La petizione Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! si firma qui.
Sembra proprio che la realtà superi sempre la fantasia.
Per contrastare i cambiamenti climatici l’unica prospettiva sensata è quella della corretta transizione energetica dalle fonti fossili tradizionali (petrolio, carbone, gas naturale) alle fonti rinnovabili (sole acqua, vento).
Per la Sardegna, invece, viene adottata una scelta contraria, viene aperta la strada per l’utilizzo massivo del gas naturale, oggi assente, mentre in contemporanea è in atto un pesante fenomeno speculativo sul gran numero di centrali eoliche e fotovoltaiche realizzate, in corso di realizzazione o in progetto.
Il ricorso al gas naturale, quantomeno quale fonte energetica di transizione, poteva avere un senso 30-40 anni fa, oggi non più: i vari progetti di gasdotto sono stati già di fatto respinti da anni proprio per i pesanti òneri economici e ambientali in rapporto al risicato vantaggio prospettato: li abbiamo avversati e continueremo a farlo.
Dobbiamo considerare, poi, che la Sardegna continua a produrre ben più energia di quanto serva a livello regionale, il resto lo esporta: nel 2023 (ultimi dati disponibili, Terna statistiche regionali, 2023) sono stati prodotti 12.563,1 gigawattora (GWh), di cui 8.621,6 derivanti dal termoelettrico; 1.935,6 dall’eolico; 1.520,9 dal solare; 483,5 dall’idroelettrico; 1,5 da impianti di accumulo. Tuttavia il fabbisogno regionale non ha superato i 7.636,9 GWh e ben 3.508,3 GWH sono stati esportati verso la Penisola. Si verificano perdite per 507,8 GWh. L’esportazione di energia è pari al 27,92% di quella prodotta.
Risultano installati (2023) impianti energetici a combustibili fossili per MW 2.365 di potenza installata e impianti energetici da fonti rinnovabili per MW 3.660. La produzione energetica a intermittenza degli impianti rinnovabili fa si che, pur avendo una potenza installata ben superiore, producano meno gigawattora (GWh).
A maggior ragione si comprende come l’assenza di una concreta pianificazione energetica e territoriale comporti il folle rischio di una devastazione del territorio a causa di una speculazione energetica che favorirebbe soltanto gli interessi dei produttori.
Per farsi un’idea più approfondita, alcuni articoli di Costantino Cossu, pubblicati su Il Manifesto, e un intervento molto argomentato del ricercatore Fabrizio Quaranta.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Il Manifesto, ExtraTerrestre, 24 aprile 2025
Sardegna, il governo progressista apre il gas: la transizione può attendere.
Energia La Sardegna andrà a gas. Era sino a ieri l’unica regione d’Italia a non usare il metano come fonte di produzione dell’energia, ma ora si cambia rotta. (Costantino Cossu)
La Sardegna andrà a gas. Era sino a ieri l’unica regione d’Italia a non usare il metano come fonte di produzione dell’energia, ma ora si cambia rotta. Un protocollo d’intesa appena firmato dal governo e dalla giunta regionale di Campo largo guidata da Alessandra Todde stabilisce che così sarà. La decisione è presa, manca soltanto la formalizzazione sotto forma di Dpcm (decreto della presidenza del Consiglio dei ministri), che arriverà probabilmente ai primi di maggio.
TUTTO È COMINCIATO CON UN ALTRO Dpcm, quello firmato da Mario Draghi nel 2022, che specificava i modi e i tempi della transizione energetica nell’isola. Sul piano del sistema dell’elettricità, le misure adottate da Draghi prevedevano l’estensione della rete di trasmissione elettrica nazionale attraverso la realizzazione del Tyrrhenian Link, cavo di collegamento tra Sardegna e Sicilia che ha una potenza programmata di 550 Megawatt. Per quanto riguarda, invece, la fornitura di gas metano, il Dpcm Draghi disponeva l’estensione della rete nazionale di distribuzione del gas alla Sardegna (anche a fini di equiparazione tariffaria) attraverso la realizzazione, in sostanza, di tre infrastrutture: una nave Fsru (Floating Storage and Regasification Unit) progettata per stoccare e per rigassificare gas naturale liquefatto (Gnl) ancorata a Portovesme, con capacità di stoccaggio adeguata a servire il polo dell’alluminio del Sulcis e il bacino della città metropolitana di Cagliari; un’altra nave Fsru a Porto Torres per rifornire il nord industriale e il bacino di Sassari; una terza nave Frsu nell’area portuale di Oristano per i consumi energetici dell’Oristanese e del Medio Campidano.
