La petizione Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! si firma qui.
dossier sull’energia agrivoltaica a cura del dott. Fabrizio Quaranta, esperto in agricoltura, già primo ricercatore agrario dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura (oggi CREA).
Nel ben tracciato solco della ipocrita furbizia italiana aggira-regole
PERDITE PRODUTTIVE E QUALITATIVE PER LE COLTURE AGRARIE
SEPPUR MILLANTATA, NESSUNA INCIDENZA LOCALE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI GLOBALI
DEBOLE E IPOCRITA ALIBI PER CONSUETO ASSALTO LUCRATIVO AL TERRITORIO
SOLO ULTERIORE CONSUMO DI SUOLO E DISFACIMENTO DEL PAESAGGIO
INTRODUZIONE
L’AGRIVOLTAICO è di fatto un artificio elaborato a fini di lucrosa produzione energetica per aggirare le benvenute (seppur tardive) regole che vietano direttamente il fotovoltaico sui terreni agricoli.
Uno dei più gravi fenomeni distruttivi dell’ambiente, dell’agricoltura, del paesaggio e oggi sempre più invasivo, è legato al proliferare senza regole e controlli di impianti industriali fotovoltaici, agrivoltaici, grattacieli eolici, batterie di accumulo, stazioni e sottostazioni, per la produzione di energia elettrica, che, con la furba vulgata populista semantica del termine “parchi”, stanno devastando il nostro prezioso paesaggio agricolo, naturale e storico-culturale, non solo perché renderanno impossibile per decenni le storiche coltivazioni di pregio che caratterizzano la nostra agricoltura, ma anche per le opere connesse necessarie al loro funzionamento e per gli impatti sul paesaggio e sulla vita delle persone: isole di calore, rumore, interdizione di vaste aree, inquinamento elettromagnetico, inquinamento luminoso, frammentazione ecologica, perdita di suolo pregiato, perdita di attività economiche, perdita di valori culturali, storici e paesaggistici, disturbo della fauna…
Dopo 70 anni di selvaggia speculazione edilizia, incontrollata urbanizzazione e crescente diminuzione della SAU, superficie agricola utilizzabile, con perdita completa dell’autosufficienza per quasi ogni materia prima alimentare ( meno del 64% per grano tenero per pane e pasticceria, -44% duro per la pasta,- 53% mais,-73% soia e poi legumi, olio, frutta secca, ecc.…fonte ISMEA e CREA), e’ semplicemente irresponsabile consumare ulteriore suolo, tombando migliaia di ettari, tra l’altro quelli migliori e carenti, i più fertili, pianeggianti e ben esposti, con un osceno tappeto per km di lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra (che tutti sanno potrebbero tranquillamente trovare posto su tetti o aree industriali già consumate (fonte ISPRA), seppur con minor lucro privato dell’arrembante speculazione energetica).
Già migliaia di ettari agricoli, soprattutto a grano, pianeggianti del Sud più bello (Sicilia, Puglia, Lucania, Molise) sono stati impunemente massacrati, con “allegro” cambio di destinazione d’uso, e ora tocca alle località più iconiche del Centro, in particolare della Tuscia e della Maremma, “ree” di aver preservato vaste aree agronaturalisticamente integre e quindi particolarmente appetitose alla speculazione energetica: a Tuscania, Tarquinia e, soprattutto, Vulci-Montalto di Castro ormai si coltiva quasi più silicio che grano e centinaia di progetti predatori per centinaia di ettari di agrivoltaico e decine di grattacieli eolici alti 200 metri incombono su quelle zone patrimonio agronaturale e culturale dell’umanità presto ridotte a squallide periferie industriali se non si ferma l’invasione lucrativa di questi giganteschi impianti industriali ipocritamente spacciati come salvatori dell’umanità dai cambiamenti climatici.
L’abnorme numero di progetti industriali per le energie rinnovabili, seppur sottoposti alla valutazione di diverse Autorità competenti, sta facendo diventare il già incantevole territorio italiano una grande periferia industriale dedicata alle FER, snaturando definitivamente il paesaggio con un danno enorme alle economie locali e al tessuto sociale.
Si considerano le terre agricole e i siti naturali come Res nullius, qualcosa di vuoto e inutile da riempire, costruire, consumare con facile e furbo lucro millantato per moderno progresso sviluppista, con criteri di valutazione socioeconomica superati e forieri di un’ulteriore urbanizzazione selvaggia portatrice di degrado della qualità della vita.
Tutto ciò non fa altro che avvalorare la tesi che i progetti in questione non siano volti al bene comune e al contrasto al cambiamento climatico (che non ha certo cause locali, ma GLOBALI) come millantato ipocritamente in varie sedi per mascherare il grande business, ma rispondano esclusivamente a logiche di privatissima economia speculativa aziendale e ove oltretutto le aziende proponenti si sostituiscono allo Stato, avendo addirittura il potere di espropriare.
Le terre fertili sempre più scarse, gli ineludibili servizi ecosistemici del suolo (in primis proprio lo stoccaggio del carbonio e la regimazione idraulica a concreto freno delle alluvioni), la produzione agricola sempre più deficitaria, il paesaggio identitario, la nostra storia e cultura, la grande Bellezza che richiama crescente turismo sostenibile, in nome di una irrisoria riduzione di CO2 GLOBALE è tecnicamente inutile per attenuare LOCALMENTE gli effetti nefasti del cambiamento climatico, provocato al 99.3% lontanissimo dall’Italia, ma sta delineando invece un sicuro masochistico suicidio ambientale ed economico, socialmente ed eticamente vergognoso.
Nel ben tracciato solco della ipocrita furbizia italiana aggira-regole L’AGRIVOLTAICO è di fatto un artificio elaborato a fini di lucrosa produzione energetica per aggirare le benvenute (seppur tardive) regole che vietano direttamente il fotovoltaico sui terreni agricoli.
Il profluvio di mercantili promesse miracolistiche sul connubio virtuoso tra fotovoltaico e agricoltura non bastano certo a fugare molti interrogativi in chi di agricoltura a vario titolo si occupa. In realtà l’agrivoltaico è un tema su cui scarseggiano analisi accurate, ricerche sul campo e conoscenze consolidate e soprattutto pubbliche e indipendenti. I grandi finanziamenti per la ricerca privata puntano a presentarlo come fenomeno virtuoso e mirano ad una sua accettazione incondizionata da parte dell’opinione pubblica (residente ormai in gran parte in città) e soprattutto della politica chiamata a decidere, ma traspare la scarsità di conferme credibili nella letteratura scientifica internazionale indipendente
SUGLI EFFETTI NEGATIVI PER LE COLTURE AGRARIE
Secondo la consueta e ben diffusa narrazione propagandistica per far digerire questo ennesimo scempio predatorio e ulteriore consumo di terre agricole “l’inserimento di pannelli fotovoltaici nelle aree agricole consentirebbe di ridurre drasticamente l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, grazie alle specie vegetali autoctone che crescerebbero all’ombra dei pannelli” …I soliti slogan ben orecchiabili ma senza alcun fondamento tecnico-scientifico
Ma quasi nessuna coltura agraria si presta a una bassa radiazione luminosa o limitata in solo determinate ore della giornata. Molte colture non sono per niente adatte a convivere con gli impianti, anzi ne risentono. È il caso di frumento, farro, mais, alberi da frutto, girasole, cavolo rosso, cavolo cappuccio, miglio, zucca e in generale di tutte le colture che hanno bisogno di molta luce solare
Nessuna pianta mediterranea adattatasi nei millenni si giova dell’inutile ombreggiamento se non per brevissimi periodi estivi e solo nelle ore centrali della giornata mentre lo scempio di ferro e silicio (addirittura sopraelevato) offende e degrada il territorio per km e km TUTTO L’ANNO e per tutte le 24h.
Si ricorda che
- La decantata “riduzione di pesticidi” nelle colture ombreggiate artificialmente è un’affermazione paradossale perché al contrario si verrebbe a creare un microclima più umido intorno alla vegetazione e quindi casomai si creerebbero le condizioni favorevoli allo sviluppo dei funghi che sono i principali e i più temuti patogeni delle colture.
- Le colture primaverili-estive sono in campo da aprile a ottobre e i “benefici” decantati a giustificare la follia dell’agrivoltaico da una letteratura di “parte” per le specie a ciclo C3 (attenuazione della fotorespirazione per contrastare la chiusura degli stomi, ma non per quelle a C4 come il Mais) forse si avrebbero per meno di soli 30-40 gg e, appunto, nelle sole ore centrali della giornata. Ma per i restanti 300-320 gg a chi giovano? La luce è fondamentale per la fotosintesi e quindi l’accrescimento e la produttività delle piante. La risposta è facile, purtroppo e non serve citazione ma onestà culturale, con la u e anche con la o.
- Le colture vernine come i frumenti, principali seminativi nazionali coltivati per quasi 2 milioni di ettari e vera quinta paesaggistica dell’Italia più struggente, sono in campo generalmente da novembre a luglio e questi DI CERTO NON SI GIOVANO DI OMBREGGIAMENTI FARLOCCHI in NESSUNA FASE DEL CICLO COLTURALE in quanto
- da novembre fino a marzo finirebbero per contrarre la produttività,
- ad aprile-maggio, nella strategica fase di levata-spigatura, li esporrebbe a malattie crittogamiche tra cui le subdole fusariosi, veicolo di pericolose micotossine notoriamente cancerogene.
- E poi a fine ciclo in giugno-luglio queste colture hanno bisogno di tutto il calore mediterraneo senza tralicci e pannelli a oscurare le spighe perché la granella si asciughi e possa essere facilmente mietitrebbiata e soprattutto conservata a lungo senza pericolosi inneschi di muffe e funghi.
