine, anche discariche per rifiuti, come nella fattispecie ora in esame (cfr. ad es. Tar Salerno 1500\2013 e CdS 3818\2012, oltre a Cge 28\7\2016)”.

Giurisprudenza, quindi, non univoca sul punto, il dibattito non terminerà qui.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

campo di grano

campo di grano

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 23 gennaio 2017

TAR Liguria Sez. I n.1237 del 14 dicembre 2016
Rifiuti. Realizzazione discarica in zona agricola.

La destinazione agricola ha lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non di precludere, in via assoluta e radicale, qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante. Non è, pertanto, esclusa la realizzazione, in via assoluta, in zona agricola, di un impianto destinato a discarica.

*****

01237/2016 REG.PROV.COLL.

00597/2015 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 597 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Comune di Santo Stefano al Mare, Paolo Busca, Eleonora Fasano, Luciano Dal Cortivo, Gianfranco Ghirardi, Gianfranco Bertelli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Ponte C.F. PNTCRL64E04D969J, Franco Rusca C.F. RSCFNC49P14D969K, con domicilio eletto presso Carlo Ponte in Genova, via Palestro, 2/11;

contro

Provincia di Imperia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Manolo Crocetta C.F. CRCMNL72S23L781Q, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, c/o Tar Liguria;
Comune di Terzorio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Gaggero C.F. GGGPLA64P27I480S, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Roma 4/3;
Regione Liguria, Asl N.1 – Imperiese, Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali, A.R.P.A.L. non costituiti in giudizio;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane 2;
Autostrada dei Fiori S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Piergiorgio Alberti C.F. LBRPGR43C28I138Y, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Corsica 2/11;

nei confronti di

Società Siter S.r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Alberto Quaglia C.F. QGLMRA48H13D969Z, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Roma 4/3;

per l’annullamento

del provvedimento 21/4/15 n. h2/408 concernente progetto per la realizzazione di una discarica di inerti

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Imperia e di Comune di Terzorio e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Autostrada dei Fiori S.p.A. e di Società Siter S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2016 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in esame il Comune di Santo Stefano al Mare e gli altri soggetti, ricorrenti in qualità di proprietari di immobili e di titolari di interessi in zona, impugnavano gli atti di cui in epigrafe, recanti l’approvazione del progetto di discarica per inerti ed autorizzazione all’approntamento ed alla gestione del primo lotto funzionale, situata in Comune di Terzorio e coinvolgente il territorio della stessa p.a. ricorrente in specie per la viabilità di accesso.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, avverso tali atti venivano quindi dedotte una serie complessa ed articolata di censure sotto i seguenti profili così riassumibili:

– violazione degli artt. 9 l. 1150\1942, 208 d.lgs. 152\2006 e diversi profili di eccesso di potere per mancata pubblicazione a fini urbanistici per le osservazioni;

– violazione dei prg dei due comuni interessati, per contrasto con la destinazione agricola;

– violazione degli artt. 146 d.lgs 42\2004 e 208 cit., per difetto di istruttoria e di motivazione paesaggistica;

– analoghi vizi per la violazione del ptcp;

– violazione degli artt 6 l.r. 39\2008, 23 l.r. 1\2014, diversi profili di eccesso di potere per inapplicabilità del piano provinciale rifiuti;

– violazione degli artt. 2 l.r. 38\1998 e 14 bis l. 241\1990 per mancato coordinamento fra variante al piano e conferenza di servizi;

– violazione degli artt. 13 l.r. 38 cit. e 178 d. 152 cit., per irragionevolezza della via così come effettuata;

– violazione dell’art. 208 cit. ed incompetenza del provvedimento dirigenziale;

– incompetenza per mancata approvazione consiliare della variante;

– violazione degli artt. 13 cit e 208 cit per eccesso di prescrizioni;

– violazione degli artt. 1 ss. R.d. 3267\1923, 35 ss. L.r. 4\1999 per mancata valutazione idrogeologica;

– violazione degli artt. 2 ss. D.m. 1404\1968 e 26 codice della strada e diversi profili di eccesso di potere per violazione della fascia di rispetto autostradale;

– violazione sotto diversi profili del piano di bacino in relazione al rio che scorre nel sito interessato;

– difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento, illogicità, in relazione alle criticità sulla viabilità pubblica via via manifestate dal Comune ricorrente.

Le parti intimate si costituivano in giudizio e, replicando punto per punto, chiedevano il rigetto del gravame.

Con atto di motivi aggiunti veniva esteso il motivo quindici, in tema di violazione della fascia di rispetto autostradale, in relazione ai pareri favorevoli della società autostradale interessata, sia per la previa subordinazione al mancato interferimento col viadotto Conioli sia per la mancanza del progetto esecutivo.

Alla pubblica udienza del 30\11\2016, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

  1. Il primo motivo di gravame va dichiarato inammissibile, nei termini condivisibilmente eccepiti dalle parti resistenti, sulla scorta del principio a mente del quale nel processo amministrativo un ricorso collettivo – quale quello in esame – è ammissibile solo quando esiste identità sostanziale e processuale dell’interesse di cui si chiede tutela tra i singoli ricorrenti, non siano in alcun modo configurabili conflitti di interesse tra gli stessi, le posizioni soggettive dei numerosi ricorrenti sono adeguatamente specificate ed è dimostrata la convergenza dei loro interessi in ordine al giudizio (cfr. ad es. CdS 1120\2016 e Tar bologna 809\2016). Nel caso de quo, infatti, l’adempimento la cui mancata adozione è contestata (cioè l’attivazione della pubblicazione della variante a fini di acquisizione delle osservazioni, invero necessario per principio generale di ogni modifica generale alla pianificazione vigente) faceva capo allo stesso comune ricorrente, cosicchè il relativo difetto di interesse non può che riverberarsi sull’intero motivo di ricorso collettivo proposto con i privati ricorrenti.
  2. Il secondo motivo è in parte inammissibile, nella parte relativa alla pianificazione del Comune ricorrente, – per le stesse ragioni di cui al primo motivo – ed in parte infondato, a fronte della ormai prevalente opinione giurisprudenzale, cui non emergono nella specie ragioni per discostarsi anche a fini di certezza del diritto, a mente della quale la destinazione a zona agricola di un’area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone, in positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha lo scopo soltanto di evitare insediamenti residenziali, e quindi non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l’edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna: così, ad esempio sono stati ritenuti via via compatibili, con zone agricole, impianti di derivazione di acque pubbliche, attività di cava, depositi di esplosivi e, infine, anche discariche per rifiuti, come nella fattispecie ora in esame (cfr. ad es. Tar Salerno 1500\2013 e CdS 3818\2012, oltre a Cge 28\7\2016).

In proposito, la destinazione agricola ha lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non di precludere, in via assoluta e radicale, qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante. Non è, pertanto, esclusa la realizzazione, in via assoluta, in zona agricola, di un impianto destinato a discarica. Nel caso de quo, in ogni caso, la censura appare genericamente dedotta con riferimento alla destinazione agricola, senza evidenziare le necessarie eventuali particolari peculiarità dell’area a ciò ostative, secondo il prevalente orientamento sopra richiamato.

