Quantcast
Channel: Gruppo d'Intervento Giuridico (GrIG)
Viewing all 3765 articles
Browse latest View live

Maiali allo stato brado, rischio peste suina africana.

$
0
0

Desulo – Arzana, Girgini – Nuraghe Ruinas, maiali allo stato brado (9 aprile 2017)

Da troppi anni imperversa in Sardegna la peste suina africana, grave malattia infettiva che colpisce Maiali, Cinghiali e Suidi ibridi.

Notevoli le conseguenze ambientali e socio-economiche, basti pensare al divieto di esportazione delle carni suine dalla Sardegna e alla mancata percezione di contributi comunitari.

La Regione autonoma della Sardegna, finalmente, ha adottato in questi ultimi anni varie misure legislative e amministrative (legge regionale n. 34/2014 e provvedimenti amministrativi di attuazione) che han dato vita a un piano per l’eradicazione della peste suina africana.

L’attuazione va avanti non senza polemiche e contrasti, ma è una strada obbligata.

Una delle principali cause di diffusione è collegata all’allevamento di Maiali allo stato brado (c.d. pascolo non confinato), pur vietato da tempo.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, provveduto (13 aprile 2017) a segnalare, per le attività di competenza, all’Unità di Progetto per l’eradicazione della Peste Suina Africana, la struttura regionale preposta all’attuazione del piano, la presenza di Maiali allo stato brado presso la località di Girgini – Nuraghe Ruinas, sul Gennargentu, fra i Comuni di Desulo e di Arzana (NU), avvistati e fotografati da escursionisti.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini

(foto per conto GrIG, J.I., archivio GrIG)



Buona Pasqua a tutti noi!

$
0
0

I più calorosi auguri per una Pasqua serena a tutti noi esseri viventi di questa nostra splendida Terra!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus


Proposta di legge regionale urbanistica sarda: il mattone liofilizzato.

$
0
0

Villasimius, Porto sa Ruxi

anche su Il Manifesto Sardo (“Proposta di legge regionale urbanistica sarda: il mattone liofilizzato“), n. 236, 16 aprile 2017

 

Come noto, dopo lunghi anni, la Giunta regionale Pigliaru ha proposto la tanto attesa legge urbanistica sarda.

Sono testi complessi, recentemente pubblicati sul sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna[1], in merito ai quali si attende la fase di partecipazione pubblica prevista nella stessa deliberazione di Giunta regionale di approvazione.

Comunque qualche approfondimento abbiamo provato a farlo e proviamo a farne qualche altro.

rustico edilizio

L’intendimento pubblicizzato dell’Amministrazione Pigliaru è quello di migliorare l’offerta turistica attraverso il miglioramento delle dotazioni della ricettività alberghiera senza consumo di nuovo territorio.    In quest’ottica sono previsti incrementi volumetrici in favore delle strutture ricettive anche entro la fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina, così da permettere la realizzazione di centri benessere, sale congressuali, servizi, attrezzature sportive, che renderebbero “più appetibile” un patrimonio edilizio ricettivo ormai “datato”.

In realtà, per migliorare l’offerta turistica sembrano prioritarie altre iniziative, a iniziare dal radicale miglioramento dei collegamenti aerei e navali in regime di continuità territoriale o comunque attraverso meccanismi di abbattimento dei costi per i non residenti, continuando con una politica efficace delle aree naturali protette e dei beni culturali per ampliare offerta e stagione turistica, per finire con la promozione di veri e propri “pacchetti turistici” specifici per mète ed eventi (es. S. Efisio, Carnevale, Pasqua, Candelieri, ecc.). Il discorso porterebbe lontano, per cui limitiamoci a considerazioni di natura giuridica e ambientale.

A un primo esame della proposta di legge, necessariamente rapido, balza agli occhi un elemento fortemente negativo, la possibilità – per l’ennesima volta – di incrementi volumetrici entro la fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina (mt. 150 nelle Isola minori) previsti dall’art. 31 del disegno di legge regionale, in palese violazione di quanto indicato nel piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero).

Arzachena, Costa Smeralda, lavori suites Hotel Romazzino

Così l’art. 31 del disegno di legge regionale: “al fine di migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva sono consentiti interventi di ristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive. Gli interventi possono essere attuati anche mediante demolizione e ricostruzione e gli incrementi volumetrici possono determinare la realizzazione di corpi di fabbrica separati … anche in deroga ai parametri e agli indici previsti dagli strumenti urbanistici, nella percentuale massima del 25 per cento dei volumi legittimamente realizzati”.

In buona sostanza, si tratta anche di “unità immobiliari separate”, cioè ville, pur connesse alla gestione alberghiera.  Così, per capirci, come fatto in base al c.d. piano per l’edilizia o piano casa che dir si voglia (legge regionale n. 4/2009 e s.m.i.) all’Hotel Romazzino in Costa Smeralda (Arzachena) e oggetto di un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania anche su esposti del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per violazione della normativa di tutela costiera.

Non solo.

Gli … incrementi volumetrici … sono computati ai fini della pianificazione delle volumetrie realizzabili per il soddisfacimento del fabbisogno di ricettività alberghiera ed extra-alberghiera, con le modalità previste dall’Allegato A” (art. 31, comma 3°, lettera b, del d.d.l. urbanistico) e “gli insediamenti esistenti possono essere completati attraverso la previsione di ambiti di potenziale trasformabilità ad essi contigui. È, in ogni caso, consentita la trasformazione delle residenze per le vacanze e il tempo libero, esistenti o da realizzare, in strutture ricettive alberghiere” (Allegato A, art. A 4, comma 3°).

Stintino, complesso turistico-edilizio Il Bagaglino

In parole povere, sono consentiti gli ampliamenti degli insediamenti edilizi nella fascia costiera e la trasformazione delle “seconde case” in strutture ricettive alberghiere, anche se nemmeno esistenti (!)   Quest’ultima disposizione rieccheggia la sfacciata previsione dei famigerati nullaosta per complessi alberghieri emanati in deroga ai vincoli propedeutici per la redazione degli allora piani territoriali paesistici in base all’art. 13, comma 1°, lettera c, della legge regionale n. 45/1989: la Giunta regionale fra il 1990 e il 1992 ne rilasciò ben 235, legittimando nella futura normativa di piano tantissimi progetti immobiliari di “seconde case” poi “riciclati” in “complessi alberghieri”.

Grazie al Cielo e al Consiglio di Stato (il T.A.R. seguì lentamente…), riuscimmo fra mille difficoltà a ottenere l’annullamento di quei piani territoriali paesistici che…tutelavano fondamentalmente investimenti e speculazioni immobiliari.

Ci sono anche altre considerazioni da fare, relative al “mattone liofilizzato”. Con un colpo di bacchetta magica cresce

Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti nel comma 1 anche le strutture turistico-ricettive  che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dall’articolo 10 bis della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), e successive modifiche ed integrazioni … Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti nel comma 1 anche le strutture turistico-ricettive  che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dal capo I e dall’articolo 13, comma 1, lettera e)  della legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia  mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza  strategica per lo sviluppo), dall’articolo 31 della legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la  semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del  patrimonio edilizio), unicamente fino al concorrere del 25 per cento del volume originario, esistente alla data dell’ampliamento in deroga”.

Teulada, complesso “Rocce Rosse” (residence + “seconde case”)

La struttura turistico-ricettiva già ampliata del 25% della volumetria, poi ampliata ancora, può esser un’altra volta ampliata fino al raggiungimento del 25% della volumetria conseguita dopo il primo ampliamento: per esempio, una struttura turistico-ricettiva avente in origine una volumetria di 30 mila metri cubi, può esser stata ampliata a 37.500 metri cubi (mc. 7.500, cioè + 25%) e ora può giungere a 46.875 metri cubi (mc. 9.375, cioè ulteriore +25%).     In pochi anni, nella fascia costiera di massima tutela, la volumetria di una struttura turistico-ricettiva potrebbe crescere di più del 50% della volumetria iniziale.

E questo favorirebbe il turismo?

In realtà favorirebbe la riminizzazione delle coste sarde, proprio quello che si dovrebbe evitare a ogni costo.

Così come lo strumento della prevista “intesa” (art. 11 delle N.T.A. del P.P.R.) fra Regione, Provincia e Comune con società immobiliari spettatrici non certo inattive per progetti di grande rilievo socio-economico entro la fascia costiera a cui spesso fanno riferimento esponenti della Giunta regionale per ricordare come sia già il piano paesaggistico regionale ad aver previsto questa possibilità: in realtà, il ricorso al meccanismo procedurale dell’intesa per approvare interventi nella fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina è limitato – in assenza di P.U.C. adeguato al P.P.R. – a “non oltre i dodici mesi” dall’entrata in vigore del P.P.R. (art. 20, comma 3°, lettera b, delle N.T.A. del P.P.R.).        La ratio della previsione transitoria di dodici mesi è in logica connessione con l’analogo termine di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al P.P.R. (art. 107, comma 1°, delle N.T.A. del P.U.C.).

Di fatto, ora, la previsione non è più vigente e i Comuni in tali condizioni, prima di ogni ulteriore iniziativa, dovrebbero procedere all’approvazione del P.U.C. in adeguamento al P.P.R.

Porto Pino, dune

Oltre gli argomenti di merito, rimane chiaro quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

La sentenza Corte cost. n. 189 del 20 luglio 2016, infatti, ha affermato ancora una volta che le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile”.

La disciplina del P.P.R. afferma testualmente riguardo la fascia costiera (“risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo“, art. 19 delle N.T.A. del P.P.R.) fuori dai centri abitati: “nelle aree inedificate è precluso qualsiasi intervento di trasformazione” (art.  20 delle N.T.A. del P.P.R.), mentre è consentita solo la “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti“.  Le ristrutturazioni e riqualificazioni si possono ben fare con le volumetrie già esistenti.

Non si parla di nuove volumetrie o premi volumetrici che dir si voglia, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 189/2016, ha affermato chiaramente che si tratta dell’unica interpretazione costituzionalmente corretta.

Le “regole chiare” auspicate dal Presidente Pigliaru ci sono già: nella fascia dei 300 metri dalla battigia marina non si costruisce più, punto e basta.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

____________________________

[1]  Testi pubblicati:

 

dune costiere con vegetazione mediterranea

(foto J.I., S.D., archivio GrIG)


La Sella del Diavolo a Pasquetta!

$
0
0

Cagliari, Sella del Diavolo, la punta del promontorio e la regata velica

Splendida giornata primaverile, sole e un fresco maestrale han fatto da cornice alla passeggiata lungo il sentiero storico-naturalistico della Sella del Diavolo promossa dalle associazioni ecologiste Amici della TerraGruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Una settantina di escursionisti, la mattina di Pasquetta, ha potuto così fare la scoperta, o riscoperta, di uno degli angoli più suggestivi di Cagliari, tra gli odori della macchia e le numerose testimonianze della storia della città.

Un vero e proprio gioiello del Mediterraneo sardo, da conoscere, rispettare, conservare e gestire con cura e attenzione.

Gruppi e scolaresche interessate a conoscere la Sella del Diavolo possono contattarci all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com.

Amici della TerraGruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cagliari, Sella del Diavolo, gruppo di escursionisti (Pasquetta 2017)

(foto S.D., archivio GrIG)


Proposta di legge regionale urbanistica sarda, dibattito a Cagliari.

$
0
0

Promosso dai RossoMori, si terrà a Cagliari (Caesar’s Hotel, Via Darwin) giovedi 20 aprile 2017, con inizio alle ore 17.00, un dibattito pubblico sulla nuova proposta di legge regionale urbanistica sarda avanzata dalla Giunta Pigliaru.

Partecipiamo numerosi!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus


Le aree naturali protette sono anche le zone umide di importanza internazionale e la Rete Natura 2000.

$
0
0

Alghero, Isola Piana

Importante pronuncia della Corte di cassazione in tema di tutela penale delle aree naturali protette.

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2017, n. 14779 ha ritenuto che la fattispecie penale di cui all’art. 733 bis cod. pen. (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) sia posta a presidio delle aree naturali protette “tradizionali” disciplinate dalla legge quadro n. 394/1991 e s.m.i. (parchi nazionali, parchi naturali regionali, riserve naturali, monumenti naturali, aree marine protette), delle zone umide di importanza internazionale (Convenzione di Ramsar, esecutiva con D.P.R. n. 448/1976 e provvedimenti di individuazione) e delle aree rientranti nella Rete Natura 2000, la rete ecologica formata dai siti di importanza comunitaria – S.I.C. (direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora) e dalle zone di protezione speciale – Z.P.S. (direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica), perché “la nozione di ‘aree naturali protette’ è più ampia di quella comprendente le categorie dei parchi nazionali delle riserve naturali statali e regionali e dei parchi naturali statali, interregionali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (v. Sez. 3^  7.10.2003 n. 44409, Natale, Rv. 226400)”.

Un autorevole indirizzo giurisprudenziale per difendere con maggiore efficacia le parti più pregiate sul piano naturalistico del nostro Bel Paese.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Trieste, Castello di Miramare

 

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 12 aprile 2017

Cass. Sez. III n. 14779 del 24 marzo 2017 (Ud 7 dic 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Renoldi Imputato: Italiani ed altri
Beni ambientali. Reato di cui all’articolo 733-bis codice penale.

La nozione di “aree naturali protette” è più ampia di quella comprendente le categorie dei parchi nazionali delle riserve naturali statali e regionali e dei parchi naturali statali, interregionali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (fattispecie relativa anche al reato di cui all’art. 733-bis cp per aratura e taglio di erba).

Roma, Corte di cassazione

– omissis –

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 3 maggio 2016 il Tribunale di Verona – in funzione di Giudice del Riesame – in parziale accoglimento della istanza difensiva nell’interesse di ORLANDINI Claudio, indagato per i reati di cui agli artt. 44/c del d.P.R. 380/01 e 181 comma 1 bis del D. Lgs. 42/04; 733 bis cod. pen., annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Verona in data 8 aprile 2016 limitatamente alla parte concernente il sequestro di un’area arata di mq. 13.800 con coeva restituzione di quanto sopra all’avente diritto. Alla base di tale provvedimento di dissequestro parziale il Tribunale poneva l’assenza del fumus criminis in quanto l’area, poi dissequestrata, rientrava in una zona a destinazione agricola sicchè l’attività fino a quel momento posta in essere dal soggetto indagato non aveva modificato in alcun modo la struttura del terreno, essendosi limitata alla semplice rimozione del manto erboso come risultava dalle fotografie allegate. Da qui la non necessità del preventivo permesso di costruire né del nulla-osta paesaggistico. Quanto, poi, alla contravvenzione di cui all’art. 733 bis cod. pen. il Tribunale escludeva – sulla base di quanto raffigurato nelle foto allegate – che quell’area fosse un habitat comunitario.

1.2 Avverso il detto provvedimento propone ricorso il Procuratore della Repubblica per inosservanza della legge penale, in quanto il Tribunale aveva del tutto erroneamente ritenuto l’area oggetto di dissequestro di natura agricola e conseguentemente, altrettanto erroneamente, escluso la necessità del rilascio di preventivo permesso di costruire e di nullaosta paesaggistico, rivestendo invece tale area la natura di habitat naturale. Secondo il P.M. ricorrente quindi il Tribunale avrebbe escluso – in maniera del tutto errata ed in violazione della legge penale (artt. 44/c d.P.R. 380/01; 181 comma 1 bis D. Lgs. 42/04 e 733 bis cod. pen.) – il fumus criminis in realtà sussistente.