- Queste colture estensive seppur fondamentali per la sicurezza alimentare nazionale già pericolosamente deficitaria, non permettono però redditi elevati a causa dei prezzi internazionali scarsamente remunerativi e possono trovare una motivazione imprenditoriale solo se realizzate con macchinari specifici di grandi dimensioni che per un uso razionale e fluido, economicamente conveniente, necessitano di appezzamenti LIBERI DA OSTACOLI MECCANICI come pali, pannelli, cavi, ecc.
- A questo si può aggiungere un ulteriore effetto negativo legato alla distribuzione dell’acqua piovana che può non essere distribuita omogeneamente e creare un eccesso idrico in prossimità dell’area sottostante al bordo inferiore dei moduli e accentuare fenomeni di erosione e dilavamento.
È stato evidenziato da Way e Pearcy (2012) che possono verificarsi ritardi di 10-60 minuti per la riapertura completa degli stomi (dal cui scambio gassoso dipende la fotosintesi e quindi l’accrescimento della pianta e la produttività della coltura) dopo una transizione dall’ombra al sole. Anche per questo motivo le prestazioni delle colture sotto sistemi agrivoltaici sono inferiori delle colture sotto reti ombreggianti per lo stesso livello medio di ombra.
Way DA, Pearcy RW (2012) Sunflecks in trees and forests: from photosynthetic physiology to global change biology. Tree Physiol 32:1066–1081. https://doi.org/10.1093/treephys/tps064
Malgrado la scarsità di specifiche sperimentazioni affidabili di lunga durata per Christian Dupraz dell’Università di Montpellier, tuttavia, le prime lezioni generali si possono già trarre. Effettuando una sintesi di una trentina di esperimenti con risultati significativi provenienti da tutto il mondo, il ricercatore ha concluso in una recente pubblicazione che “il tasso di copertura dei pannelli – la loro superficie piana rispetto all’ettaro – è direttamente correlato con il calo delle rese, che diminuiscono massicciamente se questo tasso supera il 25%.” E per un semplice motivo: “È impossibile garantire le stesse rese quando si intercetta tra il 20 e il 50% della radiazione solare.
Le rese produttive diminuiscono rapidamente quando il rapporto tra l’area dei pannelli fotovoltaici e l’area del terreno aumenta. Sembra che sia necessario un’area di pannelli < 25% per garantire che la resa produttiva delle colture rimanga > 80%. Con il 25% di ombra (=20% superficie occupata da pannelli) la maggior parte delle colture ha una riduzione media della resa su scala parcellare di circa il 23%. Con il 60% di ombra (cioè pannelli sul 50% della superficie), la maggior parte delle colture vede diminuire la propria produttività in maniera marcata, con una riduzione media della resa su scala di appezzamento del 55%.
Dupraz, C. Assessment of the ground coverage ratio of agrivoltaic systems as a proxy for potential crop productivity. Agroforest Syst 98, 2679–2696 (2024). https://doi.org/10.1007/s10457-023-00906-3
In Italia le linee guida del MASE per l’agrivoltaico permettono un’occupazione e un consumo di suolo del 30% di terreno da parte delle strutture fotovoltaiche e quindi la RIDUZIONE DI RESA È INEVITABILE E CONSISTENTE malgrado le strampalate fake news che pretendono il contrario che spesso si basano su studi mal impostati, mal replicati o limitati a situazioni temporali o spaziali alquanto limitate e pertanto non significative.
I risultati di Laub et al. (2022) evidenziano che con il 50% di ombra la maggior parte delle colture annuali subisce un calo significativo medio di almeno il 35% della produzione. Un elevato calo della resa relativa del 50% colpisce i principali seminativi coltivati come leguminose da granella, tuberi, mais e cereali, mentre le colture perenni (foraggi e alberi da frutto) e alcuni ortaggi sono meno sensibili ma in ogni caso la decurtazione non è trascurabile. Con il 25% di ombra, la diminuzione media della resa è stata cmq del 14%.
Laub M, Pataczek L, Feuerbacher A, Zikeli S, Hogy P Contrasting yield responses at varying levels of shade suggest different suitability of crops for dual land-use systems: a meta-analysis. 2022 Agron Sustain Dev 42:13. https://doi.org/10.1007/s13593-022-00783-7
Alcuni studi mostrano rese significativamente ridotte all’ombra dei sistemi agrivoltaici per il mais (Kim et al. 2021; Ramos-Fuentes et al. 2023).
Kim S, Kim S, Yoon C-Y (2021) An efficient structure of an agrophotovoltaic system in a temperate climate region. Agronomy 11:1584. https://doi.org/10.3390/agronomy11081584
Ramos-Fuentes IA, Elamri Y, Cheviron B, Dejean C, Belaud G, Fumey D (2023) Effects of shade and deficit irrigation on maize growth and development in fixed and dynamic AgriVoltaic systems. Agric Water Manag 280:108187. https://doi.org/10.1016/j.agwat.2023.108187
Spesso si insinua che le piante perenni come gli alberi da frutto possano sopportare meglio l’ombra rispetto alle colture annuali, ma questo non è stato evidenziato nei dati di ricerche valide disponibili.
I risultati di Jiang et al. (2022) sui kiwi non hanno confermato un’elevata tolleranza all’ombra in questa specie, che ha mostrato un resa produttiva ridotta per valori di area pannellata> 25%.
Jiang S, Tang D, Zhao L, Liang C, Cui N, Gong D, Wang Y, Feng Y, Hu X, Peng Y (2022) Effects of different photovoltaic shading levels on kiwifruit growth, yield and water productivity under “agrivoltaic” system in Southwest China. Agric Water Manag 269:107675. https://doi.org/10.1016/j.agwat.2022.107675
La strategia di ombreggiamento fluttuante testata in uno studio su meleto in agrivoltaico non ha mantenuto rese sufficienti a ripagare i costi di produzione: in tutti e tre gli anni di studio infatti le rese sono state inferiori alla soglia minima di 40 t/ha.
Juillion P, Lopez G, Fumey D, Lesniak V, Génard M, Vercambre G (2022) Shading apple trees with an agrivoltaic system: impact on water relations, leaf morphophysiological characteristics and yield determinants. Sci Hortic 306:111434. https://doi.org/10.1016/j.scienta.2022.111434
Luigi Manfrini dell’Università di Bologna ha ricordato che la presenza di una struttura agrivoltaica in un frutteto modifica il microclima, conseguentemente sull’efficienza fotosintetica e l’assimilazione del carbonio da un lato e sulle relazioni idriche dall’altro, incidendo sulla crescita del frutto, sulla crescita vegetativa e sulla differenziazione degli organi della pianta.
Alessio Scalisi (Agriculture Victoria, Australia) analizzando le risposte fisiologiche-produttive delle piante di pero sotto impianti fotovoltaici con orientamenti dei pannelli a 45W e 5W. Ciò che si è osservato è: traspirazione ridotta, numero di frutti tra il 36% e il 45% in meno, diametri dei frutti tra il 6-7% mediamente più piccoli, produzione inferiore del 32-38%, riduzione del sovracolore rosso del 54-61%, riduzione degli zuccheri del 9-10%.
Sara Vitali, sulla Rivista di Frutticoltura del 24 Aprile 2024, sintetizzava queste conclusioni relative ai frutteti
- Agrivoltaico nel frutteto: performance agronomiche difficili da mantenere
- Penalizzazione produttiva per calo fotosintesi
- Penalizzazione qualitativa dei frutti (colore, zuccheri, calibro)
- Diminuzione ritorno a fiore – alternanza di produzione
- grande incertezza sulla reale possibilità di mantenere le performance agronomiche del frutteto, se questo viene a trovarsi in condizioni di scarsa luminosità».
Le colture hanno bisogno di luce, e la sintesi di Dupraz, C. Assessment of the ground coverage ratio of agrivoltaic systems as a proxy for potential crop productivity. Agroforest Syst 98, 2679–2696 (2024). https://doi.org/10.1007/s10457-023-00906-3 mostra che i comuni progetti agrivoltaici non sono assolutamente compatibili con una resa soddisfacente.
Le pubblicazioni che vengono sbandierate ad arte per sostenere la validità dell’agrivoltaico dipendono dal fatto che alcuni autori hanno estrapolato set di dati limitati sulla resa delle colture con sistemi AV e hanno raggiunto conclusioni troppo ottimistiche, come Sarr et al. (2023) o Moreda et al. (2021). Quest’ultimo, ad esempio, ha ipotizzato che il mais avrebbe mantenuto la sua resa sotto i pannelli fotovoltaici, seguendo l’esperimento di Sekiyama e Nagashima (2019). Sfortunatamente, ulteriori esperimenti sul mais (Kim et al. 2021; Ramos-Fuentes et al. 2023) non hanno fornito risultati coerenti e suggeriscono invece che il mais potrebbe non prosperare sotto i pannelli fotovoltaici. Allo stesso modo, nella loro recente sintesi sul potenziale dell’AV per l’Unione Europea, Chatzipanagi et al. (2023) hanno fatto riferimento a un numero molto limitato di studi per valutare l’impatto dei pannelli sulle rese delle colture e, sfortunatamente, si sono basati su quei pochi studi che prevedono rese sorprendentemente (….) elevate sotto i pannelli (Hudelson e Lieth 2020; Sekiyama e Nagashima 2019; Trommsdorff et al. 2021; Weselek et al. 2021). Alcuni di questi esperimenti sono stati eseguiti su piccola scala, con effetti di bordo potenzialmente marcati che potrebbero aver portato a una sovrastima delle rese delle colture e quindi non attendibili.