  1. Prima facie destituiti di fondamento appaiono i tre ordini di motivi successivi, concernenti i vincoli paesaggistici sussistenti in loco. In disparte di ogni considerazione astratta, dall’analisi della documentazione versata in atti emerge la sottoposizione del progetto ad adeguata istruttoria e la relativa esplicazione delle valutazioni svolte in un ordito motivazionale che, nei limiti di sindacabilità propri della presente sede, resistono al vaglio delle censure genericamente dedotte al riguardo. In tale ottica va richiamata in specie l’autorizzazione paesaggistica (doc.n. 32) che analizza il progetto alla luce del vincolo e del piano di coordinamento. Né alcun rilievo assume il mero utilizzo della motivazione per relationem, invero ampiamente ammesso anche in materia (cfr. ad es. Tar Liguria n. 651\2015), purchè emerga – come nella specie – lo svolgimento di una valutazione e l’esplicazione delle relative ragioni. Anche in relazione alla presunta carenza del s.o.i., le censure sul punto confermano la relativa genericità di deduzione, non avendo affrontato in alcun modo la verifica della adeguatezza dell’ampia documentazione acquisita e valutata dalle pp.aa. coinvolte (fra cui lo stesso Comune ricorrente), fra cui in specie gli studi di impatto ambientale.
  2. In relazione al settimo motivo, concernente i dubbi sollevati circa l’inefficacia del piano provinciale rifiuti, la relativa infondatezza emerge sotto due profili: per un verso, generale e pianificatorio, l’invocata inefficacia dovrebbe accompagnarsi all’indicazione di quale piano viga, non essendo ragionevole perseguire un’opzione ermeneutica tale da lasciare il territorio – ed una materia così delicata quale quella in esame – senza alcuna pianificazione; per un verso più strettamente normativo, in quanto l’art. 6 comma 3 l.r. 39\2008 (invero conformemente al principio predetto) statuisce che “I Piani provinciali per la gestione dei rifiuti già approvati mantengono efficacia fino all’approvazione del nuovo Piano regionale per la gestione dei rifiuti relativamente ai seguenti contenuti: a) individuazione, sulla base delle previsioni del Piano territoriale di coordinamento di cui alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) e dei criteri definiti nel Piano regionale di gestione dei rifiuti, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti”.

Pur dinanzi ad un dato normativo regionale spesso gravemente incerto, stante il frequente mutamento e il non costante coordinamento con la preminente disciplina regionale, nel caso de quo la norma invocata da tutte le parti appariva chiara nonché conforme ai richiamati principi di ragionevolezza.

  1. In relazione ai seguenti due ordini di motivi, concernenti la valutazione di impatto ambientale, emerge prima facie l’inadeguatezza delle deduzioni, sia di carattere procedimentale che di natura sostanziale. Sotto il primo profilo, la presunzione circa la necessità dell’avvio della v.i.a. successivo alla concertazione, oltre ad apparire non necessaria (in quanto ciò che rileva semmai è la relativa epoca di conclusione), non trova alcun conforto nella preminente disciplina nazionale, costituente la cornice di principio alla cui luce esaminare ed applicare ogni regola asseritamente vigente in materia, a partire da quelle procedurali. Sotto il secondo profilo, a fronte di una generica deduzione assertiva di una presunta disamina disarticolata – con conseguente genericità del vizio -, l’analisi della documentazione versata in atti evidenzia la sussistenza di una valutazione adeguata, nei limiti di sindacato del presente giudizio, non avendo parte ricorrente indicato elementi concreti di travisamento di fatto ovvero di manifesta illogicità.

Analoghe considerazioni possono estendersi relativamente ai due ulteriori motivi, concernenti l’autorizzazione ed il rispetto dell’art. 208 cit., in quanto alla assoluta genericità delle deduzioni (che emerge palese laddove si contesta il ricorso alla norma regionale senza alcuna indicazione dei profili concreti che non sarebbero conformi a quella statale) si accompagna l’analisi della documentazione versata in atti da cui risulta il necessario coinvolgimento di diversi soggetti pubblici, fra cui lo stesso comune ricorrente, ognuno per la parte di propria competenza.

Parimenti manifestamente infondata appare la censura dodicesima, formulata in via subordinata, sia per la vigenza e l’applicazione della norma statale di principio sia per il rispetto del principio generale che attribuisce la competenza all’organo gestionale.

Palesemente viziata in termini di genericità è la censura tredicesima in cui, limitandosi a contestare la sussistenza di numerose prescrizioni, parte ricorrente ha del tutto omesso l’analisi delle stesse al fine anche solo di paventarne l’irragionevolezza ovvero il travisamento di fatti.

Analoghe considerazioni vanno svolte rispetto alla censura quattordici, formulata “al buio” senza alcuna verifica in concreto circa la sussistenza dei vincoli invocati ovvero delle carenze nelle valutazioni che le pubbliche amministrazioni coinvolte hanno comunque svolto.

  1. A diverse conclusioni deve giungersi relativamente al quindicesimo motivo, in relazione alla sussistenza del vincolo autostradale.

Premesso che in linea di fatto è pacifica la parziale intersezione fra un lato della discarica e la fascia di rispetto in questione, in linea di diritto assume rilievo preminente e dirimente il costante orientamento giurisprudenziale, anche della sezione (cfr. Tar Liguria nn. 276\2015 e 228\2015 nonché giurisprudenza ivi richiamata): il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

Analogamente si è espressa, in termini di principio, la giurisprudenza invocata dalle parti resistenti (CdS 347\2015): il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata atteso che il suo scopo non è solo quello di garantire la sicurezza del traffico e l’incolumità delle persone, ma anche di assicurare al concessionario una fascia di terreno da utilizzare, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.

Tale precedente, invocato dalla difesa provinciale quale esempio di inapplicabilità e di individuazione di limite di rilevanza del principio affermato, all’opposto lo conferma, sia in quanto anche tale decisione parte dal medesimo principio, sia in relazione all’eccezionalità della situazione di deroga, avendo il caso invocato ad oggetto una fattispecie completamente diversa dalla presente. Infatti, in quell’ipotesi si trattava dell’ampliamento di una casa di civile abitazione – già esistente – nella porzione opposta a quella posta verso l’autostrada; inoltre l’immobile era situato ad una distanza in altezza superiore ai 70 metri, oltre ad essere collocato su di un’altura sovrastante l’autostrada, mentre nel caso de quo trattasi di intervento del tutto innovativo, destinato a trasformare completamente la zona sottostante direttamente il viadotto, con il continuo movimento di mezzi e personale.

In proposito, circa l’estensione del vincolo anche per le aree collocate a livello più basso delle carreggiate, va richiamato il principio consolidato per cui il divieto legale di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale ha natura assoluta e non ammette deroghe, sussistendo anche nel caso in cui il sedime autostradale si trovi ad un livello diverso da quello della realizzanda costruzione. Le distanze previste dalla normativa vanno perciò rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. ad es. Tar Lazio 4999\2015).

Stante la finalità del vincolo, non è invocabile una nozione di costruzione analoga a quella meramente edilizia di nuova costruzione, come nel caso de quo dove è prevista una totale trasformazione dell’area con la realizzazione di un impianto altamente impattante, quale una discarica, in cui sono destinati ad operare continuamente mezzi e persone. La stessa natura del vincolo rende irrilevante l’eventuale finale parere favorevole della società concessionaria, le cui valutazioni comunque si scontrano – soccombendo – con le considerazioni sin qui svolte.