1.3 Nei termini è stata depositata da parte della difesa dell’indagato memoria difensiva nella quale in via preliminare si rileva la inutilizzabilità della documentazione allegata al ricorso del P.M. in quanto prodotta a fini di prova dopo la celebrazione dell’udienza dinnanzi al Tribunale del Riesame e quindi in assenza di contraddittorio; quanto alla dedotta inosservanza della legge penale, premesso che da parte del P.M. non sarebbe stata contestata la violazione dell’art. 44 del d.P.R. 380/01 (ipotesi coperta a suo giudizio da giudicato cautelare), quanto alle residue contestazioni, correttamente il Tribunale ha escluso il fumus criminis anche tenendo conto delle deduzioni difensive che andavano valutate in sede di riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato.2. Quanto alla deduzione preliminare circa la inammissibilità o comunque inutilizzabilità, in sede di legittimità, di nuovi documenti prodotti in allegato al ricorso da parte del Pubblico Ministero ricorrente, pur condividendosi in termini generali quanto osservato dal difensore dell’indagato sulla scorta di una pacifica giurisprudenza che esclude la possibilità di presentare documenti nuovi (in termini oltre a Sez. 3^ 7.1.2016 n. 5722, Sanvitale, Rv. 266390, v. Sez. 2^ 11.10.2012, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254302), va tuttavia chiarito che tale regola soffre una eccezione laddove i nuovi documenti non costituiscano una nuova prova, bensì una esplicitazione di prova preesistente. Invero come precisato dalle decisioni sopra citate, l’ammissibilità di documenti che la parte non era stata in grado di produrre in precedenza è sottoposta alla duplice condizione negativa della non configurabilità di una nuova prova e della inesistenza di attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto di prove già raccolte e valutate dai giudici di merito.2.1 Nel caso in esame secondo quanto è dato leggere nel ricorso del Pubblico Ministero, già la notizia di reato avrebbe dovuto indurre il Tribunale, se correttamente letta, ad una diversa decisione soprattutto con riferimento alla astratta configurabilità del fumus delicti in relazione al reato di cui all’art. 733 bis cod. pen. (il quale punisce con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda chiunque distrugge un habitat all’interno di un sito protetto ovvero lo deteriora in modo irreversibile): si afferma, infatti, nel ricorso che già nella notizia di reato risultava che l’area in questione costituisse un habitat potenziale 6510 e che il prato spontaneo rimosso a seguito di aratura profonda non rientrasse tra gli interventi consentiti in relazione alla particolare natura di quel sito naturalistico. La prova documentale costituita, secondo il P.M. ricorrente, dalla nota del 12 maggio 2016 (pacificamente posteriore rispetto alla data di svolgimento dell’udienza dinnanzi al Tribunale del Riesame) più che integrare una nuova prova riafferma quello che già emergeva a livello indiziario dalla stessa notizia di reato sulla base di dichiarazioni del tecnico comunale del Comune di Peschiera. E, anche a non voler tenere conto di tale documento, già quegli elementi avrebbero dovuto indurre il Tribunale a ritenere sussistente il fumus criminis.

    2.2 Tanto precisato, va subito ricordato che in riferimento alla adozione di misure cautelari reali, come ripetutamente affermato da questa Corte, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve essere limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, ed a maggior ragione, delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo giustificata la condotta dell’indagato; circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice del merito (Cass. Sez. 3^ 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218). Nell’ambito di tale fase deve farsi riferimento soltanto alla astratta configurabilità del reato, al rapporto di pertinenzialità tra la cosa e il reato ipotizzato ed alla attualità e per quanto possa rilevare alla concretezza del periculum in mora.

    2.3 Naturalmente l’attività di controllo del giudice del riesame non potrà essere disancorata dall’analisi delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2^ 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197; Cass. Sez. 3^ 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134).

    2.4 Ovviamente, poiché è compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza del fumus commissi delicti (in questo senso Cass. Sez. 4^ 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Cass. Sez. 3^ 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).

    2.5 Corollario di tale proposizione è che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potrà (recte, dovrà) essere revocato.

    2.6 Sempre in tema di provvedimenti cautelari di natura reale sono anche noti i limiti entro i quali i provvedimenti di tal fatta sono sindacabili in sede di legittimità: appare utile ricordare in questa sede che in tema di misure cautelari di carattere reale è possibile ricorrere in Cassazione esclusivamente per inosservanza (od erronea applicazione) della legge penale e mancanza assoluta della motivazione ovvero per motivazione meramente apparente: conseguentemente il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è consentito laddove ricorra una violazione di legge intesa quale erronea applicazione della legge penale ovvero inosservanza della stessa , oltre che carenza assoluta ovvero apparenza della motivazione (circostanze, queste ultime, non ravvisabili nel caso in esame).

    2.7 Così delineati, da una parte, i confini entro i quali il giudice del riesame è tenuto a verificare la fondatezza dell’accusa e le esigenze cautelari giustificative della misura e, dall’altra, i limiti di sindacabilità del provvedimento del Tribunale in sede di legittimità, vanno adesso esaminati i singoli profili di illegittimità denunciati.

    2.8 Nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto che l’area in questione avesse natura agricola, conseguentemente rilevando la non necessità di preventive autorizzazioni e/o permessi. Si tratta di una interpretazione ad evidenza errata in quanto, come emergeva dalla notizia di reato, l’area in oggetto era inserita comunque all’interno di un sito SIC/ZPS con caratteristiche di habitat potenziale 6510 che, diversamente da come opinato dalla difesa dell’indagato nella propria memoria difensiva, avrebbe – quanto meno sotto il profilo del reato paesaggistico di cui all’art. 181 comma 1 bis D. Lgs. 42/04 – richiesto una valutazione preventiva sotto il profilo della compatibilità paesaggistica in realtà mai intervenuta perché non richiesta. In questo senso deve allora ritenersi che l’area in argomento, benchè a destinazione agricola (circostanza che in estratto consentirebbe una attività “libera”), andasse qualificata come “agricola condizionata” proprio perché inserita all’interno di un sito tendente alla creazione di un habitat naturale. Ciò significa che a livello indiziario il fumus criminis in ordine al reato paesaggistico andava ritenuto configurabile. Può invece ritenersi coperto da giudicato cautelare il reato urbanistico di cui all’art. 44/c d.P.R. 380/01 – in ciò ritenendo corretto il rilievo contenuto nella memoria difensiva – dal momento che il P.M. ricorrente nulla ha dedotto in merito a tale ipotesi contravvenzionale.

    2.9 L’affermazione difensiva secondo la quale non tutti gli interventi posti in essere in zona SIC/ZPS ricadono sotto le previsioni dell’art. 181 comma 1 bis del D. Lgs. 42/04 non è esatta ed in questo senso va ritenuto fondato il rilievo del P.M. in ordine alla astratta configurabilità del reato paesaggistico, posto che l’attività di aratura seguita dal taglio dell’erba non rientra tra quelle indicate nell’art. 149 del D. Lgs. 42/04 come non soggette ad autorizzazione. La norma in esame, infatti, non prevede il rilascio di autorizzazione preventiva prescritta dagli artt. 146, 147 e 159 del medesimo D. Lgs. a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvopastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. Ma nel caso in esame l’intervento effettuato consistito in attività agro-silvo-pastorale ha certamente comportato una alterazione permanente dello stato dei luoghi che imponeva l’autorizzazione paesaggistica o quanto meno una richiesta di rilascio (v. Sez. 3^ 25.11.2014 n. 962, Scoleri e altro, Rv. 261791 sulla necessità di preventiva autorizzazione paesaggistica nel caso di realizzazione di piste in terra battuta in area boschiva protetta sottoposta a taglio e sradicamento di ceppaie e sulla possibilità di ricomprendere tra le attività agro-silvo-pastorali di cui all’art. 149 lett. b) del D. Lgs. 42/04 solo la parziale eliminazione delle piante con l’obiettivo di un miglioramento della fora tutelata).

    3. Quanto al reato di cui all’art. 733 bis cod. pen., ferme restando le considerazioni svolte in precedenza in ordine alla particolare collocazione del sito all’interno del quale ricade l’area oggetto di dissequestro ed alla sua destinazione – recte, vocazione – ad habitat naturale sia per specie vegetali che animali, appare ancor più evidente l’erronea applicazione della legge penale (art. 733 bis cod. pen.) in cui è incorso il Tribunale che, basandosi unicamente sulla lettura di dati offerti dalla difesa ed omettendo, invece, di considerare i dati incontroversi emergenti dalla comunicazione della notizia di reato (implicitamente riconosciuti dalla stessa difesa dell’indagato che non ha potuto fare a meno di riconoscere l’inserimento dell’area in zona SIC/ZPS) inquadravano quell’area nel sito Rete Natura 2000 S.I.C. In questo senso va anche ricordato che la nozione di ” aree naturali protette” è più ampia di quella comprendente le categorie dei parchi nazionali delle riserve naturali statali e regionali e dei parchi naturali statali, interregionali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (v. Sez. 3^  7.10.2003 n. 44409, Natale, Rv. 226400). Ne consegue che l’area in oggetto per le sue caratteristiche intrinseche non poteva tollerare interventi che ne deteriorassero la struttura, posto che il taglio dell’erba si è di fatto risolto nella eliminazione delle vegetazione protetta.

    4. Sulla base delle considerazioni che precedono l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale del Riesame di Verona che in quella sede si atterrà ai principi enunciati da questa Corte in tema di fumus commissi delicti ed a una corretta interpretazione ed applicazione delle norme violate di cui agli art. 181 comma 1 bis D. Lgs. 42/04 e 733 bis cod. pen.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale del Riesame di Verona.
Così deciso in Roma il 28 settembre 2016

 

Sette Fratelli, corso d’acqua

(foto S.D., archivio GrIG)


Pratobello, dall’impegno civile alle discariche abusive.

$
0
0

Fonni-Orogsolo, Pratobello, discarica abusiva (16 apr. 2017)

Triste parabola quella di Pratobello, da luogo simbolo dell’impegno civile di un’intera collettività locale (quella di Orgosolo) a discarica abusiva.

A Pratobello, nel 1969, veniva scritta una pagina importante per la difesa dei propri diritti dalla comunità orgolese.

Fonni-Orgosolo, Pratobello, discarica abusiva (16 apr. 2017)

Erano anni cruenti della lotta al banditismo e numerosi fermenti attraversavano la società barbaricina: la decisione di impiantare un poligono militare temporaneo sui terreni di Pratobello, dove da sempre pascolava il bestiame, fu avversata dall’intera comunità locale.   I terreni vennero occupati dalla popolazione e, dopo qualche giorno, le esercitazioni militari finirono. Per sempre.

Oggi a Pratobello rimangono pochi edifici abbandonati sull’altopiano.  Greggi e mandrie vi pascolano ancora.

Il borgo rurale, realizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno fra il 1958 e il 1961 per supportare interventi di riforma agraria e vissuto solo sporadicamente (recentemente era stato oggetto di un contratto di investimento sostenuto con fondi comunitari P.O.R. 2000-2006), suo malgrado, è invece diventato una crescente discarica abusiva di rifiuti vari.

E per abbandonare i rifiuti gli inquinatori non arrivano certo dal Giappone…

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha raccolto segnalazioni da parte di escursionisti, piuttosto scandalizzati dal mutamento dei luoghi, e ha inoltrato (19 aprile 2017) una specifica istanza per la bonifica ambientale dell’area, coinvolgendo i Comuni di Fonni e di Orgosolo (l’area è ai confini fra i due Comuni), il Corpo forestale e di vigilanza ambientale, i Carabinieri del N.O.E., informando nel contempo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nuoro.

L’auspicio è che alla rapida bonifica ambientale segua una nuova, autentica, balentìa: vigilare e impedire che quel luogo sia degradato da rifiuti e maleducazione.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Fonni-Orogsolo, Pratobello, discarica abusiva (16 apr. 2017)

 

 

(foto per conto GrIG)


Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus chiede alla Regione Toscana una normativa più efficace contro gli abusi nelle cave di marmo.

$
0
0

Alpi Apuane, Fivizzano, Cava Vittoria, scarico detriti (15 luglio 2016)

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (GrIG) ha inoltrato (20 aprile 2017) una richiesta al Presidente della Regione Toscana, al Presidente del Consiglio regionale e ai Capigruppo consiliari perché siano inserite nell’ordinamento regionale disposizioni più efficaci per contrastare gli abusi effettuati durante l’attività estrattiva del marmo sulle Alpi Apuane.

E’ stato coinvolto anche il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, in quanto interessa gran parte del comparto estrattivo del marmo.

Alpi Apuane, il bivacco Aronte e Punta Carina

In sintesi, si chiede che venga data al Parco naturale regionale delle Alpi Apuane il potere di revoca delle autorizzazioni ambientali (pronuncia di compatibilità ambientale – P.C.A., provvedimento conclusivo della procedura di valutazione di impatto ambientale – V.I.A.) in caso di reiterata violazione delle prescrizioni autorizzative o di mancata esecuzione del ripristino ambientale intimato.

Infatti, attualmente è previsto soltanto il potere di ordinare la sospensione dei lavori e il ripristino ambientale (art. 64 della legge regionale Toscana n. 30/2015), ma non è prevista la possibilità di revoca delle autorizzazioni in caso di accertata grave violazione delle prescrizioni autorizzative o di inottemperanza all’ordine di ripristino ambientale. Per sua stessa natura, poi, la sospensione dei lavori non può che essere temporanea (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 823).

E’ vero, dovrebbero essere i Comuni, in teoria i principali interessati alla difesa del proprio territorio, a chiudere le cave “abusive”: l’art. 21 della legge regionale Toscana n. 35/2015 sulle cave dispone (comma 3°) l’adozione da parte del Comune territorialmente competente del provvedimento di decadenza dalla concessione estrattiva, qualora l’Impresa estrattiva non provveda alla sospensione dei lavori in caso di violazione delle prescrizioni autorizzative o alla messa in sicurezza ovvero al rispristino ambientale (commi 1° e 2°).   Però, le amministrazioni comunali sono più preoccupate della tenuta economica del comparto del marmo che dei danni ambientali e di provvedimenti di decadenza delle concessioni di cava si trovano rare tracce.

Alpi Apuane, Canale Renara inquinato da marmettola (16 settembre 2016)

Infatti, a fronte di numerosi e reiterati casi di riscontrata grave violazione delle prescrizioni autorizzative da parte di Aziende estrattive del marmo sulle Alpi Apuane con gravissimi danni all’ambiente e alle risorse naturali (soprattutto al patrimonio idrico), non si registrano i conseguenti opportuni provvedimenti di revoca e chiusura definitiva dei relativi siti estrattivi.     A puro titolo esemplificativo, si riportano alcuni recenti provvedimenti di sospensione delle attività estrattive determinati da riscontrate violazioni delle autorizzazioni ambientali:

* Cava Madielle (Massa): ordinanza Commissario Parco Apuane n. 3 del 21 marzo 2017;

* Cava Padulello (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 2 del 17 febbraio 2017;

* Cava Vittoria (Fivizzano): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 9 del 23 dicembre 2016;

* Cava Calacatta (Carrara): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 8 del 21 ottobre 2016 e ordinanza Presidente Parco Apuane n. 1 del 3 giugno 2016;

* Cava Fossagrande (Carrara): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 7 del 23 settembre 2016;

* Cava Piastramarina (Minucciano): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 6 del 5 agosto 2016;

* Cava Granolesa (Seravezza): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 5 del 2 agosto 2016;

* Cava Romana (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 3 del 3 giugno 2016;

* Cava Valsora Palazzolo (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 2 del 3 giugno 2016.

In pochi mesi ben 10 provvedimenti di sospensione dell’attività estrattiva e ingiunzione di ripristino ambientale, due dei quali riferiti alla stessa cava (Cava Calacatta, Carrara) denotano un quadro di illegalità ambientale di sensibili dimensioni, non contrastato da provvedimenti di efficace natura.