A PORTOVESME, A PORTO TORRES e a Oristano il gas sarebbe dovuto arrivare con navi spola in partenza dal terminale di Panigaglia nel Golfo di La Spezia e dal rigassificatore galleggiante Olt di Livorno. Il Dcpm del 2022 faceva riferimento anche alle energie rinnovabili, confermando tutte le misure di semplificazione e di centralizzazione delle procedure di autorizzazione degli impianti già adottate a livello nazionale e stabilendo per la Sardegna un limite minimo di potenza installabile: 6,4 GW. Contro il Dpcm Draghi del 2022 aveva fatto opposizione la giunta regionale guidata da Christian Solinas.
LA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA, infatti, voleva molto più gas di quello concesso da Draghi. Voleva la costruzione di un mega gasdotto (la cosiddetta «Dorsale del metano») che avrebbe dovuto portare il combustibile fossile da Cagliari a Sassari e in tutta la regione attraverso un sistema capillare di diramazioni. Un progetto faraonico con appalti milionari che avrebbe dovuto comprendere anche un accordo con l’Algeria per la costruzione di un metanodotto sottomarino di collegamento tra il Nord Africa e Cagliari.
IL CONFLITTO TRA GOVERNO E SOLINAS attendeva un pronunciamento del Consiglio di Stato quando, nel febbraio dello scorso anno, il centrosinistra allargato ai Cinquestelle ha vinto le elezioni regionali sarde. Si è aperto un nuovo capitolo e Todde ha detto subito di essere contraria alla «Dorsale del metano», specificando che il gas avrebbe dovuto fare da supporto transitorio alla transizione energetica nell’isola con lo scopo primario di consentire la chiusura, entro la data del 2030, delle due centrali a carbone ancora attive in Sardegna (una a Porto Torres e l’altra a Portovesme). È partita una trattativa con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ora arrivata alla conclusione con la firma del protocollo d’intesa tra governo e Regione Sardegna.
L’ACCORDO RIPRENDE IL DPCM DRAGHI, ma in versione ridotta. Sparisce la nave Frsu che il decreto del 2022 avrebbe voluto a Portovesme e restano le altre due Frsu, quelle già previste a Porto Torres e a Cagliari. Due rigassificatori galleggianti, insomma, che, attraverso metanodotti progettati e costruiti da Snam, porteranno il metano, arrivato nell’isola con le navi spola da Panigaglia e da Livorno, nel Nord Sardegna, nell’area metropolitana di Cagliari e, soprattutto, nel polo industriale del Sulcis, al servizio degli stabilimenti altamente energivori del polo industriale dell’alluminio, il più importante in Italia.
«L’ACCORDO CHE ABBIAMO RAGGIUNTO con il governo – commenta l’assessore regionale all’Industria Emanuele Cani – consente di utilizzare il metano in modo coerente con l’obiettivo di attuare in Sardegna la transizione energetica verso le fonti rinnovabili, obiettivo che la giunta regionale sarda persegue con convinzione. Si tratta di una soluzione transitoria finalizzata essenzialmente a tre scopi: superare le produzioni di energia da carbone ancora attive in Sardegna nelle due centrali di Portovesme e di Porto Torres; risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico delle industrie del Sulcis legato anche al mantenimento degli attuali livelli occupativi in quel territorio; equiparare al livello nazionale, e quindi ridurre, i costi dell’energia, sia per le imprese sia per le famiglie».
Sardegna, un tesoro al 100% rinnovabile
«Le rinnovabili abbattono i costi, la Sardegna non perda questa opportunità»
Maurizio Delfanti, ordinario di Sistemi elettrici per l’energia al Politecnico di Milano, è uno degli autori dello studio, condotto dall’ateneo lombardo insieme con le Università di Cagliari e di Padova, che mostra come in Sardegna una transizione energetica 100% da rinnovabili sia non solo tecnicamente possibile ma anche opportuna dal punto di vista della riduzione delle emissioni di CO2 e conveniente dal punto di vista del prezzo dell’energia elettrica in bolletta.
Professor Delfanti, in Sardegna sulle rinnovabili c’è un dibattito aperto e a tratti aspro. Come lo giudica dal punto di vista dei dati raccolti nel vostro studio?