  1. Ancora infondate, invece, appaiono le ultime due censure. Sia quella di cui al motivo sedici, nella limitata parte in cui lo stesso appartiene alla cognizione del giudice amministrativo e non a quello speciale dotato di più ampia cognizione in tema di acque, in quanto le valutazioni positive svolte trovano fondamento nella previsione di cui all’art. 7 comma 2 del regolamento regionale 147\2011. Sia quella di cui al motivo diciassette, in parte inammissibile in termini di ricorso collettivo (riguardano elementi concernenti la partecipazione al procedimento dello stesso comune ricorrente) e nella restante parte contraddetto dalle risultanze della documentazione in atti, da cui emerge una valutazione degli elementi proposti, conclusa in termini ragionevoli e conformi allo stato di fatto che esclude la fattibilità di percorsi alternativi.
  2. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va accolto limitatamente al vizio dedotto con il motivo quindici, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Sussistono giusti motivi, a fronte della complessità della questione e della fondatezza di un solo motivo sui diciotto proposti, per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Paolo Peruggia, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Davide Ponte Giuseppe Daniele
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in Segreteria il 14 dicembre 2016

 

campo di mais

campo di mais

(foto Cristiana Verazza, C.B., S.D., archivio GrIG)


Neve, ghiaccio e piombo.

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bossoli abbandonati in campagna da cacciatori

bossoli abbandonati in campagna da cacciatori

Riceviamo e pubblichiamo volentieri, come di consueto.

Ricordiamo ai nostri amici – perché tali li consideriamo – cacciatori che un po’ di sano buon senso è il sale della vita.

Neve, ghiaccio, sono fatti oggettivi.

Valgono per tutti e non hanno colori di parte.

Davanti a fatti oggettivi è solo stupido chiedere anche un solo quarto d’ora in più di caccia.

Perchè di questo si tratta.

Chi non lo capisce ha capito poco anche della sola stessa essenza della vita animale, a quattro e a due zampe. Oppure a due ali.

Il resto lascia il tempo che trova. Compreso il fatto che i cacciatori sardi han “scelto” di cacciare due giorni alla settimana, perchè è la legge che ha “scelto” per loro e per tutti.

Fringuello (Fringilla coelebs) e cartuccia

Fringuello (Fringilla coelebs) e cartuccia

Le associazioni venatorie potrebbero, per esempio, prender posizione su fatti ben più pesanti per le condizioni ambientali del territorio come i nuovi provvedimenti per la sdemanializzazione delle terre civiche oppure in favore delle bonifiche ambientali di territori inquinati.  Sarebbe un bel segnale, d’interesse pubblico generale. Oltre la punta del naso del proprio interesse particolare.

E, santo Cielo, saremmo tutti dalla stessa parte!

Buona vita, senza piombo.

p. Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, Lega per l’Abolizione della Caccia, Amici della Terra

Stefano Deliperi

 

p.s. vogliam parlare di incendi e senso civico? Prego…

Capriolo ucciso, a terra

Capriolo ucciso, a terra

Gentilissimo Dottor Deliperi,

solo oggi ho letto la Sua esternazione pubblicata sul Vostro sito e riportata anche dai social, avente come titolo: “La vera natura delle associazioni venatorie sarde: egoismo e disinteresse verso l’ambiente”. Per chi volesse leggerla: https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2017/01/19/la-vera-natura-delleassociazioni-venatorie-sarde-egoismo-e-disinteresse-verso-lambiente/

Sinceramente, da una persona del Suo spessore non mi sarei mai aspettato un simile autogol, perché vede Dottor Deliperi, quando si fanno certe affermazioni, poi si subiscono anche le conseguenze… Mi meraviglia la Sua preoccupazione sul fatto che i Cacciatori possano esercitare il giusto prelievo e mi meraviglia ancora di più la Sua mancanza di conoscenza delle norme che regolano l’attività venatoria, o forse ha fatto finta di ignorarle, pur di attaccare una categoria che a Voi animalisti potrebbe solo insegnare tante cose! A tal proposito, visto che Lei ignora, Le ricordo che il comma m dell’Art. 21(Divieti) della L.157/92 recita: “cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, secondo le disposizioni emanante dalle regioni interessate”. Così come previsto dalla Legge Regionale 23/98, che al comma o dell’Art. 61 (Divieti) recita: “cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve”. Noi Cacciatori rispettiamo le leggi! Nella Sua missiva ha scritto che a causa delle abbondanti nevicate alcuni paesi e ovili sono rimasti isolati, con conseguenti difficoltà per uomini e animali. Forse Lei non è al corrente (ecco perché deve sapere) che in tante zone della Sardegna, i Cacciatori Sardi, che in parte mi onoro di rappresentare, nonostante potessero esercitare l’attività venatoria in tantissime altre zone, hanno appeso momentaneamente i fucili al chiodo e sono andati ad aiutare allevatori e animali in difficoltà, e voi invece dove eravate? A già, Lei era comodamente al caldo impegnato a scrivere la lettera contro i Cacciatori…In tutta onestà questo non mi meraviglia, considerato che come abbiamo sfidato il freddo abbiamo sfidato anche il caldo, allorquando ci siamo mobilitati per spegnere gli incendi e successivamente per acquistare e trasportare il foraggio per gli allevatori residenti nelle zone colpite dal fuoco: non ricordo di aver visto Lei o qualche Suo adepto neanche in queste occasioni… Sicuramente era più confortevole il refrigerio di un buon climatizzatore. Caro Dottor Deliperi, le Associazioni CPA Sardegna, FIDC e UCS, presenti in Comitato Regionale faunistico, unitamente all’Associazione Armieri, Enalcaccia, Italcaccia, Libera Caccia, Caccia e Cinofilia Sardegna e Sarda Caccia, non hanno fatto nessun piagnisteo, hanno legittimamente chiesto di poter cacciare ad alcune specie fino al 29 Gennaio, in base alle norme vigenti, come accade nella maggioranza delle Regioni d’Italia.

E’ appena il caso di ricordarLe che i Cacciatori Sardi sono gli UNICI in Italia che hanno scelto di cacciare solo due giorni fissi alla settimana (giovedì e domenica) proprio per tutelare il patrimonio faunistico, pertanto la Sua affermazione “a costoro non interessa per nulla tutelare e conservare il patrimonio faunistico, interessa sparare e ammazzare quanto più possibile”, la rimandiamo al mittente. Le dirò di più, visto e considerato che le Vostre Associazioni stanno facendo pressione per l’istituzione degli ATC in Sardegna, mi chiedo come possano le Associazioni Animal/Ambientaliste, appoggiare l’istituzione di Enti di Gestione che permetteranno di cacciare cinque giorni su sette, con la tragica conseguenza dell’abbattimento di migliaia e migliaia di animali in più. Se veramente tenete alla salvaguardia della fauna dovete opporvi agli ATC, altrimenti sarete responsabili della morte di tanti animali e a quel punto la gente si chiederà se sono i Cacciatori Sardi che non vogliono tutelare il patrimonio faunistico o se sono gli ambientalisti che, forse, pur di avere un posto negli Enti di gestione fanno finta di non sapere che con gli ATC si potrà “…ammazzare quanto più possibile”. Le ricordo ancora che il sottoscritto, come tutti i cacciatori sardi che si rispettino e mi creda sono davvero tanti, è fra i primi a chiedere e sollecitare adeguate forme di regolamentazione e controllo, anche in termini di vigilanza, dell’attività venatoria in un’ottica di tutela e incremento delle specie selvatiche, laddove non mi sembra di ricordare altrettanto zelo e impegno in tal senso da parte Vostra e diversamente non potrebbe essere, considerato l’enorme spreco di energie da Voi profuse nel criticare ed attaccare quelle istanza che da Noi vengono avanzate nel pieno rispetto della vigente legislazione. Lei termina la Sua lettera con la frase “Arroganza ed egoismo, questo è il vero volto di queste associazioni venatorie. Mi permetta di risponderLe così: Faziosità e opportunismo, questo è il vero volto di alcune Associazioni ambientaliste. Nell’auspicio di poterLa vedere al mio fianco o al fianco di un qualsiasi altro Cacciatore Sardo impegnato a spegnere un incendio o a spalare la neve per liberare animali, siano essi selvatici o domestici, minacciati da dette calamità, La saluto.

