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Un briciolo di buon senso e di sensibilità potrebbe far molto.

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Cagliari, parco pubblico "Siro Vannelli"

Cagliari, parco pubblico “Siro Vannelli” (foto Sardinia Post)

 

A Cagliari è stato inaugurato nei giorni scorsi un nuovo giardino pubblico, un parco giochi dedicato a quella splendida persona che è stata il botanico Siro Vannelli.   Bene, una nuova area di verde pubblico può solo far bene in città.

Però, avrebbe dovuto esser destinato, secondo le promesse fatte ai familiari e alle associazioni di tutela, preliminarmente ai bambini e ragazzi autistici.

E invece no.

Se il Comune di Cagliari tornasse sui suoi passi, con un pizzico di buon senso e di sensibilità, potrebbe far molto con poco.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Cagliari, parco "Siro Vannelli"

Cagliari, parco “Siro Vannelli”

 

da Sardinia Post, 31 gennaio 2016

Nessun parco giochi per i ragazzi autistici. L’occasione perduta dal comune di Cagliari.  (Giovanni Maria Bellu)

Eravamo tutti molto contenti. Come lo può essere chi vede risolto un problema che gli complica la vita. Stavamo per avere il nostro parco. Un luogo dove andare a trascorrere con i nostri figli qualche ora la domenica o il sabato mattina, qualche pomeriggio libero durante la settimana. Sì, la cosa può apparire strana. Noi viviamo a Cagliari (ma sarebbe lo stesso se vivessimo a Palermo o a Milano: è un problema nazionale) e a Cagliari ci sono tanti parchi: Monte Urpinu, Monte Claro, Terramaini. Cagliari, come ha sottolineato il sindaco Massimo Zedda inaugurando il nuovo parco della Fonsarda, è una delle città d’Italia con più spazi verdi.

Il fatto è che noi siamo genitori di ragazzi autistici.

L’esistenza dell’autismo è nota a tutti. Di cosa si tratta, molto meno. L’idea che ne hanno le persone che non ci convivono, spesso si fonda su informazioni confuse. Alcuni ritengono che i ragazzi autistici siano molto intelligenti, ma isolati dal mondo. E’ l’idea che è stata diffusa da un film, Rain Man. Che però raccontava una forma di autismo minoritaria. Ma non c’è una forma di autismo ‘maggioritaria’. C’è una moltitudine di situazioni diverse. Ci sono ragazzi autistici che si fanno male da soli, che compiono gesti autolesionistici. Altri che hanno una affettività ‘normale’, solo che non sanno parlare. Hanno un forte ritardo mentale. In altri tempi, meno ipocriti, venivano chiamati ‘scemi’. Di solito lo ‘scemo del paese’ era un autistico non diagnosticato.

L’elemento che accomuna le persone affette da autismo, è che hanno bisogno di essere accudite continuamente. Non sono autonome. Infatti, noi genitori di ragazzi autistici conviviamo con l’incubo di cosa sarà di loro quando non ci saremo più.

Nel frattempo c’è la vita quotidiana. I luoghi dove andare. I parchi, appunto.

Mio figlio Ludovico, che è un ragazzo autistico di 17 anni, per niente aggressivo, per fortuna non autolesionista, solo che non sa parlare e ha un forte ritardo mentale, ama correre. Salire sugli scivoli, giocare con le altalene. Fin quando ha avuto 14 anni abbiamo passato ore e giorni così.

Da un paio d’anni molto meno. Ludovico è diventato grande, fisicamente grande. Anche se è come un bambino piccolo. Ma gli altri bambini piccoli e ‘normali’ non lo sanno. E nemmeno i loro genitori. Quando sale sullo scivolo o sull’altalena, si crea un certo clima di apprensione. I genitori dei bambini piccoli hanno paura che quel ragazzo-bambino possa inavvertitamente fare male ai loro figli.

Da due anni non andiamo più a Monte Claro. Non andiamo più nei parchi pubblici, se non la mattina molto presto o, a volte, la sera prima che chiudano. Andiamo in macchina, fino a certi percorsi in campagna. Corriamo lì, dove non possiamo far male a nessuno. A volte non c’è il tempo per arrivare sui monti di Dolianova. Allora camminiamo per la città. O, quando va bene, ci fermiamo in certi parchetti scalcinati, troppo malmessi per i bambini ‘normali’ e i loro genitori. Ce n’è uno al Cep, un altro alla periferia di Sestu. L’altalena – sistemata su uno sterro – è quasi sempre libera. Sempre libera quando è piovuto e per salirci devi guadare una pozzanghera.

Per questo eravamo tutti contenti quando abbiamo saputo che il comune di Cagliari stava per aprire il nuovo piccolo parco della Fonsarda. Un parco che nasceva dal recupero di un’area che per anni era rimasta chiusa al pubblico. Era prima il giardino del brefotrofio, poi la pertinenza di un parcheggio per le auto dei dipendenti che lavoravano in certi uffici della Provincia.

Da tempo avevamo comunicato al sindaco Massimo Zedda e all’assessore Paolo Frau che c’era l’esigenza di un parco dove i nostri figli potessero andare. Così, quando abbiamo saputo che forse era stato trovato, siamo andati subito a vederlo. E’ successo molti mesi fa. E l’assessore Frau ci ha fatto da guida. Abbiamo dato dei suggerimenti. C’erano certe zone pericolose, certe piante con le spine, certe pozze d’acque. Bisognava recintarle. E’ stato fatto. Forse si riferisce a questo il sindaco quando oggi, nella sua pagina Facebook, scrive:  “Uno spazio che è stato progettato pensando anche alle richieste arrivate nel tempo da associazioni e genitori che convivono con l’autismo perché possa essere un giardino per tutti”. Già, il problema è che tutti i giardini sono di tutti. Nessuno è per i disabili.

Quando ieri siamo andati all’inaugurazione del parco eravamo certi che sarebbe stato detto che quel luogo era per i nostri figli. Attenzione: non esclusivamente per i nostri figli, ma preliminarmente per i nostri figli. Che, cioè, era quel luogo sempre sognato dove i nostri figli sono i cittadini e gli altri sono gli ospiti. Un luogo straordinario per noi, ordinario per le persone ‘normali’. Si trattava di dire che – in quel piccolo e unico luogo – si ribaltava l’ordinaria gerarchia della titolarità: a chiedere ‘permesso’ non dovevano essere i nostri figli. Nessuno doveva chiedere permesso. Ma chi andava in quel parco doveva sapere che era prima di tutto frequentato da strani bambini-uomini. E che chiunque poteva portare i suoi figli ‘normali’ sapendo che c’era, nel parco, questa ricchezza. Qualcosa da spiegare, da raccontare, ai bambini ‘normali’ per renderli uomini. Per ‘educarli alla diversità’. Come Siro Vannelli, il botanico a cui è stato dedicato il parco, educava alla diversità delle piante.

Il quartiere della Fonsarda è pieno di cemento. Ed è un quartiere abitato da persone anziane. Questo un po’ lo immaginavamo, ma il sindaco Massimo Zedda ce l’ha confermato perché ha tenuto a dirlo nel discorso che ha fatto per l’inaugurazione del parco. E, in effetti, alla sobria cerimonia, assistevano molte persone anziane. Contente di avere quello spazio verde sotto casa.

E il “nostro” parco? Niente. Quello deve ancora attendere. Ci siamo rimasti malissimo. Addirittura l’assessore Paolo Frau – sicuramente senza intenzione di offendere, sicuramente per errore, perché in tutta questa vicenda è stato, a parte la sua conclusione, sempre disponibile e quasi accudente  – a un certo punto ha detto che questo nuovo parco era stato realizzato in mondo da essere godibile ‘anche’ dai bambini disabili. Ma questo vale, e ci mancherebbe altro, per tutti i parchi! Non ho mai visto un cartello con su scritto: “Vietato l’accesso ai disabili”. Non c’è bisogno di alcun cartello. A seconda della disabilità, basta un gradino troppo alto, una fontana troppo bassa. O, semplicemente, basta che ci siano altri bambini troppo piccoli con i loro genitori apprensivi e disinformati.

Ci siamo rimasti malissimo. Abbiamo chiesto spiegazioni. Non più al sindaco, non più all’assessore. Che avevano avuto da noi un quadro chiarissimo della situazione e dell’esigenza e hanno evidentemente fatto una scelta. Una scelta politica. Perché sono proprio questi piccoli luoghi, in queste zone di confine tra il giusto e l’opportuno, che si rivela una certa o una cert’altra concezione del mondo. Hanno scelto, ci è stato spiegato, di introdurre ‘gradualmente’ l’idea di questa destinazione del parco. A noi pareva, invece, che fosse opportuno dirlo subito. Perché nei luoghi si creano prassi, abitudini. Dopo è molto più difficile cambiare.

Abbiamo chiesto ad altri che assistevano alla cerimonia. I più esperti e avveduti – quelli che la sanno lunga – ci hanno detto, come se fosse un’ovvietà, che fare un parco per bambini autistici sarebbe stato, in fondo, un modo di fare una specie di ghetto: un ‘parco ghetto’ per autistici. Perché, a quanto pare – quello era l’ambiente, quelle erano le persone – nemmeno a sinistra è chiara la nozione fondamentale secondo cui l’eguaglianza non è trattare tutti allo stesso modo. Lo è quando le situazioni sono uguali. Ma trattare in modo uguale situazioni diverse non è uguaglianza. E’ il suo esatto opposto. Ed è questa la ragione per cui un piccolo evento come questo ha una valenza politica.

Nessuno chiama ‘porte-ghetto’ gli accessi per i disabili. Nessuno definisce ‘protesi-ghetto’ gli auricolari per i sordi. Nessuno chiama ‘bestie-ghetto’ i cani dei ciechi. Chissà perché dovrebbe diventare ‘un ghetto’ un luogo, l’unico luogo, dove dei ragazzi autistici possono giocare senza timori.

Eravamo contenti quando siamo arrivati, eravamo dispiaciuti e delusi quando siamo andati via. Non sappiamo se torneremo in quel parco. Forse sì. Ma dovremo essere noi a spiegare questa storia. Gli anziani delle Fonsarda, probabilmente, staranno a sentirla. Anche i genitori dei bambini ‘normali’. Forse troveremo un modo di convivere. Ma l‘avremo fatto da soli. Come sempre.

 

(foto Sardinia Post, S.D., archivio GrIG)



La Compagnia di volo deve rimuovere i rottami dell’aereo precipitato.

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Pronuncia di rilevante interesse da parte del Consiglio di Stato in materia di obblighi di bonifica ambientale.

La sentenza Cons. Stato, Sez. V, 11 dicembre 2015, n. 5662 interviene nella vicenda tragica del disastro aereo avvenuto in località Conca d’Oru, in Comune di Sarroch (CA), il 14 settembre 1979. Nella caduta dell’aereo A.T.I. diretto a Cagliari morirono trentuno persone, tutti quelli a bordo del velivolo.