In un esperimento a Montpellier, l’orzo ha avuto rese molto più elevate sotto i pannelli che in pieno sole (Dupraz et al. 2014 dati non pubblicati). Tuttavia, la spiegazione chiave era che l’appezzamento libero di controllo era invaso da erbacce, mentre l’orzo situato sotto i pannelli era quasi privo di erbacce. Non c’erano repliche e probabilmente i due terreni non erano omogenei e quindi l’esperimento non è stato ritenuto pubblicabile
Nel lavoro di Dal Prà et al. (2023) si è indagato sulla coltivazione della lattuga durante l’estate in Italia. I risultati mostrano una maggiore resa di lattuga fresca con il sistema agrivoltaico. Tuttavia, un aumento delle rese per un breve periodo in estate può essere compensato da basse rese durante le altre stagioni di crescita. L’impatto di un sistema agrivoltaico dovrebbe essere valutato almeno su un arco temporale di un anno, compresa la rotazione completa delle colture nel corso dell’anno e nei successivi.
Rese maggiori con l’agrivoltaico sono state documentate in un particolare esperimento sui pascoli (Madej et al. 2022), ma confrontandole con rese assolute irrisorie. Quando i rendimenti assoluti sono così bassi, le radiazioni, logicamente, potrebbero non essere più un fattore limitante. Durante gli anni senza eventi di stress estremo, domina la competizione per la luce, che può compensare ampiamente qualsiasi vantaggio ottenuto durante gli anni secchi e caldi. Allo stesso modo, quando le colture crescono su terreni molto poveri e siti con rese potenziali molto basse, la luce potrebbe non essere un fattore limitante, ma tali rese così limitate non consentirebbero agli agricoltori di guadagnarsi da vivere (E anzi quei luoghi sarebbero di fatto non adatti all’agricoltura e i modesti incrementi ottenuti saltuariamente con una ingombrante e costosa copertura fotovoltaica non basterebbero a creare le condizioni neanche per un’economia di sussistenza).
In Giappone legge richiede all’agrivoltaico una resa minima dell’80% del raccolto senza coperture, che è molto difficile da raggiungere. Di conseguenza, i nuovi progetti agrivoltaici in Giappone non sono più finanziabili. Le banche si rifiutano di finanziare nuovi progetti, nel timore che il controllo delle rese effettive induca un taglio delle tariffe incentivanti per l’energia elettrica che sono cruciali per la redditività economica dei progetti. La maggior parte dei siti agrivoltaici giapponesi ha una copertura dei pannelli del 30%, che non è compatibile con una resa produttiva dell’80% rispetto a una coltura libera.
SUGLI ASPETTI NEGATIVI PER I TERRENI
Cercando in letteratura scientifica si scopre che sono molti i sospetti di impatto e troppo pochi gli studi per decidere con sicurezza (Lambert, 2021), il che dovrebbe indurci a non essere precipitosi nel dire che gli impianti solari sono sostenibili al 100% ed evitare di installarne a terra prima di avere evidenze scientifiche in grado di sgombrare il campo dai dubbi. Dubbi che, però, non mancano dal momento che gli studi indipendenti condotti fino a oggi non eliminano affatto la tesi dell’impatto sui suoli, a partire dalla riduzione quali-quantitativa della produzione agricola e sulle funzioni ecosistemiche dei suoli.
Quentin Lambert, ricercatore presso l’Institut méditerranéen de biodiversité et d’ecologie marine et continentale dell’Università di Aix-Marseille, ha portato a termine assieme ai suoi colleghi una lunga ricerca su diversi siti solari monitorando ben 21 parametri. Le conclusioni non sono favorevoli alla messa a terra dei pannelli. Ci dicono che la qualità dei suoli generalmente peggiora nei parchi solari rispetto ad aree con coperture semi-naturali.
Lambert (2021), i suoi studi affermano che diminuisce la stabilità degli aggregati del suolo (si autofrantumano e perdono potere colloidale) e l’impatto sulla funzionalità delle piante rimane ancora poco chiaro al punto da auspicare altri e nuovi studi per acclarare la cosa. Inoltre, la necessaria e preventiva rimozione della vegetazione nelle fasi costruttive innesca un iniziale declino di materia organica che va a ridurre di molto la densità microbiologica dei suoli stessi il che, come sappiamo, è l’inizio della sofferenza ecobiologica di questo delicatissimo e non rinnovabile ecosistema dal quale dipendiamo in tutto e per tutto.
Q. Lambert, A. Bischoff, S. Cueff, A. Cluchier, R. Gros Effects of solar park construction and solar panels on soil quality, microclimate, CO2 effluxes, and vegetation under a Mediterranean climate– 2021. Land degradation & development https://doi.org/10.1002/ldr.4101
Uno studio dell’Università della Tuscia (Moscatelli et al.), pubblicato su rivista con referaggio internazionale, Science Direct, nel giugno del 2022, ha paragonato le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un terreno coperto per 7 anni da pannelli fotovoltaici con uno limitrofo non coperto e i risultati attestano una variazione della fertilità del suolo con significativa riduzione della capacità di ritenzione idrica e della temperatura del suolo, oltre all’aumento della conducibilità elettrica (EC) e del pH. Sotto i pannelli, la materia organica del suolo è stata drasticamente ridotta, inducendo una parallela diminuzione dell’attività microbica (valutata come respirazione o attività enzimatica) e della capacità di sequestro della CO2. Ne consegue dunque una drastica riduzione della fertilità e dei servizi ecosistemici che le porzioni di suolo occupate per più anni dai pannelli fotovoltaici sono in grado di erogare. Una futura riconversione ad uso agricolo potrebbe poi richiedere molto tempo e risorse.
M.C. Moscatelli, R. Marabottini, L. Massaccesi, S. Marinari. Soil properties changes after seven years of ground mounted photovoltaic panels in Central Italy coastal area; ScienceDirect, 2022
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S2352009422000207
https://doi.org/10.1016/j.geodrs.2022.e00500
A questi impatti possiamo aggiungerne altri più difficili da calcolare e spesso trascurati, come il fatto che gli impianti fotovoltaici sono tutti recintati e questo crea una barriera ecologica non indifferente che impatta sulla biodiversità. E poi: la fase di cantierizzazione con i suoi movimenti terra; l’apertura di nuove strade; la pur minima realizzazione di fondazioni e di cabine o edifici di servizio; lo scavo per la realizzazione di cavidotti; la risagomatura di cigli e morfologie di campo; la deviazione di fossati e piccoli scoli, e così via.
Altrettanto trascurato, ma presente, è il tema del rischio di contaminazione visto che i pannelli vengono puliti con detergenti chimici che, inevitabilmente, si disperdono al suolo. Inoltre alcune tipologie contengono piccole quantità di gas tossici e sostanze contaminanti che, in caso di incidente o incendio, andrebbero a disperdersi nell’ambiente (Various, 1996).
SUGLI ASPETTI NEGATIVI LEGATI ALLA SALUTE
Gli impianti fotovoltaici e agrivoltaici riscaldano le aree circostanti, influenzando negativamente gli ecosistemi naturali o antropici in esse presenti impattando su fauna, flora e salute umana con formazione di isole di calore.
Se dal lato utile producono energia dall’altro lato producono calore (fino a 7O°).
Tra i possibili impatti microclimatici causati dagli impianti fotovoltaici e agrivoltaici i più frequenti sono:
– aumento di temperatura dell’aria;
– variazione di umidità dell’aria ed evapotraspirazione (suolo naturale o permeabile);
– diminuzione della radiazione solare (sotto e in prossimità dei pannelli solari);
– variazioni a microscala della ventilazione.
Tra questi impatti, quello più significativo in tutti gli ambienti di localizzazione degli impianti è l’alterazione del campo termico. Si parla di fenomeno di Isola di Calore da Fotovoltaico (PVHI) in analogia al fenomeno microclimatico di Isola di Calore Urbana (UHI) [Barron, 2016].
La vegetazione riduce la cattura e lo stoccaggio del calore nei suoli, l’acqua infiltrata e la vegetazione rilasciano flussi di calore latente dissipanti per evapotraspirazione. Tali flussi di calore latente possono risultare drasticamente ridotti in installazioni fotovoltaiche, portando a maggiori flussi di calore sensibile riscaldanti per radiazione e convezione. Vengono coinvolte anche l’energia re-irradiata dai pannelli fotovoltaici e l’energia trasferita all’elettricità [Barron, 2016].
Centrali fotovoltaiche e agrivoltaiche inducono un cambiamento del paesaggio, che risulta più scuro e meno riflettente a causa della variazione dell’albedo (frazione di radiazione solare incidente che è riflessa in tutte le direzioni e indica il potere riflettente di una superficie) indotta dai pannelli.
ARPAV, 2023. Monitoraggio impatto microclimatico da FVT e A-FVT – Linea Guida ARPAV.
https://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/cambiamenti-climatici/file-e-allegati/monitoraggio impatto-microclimatico-da-fvt-e-a-fvt_linea-guida-arpav.pdf/@@display-file/file
Le interferenze elettromagnetiche degli impianti sono un ulteriore rischio in termine di salute (umana e animale). La presenza di ampie infrastrutture elettriche e cavidotti sotterranei può generare campi elettromagnetici, i cui effetti sulla salute umana e animale non sono stati sufficientemente valutati, in contrasto con quanto stabilito dal D.P.C.M. dell’8 luglio 2003, che fissa i limiti di esposizione a tali campi. Anche se poco discussa, infatti, la letteratura scientifica è piuttosto ricca di studi che evidenziano effetti negativi sugli esseri viventi già con la quantità di radiazione emessa dalle attuali tecnologie. Le ulteriori radiazioni di questi impianti (per altro a stretto contatto con persone, flora e fauna), e il fatto che non si conoscono ancora bene gli effetti cumulativi dati da inquinamento elettromagnetico e altri tipi di inquinamento sembra aumentare i dubbi sulla completa innocuità di tali strutture industriali.