Alpi Apuane, Massa, Padulello, notare la Via di Lizza del Padulello, manufatto storico

Il quadro generale non è dei migliori.   Non siamo più ai tempi e ai metodi di Michelangelo, anche se c’è chi si ostina a non voler vedere e capire.

Purtroppo, nel corso degli ultimi vent’anni si è cavato dalle Apuane più che nei 2000 anni precedenti, ogni anno 4 milioni di tonnellate di montagna, un milione e mezzo di metri cubi.

L’industria del marmo è decisamente molto redditizia, ma quasi esclusivamente per i pochi soggetti titolari delle attività estrattive. Fra questi c’è anche la famiglia Bin Laden che con la sua Cpc Marble & Granite Ltd ha acquistato nel 2014 il 50% della Marmi Carrara pagando a quattro famiglie proprietarie 45 milioni di euro.

I ricavi dei Comuni non sono paragonabili neanche lontanamente a quelli dei concessionari: in questi ultimi tempi, per esempio, il Comune di Carrara incassa 15 milioni di euro annui a titolo di canone, una parte minima rispetto a quanto rende l’estrazione marmifera. Per esempio, nel 2012, a fronte del canone di 15 milioni di euro in favore del Comune di Carrara, le imprese operanti nel settore del marmo hanno ricavato ben 168 milioni di euro. Al Comune è dunque andato solo l’8,8% del ricavo complessivo.

Anche i dati sull’occupazione confermano che il marmo non rende immuni dalla disoccupazione, anzi: nel 2016 il tasso di disoccupazione medio in Italia era dell’11,7% (dati I.S.T.A.T.), in Provincia di Massa Carrara era del 16,6%.

La stessa Regione Toscana (nota Direzione Ambiente ed Energia prot. n. AOOGRT 0275665 del 23 dicembre 2015) ha riconosciuto che “la produzione di rifiuti caratteristici del distretto lapideo apuano (marmettola, n.d.r.) è dell’ordine delle 275.000 tonnellate annue in anni recenti” e non sono pochi i danni alla risorsa idrica destinata al consumo potabile: “i maggiori costi legati alla presenza di materiali fini derivanti dall’esercizio delle cave sono valutabili nell’ordine di 300 mila euro all’anno“, secondo il gestore Gaia s.p.a. (vds. “Marmettola nel Frigido, rendere potabili le acque costa 300.000 euro in più all’anno”, Il Tirreno,3 febbraio 2016).  Si deve ricordare che gran parte del comparto estrattivo del marmo – ben 178 cave, di cui 118 attive, nei soli bacini imbriferi del Carrione e del Frigido, secondo l’A.R.P.A.T. (report n. 168 del 13 agosto 2015 sulle “Alpi Apuane e marmettola”) – ricade proprio nell’ambito del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane.

acqua alla marmettola, se la bevano tutti quegli amministratori pubblici che non difendono le Apuane

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – grazie all’incessante e determinata attività del proprio Presidio Apuane – è da tempo impegnato duramente in una decisa battaglia legale e di sensibilizzazione contro gli scempi ambientali compiuti quotidianamente sulle Alpi Apuane e l’inquinamento delle acque da marmettola,

Ora il GrIG chiede alla Regione Toscana che siano dati efficaci poteri di salvaguardia ambientale per contrastare gli illeciti delle cave al Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, individuato dalla stessa Regione quale ente preposto alla tutela dell’area naturale di pertinenza.[1]

Non solo.   Ogni cittadino, ogni comitato, ogni associazione può fare la sua parte: il GrIG mette a disposizione un fac simile di istanza di analogo contenuto da completare, chiunque la volesse inoltrare può richiederlo all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

_________________

[1] ai sensi dell’art. 69 della legge regionale Toscana n. 30/2015, “l’ente parco svolge tutte le funzioni relative ad accertamenti, valutazioni, considerazioni, autorizzazioni, atti in proposito”.

 

 

 

Alpi Apuane, Sagro, manifestazione sotto la neve (genn. 2017)

 

 

(foto A.G., F.L., archivio GrIG)



Dibattito pubblico sulla proposta di legge regionale urbanistica sarda.

$
0
0

Cagliari, dibattito sulla proposta di legge regionale urbanistica sarda (20 aprile 2017)

Affollato e partecipato dibattito pubblico lo scorso 20 aprile 2017 sulla nuova proposta di legge regionale urbanistica sarda avanzata dalla Giunta Pigliaru.

Promosso dai RossoMori e da Possibile, ha visto numerosi e qualificati interventi da parte di urbanisti, economisti, esponenti dell’associazionismo ambientalista, liberi professionisti.

In attesa della “partecipazione pubblica” promessa sul tema dall’Amministrazione regionale Pigliaru, è stata un’ottima occasione per capirne un po’ di più.   Bravi gli organizzatori!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Proposta di legge regionale urbanistica sarda, analisi critica.

Dopo lunghi anni, la Giunta regionale Pigliaru ha proposto la tanto attesa legge urbanistica sarda.

Sono testi complessi, recentemente pubblicati sul sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna[1], in merito ai quali si attende la fase di partecipazione pubblica prevista nella stessa deliberazione di Giunta regionale di approvazione.

Infatti, un elemento importante per la partecipazione e il coinvolgimento in scelte così rilevanti per l’Isola è dato dal quanto previsto nella medesima deliberazione di approvazione: “il disegno di legge sarà … pubblicato in una apposita sezione del sito istituzionale e aperto alle osservazioni di tutti gli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica: parti istituzionali, parti economiche e sociali, università, ordini professionali, organismi in rappresentanza della società civile, associazioni ambientali, soggetti portatori degli interessi e delle volontà dei territori”.

Ci sarà, quindi, una fase di partecipazione pubblica e, in quella sede, potranno trovar corpo approfondimenti e analisi critiche consone.

Comunque qualche approfondimento abbiamo provato a farlo e proviamo a farne qualche altro.

costa di Teulada

Obiettivi dichiarati dell’Amministrazione Pigliaru.

L’intendimento pubblicizzato dell’Amministrazione Pigliaru è quello di migliorare l’offerta turistica attraverso il miglioramento delle dotazioni della ricettività alberghiera senza consumo di nuovo territorio.    In quest’ottica sono previsti incrementi volumetrici in favore delle strutture ricettive anche entro la fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina, così da permettere la realizzazione di centri benessere, sale congressuali, servizi, attrezzature sportive, che renderebbero “più appetibile” un patrimonio edilizio ricettivo ormai “datato”.

In realtà, per migliorare l’offerta turistica sembrano prioritarie altre iniziative, a iniziare dal radicale miglioramento dei collegamenti aerei e navali in regime di continuità territoriale o comunque attraverso meccanismi di abbattimento dei costi per i non residenti, continuando con una politica efficace delle aree naturali protette e dei beni culturali per ampliare offerta e stagione turistica, per finire con la promozione di veri e propri “pacchetti turistici” specifici per mète ed eventi (es. S. Efisio, Carnevale, Pasqua, Candelieri, ecc.). Il discorso porterebbe lontano, per cui limitiamoci a considerazioni di natura giuridica e ambientale.

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Dibattito pubblico sulle grandi opere.

L’art. 25 del disegno di legge prevede molto opportunamente il dibattito pubblico sulle grandi opere (“La realizzazione di interventi, opere o progetti, di iniziativa pubblica o privata, con possibili rilevanti impatti di natura ambientale, paesaggistica, territoriale, sociale ed economica è preceduta da un dibattito pubblico sugli obiettivi e le caratteristiche degli interventi”).

Disposizione che si appresta a entrare nell’ordinamento regionale sulla scorta di quel debat public, la c.d. legge Barnier, la n. 95-101 del 2 febbraio 1995 e parzialmente modificata nel 2001-2002, che – secondo stime di esperti – ha ridotto dell’80% la conflittualità relativa ai progetti con sensibile impatto ambientale.

Vi sarebbero assoggettati progetti di rilievo nazionale o regionale relativi a porti e aeroporti, infrastrutture ferroviarie e stradali, elettrodotti e qualsiasi infrastruttura di passaggio e stoccaggio di materiale combustibile, bacini idroelettrici e dighe, opere di importo superiore ai 50.000.000,00 euro, così come su programmi e progetti ecosostenibili di grande interesse sociale ed economico, ricerca e sfruttamento di idrocarburi,  grandi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in quanto funzionali al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing.   Inoltre, “nei casi in cui gli interventi proposti siano soggetti a valutazione di impatto ambientale (VIA), lo svolgimento del dibattito pubblico è condizione per l’avvio della procedura di valutazione”.

Domus de Maria, Chia, complesso edilizio a ridosso delle dune

Poco sensata, invece, è la previsione della richiesta di svolgimento della procedura di dibattito pubblico da parte del “10 per cento dei residenti nel territorio interessato dall’iniziativa, che abbiano compiuto diciotto anni anche organizzati in associazioni e comitati” oltre che da Giunta regionale e Comuni ed eventuale amministrazione pubblica titolare del progetto.  Basti pensare che per un progetto interessante la Città metropolitana di Cagliari (431.642 residenti) sarebbe necessaria la sottoscrizione di più di 43 mila residenti maggiorenni. Una follìa.

Analoga ambiguità (art. 25, comma 8°) è quella di subordinare l’intervento nel dibattito pubblico dei “residenti nel territorio interessato dall’intervento, sia in forma singola che in gruppi organizzati, le associazioni portatrici di interessi diffusi, nonché gli ulteriori soggetti che abbiano interesse per il territorio o per l’oggetto del processo partecipativo” alla “motivata valutazione sull’utilità della partecipazione da parte dell’amministrazione pubblica procedente”: anche un bambino comprende che l’amministrazione pubblica procedente così farebbe intervenire solo chi pare e piace.

Sardegna, dune e ginepri sul mare

Eversione delle normative di tutela della fascia costiera.

A un primo esame della proposta di legge, necessariamente rapido, balza agli occhi un elemento fortemente negativo, la possibilità – per l’ennesima volta – di incrementi volumetrici entro la fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina (mt. 150 nelle Isola minori) previsti dall’art. 31 del disegno di legge regionale, in palese violazione di quanto indicato nel piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero).

Nella fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina si stima che siano presenti ben 495 strutture turistico-ricettive, potenzialmente beneficiarie di tali aumenti volumetrici.

Così l’art. 31 del disegno di legge regionale: “al fine di migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva sono consentiti interventi di ristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive. Gli interventi possono essere attuati anche mediante demolizione e ricostruzione e gli incrementi volumetrici possono determinare la realizzazione di corpi di fabbrica separati … anche in deroga ai parametri e agli indici previsti dagli strumenti urbanistici, nella percentuale massima del 25 per cento dei volumi legittimamente realizzati”.

In buona sostanza, si tratta anche di “unità immobiliari separate”, cioè ville, pur connesse alla gestione alberghiera.  Così, per capirci, come fatto in base al c.d. piano per l’edilizia o piano casa che dir si voglia (legge regionale n. 4/2009 e s.m.i.) all’Hotel Romazzino in Costa Smeralda (Arzachena) e oggetto di un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania anche su esposti del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per violazione della normativa di tutela costiera.[2]

Arzachena, Costa Smeralda, lavori suites Hotel Romazzino

Non solo.

Gli … incrementi volumetrici … sono computati ai fini della pianificazione delle volumetrie realizzabili per il soddisfacimento del fabbisogno di ricettività alberghiera ed extra-alberghiera, con le modalità previste dall’Allegato A” (art. 31, comma 3°, lettera b, del d.d.l. urbanistico) e “gli insediamenti esistenti possono essere completati attraverso la previsione di ambiti di potenziale trasformabilità ad essi contigui. È, in ogni caso, consentita la trasformazione delle residenze per le vacanze e il tempo libero, esistenti o da realizzare, in strutture ricettive alberghiere” (Allegato A, art. A 4, comma 3°).

In parole povere, sono consentiti gli ampliamenti degli insediamenti edilizi nella fascia costiera e la trasformazione delle “seconde case” in strutture ricettive alberghiere, anche se nemmeno esistenti (!)   Quest’ultima disposizione rieccheggia la sfacciata previsione dei famigerati nullaosta per complessi alberghieri emanati in deroga ai vincoli propedeutici per la redazione degli allora piani territoriali paesistici in base all’art. 13, comma 1°, lettera c, della legge regionale n. 45/1989: la Giunta regionale fra il 1990 e il 1992 ne rilasciò ben 235, legittimando nella futura normativa di piano tantissimi progetti immobiliari di “seconde case” poi “riciclati” in “complessi alberghieri”.

Grazie al Cielo e al Consiglio di Stato (il T.A.R. seguì lentamente…), riuscimmo fra mille difficoltà a ottenere l’annullamento di quei piani territoriali paesistici che…tutelavano fondamentalmente investimenti e speculazioni immobiliari.[3]

Teulada, complesso “Rocce Rosse” (residence + “seconde case”)

Ci sono anche altre considerazioni da fare, relative al mattone liofilizzato. Con un colpo di bacchetta magica cresce

Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti nel comma 1 anche le strutture turistico-ricettive  che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dall’articolo 10 bis della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), e successive modifiche ed integrazioni … Possono usufruire degli incrementi volumetrici previsti nel comma 1 anche le strutture turistico-ricettive  che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dal capo I e dall’articolo 13, comma 1, lettera e)  della legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia  mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza  strategica per lo sviluppo), dall’articolo 31 della legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la  semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del  patrimonio edilizio), unicamente fino al concorrere del 25 per cento del volume originario, esistente alla data dell’ampliamento in deroga”.

La struttura turistico-ricettiva già ampliata del 25% della volumetria, poi ampliata ancora, può esser un’altra volta ampliata fino al raggiungimento del 25% della volumetria conseguita dopo il primo ampliamento: per esempio, una struttura turistico-ricettiva avente in origine una volumetria di 30 mila metri cubi, può esser stata ampliata a 37.500 metri cubi (mc. 7.500, cioè + 25%) e ora può giungere a 46.875 metri cubi (mc. 9.375, cioè ulteriore +25%).

In pochi anni, nella fascia costiera di massima tutela, la volumetria di una struttura turistico-ricettiva potrebbe crescere di più del 50% della volumetria iniziale.

E questo favorirebbe il turismo?

Cabras, Sinis, edificazione nell’agro

In realtà favorirebbe la riminizzazione delle coste sarde, proprio quello che si dovrebbe evitare a ogni costo.

Così come lo strumento della prevista “intesa” (art. 11 delle N.T.A. del P.P.R.) fra Regione, Provincia e Comune con società immobiliari spettatrici non certo inattive per progetti di grande rilievo socio-economico entro la fascia costiera a cui spesso fanno riferimento esponenti della Giunta regionale per ricordare come sia già il piano paesaggistico regionale ad aver previsto questa possibilità: in realtà, il ricorso al meccanismo procedurale dell’intesa per approvare interventi nella fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina è limitato – in assenza di P.U.C. adeguato al P.P.R. – a “non oltre i dodici mesi” dall’entrata in vigore del P.P.R. (art. 20, comma 3°, lettera b, delle N.T.A. del P.P.R.).        La ratio della previsione transitoria di dodici mesi è in logica connessione con l’analogo termine di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al P.P.R. (art. 107, comma 1°, delle N.T.A. del P.U.C.).

Di fatto, ora, la previsione non è più vigente e i Comuni in tali condizioni, prima di ogni ulteriore iniziativa, dovrebbero procedere all’approvazione del P.U.C. in adeguamento al P.P.R.

Ginepro sulle dune

La giurisprudenza costituzionale.