Poco importa il lungo tempo trascorso dai fatti, l’inerzia delle varie amministrazioni pubbliche competenti: la giurisprudenza amministrativa ha costantemente ritenuto che l’inquinamento dia luogo a una situazione di permanente danno all’ambiente, fin quando non ne siano state rimosse le cause e i livelli di qualità ambientale non siano ritornati accettabili (Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2015 n. 1109; Cons. Stato, Sez. VI, 23 giugno 2014, n. 3165; Cons. Stato, Sez. VI., 9 ottobre 2007, n. 5283).

Conseguentemente dev’essere applicata la “legge ratione temporis vigente per far cessare i perduranti effetti della condotta omissiva ai fini della bonifica (nei casi citati l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997), anche indipendentemente dal momento in cui siano avvenuti i fatti origine dell’inquinamento”.

Sarà, quindi, l’Alitalia, succeduta all’A.T.I. in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi al momento dell’incorporazione (1994), a doversi occupare della bonifica ambientale delle aree interessate dal tragico incidente aereo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cisto (Cistus)

Cisto (Cistus)

 

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 13 gennaio 2016

Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5662, del 11 dicembre 2015
Rifiuti. Legittimità ordinanza di rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati (rottami di aeromobile).

Al riguardo non pare rilevare nel caso di specie l’ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale, riguardante le condizioni in presenza delle quali possa ritenersi sussistente la responsabilità anche del proprietario del terreno – che sorge esclusivamente in relazione ad un atteggiamento doloso o colposo – con particolare riguardo al suo comportamento meramente omissivo. Nel particolare caso in esame, rileva la peculiarità della vicenda, e soprattutto dell’evento, che fa ritenere insussistente il nesso causale tra la condotta del proprietario dei terreni sul quale il velivolo è precipitato (nella specie: il Comune) e il danno. Infine va disatteso il motivo inerente la “vetustà” dei rifiuti, l’inerzia delle amministrazioni coinvolte ed il lungo tempo trascorso dai fatti, che avrebbero reso i rottami aerei res derelictae usucapite dai proprietari dei terreni. La giurisprudenza di questo Consiglio ha da sempre affermato che l’inquinamento dà luogo a una situazione di carattere permanente al pari dell’abuso edilizio, che perdura fino a che non ne siano rimosse le cause e i parametri ambientali non siano riportati entro i limiti normativamente accettabili, da tale presupposto la giurisprudenza ha fatto derivare l’applicazione della legge ratione temporis vigente per far cessare i perduranti effetti della condotta omissiva ai fini della bonifica, anche indipendentemente dal momento in cui siano avvenuti i fatti origine dell’inquinamento.

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05662/2015 REG.PROV.COLL.

03137/2015 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3137 del 2015, proposto da Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A. in amministrazione straordinaria della persona dei commissari straordinari in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;

contro

Il Comune di Sarroch nella persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Salone, con domicilio eletto presso la signora Antonia De Angelis in Roma, Via Portuense, 104;

nei confronti di

L’U.T.G. – Prefettura di Cagliari e del Ministero dell’Interno, questo ultimo rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Regione Sardegna, Salvatore Spano, Azienda Agricola dell’Ing. Vincenzo Manca di Villahermosa S.a.s.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Sardegna, Sez. I n. 198/2015, resa tra le parti, concernente l’ordine di rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti abbandonati in località Conca d’Oru;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sarroch e del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2015 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Alberto La Gloria su delega dell’avvocato Enrico Salone, Alessandro Maddalo per l’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con l’ordinanza del Comune di Sarroch del 15 luglio 2013 emanata ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 152 del 3 aprile 2006, veniva intimato alla Società Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. in amministrazione straordinaria il recupero e smaltimento dei rottami dell’aeromobile DC-9, già di proprietà della compagnia di volo Aero Trasporti Italiani (di seguito ATI) facente parte del gruppo Alitalia, precipitato in località denominata “Conca d’Oru”, nel territorio comunale di Sarroch, il giorno 14 settembre 1979.

Con il ricorso proposto davanti al Tar della Sardegna notificato il 5 agosto 2013 e depositato il successivo 9 agosto, Alitalia s.p.a. chiedeva l’annullamento della suddetta ordinanza deducendo i seguenti motivi in diritto:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 241/90;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006, eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, travisamento dei fatti e falsa rappresentazione della realtà.

Il Comune di Sarroch e la Prefettura di Cagliari si costituivano in giudizio, sostenendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Il successivo 29 ottobre 2013 la ricorrente proponeva motivi aggiunti, integrando spontaneamente il contradditorio nei confronti dei proprietari dei terreni su cui giacevano i resti dell’aereo precipitato.

Con la sentenza n. 198, pubblicata il 21 gennaio 2015, il Tar respingeva il ricorso, affermando, in linea preliminare e generale, che dovendosi considerare ormai i rottami quali rifiuti, ciò che rileva per il codice dell’ambiente è il soggetto che ha compiuto l’atto di abbandono dei rifiuti sul suolo, conseguenza incontestabile del noto incidente aereo avvenuto nella notte del 14 settembre 1979.

Tale soggetto non poteva che essere la ricorrente Alitalia s.p.a., la quale aveva incorporato nel 1994 la compagnia ATI, succedendole nei relativi rapporti attivi e passivi, dunque anche nelle connesse responsabilità in ordine allo smaltimento dei rottami dell’incidente aereo in questione.

Infatti ai titolari del diritto di proprietà dell’area su cui insistono i rottami non era e non è in alcun modo soggettivamente imputabile l’evento che ha dato luogo all’incidente aeronautico, poiché il dovere di diligenza incombente sul titolare di un fondo “non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e, per quanto riguarda la fattispecie regolata dall’art. 192, d.lgs. n. 152 del 2006, di abbandonarvi i rifiuti. La richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe, oltremodo, gli ordinari canoni della diligenza media (e del buon padre di famiglia), che è alla base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico, come nella specie, senza ulteriori specificazioni”.

Nemmeno era sostenibile, a giudizio del Tar, l’avvenuta usucapione dei beni da parte dei proprietari; i rottami dell’aereo precipitato, da lungo tempo in stato di totale abbandono, costituiscono rifiuti ai sensi dell’art. 192 del D. Lgs. n. 152 del 2006, non trovandosi su un’area interna al sedime aeroportuale che ne avrebbe impedito la qualificazione di “rifiuto”; né era conferente l’argomento dell’eccessiva onerosità dell’operazione di recupero, poiché l’art. 192 del codice dell’ambiente, su cui si fonda l’ordinanza adottata dall’amministrazione, non lascia spazio ad interpretazioni del genere, ma prevede esclusivamente la responsabilità di colui che ha immesso i rifiuti, in solido con i proprietari dell’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.

Inoltre non sussisteva la lamentata violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di passaggio evidentemente superfluo e formalistico: l’assoluta vincolatività del provvedimento ai sensi della normativa vigente – ed anche di quella previgente – e l’assenza di necessità di indagini sull’individuazione dell’autore dell’abbandono dei rifiuti rendono del tutto superfluo un passaggio procedimentale a fronte di un provvedimento dai contenuti predeterminati dalla legge e con destinatario del tutto certo nella sua identità.

Con appello in Consiglio di Stato, notificato il 3 aprile 2015, la Società Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. in amministrazione straordinaria impugnava la sentenza in questione, dolendosi in primo luogo del fatto che il Tar si fosse limitato ad individuare il soggetto che aveva realizzato l’abbandono come unico responsabile, tralasciando di esaminare che nel lungo periodo trascorso dal disastro aereo – oltre trent’anni – vi erano stati una totale trascuratezza e disinteresse da parte dei proprietari dei terreni, al pari di coloro i quali avevano tollerato la presenza sui propri fondi delle cosiddette discariche abusive; in secondo luogo, che l’incorporazione di ATI in Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. non poteva comportare anche la trasmissione di sanzioni amministrative; in terzo luogo l’illegittimità dell’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, fatto che avrebbe permesso di accertare le responsabilità da proprietari delle aree delle quali i rifiuti/rottami giacevano abbandonati e che nulla avevano fatto per avviare lo smaltimento e avevano negligentemente tollerato che l’area interessata divenisse oggetto di sorta di pellegrinaggi e anche di funzioni religiose, senza mai segnalare pericoli per la salvaguardia dell’ambiente; ciò senza ignorare il fatto che il procedimento aveva una natura sostanzialmente sanzionatoria; in quarto luogo, trattandosi di cose abbandonate da oltre vent’anni, il giudice di primo grado ha errato del non considerarle res nulliusoppure beni usucapiti dai proprietari dei terreni.

L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

Si sono costituiti in questa fase di giudizio il Comune di Sarroch ed il Ministero dell’Interno, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto, mentre non sono costituiti i proprietari di terreni intimati e la Regione Sardegna.

All’odierna udienza del 24 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

Oggetto della presente controversia è l’intimazione a carico dell’Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a., attualmente in amministrazione straordinaria, a rimuovere e smaltire i rottami del velivolo del tipo Dc9 precipitato nel territorio comunale di Sarroch, area del Monte Conca d’Oru, il 14 settembre 1979, mentre percorreva la rotta tra Alghero e Cagliari.

Tale velivolo apparteneva alla Aero Trasporti Italiani s.p.a., meglio conosciuta come A.T.I., incorporata 15 anni dopo nell’Alitalia Linee Aeree Italiane.

Con riguardo all’elemento di contestazione contenuto nel secondo motivo di appello e relativo all’assenza di responsabilità dell’Alitalia quale successore universale di A.T.I., non si può che richiamare l’art. 192 co. 4 del D. Lgs. n. 152 del 2006, secondo il quale “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”.

Con ciò si sgombra il campo dal rilievo rappresentato dall’appellante, cui hanno fatto e fanno capo i rapporti giuridici attivi e passivi della Società incorporata, rapporti che in questo caso non attengono a sanzioni amministrative, le quali sono notoriamente intrasmissibili agli eredi, ma concernono la responsabilità conseguente ad un evidente danno ambientale causato dalla Società dante causa; le sanzioni amministrative menzionate dal provvedimento amministrativo in origine impugnato concernono infatti la mancata ed attuale inesecuzione dell’ordinanza di rimozione dei rottami.

Devono poi essere ritenuti infondati i motivi primo e terzo con cui l’appellante si duole, da un lato, dell’assenza di un accertamento della responsabilità in capo ai proprietari delle aree interessate dallo spargimento dei rottami e, dall’altro, dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai fini di provocare il contraddittorio tra le parti coinvolte.

Il comma 3 dell’art. 192 del D. Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che “Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.

Al riguardo non pare rilevare nel caso di specie l’ampio dibattito giurisprudenziale (e dottrinale) riguardante le condizioni in presenza delle quali possa ritenersi sussistente la responsabilità anche del proprietario del terreno – che sorge esclusivamente in relazione ad un atteggiamento doloso o colposo – con particolare riguardo al suo comportamento meramente omissivo.

Dibattito che – quanto meno a livello extra penale – non appare ancora definitivamente assestato impingendo i temi generali della cd. causalità omissiva.

In effetti, nel particolare caso in esame, rileva la peculiarità della vicenda, e soprattutto dell’evento, che fa ritenere insussistente il nesso causale tra la condotta del proprietario dei terreni sul quale il velivolo è precipitato (nella specie: il Comune) e il danno.

