Riaprire la caccia al Daino (Dama dama) con la scusa che potrebbe causare danni all’agricoltura.
E’ un’assurdità, priva di alcuna giustificazione giuridica, ambientale o scientifica, contenuta (art. 5) nella proposta di legge regionale n. n. 227 “Norme in materia di danni all’agricoltura da fauna selvatica. Modifiche alla legge regionale n. 1 del 1977 e alla legge regionale n. 23 del 1998 e interventi per la lotta alla peste suina”, depositata il 16 giugno 2015 e attualmente in discussione presso la V Commissione permanente del Consiglio regionale della Sardegna.
Il Daino è attualmente presente in Sardegna soltanto nel parco naturale regionale “Porto Conte” e in poche altre Foreste demaniali della Regione autonoma della Sardegna (es. Limbara) con un numero estremamente contenuto di esemplari. Nel Parco naturale regionale “Porto Conte”, dov’è presente la massima densità in Sardegna, ne sono stati censiti solo 243 (vds. censimento 2014).
Altro che individuarvi un piccolo impianto di macellazione per carni “d.o.c.” di selvatico!
Qualsiasi eventuale esubero di esemplari presenti, può essere agevolmente risolta trasferendo quelli in surplus in altre aree forestali (in primis Foreste demaniali) attraverso reintroduzioni mirate.
Si ricorda che il Daino in Sardegna, introdotto in epoca fenicia e romana, si estinse proprio a causa della caccia (nel 1968 venne uccisa l’ultima esemplare a S’Arcu e su Cabriolu, sul Massiccio dei Sette Fratelli). Venne in seguito reintrodotto con esemplari provenienti in buona parte della Tenuta presidenziale di San Rossore.
Martedi 17 novembre 2015 si tiene un’audizione presso la V Commissione consiliare permanente delle associazioni ambientaliste e viene ribadita la decisa contrarietà alla caccia al Daino.
In merito ai danni all’agricoltura è fondamentale evidenziare che gli squilibri ambientali concernenti la fauna selvatica sono stati causati in grandissima parte dall’intervento antropico, a iniziare dalle immissioni di Cinghiali (Sus scrofa) a fini venatori in varie parti del territorio regionale (La Maddalena, S. Antioco, Carloforte, ecc.).
Recentemente (maggio 2015) è stato validato dall’Assessorato regionale della Difesa dell’Ambiente il Report sui danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica in Sardegna (2008-2013): i maggiori danni alle produzioni agricole risultano esser stati arrecati dal Cinghiale (Sus scrofa meridionalis) o, molto spesso, da ibridi CinghialexMaiale, seppure a macchie di leopardo.
Tuttavia l’ampliamento della caccia al Cinghiale (per giunta contestata da larga parte dello stesso mondo venatorio) e piani di abbattimento per gran parte dell’anno non risolverebbero nulla [1]. Le ricerche scientifiche più aggiornate (vds. G. Massei e Altri, Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe, 2015; C. Consiglio, Occorre abbattere i Cinghiali per limitarne i danni?, 2014) dimostrano che i piani di abbattimento, anche massicci, del Cinghiale non comportano la sua diminuzione nel medio periodo.
Purtroppo, a causa dell’assurdo persistere dell’allevamento incontrollato allo stato brado del Maiale, continua a esserci una diffusione molto ampia della peste suina africana fra Cinghiali e ibridi, come indicato chiaramente nel piano straordinario di eradicazione 2015-2017 (determinazioni Presidenza Regione autonoma della Sardegna n. 2611/86 e n. 2623/87 dell’11 febbraio 2015 + allegato). E questo sì, è un vero problema da affrontare e risolvere una volta per tutte.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, Amici della Terra, Lega per l’Abolizione della Caccia
(foto Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)