Oltre gli argomenti di merito, rimane chiaro quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

La sentenza Corte cost. n. 189 del 20 luglio 2016, infatti, ha affermato ancora una volta che le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile”.

La disciplina del P.P.R. afferma testualmente riguardo la fascia costiera (“risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo“, art. 19 delle N.T.A. del P.P.R.) fuori dai centri abitati: “nelle aree inedificate è precluso qualsiasi intervento di trasformazione” (art.  20 delle N.T.A. del P.P.R.), mentre è consentita solo la “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti“.  Le ristrutturazioni e riqualificazioni si possono ben fare con le volumetrie già esistenti.

Costa Paradiso, cantiere edilizio in fortissima pendenza

Non si parla di nuove volumetrie o premi volumetrici che dir si voglia, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 189/2016, ha affermato chiaramente che si tratta dell’unica interpretazione costituzionalmente corretta.[4]

Le “regole chiare” auspicate dal Presidente Pigliaru ci sono già: nella fascia dei 300 metri dalla battigia marina non si costruisce più, punto e basta.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

_______________________

[1]  Testi pubblicati:

[2]  L’ordinanza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 18 marzo 2011, n. 135 era già intervenuta con l’interpretazione poi fatta propria dalla Corte costituzionale, affermando la prevalenza della disciplina di tutela costiera, in particolare del piano paesaggistico, sulla normativa regionale urbanistica.   In seguito, nel procedimento giurisdizionale de quo era stata dichiarata la cessata materia del contendere per rinuncia del ricorrente.  In proposito, vds. S. Deliperi, Il piano per l’edilizia soccombe davanti al piano paesaggistico regionale della Sardegna, in Lexambiente, 2011.

[3] Sulle vicende della pianificazione paesaggistica in Sardegna vds. S. Deliperi, La pianificazione paesaggistica in Sardegna. Evoluzione, realtà, prospettive, in C.S.M., convegno “Finestre sul paesaggio”, Cagliari, 1-2 dicembre 2011.

[4]  In proposito, più diffusamente, vds. S. Deliperi, La Corte costituzionale ribadisce che qualsiasi disciplina urbanistica è subordinata alla pianificazione paesaggistica, in Lexambiente, 2016.

 

piano paesaggistico regionale – P.P.R., area Piscinas – Scivu

 

La Nuova Sardegna, 21 aprile 2017

 

da Sardinia Post, 21 aprile 2017

Legge urbanistica, RossoMori e Possibile alla Giunta: “Ppr fatto a pezzi”.

 

qui il video istituzionale della Regione autonoma della Sardegna

 

(foto Cristiana Verazza, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Un topolino spiega quello che non siamo in grado di fare.

$
0
0

Topolino, esperimento di R. Church (1959)

Un po’ di sana etologia.

Forse un topolino ne sa più di gran parte degli esseri umani.

Buona lettura.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

manifesto nazista in tedesco e polacco, che minacciava di morte i polacchi che avessero aiutato gli ebrei (1939-1945)

da Emergenze – l’ambiguità della scoperta, 12 aprile 2016

Un piccolo topo ci insegna a cambiare il futuro. (Matteo Minelli)

È un topolino minuscolo, impaurito e molto affamato quello che vive in una piccola gabbia nel laboratorio per esperimenti del dottor Russel Church, ricercatore della Brown University. La piccola cavia, X, ha  veramente bisogno di mangiare, è da parecchio tempo che digiuna. Lui lo sa come procurarsi il cibo, lo sa che basta premere una leva per far scendere l’agognato premio che servirebbe a riempirgli la pancia. In fondo è stato concepito e addestrato per questo. È molto intelligente, come tutti quelli della sua specie, e ci ha messo poco a capire il meccanismo della gratificazione: l’unico modo per ottenere da mangiare è tirare la stramaledetta leva. Eppure non lo fa, da diversi giorni non mette niente in bocca. Il congegno non è cambiato ma lui quella leva non la vuole proprio tirare. Il fatto è che, in una gabbia adiacente alla sua, hanno piazzato uno come lui, Y, un topolino piccolo e spaventato, le cui zampette esili poggiano su una griglia elettrizzata. Ed ogni volta che X tira la leva una violenta scossa elettrica attraversa il reticolato posto ai piedi del suo vicino di cella e lo fa ballare sui carboni ardenti. X ci ha messo poco a fare la connessione, a dedurre che la leva per lui è salvezza mentre per Y è morte. E ha deciso di non tirarla più, che è meglio crepare di fame piuttosto che vedere e sentire il suo compagno di prigionia contorcersi dal dolore, piuttosto che è essere l’esecutore materiale di quella sofferenza.

E tutto ciò nonostante X, non abbia mai visto prima quell’altro topolino, non ne conosca l’odore, non gli sia familiare alla vista. Entrambi sono nati in cattività, destinati ad essere cavie; non immaginano la vita della colonia, forse non hanno mai nemmeno socializzato con un loro simile, sicuramente non sono mai stati liberi ne lo saranno mai. Eppure X ha dentro una forza che gli dice di non premere quella leva, di non infliggere quel dolore, costi quel che costi, perché è sbagliato, perché è immorale, perché prova empatia per quell’essere come lui, e diverso da lui, che combatte e soffre per vivere. X non lo sa, ma lui non che l’ultimo di una serie di cavie, tutte sottoposte allo stesso crudele esperimento, che si sono rifiutate di tirare quella leva, in nome della propria natura, del proprio istinto, della propria volontà di esercitare quella libertà che non hanno mai avuto.

esperimento di S. Milgram (1963)

Tutto ciò accadeva nel 1959, alla Brown University. Russel Church pubblicò un articolo sul Journal of Comparative and Physiological Psychology dal titolo “Reazioni emotive dei ratti al dolore altrui”. Pochi anni dopo, nel 1963, Stanley Milgram, scienziato statunitense, selezionò per un suo studio 40 uomini, tra i venti e cinquant’anni, comunicandogli che avrebbero partecipato ad un esperimento, dietro compenso, riguardante la memoria e l’apprendimento.

Dopo un sorteggio truccato, ai partecipanti veniva affidato il ruolo di insegnante mentre degli attori complici ricoprivano quello di allievo. L’insegnante veniva allora posto dinnanzi ad una pulsantiera, collegata ad un generatore di scosse elettriche, composta da 30 interruttori, ognuno dei quali corrispondeva ad un livello di tensione erogata, da un minimo di 15 ad un massimo di 450 volt. All’insegnante veniva fatta percepire una scossa da 45 volt, l’unica realmente attiva, così da dimostrare che non si trattava di una finzione. A quel punto, i partecipanti, affiancati da un “esperto”, sottoponevano un test della memoria agli allievi, che dovevano essere puniti con una scossa elettrica crescente per ogni risposta sbagliata.

pulsantiera dell’esperimento di S. Milgram (1963)

Gli attori complici erano in una stanza accanto collegati ad una finta sedia elettrica e dovevano simulare, con intensità maggiore o minore a seconda del voltaggio, le reazioni al sopraggiungere della tensione. L’esperto aveva il compito di esortare verbalmente l’insegnante a non interrompere l’esperimento, utilizzando frasi ricorrenti come “non ha altra scelta, deve proseguire” “è assolutamente indispensabile che lei continui”. Lo scopo dell’esperimento era misurare il grado di obbedienza dei soggetti ad un’autorità, in questo caso l’esperto, che gli ordinava di eseguire azioni in contrasto con la propria etica. La pulsantiera era il mezzo attraverso cui quantificare l’accettazione. I risultati, confermati poi in altri studi, dimostrarono che i partecipanti, nonostante qualche protesta verbale e una certa tensione fisica (variabili in base alla distanza dagli allievi, dalla loro visione e dall’ascolto dei loro lamenti), nella maggior parte dei casi giungevano ad infliggere scariche di tensione potenzialmente mortali. Milgram, che nel realizzare tale esperimento fu profondamente influenzato dal processo al gerarca nazista Eichmann, appena iniziato in Israele, riuscì così a dimostrare che potenzialmente, in determinate situazioni, la maggior parte degli individui è disposta a tenere, in ottemperanza alle indicazioni dell’autorità, condotte moralmente riprovevoli.

Adolf Eichmann durante il processo in Israele (1961)

Ora è bene domandarci da una parte come mai i partecipanti allo studio di Milgram, che non erano sottoposti ad alcuna costrizione fisica e di fatto potevano interrompere in ogni momento l’esperimento senza nessun danno per se stessi, e che, visto il sorteggio iniziale di cui non conoscevano il trucco, potenzialmente potevano trovarsi al posto degli allievi, continuavano ad infliggere, direttamente, scariche sempre più forti a soggetti che urlavano pietà, si sbattevano, gridavano di avere dolori allucinanti e simulavano perfino svenimenti. E come mai, dall’altra parte, i topi di Churc, incalzati dalla fame e sistematicamente addestrati a tirare la leva, si rifiutassero in massa, al prezzo della vita, di infliggere,indirettamente, dolore ad un simile che però per loro era uno sconosciuto.

Topolini di laboratorio

Potremmo semplicisticamente dedurre che come esseri umani siamo sbagliati, che il quadro angosciante che dipingiamo su questa Terra sia l’unica opera capace di fuoriuscire dalle nostre mani. Sbaglieremmo. Sia perché finiremmo per estendere all’umanità intera le responsabilità che in realtà ricadono solo su una parte di essa, sia perché, per l’ennesima volta, finiremmo per isolarci dal resto dei viventi. D’altro canto potremmo dire che i topi sono troppo diversi da noi per risultare un termine di paragone adeguato e che, se avessero determinate facoltà forse si comporterebbero alla nostra stregua. E sbaglieremmo anche in questo caso. Darwin più volte ha posto l’accento sul fatto che le differenze tra gli uomini e gli altri animali non sono qualitative bensì semplicemente di grado. Condividiamo con essi non soltanto un percorso evolutivo comune, ma soprattutto sentimenti basilari e fondamentali.

E allora come mai i topi di Church si sono rifiutati, a prezzo della vita, di fare ciò che gli uomini di Milgram hanno fatto senza subire alcuna imposizione fisica? È evidente che la differenza sta tutta nelle strutture sociali, culturali, economiche che permeano gli individui, nelle dinamiche di dominio, repressione, violenza che si instaurano nei rapporti  tra i soggetti. Strutture e rapporti che in qualche misura finiscono per arrivare così in profondità da modificare quei caratteri empatici ed etici che ci portiamo appresso come regalo più bello del nostro percorso evolutivo.

Per questo quando perdiamo la speranza, quando siamo convinti che l’uomo sia destinato alla dannazione eterna, ricordiamoci dei topi di Church, capaci di pagare il prezzo più alto per restare fedeli alla propria morale e di ricordarci che anche noi possiamo tornare a camminare lungo il loro stesso sentiero.

 

(foto da http://www.emergenzeweb.it, da mailing list animalista, da Wikipedia)

 


Tutela del centro storico di San Gimignano.

$
0
0

San Gimignano, Piazza del Duomo (da 10Cose.it)

San Gimignano è una cittadina di straordinario interesse storico-culturale in Provincia di Siena.

Nemmeno 8 mila abitanti, il suo centro storico ha in gran parte mantenuto il tessuto urbanistico medievale, nonostante alcuni interventi del XIX e XX secolo. Basti pensare che vicino alla Chiesa Collegiata, il Duomo romanico, svettano ancora ben 15 delle 72 originarie case-torri medievali.

E’ sicuramente uno dei migliori esempi giunti fino a noi di struttura urbana del periodo comunale e per questo è entrato a far parte del Patrimonio dell’umanità dell’U.N.E.S.C.O.

L’intero centro storico e un’ampia area intorno sono tutelati con specifico vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (area individuata con D.M. 25 marzo 1965), mentre ben 122 edifici storici sono tutelati specificamente con vincolo storico-culturale (artt. 10 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Ma non solo.

San Gimignano, pianta area tutelata dalla legge n. 3641909 (individuata con D.M. 13 febbraio 1928)

L’intera città di San Gimignano” entro la storica cinta muraria, individuata in puntuale pianta catastale, beneficia anche di una forma ancor più stringente di salvaguardia, quella discendente dalla legge n. 364/1909, con provvedimento di individuazione con D.M. 13 febbraio 1928, oggetto anche di un recente parere dell’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo (prot. n. 36443 del 29 dicembre 2016): in pratica, non può esser modificato o realizzato alcun edificio senza preventiva autorizzazione della Soprintendenza competente, che può dettare le opportune prescrizioni per la conservazione del centro storico.

Toscana, oliveto

Sarebbe stato recentemente sottoscritto un accordo (artt. 6 e 112 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) fra Comune di San Gimignano e la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Siena per la più opportuna gestione dei provvedimenti urbanistico-edilizi alla luce del vincolo di cui alla legge n. 364/1909, tuttavia sorge spontanea una domanda: sono stati realizzati edifici o modifiche o ampliamenti di edifici nel centro storico di San Gimignano senza adeguata valutazione del loro inserimento in un contesto di valore storico-culturale e ambientale unico al mondo?

E se questo è avvenuto, che cosa intendono fare Comune, Soprintendenza e Regione Toscana?

Come noto, gli artt. 160 e 167 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. e gli artt. 27 e 39 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. prevedono la possibilità rispettivamente da parte della Soprintendenza, da parte del Comune e da parte della Regione competenti di ordinare il ripristino ambientale di interventi non autorizzati e di annullare i titoli abilitativi edilizi in presenza di illegittimità e motivi di interesse pubblico anche oltre il termine di 18 mesi di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i. (vds. T.A.R. Veneto, Sez. II, 22 luglio 2016, n. 861).

Nei prossimi giorni, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus inoltrerà in proposito una specifica richiesta di informazioni ambientali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, Siena (1338-1339)

(foto da 10Cose.it, Wikipedia, E.R., archivio GrIG)


Due modi ben diversi di vivere l’Africa.

$
0
0

Giraffe

Scott Van Zyl era un bracconiere. Peggio, un bracconiere che faceva la guida a pagamento per ricchi bracconieri che volevano provare l’ebbrezza di ammazzare quello che volevano nella parte australe dell’Africa.

Il suo sito internet Pro Safaris è pieno di queste proposte commerciali.

Due Coccodrilli del Nilo l’hanno sbranato.  Non riusciamo a esserne rammaricati.

Maria Boccazzi, nota come Kuki Gallmann, è una scrittrice italiana trasferitasi in Kenia fin dal 1972.

Leone (Panthera leo)

Autrice di vari libri, fra cui il famoso Sognavo l’Africa, ha fondato la Gallmann Memorial Fountadion, in ricordo del figlio e del marito deceduti. La Fondazione si occupa di iniziative per la salvaguardia dell’ambiente e umanitarie.

La sua immensa tenuta è stata trasformata in una riserva naturale.

E’ stata ferita gravemente, mentre stava pattugliando la sua riserva.  Ora corre pericolo di vita.

Le facciamo i nostri migliori auguri, forza Kuki!

Due modi ben diversi di vivere l’Africa.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

da Il Corriere della Sera, 23 aprile 2017

Scott van Zyl, il super bracconiere ucciso dai coccodrilli in Zimbabwe. (Silvia Morosi)

Accompagnava i turisti nelle riserve e prometteva loro che avrebbero ammazzato diverse specie di animali. Fino a quando il suo zainetto non è stato ritrovato sulla riva del fiume Limpopo in Zimbabwe. Sbranato dai coccodrilli, come ha rivelato il dna.