Il clamore del fatto – una sciagura che ha colpito un aereo passeggeri – le modalità degli eventi – lo spargimento di rottami tipici come parti di fusoliera, di carrelli, di timoni di coda e di parti interne – l’assoluta inevitabilità dell’evento, esclude che i proprietari delle aree interessate potessero essere coinvolti nella responsabilità riguardante lo “spargimento dei rifiuti”; così come appare del tutto pleonastica la comunicazione di avvio del procedimento di rimozione onde attivare il contraddittorio tra le parti, visto che la responsabilità non poteva che risalire alla Società proprietaria dell’aeromobile.

Infine va disatteso il quarto motivo, inerente la “vetustà” dei rifiuti, l’inerzia delle amministrazioni coinvolte ed il lungo tempo trascorso dai fatti, che avrebbero reso i rottami aerei res derelictae usucapite dai proprietari dei terreni.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha da sempre affermato che l’inquinamento dà luogo a una situazione di carattere permanente al pari dell’abuso edilizio, che perdura fino a che non ne siano rimosse le cause e i parametri ambientali non siano riportati entro i limiti normativamente accettabili (Cons. Stato,VI, 5 marzo 2015 n. 1109; id., 23 giugno 2014, n. 3165; id., 9 ottobre 2007, n. 5283); da tale presupposto la giurisprudenza ha fatto derivare l’applicazione della legge ratione temporis vigente per far cessare i perduranti effetti della condotta omissiva ai fini della bonifica (nei casi citati l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997), anche indipendentemente dal momento in cui siano avvenuti i fatti origine dell’inquinamento.

Il ricorso, pertanto, va respinto.

Le incertezze giurisprudenziali sopra dette giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/12/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Sardegna, versanti boscosi

Sardegna, versanti boscosi

(foto S.D., archivio GrIG)


La Corte di cassazione chiude il cantiere Sitas a Malfatano-Tuerredda (Teulada).

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Teulada, Capo Malfatano

Teulada, Capo Malfatano

Ultima parola (per ora) sul progetto immobiliare lungo la costa di Malfatano e Tuerredda, in Comune di Teulada (CA)

La Corte di cassazione, a Sezioni unite civili, con sentenza 4 febbraio 2016, n. 2198 ha respinto il ricorso della S.I.T.A.S. s.p.a. in liquidazione per motivi inerenti la giurisdizione (art. 110 e ss. cod. proc. amm.) avverso la sentenza Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36, che aveva confermato la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427.

In soldoni, la procedura seguita per autorizzare una delle speculazioni immobiliari più pesanti sulle coste sarde degli ultimi decenni è illegittima per aver spezzettato l’unico progetto turistico-edilizio in cinque comparti per le valutazioni di impatto ambientale. Il Consiglio di Stato, che l’ha riconosciuto, non ha esorbitato dalle sue competenze giurisdizionali, come ha confermato la Corte di cassazione.

Teulada, Malfatano-Tuerredda, cantiere Sitas s.p.a.

Teulada, Malfatano-Tuerredda, cantiere Sitas s.p.a.

E’ quanto abbiamo detto e denunciato in svariati esposti, ricorsi, denunce da lunghi anni.

Inascoltati colpevolmente dal Comune di Teulada, dalla Regione autonoma della Sardegna, dal Ministero dell’ambiente, dalla Commissione europea.    Sistematicamente, perché non si doveva disturbare il manovratore delle ruspe.

A suo tempo non abbiamo avuto i quattrini necessari per impugnare gli atti di autorizzazione di quel mezzo scempio che è stato attuato.  I nostri più calorosi e fraterni complimenti a Italia Nostra che successivamente l’ha fatto.

Resta da ringraziare gli amministratori e funzionari pubblici – all’interno del Comune di Teulada, della Regione autonoma della Sardegna, del Ministero dell’ambente, della Commissione europea – per essersene pilatescamente lavati le mani.

Nel mentre, davanti al Tribunale penale di Cagliari è in corso il processo relativo alle opache procedure messe in campo per far ripartire il progetto immobiliare e la S.I.T.A.S. s.p.a. ha avviato la procedura di scoping davanti al Servizio valutazioni ambientali della Regione autonoma della Sardegna per poi far seguire, finalmente, le necessarie procedure di valutazione di impatto ambientale riguardo il comparto E1 del medesimo progetto immobiliare (ottobre 2015).

E ora?    Non finirà certo qui.

Da un lato, potrebbero esser effettuati la demolizione di quanto realizzato, ormai non più sorretto dalle necessarie autorizzazioni amministrative, e il conseguente ripristino ambientale. In questo caso, la Società immobiliare ben potrà intraprendere azioni risarcitorie nei confronti delle Amministrazioni pubbliche che con leggerezza e pervicacia hanno rilasciato le autorizzazioni illegittime.

E in caso di condanna al risarcimento del danno non si esclude un ulteriore seguito in relazione al conseguente danno erariale.

Oppure la S.I.T.A.S. può provare a riprendere le fila del progetto immobiliare.

Noi siamo dalla parte dell’ambiente, come sempre. E come sempre faremo la nostra parte.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra

 

Teulada, Tuerredda, cantiere S.I.T.A.S. s.r.l.

Teulada, Tuerredda, cantiere S.I.T.A.S. s.r.l.

 

L'Unione Sarda, 5 febbraio 2016

(foto S.D., archivio GrIG)

 

 

 

 


Regione Veneto e caccia: rivogliamo indietro la democrazia!

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campagna veneta

campagna veneta

Lunedì 8 febbraio 2016, in Consiglio Regionale del Veneto, si vota il Progetto di legge n. 107 relativo alla “rideterminazione del termine di validità del piano faunistico – venatorio regionale approvato con legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1”.

Ci risiamo! “Si propone la rideterminazione del termine di validità del Piano faunistico venatorio vigente al 9 febbraio 2017.” Un’altra proroga!

Con Legge Regionale n. 1 del 5.1.2007 (BUR n. 4 del 9.1.2007), modificata dall’ultima DGR n. 2463 del 4/08/2009, venne approvato il Piano Faunistico venatorio regionale 2007/2012, avente validità quinquennale.

Successivamente, con Legge Regionale n. 1 del 4.2.2014 la validità del Piano Faunistico venatorio regionale è stata rideterminata al 10.2.2016.[1] E adesso un ulteriore rinvio!

Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria (art. 10 co. 1 L. 157/92) e, ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo- pastorale, le province, d’accordo con la Regione, predispongono piani faunistico-venatori articolandoli per comprensori omogenei (art. 10 co. 7 L. 157/92).

I piani faunistico-venatori comprendono (art. 10 co. 8 L. 157/92): le oasi di protezione (lett. a), le zone di ripopolamento e cattura (lett. b), i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale (lett. c), i criteri della corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all’incremento della fauna selvatica (lett. g), l’identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi (lett. h), l’identificazione dei valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna (art. 9 co. 2 lett. i L.R. veneta 50/93), i programmi di miglioramento ambientale, volti a favorire la riproduzione naturale e la sosta di fauna selvatica (art. 9 co. 2 lett. l L.R. veneta 50/93), lo schema di statuto degli ambiti territoriali di caccia, l’indice di densità venatoria minima e massima per gli ambiti territoriali di caccia, i criteri per l’assegnazione del contributo ai proprietari e conduttori di fondi rustici ai fini dell’utilizzo degli stessi nella gestione programmata della caccia, di cui al comma 1 dell’art. 15 della Legge 157/92[2], ecc.

I CACCIATORI VENETI, NEL 2016, STANNO ANDANDO A CACCIA SECONDO QUANTO PREVISTO DA UN PIANO FAUNISTICO VENATORIO REGIONALE CHE REGISTRA LA SITUAZIONE DEL VENETO NEL LONTANO 2004, POICHÉ I DATI DEL PIANO FAUNISTICO VENATORIO REGIONALE 2007/2012 – PROROGATO FINO AI GIORNI NOSTRI – SONO DEL 2004!

Campagna padovana

Campagna padovana

Nel frattempo il Veneto è diventato quello che è: la groviera d’Italia, quella dell’autostrada A31 Rovigo – Piovene Rocchette, della Superstrada Pedemontana Veneta e di tutte le massacranti “grandi opere”. La Regione che detiene il primo posto in Italia (in termini di m3 per abitante e m3 per km2) per centri commerciali, ipermercati, supermercati[3], capannoni, case, ecc.

Ma se i piani faunistico-venatori hanno durata quinquennale (art. 9 co. 2 L.R. veneta 50/93), come diavolo è possibile che ci stiamo trascinando dietro un piano faunistico-venatorio del 2007 (con dati del 2004)?! E soprattutto, con quale coraggio si vuole prorogarlo ancora fino al 9 febbraio 2017?!

Ma non è finita!

Andrea Zanoni, Consigliere regionale e Vicepresidente della Commissione Ambiente, fa infatti notare un altro aspetto disastroso:

“Questa proroga avrà anche effetti negativi sui diritti dei cittadini che in Veneto detengono dei terreni agricoli e che vogliono vietarne la caccia.

La legge nazionale sulla caccia, la 157/92, all’articolo 15 comma 3 e la legge regionale sulla caccia, la 50/93, all’articolo 8 comma 7, prevedono la possibilità di vietare la caccia su domanda dei conduttori e proprietari da inoltrare alla regione.

Questo diritto viene però garantito dalle leggi solo ed esclusivamente durante una breve finestra temporale di trenta giorni, ovvero “entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio” sul bollettino ufficiale della regione Veneto, il cosiddetto BUR.

Risulta evidente che questo sacrosanto diritto dei cittadini veneti viene negato da ben 5 anni ovvero dalla scadenza del piano ripetutamente resuscitato, scadenza risalente al 2012.[4]

Il nuovo rinvio del piano faunistico-venatorio continua infatti a privare proprietari e conduttori di fondi agricoli (e sono in tanti ad attendere questa occasione), da 5 anni a questa parte, della possibilità di vietare sui propri appezzamenti l’esercizio dell’attività venatoria.

Valdagno, Contrada Bernardi, altana di caccia

Valdagno, Contrada Bernardi, altana di caccia

L’ennesimo regalo alla minoranza distruttiva venatoria, lo ricordiamo, lo 0,85 % della popolazione (42.000 cacciatori su 4.937.854 veneti).

L’ennesimo colpo di mano per cancellare gli animali e l’ambiente del Veneto dalla faccia della Terra.

L’appello è dunque rivolto a tutte le associazioni di protezione ambientale del Veneto e ai proprietari e conduttori di fondi agricoli:

scriviamo tutti al Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia luca.zaia@consiglioveneto.it, all’ Assessore all’agricoltura, caccia e pesca Giuseppe Pan assessore.pan@regione.veneto.it, alla Seconda Commissione com.com2.segreteria@consiglioveneto.it e alla Terza Commissione com.com3.segreteria@consiglioveneto.it del Consiglio regionale del Veneto, per chiedere di non prorogare il Piano faunistico venatorio vigente al 9 febbraio 2017 e, solo in subordine alla prima richiesta, di votare a favore dell’emendamento presentato dal Consigliere regionale Andrea Zanoni all’ufficio legislativo del Consiglio, che consentirebbe comunque, ai proprietari e conduttori di fondi agricoli, di richiedere il divieto di caccia nei propri terreni, anche in caso di proroga del Piano faunistico venatorio vigente.