Tanto Le dovevo

il Presidente Regionale

Caccia, Pesca, Ambiente

Marco Efisio Pisanu

albero e neve

albero e neve

(foto L.A.C. , per conto GrIG, archivio GrIG)


La Pubblica Amministrazione deve considerare anche le evoluzioni normative e la norma vigente al momento del provvedimento finale.

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Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

Importante pronuncia del Consiglio di Stato in materia di applicazione della legge nel tempo.

Con la sentenza, Sez. IV, 16 dicembre 2016, n. 5339, il massimo Consesso di Giustizia amministrativa ha ribadito che il principio tempus regit actum prevede che debbano esser considerate anche le modifiche normative intervenute nel corso delle varie fasi del procedimento ai fini della decisione del provvedimento finale.

Lo jus superveniens, infatti, comporta, infatti, sempre una diversa valutazione rispetto a quanto sarebbe accaduto sulla base del quadro normativo vigente al momento dell’avvio del procedimento.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Sardegna, versanti boscosi

Sardegna, versanti boscosi

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 27 gennaio 2017

Consiglio di Stato Sez. IV n. 5339 del 16 dicembre 2016
Ambiente in genere. VIA e principio tempus regit actum.

La corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.

*****

05339/2016REG.PROV.COLL.

01030/2016 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1030 del 2016, proposto dalla società Idroelettrica del Carpino 2 s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Follieri C.F. FLLNRC48H10E716U, Ilde Follieri C.F. FLLLDI77C42E372L, con domicilio eletto presso Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Tiziana Teresa Colelli C.F. CLLTNT69M62C816M, con domicilio eletto presso Regione Puglia Delegazione in Roma, via Barberini 6;
Direzione Regionale Per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia, Comune di Rocchetta Sant’Antonio non costituiti in giudizio;
Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato, costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la PUGLIA –Sede di BARI- SEZIONE I n. 01205/2015, resa tra le parti, concernente giudizio di compatibilità ambientale negativo per l’impianto di produzione di energia da fonte eolica.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia e di Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Domenico Benussi, su delega dell’avv. Enrico Follieri per la parte appellante, Tiziana Teresa Colelli per la Regione appellata e l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Ministero appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 1205/2015 il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia– Sede di Bari – ha respinto il ricorso (corredato da motivi aggiunti) proposto dall’odierna parte appellante società Idroelettrica del Carpino 2 s.r.l., volto ad ottenere l’annullamento (con il ricorso principale) della determina dirigenziale n. 261 del 18.10.2013, con la quale era stato espresso in conformità ai pareri del Comitato VIA regionale resi nelle sedute del 16.7.2013 e del 8.10.2013, giudizio di compatibilità ambientale negativo per l’impianto di produzione di energia da fonte eolica composto da 23 aerogeneratori, per complessivi 69 MW, da realizzare in agro di Rocchetta Sant’Antonio, in località “Serre e San Martino”, proposto dalla predetta società Idroelettrica del Carpino 2 s.r.l e, (con il ricorso per motivi aggiunti) l’annullamento della determina dirigenziale n. 403 del 9.12.2014 del Dirigente del Servizio Ecologia della Regione Puglia, con la quale si era proceduto alla mera rettifica di errori materiali, confermando per il resto la determina n. 261/2013 e del parere del Comitato tecnico per la VIA del 18.11.2014, prot. n. 10988, facente parte integrante della determina dirigenziale n. 403 del 9.12.2014, che dopo aver accertato taluni errori materiali, aveva confermato il giudizio negativo sull’impianto in questione già reso nella seduta del 16.7.2013. Con la medesima sentenza è stata altresì disattesa la domanda risarcitoria proposta dalla odierna appellante.
  2. In punto di fatto era accaduto che la originaria parte ricorrente (società operante nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili) aveva presentato (il 19.4.2007) una richiesta volta ad ottenere l’Autorizzazione Unica ex art. 12 del d.Lgs. n. 387/2003 per la realizzazione di un parco eolico, costituito (in origine) da 31 aereogeneratori per una potenza complessiva di 71,3 MW, da realizzare in agro del Comune di Rocchetta Sant’Antonio, località “Serre e San Martino”; l’iter amministrativo era stato travagliato, la odierna appellante aveva anche modificato in senso riduttivo il progetto originario (riducendo da 31 a 23 gli aereogeneratori e portando la potenza dell’impianto a 69 MW), ed aveva anche dovuto presentare un ricorso volto a fare cessare l’illegittimo stato di inerzia mantenuto sulla propria richiesta dalla Regione Puglia (deciso dal T.a.r. con la sentenza di improcedibilità n. 1479 del 27.7.2011 nella quale la Regione era stata condannata alle spese) co ma alla fine l’esito era stato negativo.

Essa aveva pertanto proposto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere, ed una domanda risarcitoria strutturata su tre diversi profili di danno risarcibile:

  1. a) sia nel caso in cui il diniego impugnato fosse stato annullato, per i maggiori costi sostenuti e per la perdita degli incentivi previsti dalla normativa di settore;
  2. b) sia nel caso in cui il diniego impugnato fosse stato viceversa ritenuto legittimo, per il mutamento della disciplina di riferimento, che avrebbe oggi – in tesi – de plano consentito il rilascio della Autorizzazione Unica, nonché per i costi di progettazione, per i costi da attività amministrativa di istruzione della pratica, oltre che per il mancato guadagno relativo ad almeno quindici anni di produzione;
  3. c) infine, a prescindere dalla legittimità o meno del provvedimento impugnato, per il risarcimento del danno da ritardo mero, avendo dovuto mantenere ferme risorse ed investimenti che avrebbe potuto impiegare in altre attività.
  4. La Regione Puglia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia e la Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici, si erano costituiti in giudizio chiedendo che il ricorso venisse respinto nel merito.
  5. Il T.a.r. ha partitamente scrutinato le complesse macrocensure con le quali era stato contestato il fondamento del diniego, e di esse ha affermato l’infondatezza deducendo che:
  6. a) sia primo ed il terzo motivo di ricorso principale ed il primo e il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, incentrati su un asserito difetto di istruttoria e di motivazione, non potevano trovare accoglimento in quanto:
  7. I) i dinieghi erano correttamente ed esaustivamente motivati:
  8. II) le censure si incentravano su una sostanziale contestazione delle valutazioni tecniche, ma i parametri critici non trasmodavano nella abnormità/irragionevolezza tenuto conto delle caratteristiche latamente discrezionali delle valutazioni ambientali;

III) inoltre, in base agli artt. 21 del d.Lgs. n. 152/2006 ed art. 5 della legge regionale della Puglia n. 11/2001, l’Autorità competente era tenuta a identificare e valutare alternative al progetto presentato solo su richiesta del soggetto proponente l’intervento;