Accompagnava i turisti tra parchi e riserve e prometteva loro che avrebbero potuto ammazzare diverse specie di animali, dai bufali ai rinoceronti, dai leoni alle antilopi, bufali, come passatempo. Fino a quando il suo zainetto non è stato ritrovato sulla riva del fiume Limpopo in Zimbabwe. Scott van Zyl, professione bracconiere, è stato sbranato dai coccodrilli del Nilo. Questi predatori dei fiumi e dei laghi dell’Africa si appoggiano totalmente sul fondo dell’acqua, in attesa di una preda da afferrare e trascinare, fino ad annegarla. Non a caso, sono rinomati per le lunghe mascelle dalle quali nemmeno i bufali riescono a sfuggire. I suoi resti, grazie al dna, sono stati trovati all’interno dei due animali, come racconta il Telegraph.

La dinamica dell’incidente.

Van Zyl e il suo tracker avevano lasciato il loro mezzo e camminato in direzioni diverse tra i cespugli. I suoi cani, a fine giornata, sono tornati indietro senza di lui e le squadre di soccorso sono subito accorse per cercare il cacciatore: chi con gli elicotteri, gli con una squadra di subacquei. Fino alla scoperta e al ritrovamento del fucile e di altri oggetti personali all’interno del camioncino. Il sito web SS Pro Safaris , di proprietà del sig. Van Zyl, afferma che la società «ha condotto numerosi safari in tutta l’Africa meridionale», cercando di tranquillizzare i turisti e di sottolineare la propria affidabilità. L’anno scorso, un ragazzo di 13 anni era stato ucciso mentre pescava per pagare le sue tasse scolastiche. E nel mese scorso almeno quattro persone sono stati uccisi dai coccodrilli nello Zimbabwe, dopo le piogge forti hanno portato i rettili a muoversi dai fiumi.

I numeri del bracconaggio.

Ogni giorno solamente in Sudafrica quasi tre rinoceronti vengono uccisi dai bracconieri: nel 2016 ne sono stati uccisi illegalmente poco più di mille. Un calo rispetto ai due anni precedenti, ma la cifra continua a essere «inaccettabilmente alta», come ricorda l’organizzazione Traffic, che monitora i traffici illegali di piante e animali nel mondo, commentando i dati diffusi dalle autorità sudafricane. La popolazione di rinoceronti, sottolinea il Wwf, resta «pericolosamente vicina a un punto di non ritorno». Nel 2016, secondo quanto riportato dal Dipartimento per l’ambiente del Sudafrica, i bracconieri hanno ucciso 1.054 rinoceronti. «Anche se aspettiamo ancora i dati ufficiali sul bracconaggio da altri Stati che ospitano popolazioni di rinoceronti», spiega Traffic, «dati non ufficiali indicano un calo anche altrove, in particolare in Namibia dove si è passati da 94 uccisioni nel 2015 a circa 60 nel 2016». Il calo dello scorso anno in Sudafrica, rimarca il Wwf, «si deve soprattutto agli sforzi di conservazione nel Parco nazionale Kruger, una delle maggiori riserve animali africane e dimora della maggior popolazione al mondo di rinoceronte bianco». Nel 2016 si è registrato un calo del 20% delle uccisioni per mano dei bracconieri (da 826 a 662 esemplari). Ma questo declino non è abbastanza.

 

A.N.S.A., 23 aprile 2017  

Sparano alla scrittrice Kuki Gallmann, ferita. ‘Karen Blixen italiana’ trasportata a Nairobi.

Preoccupazione del mondo della cultura e dell’attivismo per le condizioni di Kuki Gallman: la scrittrice italiana, naturalizzata keniota, è stata ferita a colpi di arma da fuoco nel suo ranch a circa 300 chilometri da Nairobi, presumibilmente da un gruppo di pastori che hanno invaso la tenuta in cerca di pascoli per salvare i loro animali dalla siccità.

KUKI GALLMAN, DA SCRITTICE A PALADINA DEGLI ELEFANTI (LEGGI)

La Gallmann stava pattugliando il ranch insieme al suo autista quando è stata raggiunta da un colpo allo stomaco. L’autista l’ha portata all’aeroporto di Laikipia, dove è stata trasferita su un aereo e portata a Nairobi.

Il vice presidente dell’associazione dei contadini di Laikipia, Richard Constant, ha detto che probabilmente a sparare sono stati i pastori della comunità di Pokot che già in passato erano entrati illegalmente nella tenuta della scrittrice. Gallman, ribattezzata da molti la ‘Karen Blixen italiana’, ha scritto, tra gli altri, il romanzo ‘Sognavo l’Africa’ (1991), da cui e’ stato tratto l’omonimo film con Kim Basinger protagonista.

 

(foto P.F., archivio GrIG)


Dibattito pubblico sulla rivolta di “Su Connottu”.

$
0
0

Domenica 26 aprile 1868 a Nuoro avvenne una della più note rivolte popolari che attraversarono l’800 in concomitanza con i provvedimenti che, a partire dall’Editto delle Chiudende, cercavano di favorire la privatizzazione dei terreni a uso civico in Sardegna.

In questo caso si trattava della legge n. 2252 del 1865, che, dopo l’approvazione della realizzazione della prima rete ferroviaria sarda (legge n. 1105 del 1863), aboliva i diritti di uso civico e destinava 200 mila ettari di boschi e pascoli a uso civico alla società concessionaria per finanziare l’opera.

Appena resa nota la decisione del Comune di Nuoro di allontanare i pastori dai terreni a uso civico di Sa Serra per consentirne la vendita, una folla condotta dalla popolana Pasqua Selis Zau (1808-1882), conosciuta come Paskedda Zau, al grido di “a su connottu” (torniamo al conosciuto, cioè all’uso collettivo delle terre) travolse la Guardia civica che difendeva il Palazzo del Comune (Palazzo Martoni), entrò nell’edificio e bruciò i documenti dell’archivio che contenevano i piani di lottizzazione delle terre civiche.

Con difficoltà i Carabinieri riportarono l’ordine, arrestando 69 persone. Altri dieci notabili vennero accusati di essere i sobillatori della rivolta.  Tutti vennero rinviati a giudizio davanti alla Corte d’Appello di Cagliari.

Corte d’Appello di Cagliari – Sezione d’Accusa, elenco degli imputati al processo per i moti “de Su Connottu” (1868)

Ci si rese, però, conto del carattere popolare della rivolta, dettata dalle critiche condizioni economico-sociali della città, e il 29 novembre 1868 il re Vittorio Emanuele II concesse l’amnistia a tutti gli accusati.

Nel 1872 giunsero gli atti del notaio Cossellu di Orani che perfezionavano le vendite dei terreni di Sa Serra agli assegnatari.

Libe.r.u. di Nuoro (sezione Paskedda Zau) promuove un dibattito pubblico su storia, diritti e prospettive delle terre civiche nella ricorrenza dei moti di Su Connottu: l’appuntamento è per giovedi 26 aprile 2017, ore 18.30, presso l’ExMe (Piazza Mameli, 1 – Nuoro).

E’ una buona occasione per sapere che cosa accade sui nostri diritti di uso civico, sulle nostre terre collettive: partecipiamo!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

(foto da Cronache Nuoresi)


Fino a quando si può annullare in autotutela un provvedimento amministrativo illegittimo?

$
0
0

Castello di Fenis

La IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1830 depositata il 19 aprile 2017, ha rimesso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato l’importante questione dibattuta in giurisprudenza sulla motivazione che deve sorreggere l’annullamento in via di autotutela di provvedimenti amministrativi illegittimi giunto a considerevole distanza dall’emanazione dell’atto, in particolar modo dopo l’entrata in vigore dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i., che indica in 18 mesi il termine massimo per l’adozione del provvedimento di annullamento.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Castell’Azzara (GR), colline

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 24 aprile 2017

Consiglio di Stato Sez. IV, ord. 1830 del 19 aprile 2017
Urbanistica. Annullamento d’ufficio disposto a distanza di anni dal rilascio titolo edilizio.

Stante il contrasto giurisprudenziale in atto, al Collegio appare opportuno – anche al fine di favorire la trattazione della materia nell’ambito di un quadro più completo – deferire il presente ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., per la decisione della seguente questione: “Se, nella vigenza dell’art. 21- nonies, come introdotto dalla legge n. 15 del 2005, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuta ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivata in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – della ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato”.

*********

01830/2017 REG.PROV.COLL.

05780/2010 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 5780 del 2010, proposto da:

Vito Nocera, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola Calvani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Arturo Sforza in Roma, via Ettore Rolli, 24-C/11;

contro

Comune di Giovinazzo non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE II n. 01636/2010, resa tra le parti, concernente ordinanza di annullamento di concessione edilizia in sanatoria, di atti consequenziali, di demolizione di manufatto realizzato abusivamente.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio; uditi per le parti l’avvocato A. Sforza su delega di N. Calvani;

  1. La sentenza appellata ha respinto il ricorso proposto dai proprietari di un immobile, acquistato nel 1995, per l’annullamento dell’ordinanza n. 124 del 26 agosto 2008, con la quale: era stata annullata la concessione edilizia in sanatoria, rilasciata nell’ottobre 1999 (in riferimento a pratica edilizia del 1994 attivata dalla precedente proprietaria); erano stati annullati gli atti ad essa consequenziali; era stata ordinata la demolizione del manufatto realizzato abusivamente.

1.1.La concessione in sanatoria riguardava una unità immobiliare adibita a guardiania, facente parte di un complesso ex industriale, composto anche da un capannone e da un fabbricato uso uffici, acquistato unitamente alla guardiania. Mediante successivi titoli abilitativi intervenuti sino al 2005, che avevano riguardato anche gli altri immobili del complesso, con connessi mutamenti di destinazione d’uso, l’originario capannone industriale era stato trasformato in cinema/teatro e la ex guardiania in bar/rosticceria.

In esito al riscontro di irregolarità in un sopralluogo del 2007, nel 2008 venivano avviati procedimenti per l’annullamento dei titoli edilizi, sia per l’immobile adibito a cinema/teatro, che per quello relativo a bar/rosticceria. Il procedimento relativo al primo veniva archiviato, in ragione della ritenuta assenza di ragioni attuali di interesse pubblico in raffronto alla esigenze di certezza delle situazioni giuridiche; il secondo sfociava nel provvedimento di annullamento in autotutela oggetto del presente processo.

1.2.L’annullamento della concessione edilizia in sanatoria, e degli atti consequenziali, veniva fondato dal giudice di primo grado sulla illegittimità della sanatoria, per essere stata rilasciata in difetto di istruttoria sulla scorta di una errata prospettazione dello stato dei luoghi, con conseguente situazione permanente contra ius, rispetto alla quale l’interesse pubblico attuale al ripristino della legalità violata risultava in re ipsa.

1.3. La sentenza di primo grado, dopo aver esposto le ragioni a fondamento del ritenuto ampliamento del manufatto in pendenza della pratica di condono da parte dei nuovi proprietari e aver collegato lo stesso ad una domanda presentata dalla originaria proprietaria in modo ambiguo, previo accordo con i ricorrenti verosimilmente già in trattative per l’acquisto, così essenzialmente argomenta:

  1. a) l’affidamento riposto dai privati nella legittimità della concessione in sanatoria, invocato nel ricorso, non è degno di tutela in mancanza di buona fede, atteso che la situazione di illegalità è stata creata dai ricorrenti, ampliando la ex guardiania in epoca successiva all’acquisto;
  2. b) pertanto, l’amministrazione non aveva l’obbligo di verificare se l’interesse al ripristino della legalità violata fosse o meno prevalente sul contrapposto interesse dei privati; né il potere dell’amministrazione di annullamento dell’atto è limitato in ragione del lungo tempo trascorso dal rilascio della concessione illegittima;
  3. c) il manufatto, in zona di inedificabilità assoluta ai sensi della legge regionale n. 56 del 1980, non avrebbe potuto essere condonato o altrimenti sanato;
  4. d) nella fattispecie, l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata – che negli abusi è in re ipsae non richiede una particolare motivazione – è prevalente rispetto all’interesse dei ricorrenti al mantenimento del manufatto abusivo, venendo anche in questione valori ambientali d’importanza prevalente secondo il legislatore regionale.
  5. L’appello, oltre a criticare la sentenza nella parte in cui ritiene accertato l’ampliamento del manufatto ad opera dei nuovi proprietari in pendenza della pratica di condono, si incentra, essenzialmente, nell’invocazione della violazione dell’art. 21- noniesdella legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge n. 15 del 2005. Si deduce che, sulla base di tale disposizione, è richiesto all’amministrazione di valutare in concreto la sussistenza di un interesse pubblico alla eliminazione di un provvedimento illegittimo, diverso dal semplice ristabilimento della legalità violata, anche comparandolo con l’interesse dei destinatari e controinteressati, e, comunque, entro un termine ragionevole, in ragione delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche originate dal provvedimento annullabile in via di autotutela e dell’affidamento sulle stesse riposto dagli interessati, ingenerato dal trascorrere di un apprezzabile lasso temporale.

Mentre, il provvedimento impugnato prescinderebbe dall’apprezzamento sul se il provvedimento abbia determinato un effetto negativo sull’assetto urbanistico; prescinderebbe dalla considerazione degli interessi privati sacrificati, dal tempo trascorso (pari a nove anni), financo dal mancato rilievo della difformità nel sopralluogo compiuto dall’amministrazione nel 2002.

Inoltre, il comportamento dell’amministrazione sarebbe stato contraddittorio rispetto alla valutazione in concreto fatta relativamente agli altri immobili dello stesso complesso, dove l’archiviazione è stata disposta valutando l’affidamento sulle esistenti autorizzazioni paesaggistiche e valutando la mancanza di ragioni attuali di interesse pubblico all’annullamento.

Nelle memorie, si invoca, a fini interpretativi, la successiva formulazione dello stesso art. 21-nonies cit. (risultante dalle modifiche apportate con la legge n. 124 del 2015), che individua in 18 mesi il termine ragionevole per l’esercizio dell’autotutela.

  1. Va precisato che ratione temporisè applicabile l’art. 21-nonies“Annullamento d’ufficio”, inserito dall’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, che così dispone:

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

  1. E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.”.
  2. Nella giurisprudenza di questo Consiglio appaiono individuabili due contrapposti orientamenti. Di seguito, senza pretese di completezza, sono sinteticamente esposti.

4.1. Recentemente (CdS, sez. VI, n. 341 del 2017), in riferimento a provvedimento di annullamento in autotutela di una concessione in sanatoria, e rispetto alla stessa formulazione dell’art. 21-nonies, cit. applicabile ratione temporis, si è ritenuto che il potere di annullamento ha un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e due presupposti riferiti a concetti indeterminati, affidati all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione (la ragionevolezza del termine di adozione dell’atto; la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua rimozione unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari). Il fondamento di questi due ultimi presupposti è stato individuato nella garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari in ordine alla certezza e stabilità degli effetti giuridici, mediante la valutazione discrezionale della amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra ripristino della legalità violata e conservazione dell’assetto regolativo del provvedimento viziato. Esigenze rafforzate dalla novella del 2015, con la fissazione del termine ragionevole in quello massimo di 18 mesi, valevole come indice ermeneutico.

La conseguenza che la richiamata decisione ha tratto è stata quella di una motivazione necessaria circa l’apprezzamento degli interessi dei destinatari dell’atto in relazione alla pregnanza e preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio di un titolo illegittimo; tanto più, in presenza di un provvedimento, come quello in materia edilizia, destinato ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo, dove assume maggiore rilevanza l’interesse dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore rilevanza quello pubblico all’eliminazione di effetti che si sono prodotti in via definitiva. Con l’ulteriore corollario che l’interesse pubblico alla rimozione attuale dell’atto non può coincidere con l’esigenza del mero ripristino della legalità violata e deve essere integrato da ragioni differenti.