Ente Nazionale Protezione Animali – Padova

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto

Coordinamento Protezionista Padovano

 

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Pettirosso (Erithacus rubecula)

 

INDIRIZZARIO E TESTO PER LA MAILBOMBING

Al Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia luca.zaia@consiglioveneto.it;

All’ Assessore all’agricoltura, caccia e pesca Giuseppe Pan assessore.pan@regione.veneto.it;

Alla Seconda Commissione consiliare permanente – politiche del territorio, ivi compresi le infrastrutture, i trasporti e i lavori pubblici, e dell’ambiente, ivi comprese la difesa del suolo, le cave, torbiere e miniere; politiche forestali e dell’energia com.com2.segreteria@consiglioveneto.it;

Alla Terza Commissione consiliare permanente – politiche economiche e del lavoro, ivi comprese le politiche per l’istruzione, la formazione, la ricerca, la cultura, il turismo; politiche agricole e per la montagna, ivi comprese caccia e pesca com.com3.segreteria@consiglioveneto.it;

Disapprovando la proroga del Piano faunistico venatorio che per legge ha una durata quinquennale (art. 9 co. 2 L.R. veneta 50/93) e che oggi appare totalmente anacronistico, chiedo di non prolungare il Piano faunistico venatorio vigente al 9 febbraio 2017 (Progetto di legge n. 107) e, solo in subordine alla prima richiesta, di votare a favore dell’emendamento presentato dal Consigliere regionale Andrea Zanoni, che consentirebbe comunque, ai proprietari e conduttori di fondi agricoli, di richiedere il divieto di caccia nei propri terreni ai sensi dell’art. 15 co. 3 L. 157/92 e dell’art. 8 co. 7 L.R. veneta 50/93, anche in caso di proroga del Piano faunistico venatorio vigente. Come cittadino italiano e veneto, pretendo il rispetto delle leggi statali e regionali.

firma

 

_________________________________________

[1] http://www.regione.veneto.it/web/agricoltura-e-foreste/piano-faunistico-venatorio

[2] http://www.regione.veneto.it/web/agricoltura-e-foreste/piano-faunistico-venatorio

[3] Dati Federdistribuzione apparsi sul Corriere del Veneto il 10 maggio 2015

[4] http://www.andreazanoni.it/it/news/post/piano-faunistico-venatorio-regionale-ci-risiamo-con-lennesima-proroga-a-danno-dellambiente-della-fauna-selvatica-e-dei-proprietari-di-terreni.html

 

Venezia, capanno di caccia nella Laguna Veneta

Venezia, capanno di caccia nella Laguna Veneta

(foto M.Z., S.D., archivio GrIG)


I resti del Castello catalano-aragonese di Bonaria vanno salvaguardati.

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Cagliari, Colle di Bonaria, ruderi di insediamento medievale

Cagliari, Colle di Bonaria, ruderi di insediamento medievale

Pronuncia di particolare interesse quella del T.A.R. Sardegna in ordine al vincolo storico-culturale (artt. 10 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) sui resti recentemente scoperti del Castello catalano-aragonese sul Colle di Bonaria (Cagliari).

La sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 3 febbraio 2016, n. 97 ha delineato, infatti, alcuni elementi di grande interesse riguardo la legittimità dei provvedimenti di tutela storico-culturali e la conseguente previsione di inedificabilità delle aree interessate.

Il Giudice amministrativo sardo ha respinto il ricorso dell’ing. Patrick Michael Charles Head, acquirente di un lotto non edificato fra Via Milano e Via Taranto, davanti al Santuario e Basilica di Bonaria, sull’omonimo Colle cagliaritano.  Dopo l’acquisizione del permesso di costruire (rilasciato con determinazione dirigenziale del Comune di Cagliari, n. 11238 del 3 dicembre 2013) e l’avvio dei lavori emersero i resti di “di una porzione del Castel de Bon Ayre, costituente parte dell’insediamento dell’esercito catalano-aragonese (il Castrum sul colle di Bonaria) creato nel corso del 1324, che – dopo la battaglia contro l’esercito pisano di Lucocisterna (o Lutocisterna) del 29 febbraio 1324 e la conquista di Cagliari da parte degli aragonesi (19 giugno 1324) – assunse anche la funzione di capitale del Regnum Sardiniae et Corsicae”. Si tratta  dell’insediamento catalano-aragonese realizzato per volontà del re Alfonso IV d’Aragona sul Colle e nella sottostante marina (oggi interrata e chiamata Su Siccu) a partire dal 1323 durante le lunghe operazioni di conquista di Cagliari, allora Comune di influenza pisana[1].

Cagliari, Colle di Bonaria, Torre del castello catalano-aragonese oggi torre campanaria del Santuario mariano

Cagliari, Colle di Bonaria, Torre del castello catalano-aragonese oggi torre campanaria del Santuario mariano

Il decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna n. 127 del 15 ottobre 2014 ha conseguentemente dichiarato di particolare interesse archeologico, ai sensi dell’art. 10 comma 3, lettera a, del decreto legislativo n. 42/2004 e sm.i., il “Sito pluristratificato di via Milano angolo via Taranto“.

In primo luogo, sotto il profilo del denunciato limite di competenza periodica, la Soprintendenza per i Beni Archeologici cagliaritana risulta esser abilitata alla proposizione dei provvedimenti di vincolo culturale senza alcun limite temporale, in quanto le strutture periferiche del Ministero hanno, fra gli altri, il compito di istruire e proporre al competente direttore regionale «i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell’interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 12, 13, 45, 138, comma 3, e 141-bis del Codice», trattandosi di “attribuzioni che, come appare chiaro dal tenore letterale della disposizione, non soffrono di alcuna limitazione in relazione ai periodi storici cui si riferiscono le cose di interesse archeologico, storico o artistico, oggetto di tutela”.

Il Giudice di prime cure non ha ritenuto accoglibili i rilievi mossi dal ricorrente sulla base di due perizie riguardo la relazione scientifica della Soprintendenza archeologica, il “cuore” della motivazione del provvedimento di tutela: in via generale, si evidenzia “il consolidato orientamento secondo cui il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, che implica un apprezzamento riservato all’Amministrazione competente alla tutela; e sottratto al controllo di legittimità, se non entro i limitati margini del sindacato esterno, sotto i diversi profili del difetto di motivazione, del palese travisamento dei fatti, della abnorme illogicità o della manifesta irrazionalità (ex multis, recentemente, v. Cons. St., VI, 2 marzo 2015, n. 1000; in precedenza, Cons. St., VI, 6 marzo 2009, n. 1332; VI, 24 maggio 2013, n. 2851)”.    Non solo, nel caso specifico, “gli elementi e i dati rilevati dalla Soprintendenza nella relazione allegata al provvedimento del direttore regionale impugnato col ricorso in esame e la complessiva motivazione con la quale tali elementi sono stati coerentemente esaminati e inquadrati, anche sotto il profilo scientifico, siano sufficienti a supportare la dichiarazione di interesse archeologico particolarmente importante dell’area in questione”.

Infine, nemmeno può esser sindacato l’apprezzamento discrezionale che ha portato a ritenere l’intera area come meritevole di salvaguardia – e quindi inedificabile – sebbene risulti in un contesto urbanizzato, in quanto “alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che riserva all’amministrazione la valutazione dell’estensione del vincolo, affermando che «quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l’autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell’antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano» (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522; nello stesso senso sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1906)”.

A differenza di quanto avvenuto in altre occasioni (per esempio, riguardo i ruderi di Palazzo Aymerich, vds. Cons. Stato, Sez. VI, 3 settembre 2013, n. 4399), quando la documentazione tecnico-scientifica posta alla base della motivazione del provvedimento di tutela storico-culturale è adeguatamente approfondita e consona alle finalità di legge, la discrezionalità è legittimamente esercitata per consentire l’efficace salvaguardia del bene culturale.

Dott. Stefano Deliperi

 

Cagliari, Colle di Bonaria, ruderi di insediamento medievale

Cagliari, Colle di Bonaria, ruderi di insediamento medievale

 

00097/2016 REG.PROV.COLL.

00246/2015 REG.RIC.

Stemma Repubblica Italiana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 246 del 2015, proposto da:

Patrick Michael Charles Head, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Mario Sanino e dagli avvocati Maria Elena Mameli, Carlo Celani e Lorenzo Coraggio, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Elena Mameli in Cagliari, Via Satta n. 70;

contro

il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore;

Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Cagliari e Oristano, in persona del Soprintendente pro tempore;

entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, e domiciliati per legge in Cagliari, Via Dante n. 23;

per l’annullamento

– del decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna, n. 127 del 15.10.2014, comunicato il 20.10.2014, con il quale il responsabile della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna ha dichiarato di particolare interesse archeologico, ai sensi dell’art. 10 comma 3, lettera a) del d.lgs 42/2004, il “Sito pluristratificato di via Milano angolo via Taranto”, ubicato fra la via Milano e la via Taranto nel Comune di Cagliari, nonchè per l’annullamento o la riforma dell’esito della verifica di cui all’art. 12 del D.Lgs 42/2004.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 novembre 2015 il dott. Giorgio Manca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1– Con il ricorso in esame, il sig. Patrick Michael Charles Head, proprietario di un lotto di terreno edificabile ubicato in Cagliari, fra la via Milano e la via Taranto, per il quale ha ottenuto il permesso di costruire (rilasciato con determinazione dirigenziale del Comune di Cagliari, n. 11238 del 3 dicembre 2013), chiede l’annullamento del decreto del 15 ottobre 2015, n. 127, con il quale il responsabile della Direzione Regionale Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna ha dichiarato di particolare interesse archeologico, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera a), del d.lgs. n° 42/2004, il terreno di proprietà dell’odierno ricorrente (denominato nel decreto «sito pluristratificato di via Milano angolo via Taranto»).

2- Secondo quanto risulta dalla relazione archeologica allegata al decreto impugnato, nel corso dei lavori per la realizzazione dell’edificio (iniziati previo nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza il 12 giugno 2014) sono emerse “numerose strutture murarie pertinenti a almeno 8 ambienti di uno o più edifici (per una superficie di oltre mq 200)”che hanno consentito di svelare la presenza sul sito di una porzione del Castel de Bon Ayre, costituente parte dell’insediamento dell’esercito catalano-aragonese (il Castrumsul colle di Bonaria) creato nel corso del 1324, che – dopo la battaglia con l’esercito dei Pisani del 19 giugno 1324 e la conquista di Cagliari da parte degli aragonesi – assunse anche la funzione di capitale del Regnum Sardiniae et Corsicae. Attribuzione che sarebbe testimoniata dalla presenza di elementi strutturali e caratteristiche costruttive che rimandano all’età medievale, dalla tecnica edilizia che trova confronti con strutture catalano-aragonesi del XIV secolo, nonché dall’arco cronologico dei reperti individuati nell’area, che non supera la metà del XIV secolo. Elementi che si allineano con quanto descritto dalle fonti documentali e dalle indagini archeologiche e che, secondo la Soprintendenza, impongono la dichiarazione di interesse culturale del sito archeologico in quanto:

«1. rappresenta una testimonianza materiale di civiltà, storia e cultura;

2. è una testimonianza materiale di un momento storico fondamentale nella formazione e nello sviluppo politico, religioso, economico, culturale e sociale di Cagliari e della Sardegna moderna e contemporanea;

3. rappresenta un unicumin quanto l’insediamento di Bon Ayreera attestato finora solo dai documenti, ma non aveva ancora avuto un riscontro archeologico delle sue strutture;

4. si distingue nell’ambito dell’archeologia medievale in Sardegna come l’unico esempio di edilizia privata urbana, conservata per una notevole estensione e per buona parte della sua articolazione spaziale».