AGRIVOLTAICO E VINCOLI EQUIPARATI AL FOTOVOLTAICO A TERRA
Le recenti pronunce della giurisprudenza, sia da parte dei TAR che del Consiglio di Stato, hanno evidenziato un orientamento unitario riguardo agli impianti agrivoltaici. In particolare, questi impianti non beneficiano di un regime autorizzativo privilegiato rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici a terra, in quanto sono soggetti agli stessi vincoli paesaggistici, ambientali e procedurali. Di seguito si esaminano i punti salienti delle sentenze e dei criteri giuridici che ne derivano.
Principio di equiparazione tra agrivoltaico e fotovoltaico a terra
Dalle sentenze emergono chiaramente che la doppia destinazione, agricola ed energetica, non consente all’agrivoltaico di allontanarsi dai vincoli applicabili al fotovoltaico a terra. Nel caso del TAR Umbria, Sentenza n. 615/2023, il Tribunale ha sottolineato che “l’agrivoltaico, pur connotandosi per la compresenza di attività agricola e produzione energetica, non può prescindere dalla valutazione di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli artt. 136 e 146 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali), esattamente come previsto per il fotovoltaico a terra.” Questo significa che, nonostante l’integrazione dell’attività agricola, l’impianto deve comunque rispettare rigorosi standard di tutela paesaggistica.
Anche il TAR Sardegna, con la Sentenza n. 192/2023, ha confermato che “la finalità agricola accessoria non modifica la natura sostanziale dell’impianto, che deve essere valutato alla stregua degli impianti fotovoltaici tradizionali, con particolare riguardo all’impatto sul suolo e al consumo di territorio.” Tale affermazione rafforza l’idea che la presenza di un’attività agricola non costituisce una via d’uscita dal rispetto dei vincoli paesaggistici.
Le sentenze del TAR Puglia, sia quella di Bari (Sentenza n. 1144/2024) che quella di Lecce (Sentenza n. 361/2023), ribadiscono ulteriormente che non vi è alcuna deroga derivante dalla destinazione agricola del terreno. In particolare, il TAR Bari ha dichiarato che “la pretesa di sottrarre l’agrivoltaico alle discipline di settore (L.R. Puglia n. 45/2013) è infondata, poiché la destinazione agricola del terreno non esime dal rispetto dei limiti alla localizzazione degli impianti energetici.” Analogamente, il TAR Lecce ha evidenziato come “l’impianto agrivoltaico, ancorché integrato con attività agricola, incida sul paesaggio rurale al pari del fotovoltaico a terra, richiedendo identiche cautele in sede di autorizzazione.”
Il Consiglio di Stato ha ulteriormente chiarito che l’obiettivo della produzione energetica non può prevalere sulla necessità di tutelare il paesaggio e il territorio. Nelle Sentenze nn. 2242 e 2243/2022, il Consiglio ha precisato che “la finalità agricola non costituisce elemento idoneo a giustificare deroghe ai vincoli codificati per il fotovoltaico, dovendosi garantire un bilanciamento effettivo tra interessi energetici e tutela del territorio.” Inoltre, con la Sentenza n. 8235/2023, il Consiglio ha confermato che “l’agrivoltaico, se realizzato su aree agricole non degradate, deve rispettare i medesimi limiti previsti per il fotovoltaico a terra, incluso il divieto di sottrarre terreni all’attività primaria.”
Il TAR Lazio, con diverse pronunce, ha confermato che la saturazione del territorio rappresenta un problema reale: ulteriori impianti in un’area già carica di installazioni FER rischiano di generare esternalità negative, con impatti significativi sul turismo e sull’identità locale. In particolare, la Deliberazione della Regione Lazio n. 390/2022 evidenzia esplicitamente il rischio di tali esternalità, affermando la necessità di una ripartizione equa degli impianti sul territorio regionale.
il TAR Lazio ha respinto i ricorsi contro la DGR 171/2023, riconoscendo la legittimità delle misure adottate dalla Regione per limitare la concentrazione degli impianti FER. Questo orientamento giurisprudenziale sottolinea l’importanza di garantire un equilibrio tra lo sviluppo delle energie rinnovabili e la tutela del paesaggio, del patrimonio ambientale e dell’identità territoriale, elementi fondamentali per la sostenibilità a lungo termine
Gli impianti FER devono essere prioritariamente installati nelle aree idonee previste dalla normativa. Il principio di proporzionalità, che sta alla base del concetto di saturazione, richiede anzitutto di pianificare le installazioni sottraendole all’arbitrio del privato e ritenendo incompatibili le aree già oggettivamente sature.
Il TAR del Lazio, consacrando la DGR 171/2023, ha dato anche giusta attuazione alla normativa nazionale che prevede: a) di installare gli impianti FER nel rispetto di tutte le altre componenti di quel bene “complesso ed unitario” che è l’Ambiente (definizione del Consiglio di Stato); b) di porre attenzione al cumulo degli impianti previsto anche dalla normativa comunitaria sulla VINCA; c) di pianificare e realizzare un’equa ripartizione delle fonti FER sul territorio.
Gli imponenti impianti agrivoltaici, le strutture accessorie (elettrodotti, stazioni elettriche, impianti di accumulo, ecc.) e la viabilità di accesso sono destinati a trasformare paesaggi unici in una sorta di squallida zona industriale che, di fatto, inciderà sull’esercizio dell’attività agricola e, sicuramente, sulla possibilità di promozione e valorizzazione della stessa, rendendo vano il pluriennale e costoso impegno alla salvaguardia e miglioramento del territorio frenandone l’abbandono e lo spopolamento con le poliedriche opportunità di lavoro che l’attività agricola specializzata e di correlata accoglienza agrituristica anche internazionale consentono.
SUGLI EFFETTI NEGATIVI PER LE AZIENDE AGRICOLE E GLI AGRITURISMI
Molte aziende agricole a conduzione familiare comprendono agriturismi, bed & breakfast, cantine, frutto del duro lavoro nel mantenimento e miglioramento delle strutture tipiche ed identitarie della campagna che hanno richiesto l’investimento di ingenti risorse economiche di intere famiglie spesso per più generazioni che hanno scelto queste terre con passione e dedizione, impegnandosi nella sua valorizzazione, nel rispetto della sua bellezza paesaggistica e delle sue tradizioni. L’agriturismo non è soltanto un’attività economica, ma anche un progetto che mira a promuovere il territorio, la sostenibilità ambientale e a offrire agli ospiti un’esperienza autentica, immersa nella natura incontaminata. Particolarmente apprezzato dagli ospiti anche internazionali che con crescente fruizione riconoscono nelle strutture un contesto unico per godere di un’esperienza in un territorio incontaminato e autentico. È pertanto inappropriato che un progetto di sviluppo di impianti FER venga realizzato in questi territori, senza un’adeguata considerazione degli impatti negativi che tali impianti potrebbero comportare. È fondamentale difendere gli investimenti, che non riguardano solo il futuro economico delle aree rurali, ma anche la salvaguardia di territori di pregio amati profondamente e che sarebbe un vero delitto scempiare.
La vista panoramica sul magnifico entroterra dell’Italia ancora bella, dove ambienti naturali e selvaggi s’intrecciano con le attività umane fin dai tempi più remoti, verrà presto usurpato dalla realizzazione di impianti ad energia rinnovabile, invasivi come decine di campi di calcio. Tutto questo a discapito di qualsiasi vincolo di natura ambientale, paesaggistica, residenziale, archeologica e idrogeologica.
È inoltre da sottolineare il grave danno economico ai nuclei abitativi residenziali e turistici limitrofi, che perderanno di valore in modo irrecuperabile che non si avvantaggeranno certo dalla presenza di impianti industriali così invadenti a fare da sfondo al paesaggio, spesso circondato da dolci colline, ricco di boschi e macchie con alberi, pascoli verdissimi, olivi secolari, vigneti sapienti. A coronare questo scenario si inseriscono i borghi medievali di rilevanza storica di struggente e apprezzata bellezza, che sorgono sui rilievi collinari e godono di una vista eccezionale del paesaggio nel quale il mosaico agricolo e le vaste aree ancora naturalmente integre è una parte di grande importanza, che rischia di essere cancellato dalla presenza di lugubri distese fotovoltaiche, delle cabine elettriche, degli elettrodotti e delle immense pale eoliche.
Le ripercussioni di queste invadenti presenze nei confronti del settore turistico e ricettivo sono palesi, con ricadute economiche su numerose aziende. Aziende ed attività che negli anni hanno fatto ingenti investimenti per creare anche strutture di pregio e recuperare edifici di valore storico e architettonico, che si vedrebbero compromesse dall’installazione di queste distese di silicio. Quale turista sceglierebbe di fare una “bella” vacanza con vista grigi laghi fotovoltaici?
Siamo di fronte a un’imminente perdita di valore dei terreni e soprattutto degli immobili ricadenti nelle aree predate dalla speculazione energetica. Il mercato immobiliare subirebbe irrimediabilmente un brusco calo ed apporterebbe un deprezzamento del valore delle proprietà agricole e ricettive.