La decisione del 2017 si collega all’orientamento (espresso da CdS, sez. IV n. 351 del 2016, e ritenuto generalmente condiviso da altre pronunce (CdS, IV, n. 915 del 2013), secondo cui l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’articolo 21-nonies cit., consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati. Con l’ulteriore canone del termine ragionevole per il legittimo esercizio del potere di autotutela (poi fissato in 18 mesi).

4.2. Invece, appare maggioritario l’orientamento – ripreso anche nella vigenza dell’art. 21-nonies cit. (CdS, sez. IV, n. 2885 del 2016; ibidem, n. 4619 del 2012) – secondo il quale il provvedimento di annullamento di concessione edilizia illegittima è da ritenersi in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente assentita (CdS sez. IV, n. 3660 del 2016; CdS, sez. V, n. 5691 del 2012). In questo filone giurisprudenziale, per esonerare dalla comparazione tra interesse pubblico e interesse privato, spesso, assumono rilievo le indicazioni fuorvianti o false della parte istante, che avevano determinato l’illegittimità del provvedimento annullato (n. 3660 del 2016 cit.). Invece, la motivazione sulla comparazione degli interessi è richiesta quando l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all’amministrazione (n. 5691 del 2012 cit.). In particolare, in fattispecie nelle quali era applicabile il 21- nonies, cit. si è ritenuto che, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto. Si è poi ritenuto del tutto inconferente, nell’economia della causa, il richiamo dell’appellante alla disciplina contenuta negli artt. 21- octies e 21- nonies della legge n. 241 del 1990, perché proprio la falsa rappresentazione della realtà, rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte dell’amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (n. 4619 del 2012 cit.).

  1. In estrema sintesi, appare emergere un contrasto tra: – un recente orientamento che, sulla base dell’art. 21-nonies, cit., e anche in considerazione delle modifiche dello stesso, ritiene necessaria una valutazione dell’interesse pubblico in concreto in rapporto agli interessi dei destinatari (e dei controinteressati) degli originari provvedimenti, in un tempo ragionevole; con la conseguenza che il lungo decorso del tempo agisce a favore dell’affidamento ingenerato nel privato e incide anche sulla valutazione del pubblico interesse in concreto; – un orientamento, che sembra maggioritario, il quale, pur nella vigenza del citato articolo, esclude la necessità della valutazione dell’interesse pubblico in concreto, essendo esso insito nella restaurazione della legalità violata, quantomeno, tutte le volte che la illegittimità sia dipesa dalle prospettazioni non veritiere del privato.
  2. Nella specie, il giudice di primo grado, con argomentazioni pure censurate dai ricorrenti, ha ritenuto attribuibile l’ampliamento del manufatto in pendenza della pratica di condono ai nuovi proprietari ed ha collegato l’ampliamento ad una domanda presentata dalla originaria proprietaria in modo ambiguo, previo accordo con i ricorrenti; lo stesso giudice ha escluso per questi motivi ogni rilievo al tempo trascorso (9 anni) e alla mancata valutazione comparativa tra interesse pubblico in concreto e affidamento dei privati, in quanto affidamento non degno di essere tutelato. Mentre, gli appellanti assumono comunque la violazione dell’art. 21-nonies, nell’interpretazione sostenuta dalla recente decisione del 2017.
  3. Con Ordinanza collegiale n. 1337 del 2017, è stata già sottoposta all’adunanza plenaria la questione “Se l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (nella specie, trasferito mortis causa) debba essere congruamente motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio”.

7.1. Stante il contrasto giurisprudenziale in atto, al Collegio appare opportuno – anche al fine di favorire la trattazione della materia nell’ambito di un quadro più completo – deferire il presente ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., per la decisione della seguente questione:

“Se, nella vigenza dell’art. 21- nonies, come introdotto dalla legge n. 15 del 2005, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuta ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivata in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – della ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato”.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Oberdan Forlenza, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppa Carluccio Filippo Patroni Griffi
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata in Segreteria il 10 aprile 2017

 

Trieste, Castello di Miramare

(foto E.R., S.D., archivio GrIG)

 


Il tuo 5 per mille ci aiuta a difendere il tuo ambiente e la tua salute!

$
0
0

Falco della Regina (Falco eleonorae)

In questi anni, grazie anche a tutte le persone che hanno scelto di destinare il “5 per mille” al Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, abbiamo portato avanti e portiamo avanti tante battaglie a favore dell’ambiente, degli animali, della salute pubblica, contro abusi edilizi, inquinamento, bracconaggio.

Ecco che cosa abbiamo fatto nel 2016.

In questi anni abbiamo anche avviato campagne di sensibilizzazione per il rispetto della natura e di sostegno per la tutela di specie in difficoltà (visitate il blog S.O.S. Cavallini della Giara).

Ma per continuare a difendere l’ambiente, la salute pubblica, gli animali, abbiamo bisogno del vostro sostegno, un piccolo gesto che può aiutarci a fare grandi cose.

Maremma, bosco

Devolvere il tuo “5 per mille” al Gruppo d’Intervento Giuridico onlus è molto semplice:

– in tutti i modelli per la dichiarazione dei redditi trovi un riquadro, creato appositamente per destinare il 5 per mille” dell’IRPEF a fini di solidarietà sociale;

– scegli quest’area del riquadro, metti la tua firma e scrivi il codice fiscale 92064390922per sostenere il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Ricorda che la devoluzione del “5 per mille” non costa nulla ed è anonima.

Ma sostiene e difende la tua qualità della vita, se non è poco.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)



L’abuso d’ufficio in urbanistica.

$
0
0

Roma, Corte di cassazione

Importante pronuncia della Corte di cassazione in tema di abuso d’ufficio in ambito urbanistico-territoriale.

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2017, n. 7161 ha indicato la sussistenza del reato di abuso d’ufficio (art. 323 cod. pen.) non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia in violazione di legge, ma anche quando sia finalizzata alla sola concretizzazione di un interesse in contrasto con quello assegnato dalla legge, realizzando così il vizio di sviamento di potere.

In tale caso, il dolo rivela aspetti particolari e complessi, essendo generico con riferimento alla condotta, ma risulta dolo intenzionale riguardo il vantaggio (patrimoniale o danno).   Il dolo intenzionale può esser individuato quando il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio abbia agito con una finalità diversa da quella pubblica, rinvenibile anche quando essa sia una mera occasione per provocare un danno ingiusto ad altri o acquisire un vantaggio ingiusto per se o per altri.

Potrebbero sembrare solo tecnicismi, ma in realtà sono argomentazioni che possono portare a sanzionare comportamenti dannosi per la legalità e la corretta gestione dell’ambiente e del territorio.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Maracalagonis, demolizione complesso abusivo in loc. Baccu Mandara (2002)

Dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 6 marzo 2017

Cass. Sez. III n. 7161 del 15 febbraio 2017 (Ud 15 dic 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Mengoni  Imputato: Moar
Urbanistica. Abuso di ufficio per sviamento di potere.

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione. Quanto, poi, all’elemento psicologico del reato, per detta fattispecie criminosa, il dolo richiesto assume una connotazione articolata e complessa: è generico, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l’obbligo di astensione) e assume la forma del dolo intenzionale rispetto all’evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie. Il dolo intenzionale è configurabile qualora si accerti che il pubblico ufficiale o io l’incaricato di un pubblico servizio abbia agito con uno scopo diverso da quello consistente nel realizzare una finalità pubblica, il cui conseguimento deve essere escluso non soltanto nei casi nei quali questa manchi del tutto, ma anche laddove la stessa rappresenti una mera occasione della condotta illecita, posta in essere invece al preciso scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sè o per altri.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8/7/2015, la Corte di appello di Trento, in parziale riforma della pronuncia emessa il 23/1/2014 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, concedeva a Loris Moar il beneficio della sospensione condizionale della pena di quattro mesi di reclusione, allo stesso già irrogata in ordine al delitto di cui all’art. 323 cod. pen.; confermava, nel resto, la precedente decisione. In particolare, il Collegio riteneva che il Moar – nella qualità di dirigente dell’Ufficio edilizia pubblica del Comune di Pergine Valsugana – avesse violato i principi di imparzialità che debbono connotare l’attività amministrativa, gestendo in modo anomalo e con irrituale partecipazione – ossia nei termini di cui all’imputazione – una procedura introdotta da Flavio Pallaoro (legale rappresentante della “Edilcasa s.r.l.”) al fine di ottenere la concessione edilizia per la realizzazione di uno studio dentistico in zona F2 del Comune medesimo, su sollecitazione dei medici Mauro Broseghini e Piero Dell’Acqua; condotta che sarebbe consistita: 1) nella richiesta al Servizio organizzazione e qualità delle attività sanitarie della Provincia, e per esso al dirigente Luciano Pontalti, di modificare il precedente parere del 14/7/2009 in ordine alla definizione di istituzione sanitaria di base (unica struttura sanitaria consentita in zona F2, come da norme di attuazione del piano regolatore generale allora vigente), e 2), nella citazione, alla Giunta del medesimo Comune, soltanto di quest’ultimo parere, non anche dell’altro, sì da indurre lo stesso organo ad assentire alla proposta di insediamento privato ed a riconoscere la competenza del Moar alla successiva stipula della convenzione con il Pallaoro. Comportamenti illeciti che – a giudizio del Collegio – avevano poi permesso il rilascio di una concessione edilizia del tutto illegittima, poiché relativa ad una struttura medica privata non realizzabile nella zona in esame, giusta citato art. 83 delle N.T.A. del Piano regolatore; così, peraltro, (ri)confermandosi, sia pur nella limitata ottica dell’art. 323 cod. pen., l’originaria imputazione mossa a Moar e Pallaoro in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che invece il primo Giudice aveva derubricato nella fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), stessa norma, consentendone l’estinzione a mezzo di oblazione. Comportamenti, ancora, che avevano trovato il proprio fondamento nei forti legami di affari ed interessi che connotavano da tempo il Moar ed il Pallaoro, sì da far escludere che quest’ultimo (al quale il delitto di cui all’art. 323 cod. pen. non è contestato) ignorasse l’avvenuta violazione del Piano regolatore generale e, pertanto, sì da giustificare la già disposta confisca dell’immobile.

2. Propongono diffusi ricorsi per cassazione il Moar ed il Pallaoro, a mezzo dei propri difensori, deducendo i seguenti motivi, così sintetizzati:
Moar:
Erronea applicazione dell’art. 323 cod. pen.; travisamento della prova; esercizio, da parte del Giudice, di una potestà riservata ad organi amministrativi; mancata assunzione di una prova decisiva. Con riguardo alla condotta di abuso di ufficio, la Corte di appello non avrebbe  considerato che l’asserita violazione delle norme urbanistiche non sarebbe mai stata attribuibile al Moar, ma eventualmente soltanto ai dipendenti degli uffici competenti al rilascio della concessione edilizia; la violazione medesima, infatti, mai sarebbe potuta consistere nelle condotte tenute dal ricorrente (mera richiesta di un parere e prospettazione di un’interpretazione da attribuire ad un’espressione normativa), come invece contestato, ma soltanto, se del caso, nella successiva emanazione del titolo illegittimo (titolo, peraltro, neppure menzionato nel capo di imputazione). Ne deriva che assegnare alle condotte tenute dal Moar, appena richiamate, una valenza penale nell’ottica dell’art. 323 cod. pen. costituirebbe un’evidente forzatura, specie a fronte di una circostanza al riguardo singolare, quale l’assenza di ogni contestazione a carico di chi aveva rilasciato la concessione edilizia medesima. Peraltro, anche a voler ammettere che il delitto fosse stato integrato dalla violazione dell’art. 97 Cost., come affermato in sentenza, difetterebbe comunque la prova dell’efficacia causale della condotta sul successivo rilascio del titolo urbanistico, mancando al riguardo qualsiasi accertamento; si sarebbe verificata, quindi, una interruzione del nesso eziologico tra l’asserito illegittimo “interessamento” del Moar e l’asserito ingiusto vantaggio patrimoniale in capo al Pallaoro. Ancora, la Corte avrebbe ravvisato il primo indice di illiceità nella richiesta mossa al Pontalti di un nuovo parere in ordine alla realizzabilità dell’opera in zona F2, a seguito di quello negativo del 14/7/2009; ebbene, premesso che tra questo ed il precedente (integralmente riportati) non emergerebbe in realtà alcuna effettiva differenza, l’istruttoria non avrebbe comunque dimostrato che il secondo parere fosse stato la conseguenza di una forzatura da parte del Moar, come invece contestato, sottolineandosi peraltro che il presunto soggetto “forzato”, l’ing. Pontalti mai era stato escusso a sommarie informazioni. Analogamente, sempre con riguardo all’art. 323 cod. pen., difetterebbero i requisiti dell’ingiusto vantaggio patrimoniale e della violazione delle norme del Piano regolatore generale; sintetizzando le ampie considerazioni di cui al ricorso, quest’ultimo provvedimento avrebbe di certo consentito la realizzazione di una struttura quale quella in esame, attesone il carattere pubblico e la sua riferibilità – infine riconosciuta anche dalla Corte di merito – a struttura sanitaria di base (non certo esclusa dal convenzionamento indiretto con il servizio sanitario pubblico, proprio dello studio dentistico in oggetto, che consente comunque il rimborso delle spese al privato); e con la precisazione che la lettera dell’art. 83 delle N.T.A. in esame, che la sentenza afferma esser di assoluta chiarezza, tale invece non sarebbe affatto, al punto che il pubblico ministero aveva nominato un consulente di parte proprio per consentirne l’interpretazione. Con riguardo alla quale, peraltro, la Corte di appello si sarebbe indebitamente sostituita alla pubblica amministrazione, così esercitando una potestà ad essa non consentita. In sintesi, dunque, la sentenza si reggerebbe su un assunto – la teoria dell’autore mediato di cui all’art. 48 cod. pen. – non solo giuridicamente errata, ma anche sprovvista di ogni riscontro; e con la precisazione, peraltro, che al riguardo non sarebbe stato acquisito un documento decisivo quale la variante interpretativa n. 2/2014 al citato Piano regolatore, adottata il 16/9/2014, a mente della quale la concessione edilizia rilasciata ad “Edilcasa” risulterebbe perfettamente conforme alle norme del piano medesimo. Del delitto in oggetto, infine, difetterebbe anche l’elemento soggettivo, riconosciuto in sentenza soltanto in forza di un palese travisamento delle prove quanto ai rapporti tra Moar e Palla oro;
– Violazione degli artt. 521, 597, comma 3, cod. proc. pen. (censura comune a Pallaoro).La Corte di appello, riconoscendo – quanto alla violazione urbanistica – l’originaria fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, esclusa dal primo Giudice in favore di quella sub art. 44, comma 1, lett. a), avrebbe di fatto inciso sul giudicato, atteso che – ad oggi – il reato di abuso di ufficio avrebbe ad oggetto fatti diversi e più gravi di quelli già accertati (immobile del tutto illegittimo, a fonte di immobile soltanto irregolare per mancato rispetto delle norme di piano). Evidenti, peraltro, ne sarebbero gli effetti sulla confisca del bene (avvenuta ex art. 335-bis cod. pen.), non certo consentita a fronte di una violazione mossa soltanto sub lett. a) e, pertanto, a fronte di una concessione edilizia legittima; bene che, quindi, non potrebbe esser ritenuto profitto dell’asserito abuso d’ufficio. E senza tralasciare, peraltro, che la nuova qualificazione dell’illecito edilizio in quest’ultimo senso non è stata impugnata dal pubblico ministero, sì da considerarsi res iudicata.