  1. b) parimenti infondati risultavano il secondo motivo di ricorso principale e terzo motivo di ricorso per motivi aggiunti volti ad evidenziare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, a cagione della asserita la mancanza del quorumcostitutivo del Comitato VIA che aveva reso sia il parere impugnato, sia il successivo provvedimento di rettifica di errore materiale e di integrale conferma del precedente dispositivo: il computo del detto quorum doveva tener conto dei componenti del Comitato VIA deceduti e dimissionari e neppure poteva addebitarsi alla Regione un onere non adempiuto di ricostituzione del plenum,dovendo comunque essere garantita la funzionalità dell’organo anche in ipotesi di transitoria carenza di organico di taluni dei suoi componenti;
  2. c) i dati sulla presenza di aerogeneratori nella zona interessata dall’intervento risultavano essere stati forniti dalla stessa società originaria ricorrente, per cui la discrasia verificatasi (che aveva condotto alla emissione del provvedimento di rettifica) non era ascrivibile all’Amministrazione: in ogni caso, il numero esatto degli aerogeneratori già presenti nell’area prescelta per l’intervento non costituiva indice dirimente ai fini della valutazione della legittimità o illegittimità di fondo della scelta amministrativa di diniego; essa era stata adottata sul presupposto concettuale non contestato di una diffusa presenza di pregressi impianti eolici nella stessa zona in cui si sarebbe voluto realizzare l’intervento in esame;
  3. d) l’applicazione della sopravvenuta D.G.R. n. 2122/2012, non violava il canone del tempus regit actum:la norma sopravvenuta costituiva diritto applicabile da parte dell’Amministrazione nel caso in cui la fase istruttoria non fosse ancora conclusa;
  4. e) infine, la tesi volta a sostenere la asserita disparità di trattamento con altra situazione, in tesi identica, in relazione ad altro impianto per il quale era stata invece ritenuta la piena compatibilità ambientale era rimasta del tutto sfornita di prova.

5.1. Il T.a.r. ha poi scrutinato il petitum risarcitorio, del pari respingendolo (pur dopo avere sollevato perplessità di principio sulla stessa astratta ammissibilità di una domanda fondata su circostanze reciprocamente “escludenti”) in quanto:

  1. a) la legittimità del provvedimento amministrativo implicava l’assenza del requisito dell’ingiustizia del danno;
  2. b) quanto al danno da ritardo, esso era condizionato dalla riconosciuta spettanza del c.d. bene della vita (che nel caso di specie non connotava l’odierna vicenda processuale);

b1) inoltre, e più radicalmente, la peculiare complessità dell’impianto eolico da autorizzare, in uno con i cambiamenti progettuali verificatisi in corso d’opera e con i plurimi livelli di analisi che si erano dovuti attivare al fine di valutare la piena compatibilità ambientale dell’intervento, giustificavano, , il ritardo determinatosi nel caso di specie;

  1. c) sul piano processuale, l’effettiva entità del danno da ritardo risarcibile non era stata compiutamente provata sul piano del quantume la somma indicata nel ricorso appariva il mero ed indimostrato frutto di proiezioni aziendalistiche ipotetiche
  2. La originaria parte ricorrente rimasta soccombente ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni profilo e riproponendo le tesi invano rappresentate innanzi al T.a.r. in primo grado; in particolare, sono state articolate sette censure: le prime quattro, seguendo l’ordine espositivo della sentenza, hanno contestato le conclusioni cui era giunto il T.a.r.; la quinta e la sesta hanno riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado e il sesto motivo aggiunto non esaminati dal T.a.r.; la settima ha riproposto la richiesta di risarcimento danni respinta dal T.a.r.
  3. In data 25.2.2016 la Regione Puglia si è costituita depositando atto di stile.
  4. In data 25.2.2016 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è costituito depositando atto di stile.
  5. In data 18.4.2016 la Regione Puglia ha depositato una articolata memoria ed ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato.
  6. In data 27.10.2016 la società odierna appellante ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi.
  7. In data 28.10.2016 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha depositato una articolata memoria ed ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato.
  8. In data 10.11.2016 la Regione Puglia ha depositato una ulteriore memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie tesi e facendo presente che la contestazione della legittimità della pretesa dell’originaria parte ricorrente implicava contestazione anche del petitumrisarcitorio, e della quantificazione di quest’ultimo.
  9. Alla camera di consiglio del 21 aprile 2016 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata sentenza la trattazione della causa su concorde richiesta delle parti è stata differita al merito.
  10. In data 27.10.2016 l’appellante società Idroelettrica del Carpino 2 s.r.l., ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie critiche all’impugnata sentenza.
  11. In data 28.10.2016 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha depositato una articolata memoria ed ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato, deducendo che il diniego si era fondato (anche) sulle valutazioni sfavorevoli espresse dalla direzione regionale beni culturali e dal servizio assetto del territorio, nonché sul rischio per la pubblica e privata incolumità, dovuto alla presenza di sette manufatti di strade comunali e vicinali posti vicino alle pale, alla circostanza che l’area era classificata di pericolosità geomorfologica elevata, alla mancata redazione della carta archeologica,come richiesta dalla Soprintendenza, al mancato riscontro sui dati relativi alla conformità dell’intervento proposto rispetto al quadro vincolistico delle aree boscate,dei fiumi e corsi d’acqua ai sensi dell’art. 142 lett. m del d.Lgs n. 42/2004.
  12. Alla odierna pubblica udienza del 1 dicembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. L’appello è infondato e va respinto nei sensi di cui alla motivazione che segue.
  2. Il Collegio analizzerà partitamente le censure, anche se discostandosi dall’ordine prospettato dall’appellante.

2.1. La prima doglianza è infondata, per più ragioni:

  1. a) sebbene abilmente prospettata la contestazione della “lettura” del dato normativo prospettata dal T.a.r. non è persuasiva, in quanto:
  2. I) ai sensi dell’art. 21 del d.Lgs. n. 152/2006 (“1. Sulla base del progetto preliminare, dello studio preliminare ambientale e di una relazione che, sulla base degli impatti ambientali attesi, illustra il piano di lavoro per la redazione dello studio di impatto ambientale, il proponente ha la facolta’ di richiedere una fase di consultazione con l’autorita’ competente e i soggetti competenti in materia ambientale al fine di definire la portata delle informazioni da includere, il relativo livello di dettaglio e le metodologie da adottare. La documentazione presentata dal proponente in formato elettronico, ovvero nei casi di particolare difficolta’ di ordine tecnico, anche su supporto cartaceo, include l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati necessari alla realizzazione ed esercizio del progetto.
  3. L’autorita’ competente all’esito delle attivita’ di cui al comma 1:
  4. a) si pronuncia sulle condizioni per l’elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale;
  5. b) esamina le principali alternative, compresa l’alternativa zero;
  6. c) sulla base della documentazione disponibile, verifica, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto, l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilita’;
  7. d) in carenza di tali elementi, indica le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso, senza che cio’ pregiudichi la definizione del successivo procedimento.
  8. Le informazioni richieste tengono conto della possibilita’ per il proponente di raccogliere i dati richiesti e delle conoscenze e dei metodi di valutazione disponibili
  9. La fase di consultazione di cui al comma 1 si conclude entro sessanta giorni e, allo scadere di tale termine, si passa alla fase successiva”) le alternative progettuali devono essere prospettate dal richiedente;
  10. II) il detto dato normativo è doppiato dalla previsione dell’art. 23 del medesimo d.Lgs. n. 152/2006 e non è contraddetto dall’art. 5 della legge regionale della Puglia n. 11 del 12 aprile 2001 (“. Le procedure di VIA hanno lo scopo di prevedere e stimare l’impatto ambientale dell’opera o intervento, di identificare e valutare le possibili alternative, compresa la non realizzazione dell’opera o intervento, di indicare le misure per minimizzare o eliminare gli impatti negativi.
  11. Per gli interventi identificati nell’allegato A, le procedure di VIA comprendono:
  12. a) lo svolgimento facoltativo della fase preliminare di definizione dei contenuti del SIA di cui all’articolo 9;
  13. b) l’elaborazione, a cura del proponente, dello studio di impatto ambientale (SIA) di cui all’articolo 8;
  14. c) l’attivazione delle procedure per l’informazione e la consultazione delle amministrazioni, delle associazioni e dei soggetti interessati, di cui agli articoli 11 e 12;
  15. d) l’effettuazione della istruttoria tecnica sull’impatto ambientale del progetto di intervento od opera, di cui all’articolo 10;
  16. e) la formulazione della determinazione dell’autorità competente in merito alla VIA di cui all’articolo 13;
  17. f) l’attivazione del monitoraggio sulla realizzazione dell’opera o intervento di cui all’articolo 18.
  18. Per gli interventi identificati nell’allegato B, le procedure di VIA comprendono l’effettuazione preliminare della procedura di verifica di cui all’articolo 16, salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 3.”);