Si tratta di piccoli centri che vivono di cultura, agricoltura e turismo proprio grazie al fatto che sono stati risparmiati dalla violenza industriale e produttiva, che la febbre dell’energia rinnovabile dilagante distruggerebbe in modo irreversibile. Quanti ettari di suolo dobbiamo sacrificare per 35 anni? Ammesso che gli impianti vengano realmente dismessi e le terre siano restituite all’uso originario, come si può pensare che dopo un periodo così lungo possano essere recuperate le pratiche agricole? Da parte di chi? La crisi del settore agricolo nasce soprattutto dall’abbandono delle campagne per problemi di varia natura, fra cui anche la reddittività e i cambiamenti sociali, siamo sicuri che alla fine della vita di questi impianti ci sarà un tessuto sociale disponibile a ricominciare?
Molte aree rurali italiane a bassa densità abitativa, in cui le attività produttive prevalenti sono quelle legate all’agricoltura tradizionale, non intensiva e a bassa meccanizzazione e alla pastorizia/zootecnia. La rete insediativa è prevalentemente concentrata, costituita esclusivamente da piccoli centri. L’espansione urbana rimane comunque localizzata attorno ai centri storici, con connessioni locali che ricalcano la viabilità storica. L’insediamento sparso è legato prevalentemente al recupero di vecchi manufatti rurali, spesso trasformati in strutture ricettive di tipo agrituristico a conduzione familiare che, grazie alle caratteristiche di bellezza dei paesaggi, di ricchezza di aree naturali, di beni archeologici, storici e artistici della zona, costituiscono una potenziale area di sviluppo dell’economia locale in armonia con l’ambiente, la storia e l’identità dei luoghi che le ospitano. Armonia che oggi è invece fortemente minacciata dallo sviluppo caotico e speculativo degli impianti industriali FER. Oltre tutto, si tratta di tecnologie complesse, per le quali un agricoltore non ha né conoscenze né competenze; in caso di danni, quindi, ma anche soltanto per la manutenzione, dovrebbe fare affidamento su altri professionisti e relative spese.
Un teorico vantaggio economico come quello degli affitti è allo stesso tempo uno svantaggio. Perché, con prezzi così elevati, attira facilmente la speculazione delle società energetiche e la svendita dei terreni da parte degli agricoltori. Che ben presto, abbandonata la ormai superflua attività agricola, mero alibi per urbanizzare ancor di più le terre, diventano solo impianti industriali in mezzo a una campagna arsa, degradata e abbandonata: insomma un fosco quadro già visibile in mezza Italia per le passate aggressioni speculative. In un sistema AV, il reddito derivante dall’elettricità supera infatti di un fattore 10-50 il reddito derivante dalle colture agricole. Di solito, il proprietario del terreno riceverà un pagamento per il prestito del sito, e questo pagamento è in genere molto più alto del reddito agricolo possibile. È molto allettante per il proprietario terriero quindi rinunciare all’agricoltura (incluso smettere di affittare la terra a un agricoltore se non è un agricoltore a sua volta) e diventare un beneficiario di rendita. Ciò si verificherà in particolare se percentuali di superfici pannellate elevate impediscono rese accettabili delle colture. E questo sembra essere il vero tragico destino di queste ulteriori urbanizzazioni delle campagne
SULLA COMPETIZIONE CON LA TUTELA DELL’AMBIENTE, DEL PAESAGGIO E DEL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO
La strombazzata soluzione “verde” ha poi palesi svantaggi ambientali. L’impatto sul paesaggio è sicuramente maggiore rispetto alla posa sui tetti e con alte palificazioni svettanti e visibili per km diviene anche più impattante di un impianto a terra.
In ogni caso la soluzione per file distanziate implica una maggior estensione di terreno agricolo utilizzato con il conseguente maggior impatto paesaggistico, cosa non ininfluente visto che un pezzo importante della nostra economia si basa sulla bellezza dei nostri paesaggi
I progetti millantati di verde spesso presentano diverse criticità dal punto di vista tecnico come ad esempio l’installazione di pannelli con un’altezza di oltre 5 metri, una dimensione che risulta inadeguata e non compatibile con le caratteristiche di un paesaggio rurale. Tale scelta tecnica, oltre a influire negativamente sull’impatto visivo dell’intervento, rischia di alterare l’armonia del territorio, compromettendo il valore estetico e ambientale del contesto.
Secondo le regole operative previste dal ministero dell’Ambiente, il terreno che ospita un impianto agrivoltaico deve avere una superficie minima del 70 per cento da dedicare all’attività agricola ( E QUINDI ALMENO IL 30% è CONSUMO DI SUOLO) . I pannelli fotovoltaici devono poi avere un’altezza precisa, da 1,3 a 2,1 metri, per consentire le attività agricole o zootecniche al di sotto, come coltivazioni, passaggio di bestiame e macchinari. Ma come tutti gli agricoltori sanno la presenza di ostacoli meccanici riduce enormemente la manovrabilità dei mezzi meccanici con allungamento dei tempi e incremento dei costi di produzione già troppo elevati e primaria causa della crisi dell’agricoltura nel nostro Paese.
Inoltre i progetti spesso prevedono l’installazione di decine di km di cavidotti interrati, il che comporta costi di connessione sproporzionati rispetto alla dimensione e al rendimento complessivo degli interventi e, ovviamente altri espropri e sfracelli ambientali.
L’illuminazione e la manutenzione si possono tradurre in inquinamento luminoso e del suolo.
Si sottrae terreno vitale a diverse specie animali, e anche solo con opere accessorie come elettrodotti e stazioni elettriche si antropizza ulteriore territorio verso un incubo di un Paese ridotto a immensa periferia
Spesso le aree che ingolosiscono i predatori della speculazione energetica sono soggette a tutela ai sensi del D.Lgs. 42/2004 – Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che prevede la salvaguardia dei beni paesaggistici, tra cui le aree agricole di pregio. Tale normativa stabilisce che ogni intervento di trasformazione del territorio debba garantire la conservazione dell’identità storica e ambientale delle aree vincolate, evitando opere che possano comprometterne l’integrità visiva e funzionale.
La costruzione di impianti industriali agrivoltaici, (che di agro hanno solo la foglia di fico) spesso con estensione su larga scala, andrebbe in netto contrasto con tali disposizioni, determinando una modifica irreversibile dell’assetto del territorio. A livello nazionale, il D.M. 31/01/2023 del Ministero della Cultura, relativo alle linee guida per la tutela del paesaggio, sottolinea la necessità di contemperare le esigenze di sviluppo delle energie rinnovabili con la protezione dei beni paesaggistici e culturali, imponendo una valutazione rigorosa dell’impatto visivo e ambientale delle installazioni industriali. Il mancato rispetto di tali principi renderebbe il progetto incoerente con il quadro normativo vigente, esponendolo al rischio di annullamento in sede di controllo amministrativo o giudiziario.
E‘ importante sottolineare che le disposizioni dell’art. 6, par. 3, della Direttiva n. 92/43/CEE, infatti, non si limitano ai piani e ai progetti localizzati esclusivamente all’interno di un sito Natura 2000 “essi, infatti, hanno come obiettivo anche piani e progetti situati al di fuori del sito ma che, nondimeno, potrebbero avere un effetto significativo su di esso, indipendentemente dalla loro distanza dal sito in questione.” (TAR Lazio, Roma, sez. V, 05/10/2022, n.12639). Questo principio dell’incidenza significativa e negativa dei progetti, dei piani e delle attività anche se esterni ai siti della rete ecologica Natura 2000 a prescindere dalla loro distanza è stato confermato anche dal Consiglio di Stato, dalla Commissione Europea e dalla Corte di Giustizia europea.
Anche la giurisprudenza amministrativa valutando pareri ed osservazioni motivati, puntuali e concreti a sostegno delle Tutele del Patrimonio Culturale e Paesaggistico ha confermato questa previsione di diniego delle autorizzazioni, rendendo non solo ragionevole ma pressoché inevitabile una valutazione negativa dei progetti alla luce di criticità (ex multis Sentenza TAR Sardegna Sez II, 30.01.2024, n. 63 e Consiglio di Stato Sez IV 4 aprile 2022, n. 2464; Consiglio di Stato Sezione VI 23 settembre 2022, n. 08167).
Inoltre, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa è proteso, oltre alla garanzia delle tutele, anche al bilanciamento dei diversi valori e beni di rango costituzionale (paesaggio, beni culturali, biodiversità, ecosistemi e ambiente e nel riconoscimento del maggior favore verso gli interessi pubblici rispetto a quelli privati.
Riportiamo, ex multis, una recente sentenza del TAR del Molise Sez. I n. 346 del 20 dicembre 2023 sugli Impianti da fonti rinnovabili e la tutela del paesaggio. “La costruzione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili devono rispettare le normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, a tenore dell’art. 12 comma terzo del D.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387. Tuttavia, la tutela del paesaggio costituisce, pur sempre, un valore di speciale ed elevato rango costituzionale, la qual cosa giustifica il complesso e articolato sistema di protezione che le normative di settore offrono per le emergenze paesaggistiche e archeologiche. La disciplina costituzionale del paesaggio erige il valore estetico-culturale a principio primario dell’ordinamento, mentre – per converso – la limitazione della libertà di iniziativa economica per ragioni di utilità sociale appare giustificata non solo nell’ottica costituzionale, ma anche in quella dei princìpi di cui all’art. 6 della C.e.d.u. (Convenzione europea dei diritti) e dell’art. 1 del relativo Protocollo addizionale, poiché, anche in essi, la garanzia dell’autonomia privata non è incompatibile con la prefissione di limiti a tutela dell’interesse generale”.