Pallaoro:
– Le censure da nn. 1 a 4 concernono ancora l’erronea applicazione della legge penale, per esser l’opera in esame legittimamente realizzabile pur in zona F2, non ostando a ciò né la lettera né la ratio dell’art. 83 N.T.A. più volte richiamato (il ricorrente ripercorre le stesse considerazioni già sviluppate dal Moar); e con la precisazione – già indicata nell’altro gravame ma qui maggiormente sviluppata – per cui la convenzione indiretta, propria dello studio dentistico in esame, pone comunque a carico dell’ente le spese sostenute dal paziente, che – dopo aver pagato – ne riceve il rimborso, sì da rivestire il carattere pubblico richiesto dalla norma. Peraltro, fornendo l’interpretazione sopra menzionata, la Corte di appello si sarebbe sostituita all’autorità amministrativa, l’unica legittimata a verificare se quella dentistica che si intendeva svolgere nella nuova struttura potesse esser qualificata come attività sanitaria di base; inoltre, se è vero che il Giudice può affermare l’illegittimità della condotta senza necessariamente addivenire alla disapplicazione dell’atto concessorio, tuttavia ciò richiede che il vizio sia macroscopico o eclatante, tale non potendosi certo ritenere nel caso di specie (nel quale, infatti, si erano pronunciate numerose autorità amministrative). La motivazione della sentenza, inoltre, risulterebbe contraddittoria e manifestamente illogica, per un verso assumendo che l’art. 83 cit. vieterebbe strutture sanitarie private e, per altro verso, ammettendo che nella stessa zona sarebbe invece possibile realizzare «edifici per attività private» aventi di certo scopo di lucro e carattere più privatistico di un centro medico. Ancora, la sentenza avrebbe riconosciuto l’elemento soggettivo del reato in capo al Pallaoro con affermazioni illogiche ed apodittiche, specie a fronte di una questione – l’asserito contrasto tra l’opera e le norme urbanistiche – non certo di palese evidenza; e fermo restando, peraltro, che il ricorrente non è stato mai indagato per il delitto di cui all’art. 323 cod. pen., in qualità di extraneus ed in concorso con Moar, sì che la stessa possibilità di una diversa interpretazione dell’art. 83 citato non poteva esser conosciuta od ipotizzata dal Pallaoro medesimo, specie in esito ad un procedimento durato due anni e caratterizzato dall’acquisizione di pareri di numerosi organi amministrativi. Da quanto precede, dunque, deriverebbe anche la violazione di legge in punto di confisca, atteso che, riconosciuta la legittimità del titolo urbanistico, dovrebbe altresì riconoscersi l’assenza di un ingiusto vantaggio; sì che il provvedimento ablativo risulterebbe viziato, anche alla luce della totale estraneità all’eventuale reato del ricorrente, in qualità di terzo inconsapevole (ed anzi rispettoso delle procedure, tanto da cominciare ad edificare solo dopo che la Provincia si era pronunciata in seguito ad un ricorso amministrativo proposto dai consiglieri di minoranza). Ribadite inoltre le doglianze di cui sopra in tema di riqualificazione dell’illecito edilizio e di confisca dell’immobile, il ricorso assume poi che la sentenza risulterebbe gravemente viziata sul punto, valutando la (non) terzietà del Pallaoro in relazione all’abuso edilizio, ma non considerando che la misura ablativa è stata disposta ex art. 335-bis cod. pen., quindi in relazione all’abuso d’ufficio, reato mai contestato al ricorrente. La sentenza, inoltre, risulterebbe priva di motivazione quanto al rapporto tra lo stesso delitto ex art. 323 cod. pen. 5 ed il bene, pur contestato in appello, e, da ultimo, avrebbe del tutto trascurato la richiesta di restituzione dello stesso, formulata con la stessa impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Rileva la Corte che i ricorsi risultano infondati, ad eccezione delle censure concernenti la confisca dell’immobile; le relative doglianze, peraltro, ben possono esser trattate in gran parte in modo congiunto, attesa l’identità della ratio che le ispira, tale da giustificarne una reductio ad unitatem.

4. Occorre muovere da una premessa “metodologica” di primario rilievo, tale da incidere in modo radicale sull’intera decisione: l’unico reato oggetto del presente gravame deve esser considerato il delitto di abuso d’ufficio, di cui all’art. 323 cod. pen., contestato al Moar, atteso che la violazione urbanistica ad entrambi i ricorrenti ascritta ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001 – così riqualificata dal primo Giudice l’originaria imputazione di cui all’art. 44, comma 1, lett. c) – si è estinta per oblazione ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen., con pronuncia sul punto irrevocabile. Risulta definitivamente cristallizzato, dunque, che l’edificazione dell’ambulatorio di cui al capo 1) è avvenuta in forza di un titolo illegittimo, per contrarietà all’art. 83 delle Norme tecniche di attuazione di PRG allora vigente (che consentiva – in zona F2 – la sola edificazione, tra quelle sanitarie, di “strutture sanitarie di base”, tale non potendosi considerare l’erigendo studio dentistico, di carattere esclusivamente privato e connotato soltanto da criteri di convenzione indiretta, con eventuale rimborso della prestazione al paziente), sebbene ad illegittimità “relativa”, come affermato dal G.i.p., «poiché determinata dall’assenza di convenzione dello studio dentistico con la APSS», che però non poteva esser considerata «elemento essenziale del rapporto amministrativo», così da determinare la disapplicazione di una concessione pur sempre «rilasciata a seguito di una procedura almeno formalmente regolare»; quel che, pertanto, impone di relegare sul piano del mero esercizio teorico – senza alcuna ricaduta concreta – la ri-qualificazione operata in sentenza dalla Corte di appello, con recupero dell’iniziale contestazione, sul presupposto che «consentire in una zona destinata esclusivamente ad interventi pubblici un’iniziativa squisitamente privata, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, integra uno “stravolgimento” delle previsioni del PRG, in quanto il dato caratterizzante non è l’esercizio dell’attività medica, essendo possibile edificare anche edifici destinati ad attività culturali, sociali, associative, ricreative, ma la natura pubblica delle stesse».

5. Quanto precede poi comporta, all’evidenza, che non possono formare materia di questo giudizio – così come non avrebbero dovuto formarla nella precedente fase d’appello – tutte le numerose questioni – ancora riproposte con i presenti ricorsi – inerenti: a) alla legittimità o meno della concessione edilizia rilasciata il 23/3/2011 (e, in precedenza, il 3/3/2010); b) alla violazione o meno – attraverso il titolo medesimo – dell’art. 83 delle Norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale all’epoca vigente (anche alla luce della I. provinciale n. 22 del 2007), specie in rapporto al concetto di “attività sanitaria di base” dallo stesso consentita in zona F2, laddove il Pallaoro intendeva edificare; c) all’interpretazione della norma medesima; d) alla mancata assunzione di prova decisiva, quale la variante al Piano regolatore in oggetto, peraltro adottata con delibera del 16/9/2014, quindi in epoca di molto successiva ai fatti per i quali è processo; e) alla natura ed ai caratteri della convenzione sanitaria indiretta, propria dello studio dentistico in esame, ed alla sua riferibilità alla citata assistenza di base; f) alla conoscenza/conoscibilità – in capo ai ricorrenti e, in particolare, al Pallaoro – della contestata violazione regolamentare, da valutare nell’ottica del profilo soggettivo del reato sub a), di natura contravvenzionale.
Elementi, tutti questi che precedono, ormai definitivamente coperti dal giudicato.

6. Elementi, ancora, che comunque non intaccano il portato argomentativo della sentenza in esame quanto al residuo reato di abuso di ufficio, contestato al solo Moar, ravvisandosi al riguardo una motivazione del tutto adeguata, aderente alle risultanze istruttorie e sprovvista di qualsivoglia illogicità manifesta o violazione di legge; una motivazione, dunque, non censurabile in questa sede.
La Corte di merito, infatti, ha ravvisato gli estremi del reato dì cui all’art. 323 cod. pen. nello sviamento di potere posto in essere dal ricorrente – nella qualità di dirigente dell’ufficio di edilizia pubblica del Comune di Pergine Valsugana – attraverso una serie ripetuta di interventi – del tutto pacifici – ed anomale sollecitazioni su altri organi amministrativi (provinciali e comunali, come da capo di imputazione), ritenuti palesemente violativi degli obblighi di imparzialità propri della qualifica, in quanto volti soltanto all’accoglimento della pratica introdotta dal Pallaoro ed all’assenso – ottenuto, da parte della Giunta comunale, il 10/11/2009 – alla proposta di insediamento privato da quest’ultimo avanzata; pratica conclusasi, infine, con il rilascio della concessione edilizia del 22/3/2011 (e, in precedenza, del 3/3/2010), poi oggetto dell’illecito riconosciuto ad entrambi i ricorrenti nei citati termini di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001. Titolo edilizio che, però, risulta oggetto soltanto del distinto capo 1), ormai coperto dal giudicato nei termini suddetti, ed estraneo all’imputazione di cui trattasi, atteso che la medesima violazione dell’art. 323 cod. pen. è stata mossa con riferimento a condotte sì tenute «nella gestione della pratica concessoria», ma focalizzate non sul rilascio del titolo stesso, ma su un provvedimento amministrativo precedente, ed all’altro propedeutico, quale il citato assenso della Giunta – a data 4/11/2009 – all’insediamento richiesto nella zona F2 (e poi seguito da analogo parere favorevole della Commissione edilizia, in data 3/12/2009), peraltro in contrasto con l’indirizzo già espresso il 24/12/2008. Assenso che, pertanto, ha costituito necessaria premessa del titolo di cui al capo 1) e, quindi, già ex se, fonte di evidente vantaggio patrimoniale per il destinatario del provvedimento medesimo e di quelli allo stesso conseguenti.

7. In forza di queste considerazioni – adeguatamente riportate nella sentenza impugnata – deve allora evidenziarsi che non colgono nel segno i numerosi passi dei ricorsi che contestano l’art. 323 cod. pen. per l’assenza – nel corpo del capo medesimo – di ogni riferimento alla concessione edilizia, intesa quale provvedimento che avrebbe “ispirato” le condotte del ricorrente ed arrecato l’ingiusto vantaggio (id est: atteso che il titolo è stato rilasciato con procedura formalmente corretta, come ritenuto dal G.i.p. con pronuncia irrevocabile in parte qua, come si giustifica la condanna per un abuso d’ufficio finalizzato al rilascio dello stesso?): ed invero, risulta agevole osservare che la fattispecie di cui all’art. 323 cod. pen. è stata contestata al Moar – e riconosciuta dalle pronunce di merito – con riguardo ad un momento sì propedeutico al rilascio della concessione citata, ma temporalmente separato da questa e concretatosi in distinto provvedimento amministrativo, che dell’altro ha costituito la premessa pur mantenendo una propria autonomia, anche nell’ottica del delitto qui in esame.

8. Quel che la sentenza di appello ha ampiamente evidenziato, prendendo le mosse dalle condotte poste in essere dal ricorrente, in sé non contestate, e fornendo delle stesse una complessa e completa lettura – nell’ottica di cui all’imputazione – che questa Corte non può confutare, attesa la piena congruità del relativo percorso argomentativo. In particolare, la pronuncia in esame, al pari della precedente, ha sottolineato che il Moar: 1) in data 27/11/2008, aveva chiesto alla Giunta comunale di fornire indirizzi in merito alla proposta di insediamento di un nuovo centro medico sull’area per attrezzature pubbliche e di uso pubblico (precisando, peraltro, che «sebbene inizialmente sia previsto solo lo studio dentistico, potrebbero essere, in futuro, sperimentate “formule che amplino lo spettro delle funzioni da insediare nella nuova struttura rafforzandone la componente pubblica», data quindi surrettiziamente come presente in sé, nella mera essenza di studio medico dentistico). La Giunta aveva risposto di non esser competente a fornire tali pareri; 2) il 24/12/2008, su sollecitazione ancora del ricorrente, la medesima Giunta aveva riesaminato la questione, rappresentando che – ferma restando la destinazione di zona – le convenzioni tra privati e pubblica amministrazione avrebbero potuto prendere in considerazione soluzioni quali la presenza di una farmacia, di un pronto soccorso o di una guardia medica dentistica destinata alla collettività; 3) il 30/4/2009, il Moar aveva chiesto al Servizio organizzativo e qualità delle attività sanitarie della Provincia autonoma di Trento (PAT), nella persona del dirigente Luciano Pontalti, di indicare se l’attività dei dentisti interessati dal progetto (Mauro Broseghini e Piero Dell’Acqua) potesse esser definita come “sanitaria di base”, ai sensi del citato art. 83, NTA, ricevendo risposta negativa a data 14/7/2009; 4) il 20/10/2009, ancora sollecitato dal ricorrente, che stavolta si era personalmente recato presso il suo ufficio insieme ad un altro tecnico del Comune, il Pontalti aveva modificato il precedente parere, evidenziando due possibili interpretazioni della locuzione sopra indicata ex art. 83, l’una strettamente tecnica e l’altra «che accoglie il significato comunemente attribuito alla espressione “quale attività di carattere territoriale”, anche specialistica»; 5) in esito a ciò, il 4/11/2009 il Moar aveva ulteriormente sollecitato la Giunta comunale ad esprimere “indirizzi” in ordine al progetto in questione. Ciò, peraltro, evidenziando — lo stesso ricorrente — che era pervenuto il parere dell’ufficio condotto dal Pontalti «in ordine alla corretta interpretazione della definizione “sanitaria di base” che consente di considerare le attività proposte quale sanitarie di base»; parere, peraltro, non allegato alla richiesta inviata alla Giunta, privo di qualsiasi richiamo al precedente di segno contrario ed «artatamente» presentato allo stesso organo comunale «come la sola interpretazione coerente con le norme di settore», sebbene dal Pontalti presentata soltanto «come una semplice alternativa».
Elementi in fatto che costituiscono pacifico compendio istruttorio.

9. E con la precisazione che non può esser affidata a questa Corte una nuova interpretazione delle due missive a firma del dirigente provinciale, come invece invoca il ricorrente; al riguardo, infatti, occorre confermare il principio per cui il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).

10. Orbene, alla luce delle condotte appena richiamate – e, si ribadisce, pacificamente riconosciute dal ricorrente – la Corte di appello, al pari del primo Giudice, ha individuato i crismi dell’art. 323 cod. pen. e, pertanto, del delitto di abuso di ufficio sub specie di sviamento del potere, atteso che «non si è svolto un leale e trasparente dialogo tra un privato, che ha portato le sue legittime istanze al confronto con la pubblica amministrazione, ma di un pubblico ufficiale che ha perseguito l’interesse privato, agendo per aggirare i limiti posti dalle norme a salvaguardia dell’interesse generale»; interventi, sollecitazioni, «gestione anomala della procedura» che, a parere del Collegio di merito, hanno trovato il proprio fondamento in consolidate relazioni – anche d’affari – tra i due ricorrenti, tali da far sì che il pubblico ufficiale Moar piegasse indebitamente il proprio ufficio al fine di far conseguire al privato un interesse non dovuto.
Quel che costituisce espressione del delitto di cui all’art. 323 cod. pen., con riguardo al profilo oggettivo e soggettivo, come ben affermato nella stessa sentenza impugnata anche alla luce di orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati.