Sulla questione rinnovabili le varie regioni italiane stanno assumendo posizioni differenti. A condizionare le scelte è la necessità di bilanciare interessi, tutti legittimi, legati a quattro ambiti distinti: abbattimento delle emissioni inquinanti, esigenze energetiche dell’industria, uso agricolo dei suoli e conservazione del paesaggio. Ci sono regioni, come la Lombardia, dove si è raggiunto, stando al progetto di legge circolato, un equilibrio tra le diverse urgenze. In Sardegna, invece, l’attenzione al paesaggio e agli usi a scopo agricolo dei suoli ha prevalso, a mio giudizio in modo eccessivo, rispetto agli altri fattori.
La legge regionale sarda sulle aree idonee stabilisce che solo l’1,9 % del territorio può essere utilizzato per le rinnovabili. E’ una percentuale sufficiente?
E’ vero che il nostro studio dimostra come, per raggiungere in Sardegna il 100% di produzione di energia elettrica da rinnovabili basti anche solo lo 0,4% di territorio; perché in parte gli impianti possono andare a tetto e in parte nelle zone industriali o in aree neutre dal punto di vista del paesaggio e dell’uso agricolo dei suoli. Ma è altrettanto vero che uno degli obiettivi centrali cui bisogna tendere nella progettazione di sistemi energetici basati su grandi impianti è il conseguimento di un prezzo efficiente dell’energia.
Il nostro studio dimostra che più ampio è lo spettro di investimenti in fonti rinnovabili, più il meccanismo di formazione dei prezzi diventa efficiente, consentendo di abbassare i costi dell’energia in bolletta sia per le imprese sia per le famiglie. Quest’ultimo obiettivo, tra l’altro, è reso ora più agevole dalla recente riforma che sposta il prezzo dell’energia dal Pun (Prezzo unico nazionale) al Prezzo zonale. Appena la riforma sarà a regime il prezzo dell’energia elettrica che si formerà in ciascuna delle zone di mercato indicate sarà direttamente trasferito in bolletta. Se in Sardegna saranno fatte le scelte giuste, si avrà una considerevole riduzione dei costi dell’energia.
Che cosa pensa della possibile riconversione a metano delle due centrali a carbone presenti in Sardegna e di eventuali investimenti in rigassificatori?
Nel nostro studio si spiega come la riconversione delle centrali termoelettriche a carbone non è necessaria per mantenere in sicurezza il sistema elettrico della Sardegna. Grazie alle nuove reti di connessione, in particolare il Tyrrenian Link, l’energia da rinnovabili eventualmente prodotta in eccesso nell’isola potrà essere esportata in altre regioni, come è normale negli scambi tra diverse aree del Paese. E viceversa, le esigenze di sicurezza più sentite nell’isola nei mesi con meno rinnovabili, quindi in inverno, potranno essere soddisfatte importando energia dalla penisola. Fondamentali, in un’ottica di stabilità e di sicurezza, diventano poi i sistemi di accumulo.
In questa direzione vanno già, ad esempio, le scelte dell’Enel, che ha deciso, grazie anche a supporti pubblici (premi di capacità), di sfruttare il sito della centrale a carbone di Portovesme per lo stoccaggio dell’energia attraverso batterie. Una scelta per il futuro. Il nostro studio, con calcoli e simulazioni, dimostra come la presenza degli impianti di accumulo, unita al sistema di connessioni sull’isola e con il Continente, consente un funzionamento sicuro della rete elettrica sarda.
Non riteniamo quindi giustificabile la conversione a gas delle centrali termoelettriche. Questa considerazione ha però un’eccezione: se si vuole riavviare la produzione di alluminio nel Sulcis, oggi in crisi, potrebbe essere opportuno installare, in un luogo non lontano dalle fabbriche, un impianto di stoccaggio e di distribuzione di metano. Non tanto, però, per produrre energia elettrica, quanto piuttosto per garantire energia termica ad alta temperatura alle industrie dell’alluminio. Solo a questo scopo (calore ad alta temperatura per le industrie) si giustificano investimenti in impianti di stoccaggio e rigassificazione del metano, da distribuire poi senza pesanti infrastrutture.
Il 100% da rinnovabili offre anche prospettive di lavoro nuove?
Sì, e nello studio lo diciamo. Grazie a rinnovabili e sistemi di accumulo nascono, e in futuro si consolideranno, molti green jobs. In tutto il Paese crescono le attività legate alla transizione energetica. Per la Sardegna è un’opportunità importante.