3– Avverso il predetto decreto, il ricorrente deduce plurime censure che saranno compiutamente esaminate nei successivi punti.

4– Si è costituito in giudizio il Ministero dei Beni Culturali, chiedendo che il ricorso, in primo luogo, sia dichiarato inammissibile nella parte in cui tende a ottenere un sindacato sul merito delle valutazioni tecnico-discrezionali riservate all’amministrazione, censurabili in sede di legittimità solo se manifestamente illogiche, contraddittorie o basate su errori di fatto; in ogni caso, conclude per il rigetto del ricorso in quanto infondato.

5– All’udienza pubblica del 4 novembre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

6– Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’illegittimità della dichiarazione di interesse archeologico per eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e di motivazione, della illogicità e incoerenza e della violazione del principio di proporzionalità.

7– Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il difetto di competenza della Soprintendenza archeologica di Cagliari e Oristano, in quanto, ai sensi dell’art. 17, comma 3, lettera d), del D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233, e dell’art. 83 del regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363, la proposta di dichiarazione di interesse culturale spetterebbe nella fattispecie, trattandosi di bene risalente al medioevo, alla Soprintendenza per i beni architettonici, storici e artistici.

8– In ragione della peculiare natura giuridica, l’esame del ricorso deve muovere dalla valutazione di fondatezza del vizio di incompetenza, dedotto col secondo motivo. Ciò in quanto, come recentemente ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (con sentenza 27 aprile 2015, n. 5), anche dopo l’intervenuta abrogazione dell’art. 26 della legge n. 1073 del 1971, l’eventuale accoglimento del motivo con cui si deduce il difetto di competenza, anche relativa, dell’organo amministrativo che ha adottato il provvedimento impugnato, comporta la rimessione dell’intero affare all’autorità amministrativa ritenuta competente e il conseguente assorbimento degli altri motivi proposti col ricorso. Il che deriva dalla preclusione posta dall’art. 34, comma 2, del c.p.a., secondo cui «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati».

8.1. – Nel caso di specie, peraltro, la questione di competenza non è fondata.

L’art. 18, comma 1, lettera h), del D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 (avente per oggetto il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296») attribuisce, infatti, alle strutture periferiche del Ministero, di cui all’art. 16, comma 1, lettera b), del medesimo decreto [fra le quali figurano le soprintendenze ai beni archeologici], il compito di istruire e proporre al competente direttore regionale «i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell’interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 12, 13, 45, 138, comma 3, e 141-bis del Codice». Attribuzioni che, come appare chiaro dal tenore letterale della disposizione, non soffrono di alcuna limitazione in relazione ai periodi storici cui si riferiscono le cose di interesse archeologico, storico o artistico, oggetto di tutela.

9– Passando al primo, complesso, motivo di ricorso, sotto un primo profilo il ricorrente contesta l’affermazione della Soprintendenza (contenuta nella relazione archeologica allegata al decreto impugnato) secondo cui i reperti archeologici rinvenuti nell’area sarebbero attribuibili al periodo compreso tra il XIII e il XIV secolo. Sulla scorta di due consulenze di parte, depositate agli atti del presente giudizio, si sostiene, infatti, che «i frammenti ceramici rinvenuti sono tutti decontestualizzati, ossia privi di dati stratigrafici di riferimento, ascrivibili ad un ampio arco cronologico e con diverse provenienze, dall’Età basso medioevale al XIX secolo». E in particolare si osserva come il frammento di iscrizione latina funeraria, richiamato dalla Soprintendenza, è riferibile alla vasta necropoli pluristratificata (quindi di epoca precedente l’insediamento degli aragonesi) che occupa il colle di Bonaria. Altri frammenti (di lapide funeraria, di lastra marmorea senza iscrizione) sarebbero poco significativi, dal momento che sono stati rinvenuti nel materiale di riempimento dei vani e non possono, quindi, essere considerati quali materiali di costruzione delle strutture murarie. Proprio questa caratteristica dei materiali rinvenuti smentirebbe la tesi della Soprintendenza, dimostrando – ad avviso del ricorrente – che si tratta di materiali di varia provenienza, utilizzati come terra di riporto per la sistemazione del lotto avvenuta nel corso del XX secolo.

Anche il riferimento alle tecniche edilizie e costruttive delle murature rinvenute sarebbe affetto da contraddittorietà, considerato che nella relazione allegata al decreto si riferisce della presenza di tracce di una domus solariata e di una domus balatoriata, che sarebbero, invece, tipici esempi di architettura pisana. Anche i frammenti di calce e cocci non potrebbero essere riferiti a pavimenti riconducibili al XIV secolo, perché all’epoca i pavimenti avrebbero dovuto essere coperti da assi di legno che fungevano da pavimento del piano superiore; materiale di cui, tuttavia, non vi sarebbe traccia nei rinvenimenti attestati dalla Soprintendenza.

Il ricorrente, inoltre, revoca in dubbio anche l’ipotesi che l’insediamento militare aragonese si estendesse fino al terreno di cui trattasi.

In definitiva, nessuna delle prove indicate dalla Soprintendenza dimostrerebbe una connessione tra il Castrum aragonese e l’area di proprietà del ricorrente.

10- Le censure esposte non sono fondate.

In premessa, ritiene il Collegio di dover rammentare il consolidato orientamento secondo cui il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, che implica un apprezzamento riservato all’Amministrazione competente alla tutela; e sottratto al controllo di legittimità, se non entro i limitati margini del sindacato esterno, sotto i diversi profili del difetto di motivazione, del palese travisamento dei fatti, della abnorme illogicità o della manifesta irrazionalità (ex multis, recentemente, v. Cons. St., VI, 2 marzo 2015, n. 1000; in precedenza, Cons. St., VI, 6 marzo 2009, n. 1332; VI, 24 maggio 2013, n. 2851).

10.1. – Con riguardo al caso di specie, il Collegio ritiene che proprio tale sindacato esterno evidenzi come gli elementi e i dati rilevati dalla Soprintendenza nella relazione allegata al provvedimento del direttore regionale impugnato col ricorso in esame e la complessiva motivazione con la quale tali elementi sono stati coerentemente esaminati e inquadrati, anche sotto il profilo scientifico, siano sufficienti a supportare la dichiarazione di interesse archeologico particolarmente importante dell’area in questione.

10.2. – Le conclusioni appena anticipate trovano ampie conferme sia nella citata relazione, sia dall’esame degli atti del procedimento amministrativo sfociato nel provvedimento di tutela adottato dalla direzione regionale per i Beni Culturali.

In tale prospettiva, alcuni passaggi argomentativi debbono essere necessariamente valorizzati, in funzione delle analitiche censure dedotte da parte ricorrente.

10.3. – In primo luogo, per quanto concerne il rilievo secondo cui i reperti rinvenuti (sia per la scarsa consistenza che per l’assenza di precisi dati stratigrafici) non sarebbero attribuibili al XIV secolo, appaiono convincenti le ulteriori analisi sul piano storico e scientifico proposte dalla Soprintendenza (si veda, in specie, la relazione del 19 gennaio 2015, predisposta dal Soprintendente in sede di istruttoria della decisione sul ricorso amministrativo proposto dal ricorrente, che illustra in maniera più diffusa le conclusioni contenute nella relazione allegata al decreto impugnato: all. 2 della produzione documentale Avv. St.), dalle quali emerge come, per un verso, non corrisponda al vero l’asserzione relativa alla modestia dei reperti rinvenuti (cfr. pag. 11 della relazione datata 19 gennaio 2015 cit.). E in particolare, si dimostra come tale reperti siano riferibili, in larga parte (circa il 97% dei rinvenimenti), a un periodo non successivo al XIV secolo.

Anche il criterio storico-scientifico utilizzato dalla Soprintendenza per provare la datazione non appare sindacabile in sede di legittimità; e anzi, appare del tutto corretto e congruo, in particolare ove si precisa che per l’attribuzione a un determinato periodo storico dei reperti derivanti da strutture murarie (del tipo di quelle ritrovate nell’area in questione) è essenziale, in primo luogo, provare che tali reperti siano stati utilizzati per la costruzione di dette strutture; e, in secondo luogo, risalire al presumibile periodo al quale i reperti sono riferibili. Operazioni, di carattere sia logico che materiale, le quali, nel caso di specie, trovano sufficiente esplicazione nella citata relazione della Soprintendenza.

Non appare persuasivo, inoltre, il rilievo formulato dal ricorrente, circa la erroneità e contraddittorietà dell’elemento costituito dalle tecniche edilizie e costruttive utilizzate nel periodo aragonese, esaminato alla luce delle argomentazioni che hanno sorretto la decisione dell’amministrazione. Premesso che l’affermazione del ricorrente, secondo cui la tipologia delle domus (solariata e balatoriata) apparterrebbe all’architettura pisana, non è confortata da riferimenti storici e scientifici puntuali (per cui non può che ritenersi affetta da genericità e apoditticità), è dirimente sul punto l’osservazione secondo cui l’appello alle “tecniche costruttive” di una determinata epoca storica costituisce un criterio malsicuro sotto il profilo scientifico, se non è corroborato da ulteriori elementi storici concreti.

11- In conclusione, nel provvedimento impugnato sono indicate in maniera adeguata le ragioni per le quali il bene in questione presenta quell’interesse archeologico particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. a), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; e dunque merita di essere dichiarato bene culturale, ai sensi dell’art. 13 del codice, e sottoposto al relativo regime.

12- Sotto altro profilo, il ricorrente deduce anche la violazione del principio di proporzionalità, in quanto la decisione dell’amministrazione di apporre il vincolo sull’intera area di proprietà del privato non terrebbe conto del fatto che l‘area di proprietà del ricorrente è inserita in un contesto integralmente urbanizzato ed edificato.

13-Anche quest’ultima censura non può essere favorevolmente apprezzata, alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che riserva all’amministrazione la valutazione dell’estensione del vincolo, affermando che «quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l’autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell’antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all’insediamento umano» (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522; nello stesso senso sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1906).

14- Il ricorso, in conclusione, deve essere integralmente rigettato.

15- Considerata la peculiarità delle questioni esaminate, si giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2015 e, in proseguo, nella camera di consiglio del 12 gennaio 2016, con l’intervento dei magistrati:

Francesco Scano, Presidente

Tito Aru, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

Cagliari, Colle di Bonaria, cantiere edilizio bloccato

Cagliari, Colle di Bonaria, cantiere edilizio bloccato

(foto S.D., archivio GrIG)

 

 


Siamo il 78,8%, cioè il 99 %!

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Anticaccia, su la testa! Siamo il 78,8 per cento!