III) spetta quindi al proponente –che predispone il Sia- prospettare le alternative progettuali, come si evince anche dall’art. 8 comma 2 lett e della citata legge regionale della Puglia che disciplina il contenuto del Sia(“ l’esposizione dei motivi della scelta compiuta illustrando soluzioni alternative possibili di localizzazione e di intervento, compresa quella di non realizzare l’opera o l’intervento;”);

  1. b) l’appellante a torto sostiene che non vi sia stata motivazione esaustiva sulle alternative progettuali presentate, e censura i chiarimenti forniti dall’Amministrazione, sostenendo che essi integrerebbero una surrettizia forma di integrazione postuma della motivazione, in quanto:
  2. I) oblia la circostanza che il diniego nasce principalmente dallo stato di fatto dell’area prescelta, ove era già allocato un rilevantissimo numero di impianti (sulla questione si tornerà nel prosieguo);
  3. II) trascura di fornire alcun elemento a comprova della rilevanza delle modifiche asseritamente prospettate;

III) non tiene conto della circostanza che l’Amministrazione può, in giudizio, dedurre ulteriori motivi di infondatezza del gravame senza che ciò implichi integrazione postuma della motivazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5826 “sono inammissibili in sede di appello le prove nuove, in quanto non prodotte nel giudizio di primo grado, vigendo anche nel processo amministrativo il principio del divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, sancito dagli artt. 345 c.p.c. e 104 comma 2, c.p.a., mentre è ammissibile il deposito della relazione dell’Amministrazione recante ulteriori motivi d’infondatezza del gravame”; si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1154);

  1. IV) più radicalmente, oblia che anche nel procedimento deputato alla valutazione di impatto ambientale è ammissibile una motivazione sintetica e per relationem(Consiglio di Stato, sez. VI, 05/05/2016, n. 1779 “nel provvedimento amministrativo la motivazione per relationemcorrisponde ad una tecnica motivazionale ammessa dall’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, specie allorquando il provvedimento sia preceduto da atti istruttori o da pareri, e purché l’interessato sia messo in grado di prenderne visione, non incidendo siffatto modus operandi sull’essenza dell’operazione valutativa che non ne risulta minimamente sminuita.”);
  2. V) già l’appellante si era risolta a ridurre (da 31 a 23) il numero delle torri, all’evidenza percependo il carattere altamente impattante dell’impianto sull’area

2.1.1. I due angoli prospettici di formulazione della doglianza sono entrambi, pertanto, non persuasivi, ed ulteriori profili di non condivisibilità emergeranno nel prosieguo della esposizione.

2.1.2. Deve però rilevarsi che quanto sinora rappresentato vale altresì a respingere la quinta censura; essa, per il vero, sembra formulata in modo ambiguo, in quanto da una parte sembrerebbe che l’appellante voglia sostenere che trattandosi di ambiti territoriali estesi, non sarebbe giammai possibile riscontrare preclusioni alla installazione degli impianti per cui è causa: per altro verso sembrerebbe si dolga di una motivazione poco perspicua.

La prima tesi, è infondata per tabulas, in quanto anche per le aree C e D sono previsti indirizzi di tutela: quanto al secondo profilo, valgono integralmente le considerazioni prima rappresentate.

2.2. La terza censura, che si lega strettamente alle due precedenti, è del pari infondata: da un canto, deve infatti rilevarsi che è stata la appellante società, in sede di s.i.a., ad indicare il numero degli autogeneratori presenti; per altro verso, dalla lettura del provvedimento censurato, ciò che emerge è che ( come correttamente colto dal T.a.r.) il presupposto concettuale del diniego discende dal dato – non contestato né contestabile per il vero- di una diffusa presenza di pregressi impianti eolici nella stessa zona in cui si sarebbe voluto realizzare l’intervento in esame, con connesso insostenibile consumo di suolo agricolo e di deterioramento della configurazione fisica dello stato dei luoghi nei suoi tratti paesaggistici d’insieme.

La doglianza è suggestiva, in quanto (in disparte il rilievo della circostanza che fu la stessa parte appellante ad indicare un numero errato, e che, quindi, essa già soltanto per tale ragione non potrebbe validamente aspirare ad ottenere alcuna tutela risarcitoria ai sensi dell’art. 1227 del codice civile) appare evidente che, di regola, l’esatto numero delle pale presenti debba avere un rilievo in tema di assentibilità o meno dell’impianto.

Nel caso di specie, tuttavia, la pregnanza della censura decolora, in quanto il diniego scaturisce da valutazioni incentrate non sull’esatto numero, ma sul concetto di preponderanza: e questa sussiste certamente. La circostanza che dei 23 impianti richiesti dall’appellante quindici fossero ubicati in un’area, ed altri otto in un’altra area (dello stesso comune), ovviamente, nulla dimostra, in quanto venne presa in esame la pregressa presenza di impianti sull’intera area e l’impatto complessivo del nuovo impianto sull’intero territorio comunale.

2.2.1. In quest’ottica, la sesta censura non ha possibilità di accoglimento: la indicazione del numero di impianti effettivo, nella economia del provvedimento reiettivo assume portata secondaria e recessiva: correttamente l’Amministrazione lo ha considerato mero errore materiale (perdipiù, almeno in parte, indotto dalla stessa appellante società) e appare persino strumentale che l’appellante si dolga del mancato avviso ex art. 7 della legge n. 241/1990, in relazione ad un dato errato che essa stessa aveva indicato.