E ancora la sentenza trova sostegno in altre pronunce di altri TAR : “Nello specifico campo d’interesse della vicenda, se è innegabile che l’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia valutato con favore dal legislatore comunitario e da quello nazionale, risulta però altrettanto evidente che le direttive europee di settore e la normativa interna facciano salvo l’esercizio di poteri pubblicistici ad alto tasso di discrezionalità, da parte dello Stato e delle autonomie locali, “specialmente in vista del contemperamento tra progettazione di nuove infrastrutture ed esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ordinato assetto del territorio. Nell’esercizio della funzione di tutela, l’obiettivo primario perseguito dagli Enti locali consiste nel preservare l’ambito territoriale vincolato nel quale si collochi l’opera, in considerazione delle effettive e reali condizioni dell’area d’intervento” (TAR Puglia – Bari, Sez. II, n. 814/2023).
Vi sono evidenti interferenze con le attività agrituristiche e si instaura un effetto barriera nei confronti della fauna selvatica, come il lupo e i chirotteri, che risentono della frammentazione del paesaggio. La Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 3204/2024, ribadisce l’obbligo che la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) debba garantire un bilanciamento equilibrato tra l’utilità socio-economica e il sacrificio ambientale, evidenziando come la mancata considerazione dell’opzione zero rappresenti un vizio procedurale che può compromettere l’intero iter autorizzativo
Il D.Lgs. 104/2017, che modifica la disciplina della VIA, stabilisce che la valutazione debba comprendere non solo gli impatti diretti del progetto, ma anche quelli indiretti, cumulativi, a lungo termine, permanenti e temporanei, nonché le interazioni tra i diversi fattori ambientali.
Inoltre, la normativa prevede che la VIA debba considerare la conformità dei progetti alle strategie di tutela della biodiversità e alle misure di conservazione stabilite dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE e dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE, recepite in Italia attraverso il D.P.R. 357/1997. L’assenza di una valutazione dettagliata sugli effetti del progetto sulle aree di pregio ambientale e sui corridoi ecologici contrasta con gli obblighi di protezione delle zone a rischio.
Infine, la VIA deve essere condotta nel rispetto del principio di precauzione sancito dalla Convenzione di Rio del 1992, secondo cui, in caso di incertezza sugli impatti di un progetto, è necessario adottare misure preventive per evitare danni irreversibili all’ambiente. L’attuale valutazione del progetto non tiene conto di questo principio, omettendo un’analisi accurata degli effetti a lungo termine dell’impianto agrivoltaico sul territorio e sulle attività economiche locali.
E come ha chiarito il dott. Stefano Deliperi Presidente del GRIG commentando la Sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n. 68 del 7 gennaio 2025:” In tal senso anche il D.M. 10 settembre 2010 + Allegati), contenente linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, il quale prevede “all’allegato 3 lettera f) … specificamente che possano essere dichiarate non idonee non solo le aree SIC ma anche ‘le aree non comprese in quelle di cui ai punti precedenti ma che svolgono funzioni determinanti per la conservazione della biodiversità (fasce di rispetto o aree contigue delle aree naturali protette)’”. L’individuazione di un’adeguata serie di misure di salvaguardia per i valori naturalistici ed ecologici nella pianificazione gestionale delle aree rientranti nella Rete Natura 2000 concorre efficacemente a rendere chiaro e concretamente valido il rapporto fra salvaguardia ambientale e la corretta transizione energetica.”
A sostegno di quanto affermato fino ad ora sugli impianti FER, e sul loro effetto cumulo sul paesaggio, sul territorio e sulle vocazioni economiche locali in considerazione si riporta il seguente principio: “Se a scala europea o nazionale la produzione di energia da fonti rinnovabili è spesso considerata come unilateralmente positiva, è infatti a scala locale che lo sviluppo delle energie rinnovabili può produrre esternalità negative che intaccano i valori culturali e naturali del paesaggio, con potenziali ricadute sul turismo, sulla produzione agricola e sull’identità e riconoscibilità dei luoghi”. (Cfr. pag 25 Allegato DGR Regione Lazio 390/’22).
Sulla sentenza n.1872/2025: “con la quale il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso che ho proposto per Italia Nostra ed altri annullando tutti gli atti con i quali la Regione Toscana ha autorizzato la realizzazione di un parco eolico in loc. Podere di Moggino, nel Comune di Roccalbegna (Monte Amiata).
Si tratta di una SENTENZA STORICA, non solo per il risultato ottenuto dai ricorrenti, che impedisce la realizzazione di un campo eolico in una località di immenso valore ambientale e paesaggistico, ma anche perché il Consiglio di Stato ha affermato una serie di principi che sono destinati a fare giurisprudenza.
Nella sentenza si afferma infatti, senza mezzi termini, che “l’impatto visivo è uno degli impatti considerati più rilevanti fra quelli derivanti dalla realizzazione di un campo eolico” e che “il paesaggio, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella riveniente dalla sua semplice perimetrazione fisica consentita dalle indicazioni contenute nel decreto di vincolo. In altri termini, il paesaggio si manifesta in tali casi quale componente qualificata ed essenziale dell’ambiente, nella lata accezione che di tale bene giuridico ha fornito l’evoluzione giurisprudenziale, anche di matrice costituzionale.
Non solo: il Consiglio di Stato ha precisato che il proponente è tenuto a svolgere una “analisi del territorio attraverso una attenta e puntuale ricognizione e indagine degli elementi caratterizzanti e qualificanti il paesaggio, effettuata alle diverse scale di studio (vasta, intermedia e di dettaglio) in relazione al territorio interessato alle opere e al tipo di installazione prevista, fatta salva comunque la necessità, successiva al rilascio dell’autorizzazione, della scala di dettaglio ai fini delle verifiche di ottemperanza. Le analisi debbono non solo definire l’area di visibilità dell’impianto, ma anche il modo in cui l’impianto viene percepito all’interno del bacino visivo”.
Importantissimo, inoltre, il richiamo del Consiglio di Stato alle aree non idonee ad accogliere impianti eolici inserite nel Piano ambientale ed energetico della Regione Toscana (PAER), richiamo che ne conferma il valore precettivo più volte messo in discussione da altre sentenze.
Infine, nella sentenza è stato riconosciuto alla Soprintendenza il ruolo che gli spetta, troppo spesso disatteso, ed è stato anche ribadito che gli strumenti urbanistici non possono essere vanificati senza un briciolo di istruttoria e motivazione.
La sentenza dimostra insomma che i valori costituzionali ambiente e paesaggio non possono essere contrapposti, e che la loro tutela non può essere sacrificata in ragione della normativa di favore per le rinnovabili, che in questi ultimi anni è stata ampliata oltre ogni limite.”
POSSIBILE VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA PROPRIETÀ, DIRITTO DI PRELAZIONE DEI CONFINANTI E RISCHIO ESPROPRIATIVO
Spesso nei documenti o analisi degli arrembanti speculatori non vengono menzionate residenze private i cui proprietari non vengono informati della trattativa in corso da parte dei proprietari dei terreni vicini che svendono alla speculazione e su cui avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione all’acquisto se non fossero stati colti di sorpresa dall’operazione e appena in tempo per fare le osservazioni entro il termine richiesto. Oltre all’ingiustificabile perdita di valore della proprietà i titolari evidenziano un danno emotivo irreparabile.
I progetti-rapina spesso comportano espropri o vincoli su terreni privati, contravvenendo al D.P.R. 327/2001 (Testo Unico sugli espropri), che disciplina le procedure di espropriazione per pubblica utilità, imponendo criteri stringenti per garantire il giusto equilibrio tra interesse pubblico e tutela della proprietà privata. Secondo l’art. 42 della Costituzione Italiana, la proprietà privata è riconosciuta e garantita, ma può essere espropriata solo per motivi di interesse generale, dietro corresponsione di un equo indennizzo. Tuttavia, nel caso di impianti di produzione energetica privata, vi è il rischio che l’interesse pubblico venga strumentalizzato a vantaggio di operatori privati, senza garantire un adeguato beneficio per la collettività. Inoltre, il D.Lgs. 387/2003, che regola le energie rinnovabili, prevede che gli impianti debbano essere realizzati in modo da minimizzare l’impatto su terreni agricoli produttivi e aree a forte valore paesaggistico. La concessione di espropri per impianti agrivoltaici su larga scala potrebbe quindi configurarsi come un abuso delle disposizioni normative, contravvenendo anche ai principi stabiliti dal Codice Civile in materia di tutela della proprietà fondiaria. Infine, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha sancito il principio della proporzionalità nelle espropriazioni (art. 1 del Protocollo Addizionale 1), stabilendo che ogni privazione della proprietà debba avvenire con garanzie di equità e ragionevolezza. L’assenza di una chiara dimostrazione del beneficio pubblico di un impianto potrebbe quindi esporre il progetto a ricorsi legali da parte dei proprietari espropriati.
SUI DIFETTI DI PROGETTAZIONE e di SMALTIMENTO A FINE CICLO
Nell’agrivoltaico, la resa della coltura è ridotta anche dalla superficie non più coltivata (la “zona perduta”): linee di pali, aree con cavi, impianti elettrici, aree necessarie per tiranti e ancoraggi e strade di manutenzione. Una stima equa di tale area perduta è di almeno il 10% del territorio, ma può arrivare al 30%, a seconda del tipo di struttura. Se si include questo aspetto, la resa relativa in campo delle colture agrivoltaiche è ancora più bassa rispetto al testimone all’aperto.
Nei progetti spesso raffazzonati e frutto di copia/incolla vi sono dei difetti nella progettazione e nell’integrazione ambientale: la documentazione tecnica fornita risulta spesso insufficiente nel dettagliare l’interazione dell’impianto con il territorio circostante, in particolare per quanto riguarda aspetti fondamentali come il drenaggio delle acque piovane, la stabilità del suolo e l’effetto isola di calore generato dai pannelli fotovoltaici. È importante ricordare che tali aspetti sono regolati dal D.Lgs. 152/2006, il quale impone un’analisi completa dei rischi idrogeologici.