11. Ed invero, in ordine al primo, occorre qui ribadire il costante e condiviso indirizzo di legittimità in forza del quale, ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione (Sez. U, n. 155 del 29/9/2011, Rossi, Rv. 251498; tra le altre, Sez. 2, n. 23019 del 5/5/2015, Adamo, Rv. 264279; Sez. 6, n. 27816 del 2/4/2015, Di Febo, Rv. 263932; Sez. 6, n. 43789 del 18/10/2012, Contiguglia, Rv. 254124; Sez. 6, n. 35597 del 5/7/2011, Barbera, Rv. 250779). Quanto, poi, all’elemento psicologico del reato, occorre precisare che, per detta fattispecie criminosa, il dolo richiesto assume una connotazione articolata e complessa: è generico, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l’obbligo di astensione) e assume la forma del dolo intenzionale rispetto all’evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie. Per costante insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, poi, il dolo intenzionale è configurabile qualora si accerti che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbia agito con uno scopo diverso da quello consistente nel realizzare una finalità pubblica, il cui conseguimento deve essere escluso non soltanto nei casi nei quali questa manchi del tutto, ma anche laddove la stessa rappresenti una mera occasione della condotta illecita, posta in essere invece al preciso scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sè o per altri (cfr., ex multis, Sez. 3, sent. n. 10810 del 17/01/2014, Altieri e altri, Rv. 258893). Invero, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento “non iure” osservato dall’agente, come tale insufficiente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva “ratto” ispiratrice del comportamento, quali, ad esempio, la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno (Sez. 6, sent. n. 21192 del 25/01/2013, Barla ed altri, Rv. 255368; nello stesso sostanziale senso, v. Sez. 3, sent. n. 13735 del 26/02/2013, p.c. in proc. Fabrizio e altro, Rv. 254856).

12. Esattamente quanto la sentenza impugnata ha ravvisato a carico del Moar, il cui ufficio – alla luce delle condotte sopra richiamate, lette anche nella loro scansione cronologica – era stato impiegato per la realizzazione di un interesse privato, cui l’agente evidentemente teneva in modo particolare in ragione dei rapporti che lo legavano all’imprenditore promotore della pratica amministrativa. E senza che, quanto al profilo oggettivo, possano in questa sede esaminarsi ancora i rapporti tra Moar e Pontalti, ed in particolare il tenore – peraltro sconosciuto – dell’incontro che i due avevano avuto nell’ottobre 2009; ed invero, come ben emerge dalla pronuncia in esame e contrariamente all’assunto del ricorrente, non assume rilievo decisivo conoscere cosa i due si fossero detti nell’occasione e se, ed in quali termini, il ricorrente avesse esercitato pressioni sul dirigente provinciale, atteso che la violazione dell’art. 323 cod. pen. è stata correttamente individuata già solo per il verificarsi di quell’incontro, attesene le modalità e gli esiti, in uno con le ulteriori, pacifiche condotte con le quali il Moar aveva palesemente dato “sostegno” all’istanza proposto dal Pallaoro, sollecitandone il buon esito presso numerosi e diversi uffici amministrativi. Quel che, in sé, costituisce elemento oggettivo del reato, nei termini indicati, anche nell’ottica della violazione dell’art. 97 Cost. e del principio di buon andamento e di imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione; ed invero, costituisce pacifico approdo ermeneutico quello secondo cui in tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni (tra le altre, Sez. 2, n. 46096 del 27/10/2015, Giorgino, Rv. 265464; Sez. 6, n. 27816 del 2/4/2015, Di Febo, Rv. 263933; Sez. 6, n. 37373 del 24/6/2014, Cocuzza, Rv. 261748).

13. E senza che, ancora, ma con riguardo al profilo soggettivo, possano esser poi qui ulteriormente esaminati i rapporti tra il ricorrente e Pallaoro, come invece invocato dal ricorrente deducendo che la sentenza di appello sarebbe incorsa, sul punto, in palese travisamento della prova; trattasi, invero, di una deduzione oltremodo generica ed assertiva, peraltro proposta non attraverso l’integrale richiamo alla prova orale che, per l’appunto, si assume travisata, ma soltanto per mezzo della trascrizione di due pagine del ricorso per il riesame della misura cautelare reale all’epoca presentata ed alle dichiarazioni ivi riportate di taluni soggetti escussi a sommarie informazioni.

14. Il ricorso del Moar – al pari di quello del Pallaoro in punto di responsabilità – deve quindi esser rigettato.

15. Merita accoglimento, per contro, la doglianza concernente la confisca dell’immobile di cui trattasi, che – pur ritualmente proposta in sede di appello – non ha trovato alcuna menzione nella sentenza impugnata; al pari, peraltro, della domanda di restituzione del bene medesimo, che il Pallaoro aveva formulato in via subordinata (così come avvenuto in primo grado).
La sentenza, pertanto, deve essere annullata sul punto, con rinvio alla Corte di appello di Trento, sezione di Bolzano.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e rinvia alla sezione distaccata di Bolzano della Corte di appello di Trento.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016

 

Maracalagonis, Baccu Mandara, cartello sequestro preventivo

(foto S.D., archivio GrIG)


La fantasia edilizia abusiva in TV!

$
0
0

Pula, Agumu, abusi edilizi dentro le serre Palomba (aprile 2017)

Il complesso di 8 ville in costruzione dentro serre per ortaggi nella zona agricola vicino al litorale di Agumu, a Pula (CA), sarà oggetto di un servizio di Antonella Ferrara per “Avanti il prossimo”.

Appuntamento il prossimo 3 maggio 2017, ore 21.05, su TV2000 (canale 28 digitale terrestre, canale 140 Sky, canale 18 Tivùsat).

Nessuna autorizzazione paesaggistica, nessun permesso di costruire, totalmente abusive.  Ora sotto sequestro preventivo ad opera del Corpo forestale e di vigilanza ambientale su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.

Buona visione!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Pula, Agumu, abusi edilizi dentro le serre Palomba, cartello di sequestro (aprile 2017)

(foto S.D., archivio GrIG)


Cagliari, Sant’Efisio.

$
0
0

Cagliari, Festa di S. Efisio, i Miliziani

Cagliari e Sant’Efisio, un rapposto millenario.Solo un piccolo e semplice omaggio a una delle più sentite e belle feste di popolo e religiose della Sardegna, quella di S. Efisio, a Cagliari.

Cagliari, processione di S. Efisio

Ormai sono ben 361 anni, con ogni tempo, anche fra le macerie con la Città distrutta dai bombardamenti aerei alleati durante la II guerra mondiale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

(foto S.D., archivio GrIG)


L’abusivismo edilizio prospera, perché I Comuni e la Regione Sardegna “dormono”, per non dire altro.

$
0
0

Pula, Agumu, abusi edilizi dentro le serre Palomba, cartello di sequestro (aprile 2017)

anche su Il Manifesto Sardo (“L’abusivismo edilizio prospera perchè i Comuni e la Regione Sardegna dormono“), n. 237, 1 maggio 2017

 

La fantasia – incredibile – permea anche gli animi di calcestruzzo degli abusi edilizi.

Non solo mattoni e volumetrie, ma pennellate di estro e spregiudicatezza.

Se in a Crotone, in Calabria, per realizzare finti agriturismi e veri complessi turistico-immobiliari sul mare si stipulano compravendite di terreni con persone già decedute, a Pula, in Sardegna, si realizzano ville abusive dentro serre per ortaggi.

Pula, Agumu, abusi edilizi dentro le serre Palomba (aprile 2017)

L’ennesima operazione contro l’abusivismo edilizio in Sardegna è stata portata a termine dal Corpo forestale e di vigilanza ambientale che ha provveduto – su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari – al sequestro preventivo di otto ville di circa 120 metri quadri di superficie ognuna realizzate all’interno di serre agricole nella località costiera di Agumu, in Comune di Pula (CA).

Nessuna autorizzazione paesaggistica, nessun permesso di costruire, totalmente abusive.

Indagato l’imprenditore Simone Palomba (50 anni, di Pula), che, disinvoltamente, aveva già provveduto all’accatastamento in corso d’opera.

Pula, Agumu, villa abusiva dentro una serra (marzo 2017)

La vicenda ha conquistato la ribalta nazionale, ne ha parlato Il Corriere della Sera (“Sardegna, ville abusive vista mare nascoste sotto serre agricole”, di Claudio Del Frate, 31 marzo 2017), ne parlerà il 3 maggio 2017 “Avanti il prossimo” (ore 21.05) su TV2000, con un servizio di Antonella Ferrara.

Ovviamente al Comune di Pula, che pure aveva ricevuto i primi documenti per un improbabile condono edilizio, nessuno aveva visto, nessuno sapeva nulla.

E pare che il sonno prosegua, visto che non si ha notizia delle pur dovute ordinanze di sospensione dei lavori e di demolizione e ripristino ambientale.

Magari concentrati su come riempire di ombrellini colorati il cielo o su come far divertire i bambini senza bastonare i criceti, il controllo del territorio sembra passato proprio in secondo piano.

Pula, campeggio “Golfo dei Fenici”, loc. Agumu

Così, negli anni scorsi, sempre sulla costa di Agumu, nessuno si era accorto del campeggio-villaggio abusivo “Golfo dei Fenici”, oggetto di azioni legali del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e degli Amici della Terra e poi posto anch’esso sotto sequestro preventivo (2010).

Agumu per il Comune di Pula significa altro: occhi, anima e cuore solo per il folle progetto di porto turistico e insediamenti edilizi, a due passi dall’area archeologica punico-romana di Nora, posta in pericolo da simili progetti.

Ma non si tratta certo di un caso isolato.

Nessuna attenzione per la vigilanza sul territorio, scarsa voglia di rompere le uova nel paniere all’imprenditoria locale più o meno disinvolta, antipatia per la legalità sono troppo spesso il filo conduttore delle politiche ambientali di tanti Comuni, in Sardegna e nel resto d’Italia.

Maracalagonis, Baccu Mandara, cartello sequestro preventivo

Il quadro dell’abusivismo edilizio in Sardegna rivela, infatti, un numero consistente di casi nelle aree di maggiore interesse ambientale.

Secondo i dati dell’Agenzia del Territorio (2012), al 31 dicembre 2011 le unità immobiliari abusive in Sardegna erano 46.877, sesta regione in Italia per numero di casi (2.799) su 100.000 residenti (prima la Calabria con 4.587).

Fra gli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso sono state eseguite in sede sostitutiva (su richiesta dei Comuni ai sensi della legge regionale n. 23/1985) oltre 1.100 ordinanze di demolizione relative ad abusi edilizi non condonabili secondo quanto previsto dalle leggi nn. 47/1985, 724/1994 modificata con 662/1996, 326/2003 e successive modifiche ed integrazioni (cioè realizzati in aree tutelate con vincolo di inedificabilità assoluto) da parte del Servizio vigilanza in materia edilizia dell’Assessorato EE.LL., finanze, urbanistica della Regione autonoma della Sardegna.

Sono stati, quindi, demoliti circa mc. 300.000 di volumetrie abusive (in gran parte fra il 1986 ed il 1987, con una breve ripresa fra il dicembre 1994 ed il gennaio 1995). Ogni anno vengono emesse dai Comuni sardi almeno un migliaio di ordinanze di demolizione di abusi edilizi: quasi nessuna viene eseguita dal trasgressore.

Quartu S. Elena, demolizione abusi edilizi (1994). Ultima operazione di demolizione degli abusi edilizi effettuata dalla Regione autonoma della Sardegna

Ma Comuni e, in via sostitutiva, Regione non demoliscono nemmeno un mattone abusivo da più di vent’anni.

Senza vergogna.

In questi anni è stata solo la Magistratura a provvedere alla repressione dell’abusivismo edilizio in Sardegna. La competente Procura della Repubblica, per legge, è infatti destinataria degli obblighi di esecuzione degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale contenuti nelle sentenze penali passate in giudicato per reati ambientali e urbanistici.

Maracalagonis, demolizione complesso abusivo in loc. Baccu Mandara (2002)

Le Procure della Repubblica di Cagliari, di Lanusei, di Oristano e di Tempio Pausania, nel corso degli ultimi 15 anni, hanno portato a compimento interventi di demolizione e ripristino ambientale in esecuzione di più di 250 sentenze penali passate in giudicato.

Ancora non si vuol capire che non si fa turismo con la speculazione edilizia, soprattutto se abusiva.  L’ambiente e i beni culturali sono la nostra prima ricchezza, sarebbe ora di riconoscerlo con fatti concreti.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

scheda sull’abusivismo in Sardegna (aprile 2017)

(foto S.D., archivio GrIG)


Osservazioni al disegno di legge regionale “contenitore” sulla gestione del territorio sardo.

$
0
0

Baunei, Cala Luna

Su invito della IV Commissione permanente “Governo del territorio” del Consiglio regionale della Sardegna, l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inviato (2 maggio 2017) uno specifico atto di “osservazioni” al disegno di legge regionale n. 408 del 17 marzo 2017 (“Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985, alla legge regionale n. 45 del 1989, alla legge regionale n. 8 del 2015, alla legge regionale n. 22 del 1984, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 24 del 2016”).

Il disegno di legge regionale, d’iniziativa della Giunta Pigliaru, è una “proposta – contenitore”, dove trovano spazio, per l’ennesima volta, norme disparate, talvolta correttivi, talvolta aggravio di produzione normativa e conseguente complicazione del quadro normativo, di tutt’altro segno della proclamata volontà di semplificazione, per giunta a breve distanza temporale dalle leggi regionali n. 8/2015 e n. 24/2016 che vanno a modificare.   Inoltre, appare l’ennesimo intervento legislativo con scarsa logica e lungimiranza in materia di diritti di uso civico.

Buggerru, Cala Domestica

Ecco le “osservazioni” più rilevanti:

* si manifesta assoluta contrarietà al disposto di cui all’art. 11 del disegno di legge regionale che prevede  l’esclusione dal regime di salvaguardia integrale di cui all’art. 10 bis della legge regionale n. 45/1989 e s.m.i.: la predisposizione di parcheggi e servizi per le attività connesse alla balneazione e al turismo nautico anche entro le aree a conservazione integrale significa il loro sostanziale snaturamento, con la conseguente perdita di valori naturali e paesaggistici in palese aggiramento della vigente normativa di salvaguardia costiera e dell’interpretazione costituzionalmente corretta.   Infatti, La sentenza Corte cost. n. 189 del 20 luglio 2016, infatti, ha affermato ancora una volta che le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile”.   La disciplina del P.P.R. afferma testualmente riguardo la fascia costiera (“risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo“, art. 19 delle N.T.A. del P.P.R.) fuori dai centri abitati: “nelle aree inedificate è precluso qualsiasi intervento di trasformazione” (art.  20 delle N.T.A. del P.P.R.), mentre è consentita solo la “riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti“;

* si manifesta contrarietà alle disposizioni di cui agli articoli 16 e 17 del disegno di legge regionale, in quanto gli incrementi volumetrici costituiscono aggravi del carico urbanistico slegati da qualsiasi contemperamento di qualità ambientale o mitigazione degli effetti negativi sui contesti territoriali;

San Teodoro, Cala Girgolu, villa sul mare ampliata grazie alla legge regionale n. 4/2009

* in primo luogo, l’art. 27 del disegno di legge regionale contiene un errore materiale: il “trasferimento dei terreni” deve correttamente leggersi “trasferimento dei diritti di uso civico”.   A giudizio del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, ogni sclassificazione, rectius sdemanializzazione, dev’esser connessa al contestuale trasferimento dei relativi diritti di uso civico per mantenere il patrimonio civico della collettività locale e il connesso valore ambientale del singolo demanio civico.  In proposito è stata allegata la Proposta di legge regionale “Trasferimento dei diritti di uso civico e sdemanializzazione di aree compromesse appartenenti ai demani civici, già consegnata anche al Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru e resa disponibile gratuitamente dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per chiunque volesse utilizzarla in sede di iniziativa legislativa.

L’Associazione si augura che la Commissione consiliare tenga conto delle “osservazioni” per migliorare una proposta legislativa con poche luci e molte ombre.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Cagliari, Faro di Cala Mosca

(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)


Viewing all 3765 articles
Browse latest View live
<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>