È quanto emerge dalla 27a edizione (2015)[1] del Rapporto Italia di Eurispes, Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali.

“Si conferma ancora, e anzi si rafforza, la sensibilità degli italiani verso il mondo degli animali” – scrivono dall’Istituto – “Il 78,8 % si dichiara contrario alla caccia, mentre soltanto un quinto della popolazione (21,2%) si trova ad essere d’accordo con tale pratica, contro il 24,4% dello scorso anno (-3,2 %). La caccia raccoglie dissensi trasversali.

E così, ecco ripresentarsi lo schema che da sempre caratterizza, nel passato come oggi, la Storia dell’uomo: ai tempi della Rivoluzione francese, nobiltà e clero, il 2% della popolazione, opprimevano il Terzo Stato, il restante 98% della popolazione francese; oggi, in un contesto di plutocrazia e strapotere della finanza neoliberista, lobby economiche e grandi imprese (forse l’1% della popolazione mondiale) scaricano i costi della crisi sul restante 99%, i “poveracci” di Natalino Balasso. Un’inquietante analogia con la lobby venatoria dei giorni nostri: i cacciatori rappresentano circa l’1% della popolazione italiana![2]. Il modello è sempre lo stesso: una minoranza distruttiva e vessatoria che riesce ad imporre la propria volontà ed una maggioranza controllata, tacita e sottomessa incapace di reagire.

Era il 3 giugno 1990 quando si votarono per la prima volta i Referendum abrogativi che avrebbero, di fatto, decretato la fine dell’attività venatoria in Italia. Andò alle urne circa il 43% degli aventi diritto, percentuale non sufficiente per raggiungere il quorum. Tuttavia, oltre il 90% dei votanti si pronunciò contro la caccia e contro l’uso di pesticidi in agricoltura.pugno_cacciatori

Con il Referendum del 15 giugno 1997, venne proposto nuovamente il quesito: “Sei favorevole ad abolire l’accesso ai fondi privati?”. Anche in questo caso, la percentuale dei votanti non raggiunse il quorum e si arenò su un 30,2%, ma si assistette di nuovo, ad un 80,9% di cittadini contrari alla violazione dei fondi privati.

Dopo 22 anni dal primo Referendum sulla caccia si sarebbe dovuto tenere, in data 3 giugno 2012, un nuovo Referendum, in Piemonte, finalizzato a regolamentare più severamente l’attività venatoria, per far fronte alle stringenti questioni delle specie in via d’estinzione e dell’incolumità dei cittadini.

Si giunse, così, al colpo di mano della maggioranza di Destra del Consiglio regionale piemontese che, con una piccola legge truffa, cancellò il Referendum e, con esso, anche la Democrazia in Piemonte.

Ma la Crisi ambientale avanza implacabile e si sono già varcati molti punti di non ritorno, anche per le specie animali il cui tasso di estinzione attuale, secondo le stime più prudenziali, è di circa cento volte più elevato del normale.[3]

vauro_caccia1Dal Veneto arriva un nuovo video, firmato dall’eco-regista militante Massimo Marco Rossi, che rilancia i grandi temi anticaccia: “Caccia in Veneto: tutto bene? Notizie ed opinioni delle associazioni ambientaliste”. https://youtu.be/SLqsBzh6NME

Un passo avanti verso la consapevolezza che siamo il 78,8 per cento, anzi, il 99 per cento.

Aboliamo la caccia prima che sia troppo tardi.

Non permettiamo alla lobby venatoria di spadroneggiare.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto

Ente Nazionale Protezione Animali – Padova

Coordinamento Protezionista Padovano

 

________________________________________

[1] http://eurispes.eu/content/sintesi-rapporto-italia-2015 pagina 77.

[2] http://www.ambienteterritorio.coldiretti.it/tematiche/Caccia-Fauna-Selvatica/Pagine/QuantisonoicacciatoriinItalia.aspx e http://www.cacciailcacciatore.org/info/opposizione.html

[3] http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/06/23/terra-clima-estinzione

 

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Pettirosso (Erithacus rubecula)

(disegno Vauro, foto S.D., archivio GrIG)


I calcinacci sono sempre rifiuti.

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Quartucciu, discarica abusiva presso S.P. n. 94 e Lago Simbirizzi

Quartucciu, discarica abusiva presso S.P. n. 94 e Lago Simbirizzi

I materiali da demolizione sono rifiuti o sottoprodotti, sotto il profilo giuridico?

Ce lo spiega Gianfranco Amendola, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, uno dei padri del diritto ambientale in Italia.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Ploaghe, Cantarisone, discarica abusiva

Ploaghe, Cantarisone, discarica abusiva

 

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 22 gennaio 2016

Rifiuti. La Cassazione: i materiali da demolizione sono sempre rifiuti, mai sottoprodotti. (Gianfranco Amendola)

Chi si occupa di rifiuti sa bene che uno dei problemi più controversi è sempre stato quello della qualifica dei materiali da demolizione (i famosi “calcinacci”): rifiuti o sottoprodotti?

Ovviamente, la questione è sostanziale; se sono rifiuti essi sono assoggettati alla normativa sui rifiuti con tutti gli obblighi (e controlli) conseguenti: autorizzazione, iscrizione all’Albo ecc. Obblighi che, invece, non sussistono se si tratta di sottoprodotti.

In proposito, è appena il caso di ricordare che, ai sensi dell’art. 184-bis, “è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto devono trarre origine da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza o oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

cartello divieto di discaricaIn proposito, la giurisprudenza della Cassazione è sempre stata abbastanza oscura, anche se con netta prevalenza per la tesi del rifiuto, derivata, tuttavia, nella maggior parte dei casi, dalla mancanza, nei singoli casi, della dimostrazione del contrario da parte degli imputati. Da un lato, infatti, si afferma che “gli inerti provenienti da demolizioni di edifici continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n.152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l’obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento”1, e dall’altro, si aggiunge che “i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, l’eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi; l’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge.”2.

Ovviamente, possono essere sottoposti ad un processo per il loro recupero, al termine del quale perdono la qualifica di rifiuti; ma, fino a quel momento, sono rifiuti a tutti gli effetti3. Anzi, si è esattamente osservato che è la stessa esigenza di trattamento ad escludere la qualifica di sottoprodotto (incentrata sul riutilizzo diretto senza trasformazioni preliminari) 4 .

A volte, qualche incertezza è derivata dalla confusione con le terre e rocce da scavo che, come è noto, sono soggette ad una speciale disciplina di favore, come risulta con chiarezza da una sentenza del 2013, secondo cui “il materiale bituminoso, come ogni prodotto proveniente da scavo o demolizione, può essere considerato sottoprodotto ai sensi dell’art.183, lett. qq), del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 soltanto in ipotesi di totale riutilizzazione nel rispetto delle condizioni fissate dal successivo art.184-bis al comma 1, anche in relazione all’art.185, in particolare lett.b) e c), della medesima legge. Tale conclusione risulta certamente corretta anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 dicembre 2010, n.205 e del relativo decreto ministeriale (vedi sentenze di questa Sezione, n.33577 del 4/7/2012, Digennaro; n.32797 del 18/3/2013, Rubegni e altri). Né, sul punto, risultano rilevanti le successive modifiche normative che hanno ad oggetto materiali diversi, e cioè le rocce e terre da scavo; queste ultime, infatti, sono costituite da materiali naturali oggetto di attività di estrazione o scavo, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione, cui segue l’attribuzione di codice CER 17.04.01 002, con conseguente classificazione come rifiuto (Sez.3. n.39586 del 28/10/2005; n.12851 del 13/2/2003; da ultimo, n.7374 del 19/1/2012, rv 252101”5

Recentemente, tuttavia -ed è questa una novità rilevante- la suprema Corte, tornando sull’argomento, ha introdotto una nuova argomentazione che risulta decisiva.

Sìnnai, Capo Boi - Cala Sirena, discarica abusiva

Sìnnai, Capo Boi – Cala Sirena, discarica abusiva

Ci riferiamo alla sentenza della terza sezione (rel. Ramacci) del 1 luglio 2015, n. 33028, Giulivi (relativa a materiale da demolizione impiegato per la formazione di un fondo stradale), che, a prima vista, sembra solo ripetitiva. Infatti, per escludere che si tratti di sottoprodotto, dapprima evidenzia l’argomento (definito “determinante”) che manca, da parte dell’imputato, la prova della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’applicazione di tale regime derogatorio.

Subito dopo ricorda che l’art. 184, comma 3, lett. b), d.lgs. 152\06 definisce come rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di demolizione e costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo,” fermo restando, attualmente (poiché, in precedenza, il riferimento riguardava l’ormai abrogato art. 186), quanto disposto dall’articolo 184-bis in materia di sottoprodotti.”. Ma, in realtà, -dice la Cassazione- il richiamo all’art. 184-bis sui sottoprodotti “è esclusivamente riferito ai materiali provenienti dalle sole attività di scavo, come emerge dal tenore letterale della disposizione e dal richiamo, prima della modifica ad opera del d.lgs. 205\2010, all’art. 186, che riguardava le terre e rocce da scavo”; e non ai materiali da demolizione. Peraltro -aggiunge- “la collocazione dei materiali derivanti da attività di demolizione nel novero dei sottoprodotti si porrebbe dunque in evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 184, che li qualifica espressamente come rifiuti”.

Ma, soprattutto -ed è questo l’argomento nuovo e più rilevante- per escludere che si tratti di sottoprodotto occorre ricordare che essi devono “trarre origine da un processo di produzione…”.

E quindi, per dirla con la suprema Corte, “la dizione dell’art. 184, comma 1, lett. a) lascia chiaramente intendere che il sottoprodotto deve «trarre origine», quindi provenire direttamente, da un «processo di produzione», dunque da un’attività chiaramente finalizzata alla realizzazione di un qualcosa ottenuto attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali (sebbene una simile descrizione non possa ritenersi esaustiva, in considerazione delle molteplici possibilità offerte dalla tecnologia)……”. Di conseguenza, ” la demolizione di un edificio, che può avvenire per motivi diversi, non è finalizzata alla produzione di alcunché, bensì all’eliminazione dell’edificio medesimo, né può assumere rilevanza, come già ritenuto da questa Corte, il fatto che la demolizione sia finalizzata alla realizzazione di un nuovo edificio, che non può essere considerato il prodotto finale della demolizione, in quanto tale attività non costituisce il prodromo di una costruzione, che può essere effettuata anche indipendentemente da precedenti demolizioni….”