Un ulteriore punto critico riguarda l’insufficiente valutazione del rischio idrogeologico: l’installazione dei pannelli su vasta scala può infatti alterare la permeabilità del suolo e favorire il ruscellamento dell’acqua, aumentando così il rischio di erosione e inondazioni. Questo rischio è ben evidenziato dalle linee guida dell’Autorità di Bacino e dalle prescrizioni del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI).
Infine, vi è una marcata mancanza di misure adeguate alla manutenzione e la gestione del fine vita dell’impianto. I progetti, infatti, non prevedono mai un piano dettagliato per lo smaltimento e il riciclo dei moduli fotovoltaici una volta terminata la loro vita utile, contravvenendo alle disposizioni del D.Lgs. 49/2014, il quale recepisce la direttiva UE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Tale carenza rischia di portare, nel tempo, a un accumulo di rifiuti tecnologici nel territorio, con impatti ambientali negativi a lungo termine.
Sarebbe auspicabile una concreta fideiussione a garanzia di queste doverose (e spesso anche millantate) opere di futuro ripristino ambientale, ma non ve ne è mai traccia.
CARENZE NELLA VALUTAZIONE DI INCIDENZA (VINCA)
Un ulteriore elemento critico dei progetti riguarda la valutazione di incidenza (VINCA). I progetti, infatti, spesso confinano con Siti Natura 2000, ma non viene condotta un’analisi approfondita degli effetti che tale vicinanza comporta. In particolare, non vengono analizzati in maniera dettagliata gli effetti sul comportamento delle specie mobili, come il lupo e gli uccelli migratori, e non viene considerata adeguatamente la possibilità di frammentazione degli habitat, con il conseguente rischio di collisione tra la fauna e i pannelli installati
La Direttiva 92/43/CEE e le sentenze della Corte di Giustizia UE richiedono espressamente che gli impatti vengano valutati anche nelle aree esterne ai siti protetti
SULLA SVALUTAZIONE DEGLI IMMOBILI E DEI TERRENI CIRCOSTANTI
Tutti gli immobili circostanti all’area di influenza dei progetti e anche fuori diminuiranno di valore. Dato il carattere unico delle aree sopravvissute all’industrializzazione, gli immobili hanno di recente spuntato una crescente attrattività. I motivi sono lo splendido paesaggio, i panorami indisturbati e la meravigliosa tranquillità, una serie di opportunità per costruire una vita confortevole. Una distesa di pannelli fotovoltaici sopraelevati oltre i 6 metri nelle vicinanze distrugge la maggior parte di queste ragioni.
Sebbene i pannelli fotovoltaici generino energia rinnovabile, non si può negare che siano di fatto un enorme impianto industriale che provoca molto disturbo. Centrali di questo tipo non sono assolutamente adatte nelle vicinanze di una riserva naturale, a un’area residenziale o agricola di grande valore culturale e turistico. Gli inconvenienti sono semplicemente troppi.
Per questi progetti infrastrutturali si dovrebbero cercare luoghi alternativi, dove l’impatto sulla natura e sui residenti sia praticamente inesistente. Ciò potrebbe avvenire in aree già industriali, come in prossimità di centrali elettriche esistenti, porti aerei e marittimi e grandi zone industriali. Comunque lontano da aree naturali, turistiche e agricole con una ricca biodiversità. Secondo quanto recita lo stesso PTE (Europa) per far fronte alle esigenze della domanda di produzione elettrica al 2050, “il compito principale sarà affidato alla tecnologia del solare fotovoltaico”. In questo contesto si sottolinea positivamente l’intenzione dello stesso legislatore di “individuare le aree e le superfici idonee […] coerentemente con le esigenze di tutela del suolo, delle aree agricole sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio”. Lo stesso Piano individua come soluzione migliore lo “sfruttamento prioritario delle superfici di strutture edificate (tetti e in particolare quelli degli edifici pubblici, capannoni industriali e parcheggi), aree e siti oggetto di bonifica, cave e miniere cessate”.
Anche l’ultimo aggiornamento del PNIEC nazionale conferma che “si seguirà un simile approccio, ispirato alla riduzione del consumo di territorio, per indirizzare la diffusione della significativa capacità incrementale di fotovoltaico prevista per il 2030, promuovendone l’installazione innanzitutto su edificato, tettoie, parcheggi, aree di servizio, etc.”. VERGOGNOSE PAROLE AL VENTO.
Un ulteriore adempimento, che devono soddisfare i progetti finanziati dal PNRR, è il cosiddetto principio “Do No Significant Harm” (DNSH) ovvero “non arrecare danni significativi” all’ambiente circostante.
Ma di FOTOVOLTAICO VIRTUOSO su tetti e aree già consumate che invano Europa e il capillare monitoraggio ISPRA ricordano GIA’ SUFFICIENTE per raggiungere gli obiettivi di rinnovabili al 2050 non c’è traccia negli oltre 6100 progetti che stanno per sconvolgere definitivamente il già precario ambiente italiano. Mentre continuano ad arrivare lucrosissimi incentivi pubblici per il definitivo assalto ai territori.
Dal punto di vista degli obiettivi socioeconomici ma anche energetici del Paese, l’agrivoltaico infatti evidenzia svantaggi notevoli rispetto al fotovoltaico su edifici. Solo una parte dei tantissimi tetti civili e dei capannoni industriali già disponibili potrebbero fornire da subito 100.000 ha di superficie (ISPRA-Report Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023, Report n. 37/202), permettendo di installare una potenza tra 70 e 90 GW e quindi centrando facilmente il target di 80 previsto per il 2030 (che con i 19 aggiunti nel 2024 in effetti è ora già sceso a 61 GW). Costi e tempi di realizzazione oltretutto sarebbero ridotti, visto che queste strutture, rispetto ai terreni agricoli, sarebbero già meglio attrezzate per ospitare un impianto. Se poi si aggiungono anche strutture pubbliche, parcheggi, aree oggetto di bonifica, cave e miniere dismesse, strutture ferroviarie e comunque le immense aree già consumate, impermeabilizzate e spesso fatiscenti, si potrebbero avere a disposizione altri 800 000 ettari di superfici piane (monitoraggio ISPRA) che sarebbero più che sufficienti per raggiungere tutti gli obiettivi ambientali e di domanda energetica al 2050 e oltre senza intaccare il prezioso e sempre più raro suolo agricolo (Ecoscienza 2023 – 2, anno XIV pagine 24-25. GLI SPAZI PER IL FOTOVOLTAICO ALTERNATIVI AL SUOLO a cura di Pasquale Dichicco, Ines Marinosci, Michele Munafò– ISPRA). Tra l’altro, oltre alle rinnovabili, si incentiverebbe anche il restauro conservativo ed estetico di migliaia di immobili che spesso precludono la vivibilità delle periferie urbane senza invece creare ulteriori nuove mostruosità. E quindi nuove immense squallide periferie industriali.
SUI NOTEVOLI INCENTIVI PUBBLICI CHE POI GRAVANO SULLE BOLLETTE E LA FISCALITA’ GENERALE
Solo per l’agrivoltaico il Pnrr stanzia 1,1 miliardi di euro. Questi fondi coprono parte dei costi di installazione degli impianti sui terreni e offrono una tariffa vantaggiosa per l’energia immessa in rete. Il primo squilibrio, quello più evidente, è la ripartizione dei fondi: sui 775,6 milioni di euro finora banditi, circa 670 milioni finanziano i progetti più grandi. Il resto va invece agli agricoltori per impianti di potenza minore. Proprio i più piccoli hanno avuto maggiori difficoltà a rientrare nel bando: tra i bocciati, 9 su 10 sono di piccolo taglio.
Secondo i dati del ministero dell’Ambiente, l’80 per cento degli impianti più finanziati appartengono a multinazionali e grandi gruppi del settore energetico. La maggioranza è al Sud e il più costoso è in Sicilia: a Vizzini, provincia di Catania sono pronti 59,6 milioni di euro per costruire uno degli impianti industriali agrivoltaici più grandi d’Italia.
In provincia di Viterbo, nella martoriata Tuscia, tra Tuscania, Montalto di Castro e Ischia di Castro si costruiranno tre impianti da 61,9 milioni di euro, in un territorio particolarmente “denso” di scempi agrivoltaici, dove, malgrado le ricche testimonianze etrusche e una integrità ambientale che dà vita a redditizie filiere lavorative agroturistiche, la struggente quinta paesaggistica dei campi di grano sta per essere stravolta dall’orrore di lugubri paramenti funebri di silicio nero.
Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche, che – oltre ai certificati verdi e alla relativa commerciabilità, nonché agli altri incentivi – beneficiano degli effetti economici diretti e indiretti del dispacciamento, il processo strategico fondamentale svolto da Terna s.p.a. per mantenere in equilibrio costante la quantità di energia prodotta e quella consumata in Italia: In particolare, riguardo gli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, “se necessario, Terna invia specifici ordini per ridurre o aumentare l’energia immessa in rete alle unità di produzione”, ma l’energia viene pagata pur non utilizzata. I costi del dispacciamento sono scaricati sulle bollette degli Italiani.
Inoltre, la Commissione europea – su richiesta del Governo Italiano – ha recentemente approvato (4 giugno 2024) un regime di aiuti di Stato in favore delle imprese energetiche che sarà pari a 35,3 miliardi di euro e, tanto per cambiare, sarà finanziato “mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali”..