Le energie rinnovabili non abbassano le bollette. (Fabrizio Quaranta, ricercatore agrario)
La speculazione energetica millantata di verde sta saccheggiando la superstite Italia agronaturale: si ascoltino finalmente non solo gli scontati panegirici delle ditte interessate e di un certo pseudo-ambientalismo, ma la voce crescente, seppur tenuta in disparte, di tanti Comuni, Istituzioni, Enti di tutela, Soprintendenze, Riserve naturali, agricoltori, allevatori, cittadini, consorzi di salvaguardia di filiere produttive e turistiche, camminatori, escursionisti, cicloamatori che si oppongono a questa affaristica quanto inutile predazione di territori, quelli migliori rimasti, i più integri.
Il costo delle bollette non si abbatte con le Rinnovabili, che per le loro caratteristiche di intermittenza e imprevidibilità di fatto non sono programmabili e producono dove e quando pare a “loro” e non dove e quando serve a noi, costringendo a prezzi di fornitura mediamente molto più elevati e scatenando profonde crisi economiche dei Paesi che le hanno adottate in maniera ideologica e senza ponderata programmazione pubblica.
Lo Stato sostiene dei costi per incentivare i nuovi impianti rinnovabili però progettati senza pianificazione da speculatori privati: solo nell’ultimo anno 10,3 miliardi di euro (10.0 nel 2024, e più o meno la stessa gigantesca zavorra da molti anni, con un record di 14.4 nel 2016). Con un paradosso: spesso li paga per buttare quell’energia in eccedenza rispetto alla domanda, prendendo i fondi necessari proprio dalle bollette che le rinnovabili “dovrebbero abbassare”.
Nell’ultimo anno le fonti di energia rinnovabile hanno coperto il 41,2 per cento della domanda di energia elettrica italiana, un record. Le installazioni anche molto impattanti procedono dirompenti, soprattutto per il solare, con più di 1,7 milioni di impianti fotovoltaici, ma senza nessun abbassamento delle bollette, anzi…
Le rinnovabili infatti sembrano candide strutture che producono a basso costo, ma invece necessitano di spese ingentissime per fare arrivare l’energia quando effettivamente serve e non creare ingorghi o carenze sulla rete di trasporto in alta tensione e la sua distribuzione in media e bassa tensione. Costi che poi si scaricano su quegli oneri indiretti che rendono la bolletta elettrica italiana una delle più care al mondo e difficile da contrarre perchè i consumi effettivi dell’utente rappresentano una voce minoritaria, soprattutto quando paradossalmente sono bassi.
Bisogna considerare le caratteristiche fisiche della Penisola: lunga, stretta e attraversata da catene montuose, un’elevata densità abitativa e due isole in cui abitano 6 milioni di cittadini. Non è semplice trasportare l’energia, specie se prodotta a intermittenza come nel caso delle rinnovabili – non sempre c’è sole o vento -, che quindi andrebbero installate dove servono di più. Ma secondo i dati Terna, le maggiori richieste di connessione continuano a provenire proprio dal Sud che però, a prezzo di un paesaggio ormai vergognosamente compromesso, è più che saturo e ha da tempo e di gran lunga superato il suo fabbisogno e quindi continuare a infestare di pale e pannelli Puglia, Lucania, Sicilia e Sardegna non ha più senso perché appunto non c’è più domanda di energia e quella prodotta in overdose o si butta (tanto è cmq pagata) o si trasporta al Nord con alti costi.
Se l’energia deve essere portata da sud a nord i costi aumentano. Ma gli appetitosi incentivi (pagati dal consumatore sulle bollette) spingono a installare dove le rinnovabili rendono di più, al sud, malgrado appunto sia saturo, dove c’è più sole e vento, e non dove servirebbe, al nord. Quando questi impianti producono più del dovuto sono in “credito” col sistema: se uno dei tanti impianti industriali che martirizzano la Puglia produce molto durante una giornata di sole o di vento, è cmq inutile perché il sistema non ha la capacità di ricevere quell’energia ma il produttore elettrico viene ugualmente premiato per qualcosa che non dà: l’’energia viene persa e, ovviamente, se non si immette in rete non decarbonizza un bel nulla, malgrado i proclami salvifici.
Questo crea prezzi dell’energia più bassi in alcune zone che possono addirittura azzerarsi o diventare negativi. In Italia succede sempre più spesso, ad esempio durante domeniche particolarmente soleggiate o ventose quando, grazie a fotovoltaico ed eolico, si produce più energia di quanto ne serva.