La conclusione, a questo punto, è chiarissima ed obbligata. I materiali da demolizione non possono mai essere considerati sottoprodotti, a prescindere dal loro reimpiego, anche se è certo. Sono sempre dei rifiuti e tali restano sino a che, eventualmente, saranno oggetto di un processo di recupero.
_________________________________________________

1 Cass. Pen., Sez. 3, 27 giugno 2013, n. 37541, Paglialunga

2 Cass. Pen, sez. 3, c.c. 13 aprile 2011, n. 16727, Spinello; Cass. Pen. sez. 3, cc 14 maggio 2015, n. 29084, Favazzo.   Cfr. anche, a proposito dell’onere della prova, Cass. Pen., sez. 3, 2 ottobre 2014, n. 3202, Giaccari, secondo cui “in materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotti di sostanze e materiali, incombe sull’interessato, l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza, e non come mera eventualità, ad un ulteriore utilizzo”

3 Cfr. per tutte Cass. Pen. sez. 3, 15 gennaio 2008, n. 7465, Baruzzi, secondo cui “i rifiuti da demolizione di edifici presentano caratteristiche di disomogeneità in quanto sono rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo che necessitano, prima del loro nuovo uso, di preventivi trattamenti (vagliatura, cernita, separazione, rimozione di eventuali sostanze inquinanti, recupero di metalli e composti metallici, frantumazione etc.); in particolare, i residui di attività di demolizione richiedono, prima del loro reimpiego, operazioni di recupero per cui sono disciplinati dalla normativa sui rifiuti”; ID, 29 gennaio 2014, n.14952, Mozzon, secondo cui ” i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al  completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in  materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h) d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezion

4 Cfr. Cass. Pen, sez. 3, 6 ottobre 2011, n. 45023, Negrini secondo cui “già solo i procedimenti di stabilizzazione e frantumazione cui vengono sottoposti i materiali (nella specie, inerti da demolizione) si pongono in contrasto con la definizione di sottoprodotto, perché per poter parlare di sottoprodotto, il materiale da riutilizzare non deve necessitare di alcuna trasformazione preliminare.”. Si noti, tuttavia, che nel caso di specie, la Corte ha deciso sulla base della definizione precedente (rispetto alla quale richiama altre sentenze) e non fa alcun cenno alla “normale pratica industriale”

5 Cass. Pen., sez. 3, c.c. 23 ottobre 2013, n. 46243, Borrata. Per il fresato d’asfalto, cfr ID. 12 gennaio 2011, n. 16705

 

Roma, divieto "storico" di scarico immondizie

Roma, divieto “storico” di scarico immondizie

 

(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)

 

 

 

 

 


Il giorno del ricordo.

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Esodo degli Italiani da Pola (1947)

Esodo degli Italiani da Pola (1947)

In Italia dal 2005 (legge n. 92/2004) il 10 febbraio si celebra il giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata negli anni ‘40-’50 del secolo scorso.

Circa 350 mila nostri connazionali furono costretti in un clima di violenza a lasciare le loro terre.

Una pesantissima e crudele pulizia etnica.  

Anche Trieste e il suo territorio furono interessati dal pesante clima di violenza.

Al clima di violenza, purtroppo di lunga data sulle rive dell’Adriatico, in precedenza, contribuirono duramente anche gli italiani.

bambina esule giuliana

bambina esule giuliana

Al di là delle politiche dei governi, spesso esacerbate da crudo sciovinismo, chi ne ha pagato le tristi conseguenze sono state fondamentalmente le persone comuni, senza alcuna difesa.

Conoscere, ricordare, è importante e fondamentale, per comprendere ed evitare che queste vicende si ripetano.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

P.S.   è importante informarsi, leggere, confrontare le tesi e le opinioni: solo la conoscenza e l’obiettività unita alla reciproca comprensione delle ragioni delle comunità e dei singoli permette di superare odi etnici che hanno avvelenato l’Europa per troppo tempo[1].

 

 

Qui la storia di un’ostetrica italiana, Giovanna Moscardin (31 anni).

Qui la storia di una ragazza italiana di Parenzo, Mafalda Codan, sopravissuta alle carceri jugoslave.

Qui la storia di un ebreo italiano, di Fiume: Angelo Adam.

Qui la storia di tre sorelle: Fosca (17 anni), Caterina (19 anni) e Albina Radecchi (21 anni).

Qui la storia di Norma Cossetto (24 anni) e di Giovanni Radeticchio (sopravvissuto all’infoibamento).

Qui la storia di un prete di campagna (don Francesco Bonifacio, 34 anni)

 

esodo giuliano-dalmata

esodo giuliano-dalmata

 

Elena Pezzoli.

Elena Pezzoli nacque a Spalato nel 1902 ed era una docente di lettere del Liceo classico “Petrarca” di Trieste.     La professoressa, membro del C.L.N., aveva avuto un ruolo attivo nella Resistenza contro la Germania nazista.    A guerra finita, durante l’occupazione jugoslava di Trieste, il 20 maggio 1945 venne prelevata da alcuni uomini in abiti borghesi e portata a Villa Segrè, sede del Commissariato del Secondo Settore dipendente dall’Armata Popolare, le truppe jugoslave del maresciallo Tito.  La notte del 21 maggio 1945 fu torturata e se ne sentivano i lamenti, così come le cinghiate.         Lì operava la cosìddetta squadra volante, un gruppo di comunisti italiani al servizio delle truppe del maresciallo Tito.  Fra essi Nerino Gobbo, noto Comandante Gino, originario di Rovereto (TN), Commissario del popolo comandante del Secondo Settore, già gappista.

Il 9 giugno 1945 la professoressa Pezzoli semplicemente sparì e non se ne seppe più nulla.

Nel 1946 Silvana Spagnol, membro del C.L.N. di Trieste e coinquilina di Elena Pezzoli, ne denunciò la scomparsa e le relative circostanze al Comando Alleato di Trieste.      Senza alcun esito.

La squadra volante venne ritenuta responsabile di almeno diciotto infoibamenti.  Bastonava e seviziava i prigionieri, alcuni di essi erano costretti a bastonarsi reciprocamente e a metter la testa nel secchio delle feci. Alla fine vennero arrestati dagli stessi jugoslavi per l’eccessiva crudeltà.

Con sentenza del 17 gennaio 1948 la Corte d’Assise di Trieste condannò in contumacia Nerino Gobbo a 26 anni di reclusione.   Il torturatore assassino (così definito dai magistrati triestini) non fece un giorno di galera, ma diventò uomo politico nella Jugoslavia socialista, sindaco di Isola d’Istria, parlamentare e dirigente industriale. Morì nel maggio 2012.

In Italia ebbe la grazia dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, interviste agiografiche dove affermò di “cadere dalle nuvole” sulla sorte di Elena Pezzoli e una pensione I.N.P.S. di lire 532.500 per tredici mensilità annue, con circa 30 milioni di lire di arretrati.

 

esodo degli Italiani da Pola

esodo degli Italiani da Pola

 

(foto da Wikipedia, da mailing list storiche)

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[1]  una bibliografia, per chi volesse approfondire:

  • VV., “Istria nel tempo: manuale di storia regionale dell’Istria con riferimenti alla città di Fiume”, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 2006
  • Claudia Cernigoi, Operazione Foibe – Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine, 2005
  • Mafalda Codan, Diario di Mafalda Codan in: Mario Dassovich, Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana – Unione degli Istriani – Bruno Fachin Editore – Trieste 1997 ISBN 8885289541
  • Paolo De Franceschi, Foibe, prefazione di Umberto Nani, Centro Studi Adriatici, Udine 1949
  • Federico Goglio: “Foibe : inferno a nord-est”, Editore Baranzate di Bollate Cidal, 2001
  • Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Kappa VU, Udine, 2003
  • Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, LEG, Gorizia, 2010
  • Jožko Kragelj,Pobitim v spomin: žrtve komunističnega nasilja na Goriškem 1943-1948, Goriška Mohorjeva, Gorizia 2005
  • Giancarlo Marinaldi (vero nome Carlo Gonan),La morte è nelle foibe, Cappelli, Bologna 1949
  • Adamo Mastrangelo,Foibe, ciò che non si dice, Calendario del Popolo, Luglio 2008, Nicola Teti Editore
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra vol 1. Le Lettere. Firenze, 2004
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924 vol 2. Le Lettere. Firenze, 2007
  • Gianni Oliva, Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria, Mondadori, Milano 2003, ISBN 88-0448978-2
  • Frank Perme e altri,Slovenia, 1941, 1948, 1952: Anche noi siamo morti per la patria, Milano 2000.
  • Luigi Papo,L’Istria e le sue foibe, Settimo sigillo, Roma, 1999
  • Luigi Papo,L’ultima bandiera. Storia del reggimento Istria, L’Arena di Pola, Gorizia 1986
  • Eno Pascoli,Foibe: cinquant’anni di silenzio. La frontiera orientale, Aretusa, Gorizia 1993
  • Pierluigi Pallante,La tragedia delle foibe, Editori Riuniti, Roma 2006
  • Arrigo Petacco,L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Mondadori, Milano 1999
  • Raoul Pupo (aprile 1996).Le foibe giuliane 1943-45 .
  • Raoul Pupo,Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, Rizzoli, 2005. ISBN88-17-00562-2
  • Raoul Pupo, Roberto Spazzali,Foibe, Bruno Mondadori, 2003. ISBN 88-424-9015-6
  • Raoul Pupo,Trieste ’45, Laterza, Roma-Bari 2010 ISBN 978-88-420-9263-6
  • Leonardo Raito,Il PCI e la resistenza ai confini orientali d’Italia, Temi, Trento, 2006
  • Franco Razzi,Lager e foibe in Slovenia, E.VI, Vicenza 1992
  • Guido Rumici, I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano 2002
  • Giorgio Rustia,Contro operazione foibe a Trieste a cura dell’Associazione famiglie e congiunti dei deportati italiani in Jugoslavia e infoibati, 2000
  • Fulvio Salimbeni,Le foibe, un problema storico, Unione degli istriani, Trieste 1998
  • Cesare Salmaggi-Alfredo Pallavicini,La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989 ISBN 88-04-39248-7
  • Giacomo Scotti,Dossier Foibe, Manni, San Cesario (Le), 2005
  • Frediano Sessi,Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel ’43, Marsilio, Venezia 2007.
  • Giovanna Solari,Il dramma delle foibe, 1943-1945: studi, interpretazioni e tendenze, Stella, Trieste 2002
  • Roberto Spazzali,Foibe: un dibattito ancora aperto. Tesi politica e storiografica giuliana tra scontro e confronto, Lega Nazionale, Trieste 1990
  • Roberto Spazzali,Tragedia delle foibe: contributo alla verità, Grafica goriziana, Gorizia 1993
  • Giampaolo Valdevit (cur.),Foibe, il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1997

 



Il piano energetico regionale è stato adottato ed è stata avviata la procedura di VAS.

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Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

Portoscuso, zona industriale di Portovesme, centrale termoelettrica Enel

 

anche su Il Manifesto Sardo, (“Il piano energetico regionale è stato adottato ed è stata avviata la procedura di VAS“), n. 208, 1 febbraio 2016

 

La Giunta regionale presieduta da Francesco Pigliaru ha adottato[1] – con la deliberazione n. 5/1 del 28 gennaio 2016 – il piano regionale energetico ambientale e ha avviato la prevista procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.)[2], dopo un’ampia revisione della proposta precedentemente adottata (febbraio 2014) dall’allora Giunta regionale Cappellacci.[3]

Sul B.U.R.A.S. n. 5 (parti I e II) del 4 febbraio 2016 è stato pubblicato il relativo avviso, così decorrono i 60 giorni disponibili per effettuare un atto di intervento nel procedimento con “osservazioni”.