Insomma, siamo all’overdose di energia producibile da impianti che servono soltanto agli speculatori energetici.
COME AFFRONTANO IL PROBLEMA IN FRANCIA
“Presto non avremo più agricoltori ma guardiani di “parchi” fotovoltaici che rimuoveranno le erbacce fra i lucrosi pannelli…”
Il dibattito è molto acceso anche in Francia, dove l’agricoltura è ancora molto sentita nei territori e quindi dalla politica. Molto interessanti sono allora le considerazioni che vanno sviluppandosi Oltralpe sull’argomento. A tal proposito è molto utile quanto pubblicato su Reporterre, media indipendente francese che si occupa di ecologia in tutte le sue forme. Il periodico è gestito da una associazione senza fini di lucro finanziata dai lettori.
La prima cosa che colpisce è l’analoga perplessità riscontrata in Italia a voler insistere per consumare altro prezioso suolo agricolo quando sarebbero già disponibili enormi distese di superfici già consumate, a cominciare dai tetti: …” La redditività dei progetti sulle coperture degli edifici privati sembra loro troppo bassa, e considerano troppo pesanti i vincoli normativi sulle aree artificializzate, spesso inquinate o, al contrario, ricche di nuova biodiversità protetta. A differenza delle ex cave o dei siti industriali dismessi, i terreni agricoli rappresentano anche un immenso stock di superfici pianeggianti e prive di barriere, una topografia favorevole allo sviluppo di progetti su decine di ettari, che sono più redditizi.”
E chissene quindi di consumo di suolo, agricoltura, ambiente, paesaggio…
Così, per installare a un costo inferiore e il più rapidamente possibile i 100 GW di energia fotovoltaica entro il 2050 promessi dal programma energetico pluriennale, i terreni coltivabili sono diventati l’Eldorado dei promotori energetici e l’agrivoltaico la loro terra promessa. In totale, quasi 1.000 progetti su terreni agricoli sono in cantiere secondo la Federazione francese dei produttori agrivoltaici.
Insieme ad Attac e Les Amis de la Terre, la Confédération Paysanne è in prima linea in questa battaglia contro l’agrivoltaico. Per Laurence Marandola, il nuovo portavoce del sindacato degli agricoltori, “agri e voltaismo sono due parole che non vanno d’accordo. Quello che temiamo e che stiamo già vedendo sul campo è la competizione tra le due attività, la produzione di energia e quella alimentare”. La richiesta del sindacato: “Una moratoria sul fotovoltaico a terra fino a quando non saranno già utilizzate tutte le superfici coperte e già artificializzate. Quando arriveremo a quel punto, discuteremo di nuovo le esigenze di fotovoltaico a terra.» Buonsenso invocato anche in Italia da chi ha ancora senso dello Stato e rispetto dei territori, ma tenuto nascosto dal nuovo grande business predatorio.
Analogamente a quanto succede in Italia, per convincere gli agricoltori, le Camere dell’agricoltura e i dipartimenti governativi francesi, gli sviluppatori stanno evidenziando i presunti benefici che l’agrivoltaico avrebbe per l’agricoltura. Certo, i pannelli saranno installati su un terreno agricolo ma, giurano, sarà senza ostacolare la coltura e fornendo anche ombra e protezione contro la grandine, i picchi di calore o il gelo, dicono, anzi millantano…
“In realtà, non c’è alcun contenuto scientifico a sostegno di questa tesi, solo alcuni rapporti prodotti dagli stessi sviluppatori, senza cifre precise a lungo termine”, afferma Guillaume Schmidt, ingegnere che ha lavorato in uno studio di progettazione di Lione tra il 2020 e il 2022.
Per gli industriali, il terreno di negoziazione è perfetto. È quasi impossibile per un agricoltore preso dalla gola dai debiti rinunciare ai 3.500 euro all’anno per ettaro che gli verrebbero affittando il suo terreno a un costruttore, mentre un grande industriale non vedrà la necessità di installare pannelli solari sui tetti delle sue fabbriche o dei suoi parcheggi per fare più margini.
L’agrivoltaico è al servizio dei progetti agricoli? Sebbene possa essere di interesse in limitati e temporanei casi specifici e su scala molto ridotta, non è stata ancora fornita alcuna prova definitiva e ampia di benefici agronomici duraturi, ma che invece vengono continuamente strombazzati.
Nel 2019 è stata la volta delle “serre fotovoltaiche” a fare scandalo. Nei Pirenei Orientali, un’indagine amministrativa ha rivelato che due terzi di essi erano privi di qualsiasi attività agricola per la maggior parte dell’anno.
Le aziende energetiche francesi concordano su un punto (e non differiscono dalle italiane): nonostante il grande investimento iniziale e i possibili adeguamenti alla produzione agricola, l’agrivoltaico costa la metà delle installazioni su grandi coperture: meno difficoltà tecniche e normative ed economie di scala sulla connessione. Tuttavia, nulla impedirebbe di raggiungere l’obiettivo di 100 gigawatt (GW) di capacità fotovoltaica entro il 2050 utilizzando solo tetti, magazzini, parcheggi e altre superfici già artificializzate, come dimostrato da Cerema e Ademe, l’Agenzia francese per la transizione ecologica.
Supponendo che vengano impiegati solo terreni agricoli per raggiungere questo obiettivo di 40 GW a terra, sarebbe necessario sacrificare circa 50.000 ettari – la capacità media dei progetti agrivoltaici è di 0,8 MW/ettaro, con pannelli di ultima generazione, più potenti e distanziati.
CONCLUSIONI (Amare)
In soli 10 anni, tra il 2012 e il 2021 in Italia si stima una perdita potenziale, a causa del nuovo consumo di suolo, di oltre 4 milioni quintali di prodotti agricoli che avrebbero potuto fornire le aree agricole perse nel periodo considerato. Le aree perse in Italia con un consumo di suolo demenziale in questi 10 anni avrebbero garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Spesso le disastrose alluvioni che tanto ricorrono nella cronaca sono causate proprio da questa distrutta disponibilità di suolo permeabile e assorbente anche con eventi piovosi non particolarmente drammatici. Impermeabilizzati sono infatti migliaia di ettari di terreni agricoli ormai urbanizzati addirittura in aree golenali di espansione o proprio sugli alvei fluviali a cui si cerca di dar risposta con faraonici quanto inutili argini artificiali. E per i responsabili di questo ormai ricorrente disastro ambientale andrebbe preclusa almeno la possibilità di ricercare alibi nel consueto ritornello autoassolvente dei cambiamenti climatici che, anzi, sebbene notoriamente causati per il 99.3% lontano dall’ Italia si pretenderebbe di combattere con ulteriori scempi ambientali di giganteschi impianti industriali di produzione di energia rinnovabile eolica o fotovoltaica a terra consumando ulteriore prezioso suolo e aggravando il dissesto idrogeologico.
Come per le aree industriali negli anni ’70, le aree a servizi negli anni ’80, le aree commerciali negli anni ’90, le aree per la logistica negli anni 2000, con il nuovo escamotage dell’agrivoltaico si aggirano le regole di tutela della terra agricola e si tornano a consumare e rubare fertili pianure per la produzione di cibo.
Un enorme cavallo di troia pieno di grossi capitali, per lo più soldi nostri, delle nostre bollette o della fiscalità generale, che rovineranno addosso al “fattore terra”, compromettendo per sempre terreni vergini. Non è infatti MAI successo per le precedenti ondate di barbari speculatori, che si riuscisse a ripristinare l’uso agricolo di questi terreni selvaggiamente consumati e degradati. Per lo più giacciono abbandonati come squallide periferie industriali e vengono scientemente ignorati dall’ondata speculativa successiva che invece si rivolge a nuovi superstiti terreni agricoli intonsi come nuove vergini da stuprare .
Saranno sbattuti fuori quegli illusi e tenaci agricoltori che, con fatica e sudore cercano ancora di produrre alimenti, portando quindi ad un aumento dei prezzi dei terreni e degli affitti.
Tanti agricoltori anziani e stanchi potranno lasciarsi attirare dalle sirene di facili guadagni dei predatori a scapito delle prossime generazioni che si troveranno intere aree agricole piene di rottami .
Ed è ovvio che tutto questo nulla ha a che fare con l’eventuale produzione di corrente pulita o calcoli di costi/benefici ambientali ecc. Questi speculatori guadagnano nel mettere a terra gli impianti, consumando suolo e massacrando paesaggio e ogni filiera agroturistica, e del resto (e tanto più il disco rotto dei cambiamenti climatici usato come penoso alibi) non frega niente a nessuno. Fra qualche anno succederà come per i capannoni degli anni ‘70 che in breve tempo (prendi i soldi e scappa) furono abbandonati e rimasero per lo più vuoti e fatiscenti in appezzamenti brulli e sporchi: un triste quadro che ricorre e svilisce tutta l’Italia, quella più furba, vile, meschina, tanto falsa e ipocrita. Sepolcri imbiancati…di verde.
Con queste “luccicanti” prospettive di facili guadagni pagati sulle bollette dei consumatori o sulla fiscalità generale è in corso una vera e propria frenetica rincorsa all’”affare” e di riflesso una vera e propria epocale ecatombe ambientale che i cittadini perbene e la politica ancora sana avrebbero il diritto-dovere di fermare, mentre l’ignavia è come sempre complice degli speculatori e a nulla gioverà recriminare dopo l’invasione selvaggia dei territori e il loro irreversibile squallido degrado.
(foto Cristiana Verazza, Benthos, da Google Earth, da mailing list ambientalista, E.R., M.F., S.D., archivio GrIG)