  1. La sostanza del diniego, come si è finora esposto pare al Collegio rientrare nella lata discrezionalità dell’amministrazione in punto di valutazioni di compatibilità paesaggistica ed ambientale (Consiglio di Stato, sez. VI, 22/09/2014, n. 4775 “sebbene la valutazione di impatto ambientale del progetto di realizzazione di un impianto eolico sia improntata ad ampia discrezionalità, sia tecnica che amministrativa, la successiva cognizione del giudice amministrativo non è limitata alla logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, ma si estende anche alla valutazione dell’eventuale erroneità dell’apprezzamento dell’amministrazione.” E non è inficiata dai vizi di “palese assenza o insufficienza della motivazione” (arg., ancora di recente, ai sensi di T.A.R. Perugia –Umbria- sez. I 9 settembre 2016 n. 608): in simili fattispecie, poi, dedurre ipotesi di disparità di trattamento è del tutto non condivisibile già sul piano teorico.

3.1. Non migliore sorte meritano le ulteriori due censure “eccentriche” rispetto alle doglianze sostanzialistiche sinora esaminate.

3.2. La censura incentrata sulla composizione del Comitato Via nelle sedute dell’8.10.2013 e del 18.11.2014 viene formulata ignorando che l’Amministrazione ha a più riprese affermato che, all’epoca, uno degli originarii componenti era deceduto ed altri due si erano dimessi.

L’appellante non ha contestato tale dato (lo ha genericamente tacciato di indeterminatezza) ed ha sostenuto che comunque avrebbero dovuto essere nominati dei supplenti.

Ora, tale considerazione non appare in via di principio del tutto incondivisibile, ma in concreto, non è decisiva per l’accoglimento della censura in quanto:

  1. a) innanzitutto, l’art. 28 della legge regionale della Puglia n. 11/2001che disciplina la composizione del detto Comitato non prevede espressamente la nomina di supplenti (“1. Il Comitato per la VIA è l’organo tecnico consultivo della Regione nella materia della valutazione dell’impatto ambientale[27].
  2. Esso è nominato, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto dell’Assessore regionale all’ambiente, ed è composto da:
  3. a) un docente universitario o esperto laureato da almeno dieci anni, con esperienza specifica per ciascuna delle seguenti materie: infrastrutture, impianti tecnologici, urbanistica, scienze ambientali, scienze biologiche e naturali, scienze geologiche, scienze agronomiche, chimica, igiene ed epidemiologia ambientale, aspetti giuridico-legali;
  4. b) un rappresentante dell’Amministrazione provinciale competente per territorio, designato dal Presidente della medesima Provincia tra gli esperti componenti del Comitato tecnico di cui all’articolo 5, comma 9, della legge regionale 3 ottobre 1986, n.30;
  5. c) un rappresentante del Ministero per i beni culturali – Sovrintendenza per la Puglia ai beni ambientali, artistici, architettonici e storici.

c bis un rappresentante dell’Assessorato regionale urbanistica e assetto del territorio.

  1. Fanno parte del Comitato senza diritto di voto il dirigente del Settore ecologia che presiede il Comitato stesso, e il funzionario responsabile dell’Ufficio VIA del Settore.
  2. Possono essere invitati ai lavori del Comitato, senza diritto di voto, i coordinatori dei Settori competenti per materia.
  3. Le funzioni di segretario sono svolte da un funzionario in servizio presso il Settore ecologia.
  4. Ai componenti esterni, non dipendenti regionali, spetta il compenso e il trattamento economico di missione nella misura stabilita dalla legge regionale 22 giugno 1994, n. 22, con imputazione sullo stanziamento di bilancio a finanziamento della citata legge.

6 bis. Entro sessanta giorni dalla data di adozione della presente normativa, la Giunta adotta il regolamento del Comitato VIA regionale per disciplinarne il funzionamento, prevedendone, ordinariamente, la convocazione con periodicità almeno quindicinale”);

  1. b) per avveduta giurisprudenza (T.A.R. Lecce sez. II, 18/03/2016, n. 529) “anche un organo collegiale composto da tre persone, una volta che sia stato regolarmente costituito, può legittimamente deliberare purché il numero dei componenti non scenda al di sotto del quorum,con la conseguenza che esso può funzionare anche con la presenza solo di due, se la legge che ne disciplina il funzionamento non preveda diversamente; tale principio non vale, invece, per la fase precedente relativa alla costituzione dell’organo collegiale, non essendo dubitabile che esso non può legittimamente operare se non si sia costituito mediante la nomina di tutti i suoi componenti.”;
  2. c) in carenza di preventiva nomina di supplenti, non può pretendersi che il venir meno di taluno dei componenti comporti la paralisi dell’organismo collegiale;
  3. d) per costante giurisprudenza soltanto laddove venga meno la maggioranza dei componenti l’organo collegiale non è più in grado di funzionare (arg. ai sensi di Consiglio di Stato, sez. IV, 02/08/2011, n. 4573).

3.2.1. Sol che si consideri che il quorum è computato facendo riferimento ai componenti “in carica” (e tali certamente non potevano essere considerati i dimissionari ed i deceduti) appare evidente che la censura è infondata.

3.3. Anche nell’ultima memoria depositata in data 27.10.2016 parte appellante ha insistito nella fondatezza della censura, ed ha evidenziato che nei verbali non v’era traccia delle dimissioni di taluni dei componenti e del decesso di altro componente del comitato: non ha tuttavia contestato tale dato “storico” prospettato dalla Regione, ed è evidente che la circostanza che esso non sia stato menzionato nei verbali non vale ad inferirne la falsità/inesattezza, in carenza di specifica contestazione sul punto (arg. 1i sensi dell’art. 64 comma II del c.pa.a).

3.4. Quanto alla quarta censura il Collegio non intende decampare dalla condivisione del principio secondo il quale (ancora di recente si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 13/04/2016, n. 1450 ) “la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.”

E’ evidente pertanto che, in via di principio bene ha fatto l’amministrazione ad applicare la sopravvenuta D.G.R. n. 2122/2012 (si veda anche: Corte Costituzionale, 01/04/2010, (n. 124 “, se da un lato, in applicazione del principiotempus regit actum, ogni atto amministrativo (anche endoprocedimentale) deve essere conforme alla legge in vigore nel momento in cui viene posto in essere, dall’altro, la persona, che ha dato avvio al procedimento di autorizzazione oggetto della disposizione impugnata, è titolare di una mera aspettativa.

È principio affermato da questa Corte che «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche […]. La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali» (sentenza n. 24 del 1999).

In ragione di quanto sopra e dell’assenza di una situazione giuridica consolidata in capo al richiedente il provvedimento, la norma impugnata non può ritenersi lesiva del principio di affidamento.”).

3.4.1. L’arguta critica dell’appellante ipotizza che, soltanto a cagione della protratta inerzia dell’Amministrazione, e della omessa conclusione nei termini del procedimento, si sia resa applicabile la sopravvenuta D.G.R. n. 2122/2012 e che, a cagione del fatto che l’illegittimità dell’inerzia era stata stigmatizzata con la sentenza regiudicata del T.a.r. n. 1479 del 6 ottobre 2011, per ciò solo si fosse prodotto un effetto preclusivo all’applicazione di detta sopravvenuta D.G.R. n. 2122/2012 (nociva all’interesse di parte appellante, in quanto postulante l’obbligo della valutazione “cumulativa”) discendente dal giudicato formatosi.