Il sistema non ha le capacità di trasporto o accumulo e l’energia prodotta in più viene letteralmente buttata: i prezzi estremamente bassi che ne derivano sono un’illusione per i consumatori e, anzi, aumentano i costi in bolletta. l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) afferma questo apparente paradosso “se i prezzi del mercato scendono, i costi aumentano ” e aggiunge “i costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili sono in crescita rispetto al 2023 per effetto della riduzione dei prezzi di mercato dell’energia elettrica”.
Poi ci sono i sussidi ai produttori di corrente elettrica da fonte rinnovabili: solo nel 2023 sono stati di 7.4 miliardi, un anno solo che va moltiplicato almeno per 20. Tra il 2012 (governo Monti) e il 2014 (governo Renzi) lo Stato italiano si trovò a dover tirare il freno di emergenza proprio perché iniziative incentivanti scriteriate avevano fatto lievitare le bollette, con oneri per i consumatori (famiglie e imprese) che al picco toccarono i 14 miliardi di euro l’anno e che tuttora, per il solo fotovoltaico, valgono poco meno di sette miliardi di euro l’anno (sempre da moltiplicare per vent’anni).
Gli incentivi per gli impianti di energia rinnovabile producono una distorsione nel mercato italiano:soldi pubblici regalati per qualcosa non che non serve e che va a beneficio di pochi. Per aumentare le fonti rinnovabili, negli anni lo Stato ha proposto delle “tariffe” speciali ai gestori degli impiantipagando la differenza di prezzo con le fonti fossili e rimborsando l’energia prodotta in eccesso.
Oggi si interviene in modo scandalistico aizzapopolo “quello che il governo non ci dice“. Si fa finta di spiegare perché il prezzo dell’energia in Italia è più alto: non si dice che in Germania il prezzo marginale lo fa il carbone e in Spagna e Francia lo fa il nucleare. Si confonde prezzo e costo dell’elettricità da FER (che, al GSE che la compra, non costa MAI meno di 85€/Mwh ma mediamente molto, ma molto di più). Si insinua che con più pale e pannelli pagheremmo meno le bollette perché non si considerano affatto gli spaventosi costi indiretti di equilibratura delle intermittenze e quindi l’adeguamento delle reti e la necessità di accumuli. Si nasconde la provenienza di quasi il 20% dell’energia elettrica (dal nucleare francese). Si induce a pensare che le FER producano quasi la metà dell’energia (mentre parliamo di tutte le rinnovabili, incluso grande Idro, e SOLO di elettricità, cioè il 20% di tutta l’energia). Chi legge, pensa che si forniscano dati imparziali e si fa intimidire dal “giornalismo d’inchiesta”. Si abbocca fino a quando ti capita di leggere un articolo su una cosa che conosci bene. Allora ti accorgi invano che la realtà è un’altra…Non solo il prezzo fisso a cui è venduta l’elettricità rinnovabile non è mai sotto gli 85 €, ma che per quasi metà del solare installato, IL GSE ARRIVA A PAGARE 400 €/MWH a causa degli incentivi del conto energia di 15 anni fa che ancora pesano sulle bollette per circa 7 miliardi all’ anno….
Le rinnovabili con i loro singhiozzi sbilanciano la rete e necessitano di colossali e costosissimi sincronizzatori (300 milioni ultimo recente acquisto di Terna)
Ma sulle bollette paghiamo anche il cd mercato delle capacità, cioè centrali a gas spente ma pronte ad accendersi se manca il sole e/o il vento. Viceversa se c ‘e’ un ingorgo per eccesso di produzione questo squilibrerebbe la rete e pertanto la loro elettricità respinta ma cmq pagata.
Per non disperdere questi eccessi e recuperarli quando serve ci sono enormi e impattanti accumulatori con batterie al litio comunque di scarsa efficienza e durata ma sicuramente di alto costo da aggiungere agli altri e, ovviamente ci mancherebbe, da scaricare in bolletta e nella fiscalità generale.
Ma paradossalmente fotovoltaico ed eolico devastano soprattutto aree rurali in Regioni dove c’è invece scarsa domanda come la Sardegna e la Sicilia e in genere il Sud e cosìoccorre portare quel surplus di decine di volte superiore al fabbisogno locale con altri costosissimi e impattantielettrodotti come il Thyrrenian link dalla Sardegna (ulteriori 3.7 miliardi a carico delle bollette dei consumatori) o il Santa Teresa di Gallura-Livorno (ulteriori 1.35 miliardi sulle bollette). Il surplus rinnovabile siciliano inveceandrà in Tunisia con un costo di altri 850 milioni.
Per riuscire ad accogliere e trasportare la potenza creata dalle rinnovabili, Terna ha in cantiere progetti per oltre 17 miliardi di euro fino al 2028. E già, nelle bollette degli italiani ci sono delle voci che riflettono i costi che il sistema sostiene per la rete elettrica e il trasporto dell’energia.
“23 miliardi di euro di investimenti nei prossimi dieci anni per favorire un incremento della capacità installata di rinnovabili, solare ed eolica di oltre 65 GW al 2030 e di 94 GW al 2035. “È quanto prevede il Piano di sviluppo 2025-2034 di Terna, con un incremento della dotazione finanziaria pari a +10%, in coerenza con i target del Pniec. Gli interventi consentiranno un significativo incremento della capacità di scambio di energia tra zone di mercato, raggiungendo circa 39 GW (a fronte degli attuali 16 GW), con +22% rispetto al precedente Piano…ecco, appunto.
Un recentissimo studio di Bankitalia conferma involontariamente queste dinamiche, indicando come “l’incremento delle rinnovabili e la potenziale maggiore concentrazione nel Mezzogiorno di impianti di grandi dimensioni potrebbero accrescere i problemi di congestione della rete di trasmissione nazionale, richiedendo investimenti infrastrutturali aggiuntivi” “…a conferma della finta economicità delle rinnovabili che appunto richiedono ausili tecnici colossali e costosissimi e quindi delle troppe voci di recupero “oneri” che gravano sulle bollette dei consumatori finali.
Paradossalmente se tutte le frenetiche e arrembanti richieste della speculazione predatoria fossero oggi autorizzate, centinaia di migliaia di MW, le prime vittime sarebbero le rinnovabili stesse divenute sovrabbondanti e i consumatori chiamati ANCORA UNA VOLTA a tappare i buchi con le bollette.
In bolletta, c’è un costo esplicito che finanzia le rinnovabili: la voce che si riferisce alle rinnovabili rientra negli “oneri di sistema” ed è la componente “Asos”. Ha un peso variabile a seconda dell’utenza e può superare anche il 22 per cento del totale, paradossalmente soprattutto per chi cerca invano di ridurre i consumi effettivi.
In più, dall’1 aprile di quest’anno in bolletta finirà anche il “curtailment” per gli impianti fotovoltaici: lo Stato ripagherà chi produce meno energia perché la rete elettrica non riesce ad assorbirla. Fino a oggi succedeva solo per l’eolico e ci saranno costi significativi proprio in quel Sud martoriato di impianti industriali in mezzo alle ex belle campagne.
Seguono considerazioni tratte da
“La mancanza di flessibilità della rete esacerba la volatilità dei prezzi infragiornalieri, con prezzi elevati dell’elettricità durante i picchi di domanda e prezzi negativi durante le ore di picco. Nella sola Germania, la compensazione per le energie rinnovabili ha raggiunto 20,9 miliardi di euro nel 2024. I costi di congestione della rete sono ancora relativamente bassi (2,5 miliardi di euro nel 2019) ma si prevede che aumenteranno fino a 12,3 miliardi di euro entro il 2030 e 56,7 miliardi di euro entro il 2040 senza aggiornamenti. Questi costi in ultima analisi hanno un impatto sui prezzi dell’elettricità, con potenziali aumenti del +22% entro il 2030 e fino al +103% entro il 2040. Tuttavia, le ricadute economiche si estendono oltre i prezzi dell’elettricità, minacciando la crescita del PIL e la competitività settoriale. La Germania potrebbe dover affrontare perdite di PIL pari a 1,6 trilioni di euro entro il 2050, con i servizi pubblici (perdite pari a 585 miliardi di euro), la finanza (495 miliardi di euro) e il commercio al dettaglio e all’ingrosso (266 miliardi di euro) maggiormente colpiti.