3.4.2. Si osserva in contrario senso che:

  1. a) la sentenza regiudicata del T.a.r. n. 1479 del 6 ottobre 2011 seppur formalmente contenente una statuizione di improcedibilità ha effettivamente ritenuto che “il ricorso appare fondato, dovendosi condividere le argomentazioni espresse da parte ricorrente supportate dal contegno assunto dalla amministrazione che solo dopo la proposizione del ricorso ha adottato la menzionata nota dell’8.7.2011;” tanto che ha applicato il criterio della soccombenza virtuale condannando la Regione Puglia;
  2. b) ma detto giudicato non era affatto preclusivo all’applicazione della delibera sopravvenuta: avrebbe al più potuto rilevare a fini risarcitori: ma l’illegittimità di una inerzia pregressa non produce il diverso effetto di “paralizzare” l’applicabilità dello jus superveniens(si veda, per una applicazione del detto principio la recente decisione della Sezione n. 1225 del 24 marzo 2016);
  3. c) quanto sopra è reso plastico dalla bipolarità del giudizio ex artt. 31 e 117 del c.p.a.:in sede di giudizio sul silenzio, il Giudice adito potrebbe (comma 3 dell’art. 31 del c.p.a.) “chiudere” il giudizio pronunciandosi direttamente sulla spettanza del bene della vita (in fattispecie a bassa discrezionalità, quale certamente non è quella per cui è causa); ove ciò non avvenga, il Giudice accerta la illegittimità del silenzio, e “restituisce” all’Amministrazione il potere di provvedere; ma da tale “remand” all’Amministrazione dell’obbligo di provvedere non scaturisce un procedimento anomalo e diverso da quello “canonico”, insensibile allo jus superveniens,nei limiti in cui lo stesso sarebbe applicabile a tutti gli altri procedimenti analoghi a quello oggetto del giudizio: in sostanza, l’appellante rinviene nella pronuncia giudiziale accertativa della illegittimità dell’omessa adozione del provvedimento un effetto “ghigliottina” rispetto a norme ed atti amministrativi generali ad essa successivi (e preclusivo dell’applicabilità dei medesimi) che non è ricavabile da alcun dato normativo e che, si osserva, non opera neppure nella diversa e più pregnante ipotesi in cui la fondatezza di una pretesa del privato sia stata accertata con sentenza regiudicata (arg. ai sensi del comma 3 dell’art. 112 del c.p.a.; si veda anche Consiglio di Stato ad. plen. 09 giugno 2016 n. 11; Cassazione civile, sez. un., 23/07/2015, n. 15476);
  4. d) sotto altro profilo, è peraltro persino dubbio l’interesse dell’appellante a dedurre la censura (ma la questione verrà meglio esplorata allorchè verrà esaminato ilpetitum risarcitorio) in quanto la medesima è supportata da un giudizio altamente ipotetico, secondo il quale, ove la detta sopravvenuta D.G.R. n. 2122/2012 non avesse trovato applicazione, il giudizio di Via avrebbe avuto, probabilmente, un altro esito, (obliandosi peraltro che in relazione al detto progetto, l’impatto cumulativo è stata la principale, ma non unica, ragione di criticità ostativa ravvisata);
  5. e) è evidente infine che quanto sinora rilevato non contrasta affatto con quanto stabilito in passato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 1 dell’8 gennaio 1986, resa in tema di giudizio di ottemperanza e non relativa ad una pronuncia in punto di illegittimità del silenzio ed obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione, per cui non appare condivisibile la richiesta di remissione alla Plenaria ventilata da parte appellante.
  6. Quanto al petitumrisarcitorio, il Collegio non intende decampare dai principi ancora recentemente affermati da questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 4580 del 2 novembre 2016 sentenza n. 1371 del 6 aprile 2016), laddove è stato ribadito che “il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l’entrata in vigore dell’art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato”.).

4.1. Ivi è stato parimenti rilevato (ed anche su ciò questo Collegio concorda pienamente) che:

  1. a) il superiore principio debba valere laddove venga prospettata la richiesta di liquidazione della chance;
  2. b) e che laddove ci si dolga di un ritardo dell’Amministrazione in relazione a pretese che non avrebbero avuto pratica possibilità di accoglimento allo stato l’unica forma di protezione prevista dall’ordinamento sarebbe semmai, ricorrendone i presupposti, quella dell’indennizzo ex art. 2 bis comma 1 bis legge citata.

4.2. Ora, alla stregua dei principi richiamati nelle citate decisioni (da intendersi in parte qua richiamate e trascritte nel presente elaborato):

a) la riscontrata immunità da vizi del diniego implica che nessuna posta risarcitoria sia dovuta, in quanto l’appellante non avrebbe potuto rendersi attributario del bene della vita;

b) la circostanza che soltanto a cagione delle lentezze dell’amministrazione si sia resa applicabile una disciplina maggiormente restrittiva, neppure può valere a configurare detta responsabilità risarcitoria, in quanto, come chiarito in premessa, la valutazione di impatto cumulativa non è stata l’unica ragione preclusiva legittimamente ravvisata dall’amministrazione;

c) circa il danno da ritardo “mero” (nella riconosciuta non spettanza del bene della vita) in disparte ogni considerazione di diritto, è dirimente osservare che:

  1. a) l’appellante società presentò un progetto originario che poi essa stessa emendò;
  2. b) alla stessa furono a più riprese richiesti chiarimenti da parte dell’Amministrazione procedente che però non vennero tempestivamente forniti;
  3. c) essa stessa ebbe a fornire all’Amministrazione dati inesatti ed addirittura sfavorevoli per la propria stessa posizione (es: sul numero degli impianti esistenti).

4.3. Ai sensi dell’art. 1227 cc nessuna forma di risarcimento od indennizzo è pertanto concedibile né, in contrario senso può valorizzarsi la sentenza regiudicata del T.a.r. n. 1479 del 6 ottobre 2011: quest’ultima, infatti, ha sì affermato che la parte originaria ricorrente avesse diritto ad ottenere una sollecita risposta, ma non ha da tale circostanza fatto discendere un automatico obbligo di liquidazione dell’indennizzo.

4.4. I superiori principi hanno trovato di recente significativa conferma in numerosi arresti della giurisprudenza amministrativa e da essi il Collegio non intende discostarsi (tra le tante, Consiglio di Stato Sezione Quinta 22 settembre 2016, n.3920 “l’art. 2 bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241 deve essere interpretato nel senso che il riconoscimento del danno da ritardo non può restare avulso da una valutazione di merito sulla spettanza del bene sostanziale della vita e che deve essere subordinato –anche- alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento era probabilmente destinata ad un esito favorevole e, dunque, alla prova della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse.”).

  1. Conclusivamente, l’appello è infondato e va respinto, con consequenziale conferma dell’impugnata decisione.

5.1.Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

  1. All’evidenza sussistono le eccezionali ragioni per compensare le spese processuali del grado, anche a cagione della circostanza che comunque costituisce fatto processualmente accertato e quindi incontrovertibile che l’Amministrazione esaminò con ritardo la richiesta dell’appellante società.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge

Spese processuali del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Carlo Schilardi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Taormina Antonino Anastasi
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata n Segreteria il 16 dicembre 2017

 

campo di grano

campo di grano

(foto S.D., archivio GrIG)


Buongiorno Regione Sardegna ospita le attività ecologiste!

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Pettirosso (Erithacus rubecula)

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Buongiorno Regione Sardegna, la trasmissione del TG 3 Sardegna dedicata all’approfondimento giornalistico, martedi 31 gennaio 2017 sarà dedicata alle attività per la difesa di ambiente e salute svolte dall’associazionismo ecologista.

Appuntamento per le ore 7.30 di martedi 31 gennaio 2017.

Buona visione!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

(foto S.D., archivio GrIG)


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