Per soddisfare l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% dell’UE entro il 2040, gli investimenti anticipati potrebbero spingere le esigenze di investimento annuali oltre i 100 miliardi di euro. La rete di distribuzione assorbirà il 56% degli investimenti totali, richiedendo 220 miliardi di euro entro il 2030, con Germania, Francia e Italia che rappresenteranno il 50% della spesa. Nel frattempo, l’infrastruttura di trasmissione, destinata a espandersi del +28% entro il 2030, richiederà 694 miliardi di euro entro il 2050. Oltre alle reti nazionali, la capacità di interconnessione e stoccaggio deve raddoppiare entro il 2030, aggiungendo 10 miliardi di euro all’anno.
la Germania potrebbe subire perdite cumulative del PIL pari a 1,6 trilioni di euro entro il 2050 mentre l’UE nel suo complesso potrebbe subire perdite economiche che raggiungono i 4,7 trilioni di euro, causate da prezzi dell’elettricità persistentemente elevati. Inoltre, i costi economici indiretti di una rete inaffidabile superano di gran lunga l’onere finanziario diretto della congestione stessa. In Germania, i costi diretti della congestione sono stimati a 0,7 trilioni di euro, ma l’impatto economico più ampio sul PIL è più del doppio di tale importo. Un modello simile emerge a livello UE, dove i costi diretti della congestione di 1,3 trilioni di euro si traducono in una perdita economica di 4,7 trilioni di euro. Il messaggio è chiaro: non espandere e modernizzare la rete elettrica non significa solo aumentare i prezzi dell’elettricità; minaccia la stabilità economica e la competitività. La transizione energetica e l’espansione della rete devono andare di pari passo per garantire un futuro resiliente e prospero. Tuttavia, anche con una sostanziale espansione dell’infrastruttura della rete, saranno necessarie altre misure per rendere la domanda più flessibile e ridurre la congestione in un futuro mercato dell’elettricità dominato dalle energie rinnovabili.
Per mantenere la competitività e ridurre al minimo l’onere economico sia per le famiglie che per le industrie, è fondamentale valutare le implicazioni della transizione di rete sui prezzi dell’elettricità e adottare misure per limitare gli aumenti dei prezzi. Gli investimenti aggiuntivi richiesti per sviluppare nuove capacità di generazione e per espandere l’infrastruttura di rete associata mettono ulteriormente a dura prova i prezzi dell’elettricità già elevati in Europa. Si prevede che solo gli investimenti in rete aumenteranno i costi della rete del +25% fino al 2030 e fino al +60% entro il 2050 rispetto ai livelli del 2022. Inoltre, è probabile che i costi di produzione di elettricità aumenteranno poiché gli investimenti nella produzione di energia dovranno raddoppiare, raggiungendo i 93 miliardi di euro all’anno per soddisfare gli obiettivi di riduzione delle emissioni Fit-for-55 dell’Europa.”
Ma se la cantilena propagandistica per favorire le rinnovabili ovunque senza regole e pianificazione pubblica fa leva sulla 2° bufala ripetuta dai grandi media compiacentia sfinire e rassegnare l’interlocutore “servono ad abbassare le bollette”, per chi volesse sapere la Prima bufala della falsa propaganda sulle rinnovabili è il ritornello sulle “filantropiche” motivazioni degli speculatori energetici (in odor di santità?) per far approvare i loro 6110progetti predatori (feb 2025),nessuno virtuoso su tetti e aree già consumate, ma un arrembaggio sulle più integre campagne italianee sugli splendidi crinali appenninici:“fermeremo i cambiamenti climatici!”.
Mentre tutti sanno che, anche massacrando mezza, ma pure TUTTA Italia, il nostro contributo alla riduzione di CO2 climalterante a livello GOBALE sarebbe irrisorio (perchè causata al 99.3% lontanissimo dal nostro Paese) e nulla invece cambierebbe a livello locale dove continuerebbero indisturbati gli eventi estremi mentre imponentii nefasti effetti sui territori inutilmente e irreversibilmente devastati.
Insomma un consapevole suicidio inutile e con conseguenze ambientali e socioeconomiche disastrose.
Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche, che – oltre ai certificati verdi e alla relativa commerciabilità, nonché agli altri incentivi – beneficiano degli effetti economici diretti e indiretti del dispacciamento, il processo strategico fondamentale svolto da Terna s.p.a. per mantenere in equilibrio costante la quantità di energia prodotta e quella consumata in Italia: In particolare, riguardo gli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, “se necessario, Terna invia specifici ordini per ridurre o aumentare l’energia immessa in rete alle unità di produzione”, ma l’energia viene pagata pur non utilizzata. I costi del dispacciamento sono scaricati sulle bollette degli Italiani.
Inoltre, la Commissione europea – su richiesta del Governo Italiano – ha recentemente approvato (4 giugno 2024) un regime di aiuti di Stato in favore delle imprese energetiche che sarà pari a 35,3 miliardi di euro e, tanto per cambiare, sarà finanziato “mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali”..
Insomma, siamo all’overdose di energia producibile da impianti che servono soltanto agli speculatori energetici.
Le rinnovabili forniscono energia in maniera intermittente, con drammatica assenza di fornitura in certe ore o interi giorni. Nel migliore dei casi possono garantire energia per 2000 ore/anno… ma nell’anno ci sono 8760 ore. Le FER producono molto meno elettricità di quanto sbandierato e la producono tutta insieme, quando spesso si accavallano e non serve. Infatti non sostituiscono le centrali tradizionali ma le affiancano perché quando il sole e il vento non ci sono, bisogna ricorrere a gas e carbone.
In particolare i dati ufficiali della meteorologia nazionale indicano che il vento ha una velocità media di 5 m/sec e soffia per 1460 ore/anno ma nelle restanti 6 940 c’è calma piatta. Ma se 10 m/sec è la velocità di massimo rendimento capace di fornire 60 Kwh si dimezza, cioè scende a 5 m/sec, l’energia fornita non si dimezza anch’essa a 30 Kwh come si sarebbe indotti a pensare, ma diventa 8 volte più piccola: cioè 7,5 Kwh. Nella formula che calcola l’energia infatti la velocità del vento è un fattore elevato al cubo. Quindi 7,5 Kwh x 1 460 h = 10 950 Kwh all’anno: una vera miseria, arrotondiamo pure a 12’000, ma non certo i 500 000 Kwh/anno, come falsamente propagandato dai costruttori di alcuni mostri eolici. Quindi un rendimento scarso al prezzo di costi costruttivi e ambientali elevatissimi.
Dal 2019 al 2023 la potenza “verde” installata in Italia è salita di 11 GW, del 20%, da 55 a 66 GW. La relativa produzione netta è cresciuta solo del 3%, da 97 a 100 TWh. Ovvio: vento, sole ed acqua sono intermittenti e inefficienti e fanno e danno quel che vogliono, quando vogliono. Potrebbero aiutare la transizione energetica se ben regolamentate dallo Stato senza ulteriore consumo di suolo, ma certo non sono la soluzione taumaturgica, dogmatica, indiscutibile e confessionale.
E allora quanto territorio è stato invano sacrificato per un risultato modesto, di scarsa efficacia seppur di falsa propaganda. Inevitabilmente rimarranno le centrali a combustibile fossile per garantire una fornitura continua, altro che illusoria completa “imminente” sostituzione.
Il ricorso ideologico e parossistico alle rinnovabili inevitabilmente parziali e intermittenti ha determinato la recessione della già ricca Germania, compensato solo da un frettoloso ritorno in grande del carbone, alla faccia delle emissioni climalteranti.
La Germania ha interrotto i nuovi progetti eolici e si trova ad affrontare costi miliardari per smaltire le enormi turbine, non riciclabili e inquinanti.
La stessa situazione si ripete nelle altre nazioni dell’Ue in cui sono interrotti gli incentivi europei/statali”, addirittura nella ventosissima Danimarca. In altre parole, una volta terminati i sussidi, l’interesse delle aziende per l’eolico crolla, evidenziando una sproporzione tra i costi elevati e i benefici limitati di questa tecnologia.
L’Investimento di una Torre Eolica si ripagherebbe in circa mezzo Millennio….
E per finire mi chiedo, forse ingenuamente, come la ancora importante parte, seppur ormai minoritaria, di non corrotti, non ignavi, non complici, quindi intellettuali, persone colte, giornalisti non prezzolati, politici ancora per passione civica e sociale, ambientalisti sinceri, cittadini non telelobotomizzati e con cervello ancora pensante ed indipendente FACCIA AD ACCETTARE QUESTA FRENETICA ECATOMBE DEL TERRITORIO, presentata come ineluttabile con una stucchevole e falsa propaganda millantata di verde a coprire il più grande business predatorio della Storia ambientale italiana.
Relazione sviluppata da fonti diverse tra cui: https://www.allianz.com/content/dam/onemarketing/azcom/Allianz_com/economic-research/publications/specials/en/2025/march/2025-03-11-Electricity-Market.pdf
https://www.today.it/economia/rinnovabili-costi-bollette-italia-2025.html (a cura di C. Treccarichi)
(foto da Google Earth, da mailing list ambientalista, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)