A un esame necessariamente ancora non completo, emerge un quadro contraddittorio: si parla di energia da fonte rinnovabile, ma aumentano le centrali a carbone, si parla di tutela del suolo, ma le centrali solari termodinamiche vorrebbero mangiare le aree agricole, si parla di metano, ma senza sapere bene a che e a chi servirà, si parla di risparmio energetico, ma fin d’ora la Sardegna esporta il 40% dell’energia prodotta.

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus roseus) in volo e centrale eolica

Questi sono i “numeri” dell’energia in Sardegna, come emergono dal piano energetico adottato che riprende i dati Terna s.p.a. (al 31 dicembre 2014):

* 18 impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda MW 466,7; producibilità media annua GWh 706,1)

* 43 impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda MW 2.896,8; potenza efficiente netta MW 2.634,8)

* 118 impianti eolici (potenza efficiente lorda MW 996,7)

* 30.222 impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda MW 715,9)

* energia richiesta in Sardegna: GWh 8.804,9; energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh 4.083,5 (+ 46,4%).

* consumi energia: in Sardegna sono stati utilizzati 8.377,9 GWh al 31 dicembre 2014 (- 2,63% rispetto al 31 dicembre 2013), con un picco massimo di potenza richiesta pari a 1.400 MW nel 2014 (era pari a 2.000 MW nel 2011).

* produzione energia: GWh 13.936,4 (lorda); produzione netta per il consumo: GWh 12.888,4.

* energia esportata verso la Penisola (SaPeI, capacità 1.000 MW) e verso l’Estero (SaCoI, SarCo, Corsica, capacità 300 MW + 100 MW): Gwh 4.083,5; perdita complessiva della rete: MWh 600

* fonte di produzione: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico. Fonte termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9% biomasse.

* emissioni di CO2 dipendenti da produzione di energia elettrica: 9,3 milioni di tonnellate (2014).

* prezzo medio di acquisto dell’energia nazionale (PUN): nel 2014 è stato di 52,08 €/MWh con un decremento rispetto all’anno precedente del 17,3%, confermando il trend del 2013 e raggiungendo il minimo storico dall’avvio del mercato.

Decimoputzu, cisterna presso la centrale a biomassa

Decimoputzu, cisterna presso la centrale a biomassa

Il dato fondamentale della “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo è che oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato.

Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.

La Sardegna deve diventare una piattaforma di produzione energetica per altre regioni? E’ questo l’obiettivo della Giunta Pigliaru?

Di questo non tiene conto il piano energetico regionale adottato, visto che ammette una nuova produzione di energia elettrica da fonte termoelettrica (carbone) nel polo industriale di Portovesme (Portoscuso, CI) nell’ambito degli impianti Eurallumina s.p.a.   Qui mancano autentiche scelte di politica energetica e industriale, non volendo puntare a scelte alternative come la riconversione aziendale al riutilizzo e produzione di alluminio riciclato, infinitamente meno energivore, più economiche e molto più rispettose dell’ambiente. Le uniche che potrebbero permettere il mantenimento come competitive delle industrie dell’alluminio sarde nel mercato internazionale del settore.

centrale eolica

centrale eolica

Si punta, poi, all’utilizzo del metano. Il gas naturale giungerebbe con un gasdotto sottomarino dalla Penisola (Piombino – Olbia?) oppure con un sistema di depositi costieri e mini-rigassificatori. Certezze non ve ne sono.

A questo punto, sembrano marginali le pur positive previsioni come l’incentivo all’utilizzo delle auto elettriche, soprattutto nelle aree urbane, e le smart grid, le “reti intelligenti” finalizzate alla gestione del consumo di energia da fonti rinnovabili nei vari distretti in cui sarà divisa l’Isola, tanto efficienti da renderli autosufficienti, in primo luogo grazie ai sistemi di accumulo dell’energia, vere e proprie batterie per utilizzare l’elettricità disponibile quando necessarie, poi mediante la fonte idroelettrica, sistema capace di conservare l’energia grazie alle turbine attivate dalla libera caduta dell’acqua, poi riportata a monte grazie alla stessa energia. Tuttavia, come noto, sussiste un contenzioso fra Regione autonoma della Sardegna e Gruppo Enel s.p.a. proprio sugli invasi utilizzati anche ai fini di produzione energetica.

In realtà, sembra che siano attualmente solo 12 i distretti isolani potenzialmente autosufficienti sul piano energetico, cioè circa il 25% degli oltre 24 mila chilometri quadrati della Sardegna: la sperimentazione del nuovo modello è inizialmente prevista solo a Berchidda e Benetutti, perché, a differenza degli altri, questi due centri hanno conservato la proprietà delle reti elettriche a bassa e media tensione. In seguito, tutto dipenderà dai gestori e dai proprietari delle reti elettriche, vale a dire Terna ed Enel Distribuzione da una parte e Cassa Depositi e prestiti e altri investitori istituzionali, cinesi compresi dall’altra. Tutto, quindi, appare abbastanza aleatorio.

Per la realizzazione del piano energetico regionale sono disponibili circa 300 milioni di euro (50% fondi comunitari + 50% Fondo statale Solidarietà e Coesione). I maggiori benefici ambientali si sostanzierebbero nel 50% di emissioni di CO2 e gas che alterano il clima in meno, mentre i benefici finanziari sarebbero il 50% dei costi della bolletta in meno, perché la Regione ritiene di poter abbattere gli oneri di sistema.

pannello fotovoltaico

pannello fotovoltaico

Ora è iniziata la procedura di V.A.S. e sarà fondamentale intervenire e far sentire la voce dei cittadini per emendare e migliorare un piano a oggi contraddittorio e poco efficace.   Noi sicuramente lo faremo.

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] Delibera del 28 gennaio 2016, n. 5/1 [file .pdf]
Piano Energetico Ambientale Regionale della Sardegna. “Verso un’economia condivisa dell’Energia”. Adozione della proposta tecnica e avvio della procedura di valutazione ambientale strategica. 

[2] PEARS_Copertina e indice [file .pdf]
PEARS_Documento completo [file .pdf]
PEARS_Rapporto Ambientale [file .pdf]
PEARS_Sintesi non tecnica [file .pdf]
PEARS_Relazione Geotermia [file .pdf]
PEARS_Vinca [file .pdf]

[3] Delibera del 5 febbraio 2014, n. 4/3 [file .pdf]
Piano energetico ambientale regionale. Adozione e avvio della fase di consultazione. 

 

Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)


Abbattete gli alberi monumentali perché danno “fastidio” al ceduo!

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Seui, Foresta demaniale di Montarbu, falesie

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, falesie

Anche la Foresta demaniale dei Tonneri è sotto la minaccia di devastanti tagli boschivi rasi, fin sulle sponde del Fiume Flumendosa, lecci monumentali inclusi.

Un piano forestale inaccettabile, quello di Montarbu.

La Foresta demaniale di Montarbu è uno dei compendi naturalistici più belli e preziosi della Sardegna. Posizionata a cavallo tra i versanti sud-orientali del Gennargentu e il comparto ogliastrino, è inclusa nel SIC-ZPS Monti del Gennargentu e racchiude al suo interno una sequenza di paesaggi tra i più spettacolari dell’Isola: leccete ad alto fusto con numerosi esemplari monumentali, boschi di carpino nero con frequente presenza di agrifogli e tassi, che si stendono tra doline, altipiani e falesie. Dalla vetta più alta, il Pizzo Margiani Pubusa (1324 mt.), si gode un’inarrivabile vista, che spazia dalla sottostante sinuosa valle del Flumendosa ai versanti spogli del Gennargentu, su fino alle creste aguzze di Punta La Marmora. A nord-est svetta il monumento naturale di Perda Liana a rendere quest’angolo di Sardegna un autentico simbolo della bellezza selvaggia della Sardegna interna.

E allora non può che lasciare davvero atterriti la lettura di un Piano Forestale Particolareggiato – quello redatto per conto dell’Ente Foreste della Sardegna (E.F.S.) per il compendio in questione – che vorrebbe trasformare ben 175 ettari (200 campi di calcio) di questo paradiso in una “fabbrica” di legna su cui applicare la forma di governo più speculativa: il taglio raso, ossia l’abbattimento di tutti gli alberi tranne due o tre ogni cento. E qualora fossero d’ostacolo all’esbosco intensivo, il piano prevede che anche i lecci monumentali potranno essere eliminati (pag. 216 della relazione)[1].

Soprattuto lascia sconcertati la previsione di estendere i deleteri tagli rasi persino nei recessi più selvaggi del compendio. Ci si riferisce ai ripidi versanti che dalle falesie dei Tonneri digradano fino alle spettacolari anse del Flumendosa poste 500 mt. più in basso. Uno scrigno di natura tra i più belli della Sardegna e dell’intero Mediterraneo.

Risulta davvero incomprensibile come, per giustificare un simile intervento, si possa affermare, tra le altre cose, che il taglio raso farà del bene al paesaggio e all’ecosistema, perché, così si afferma nel piano, romperebbe la monotonia dell’alto fusto di leccio.

In realtà “nella zona più settentrionale del territorio che scende verso il Flumendosa rimangono soltanto relitti di un soprassuolo boschivo, mentre prevalgono gli arbusti e le specie tipiche della macchia mediterranea; la parte più bassa, presso il fiume, è occupata da vegetazione riparia“. Relitti dell’immensa foresta che fu, altro che monotonia da “spezzare”.

Il virgolettato non è nostro ma è tratto dalla scheda descrittiva della Foresta di Montarbu redatto da quello stesso Ente Foreste che ora vorrebbe approvare un piano che prevede il taglio raso di quei relitti di soprassuolo boschivo! E lo stesso piano forestale classifica come “di rilevante interesse naturalistico” le formazioni a monte della strada, contigue a quelle che si vorrebbero tagliare a zero!

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, comprese

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, comprese

 

ansa boscata del Fiume Flumendosa destinata al taglio

ansa boscata del Fiume Flumendosa destinata al taglio

É evidente che le cose non tornano e queste contraddizioni confermano i seri dubbi sulle modalità con cui l’E.F.S. tenta di convertire al ceduo non sono la foresta ma anche la pubblica opinione, dopo 40 anni di attività volta a far tornare all’alto fusto le foreste demaniali sarde.

Alcuni numeri tratti dal piano forestale.

Come detto, la ceduazione semplice è prevista su 175 ettari, di cui 44 ettari nei primi 10 anni.

La tabella sotto dà la misura dell’intensità dei tagli.

taglio_pilota

É relativa a un taglio pilota e ci dice che su 3.394 piante presenti prima del taglio ne rimangono solo 118, con il taglio di tutti i lecci aventi un diametro superiore ai 25 cm (ossia di tutto l’alto fusto). Dei 240 metri cubi di materiale legnoso pre-taglio ne vengono prelevati 230.

In pratica, l’area sottoposta al taglio viene denudata, come scritto a chiare lettere nel piano medesimo: “Nell’area è stato simulato un taglio raso su un ceduo maturo di età compresa fra 40 e 50 anni con rilascio di matricine ovvero un tipo d’intervento che si ritiene debba trovare un’ampia applicazione nell’ambito dei cedui di leccio. L’intervento, eseguito su una superficie dimostrativa di 1020 m² prevede il taglio di quasi tutto il soprassuolo per un totale di volume asportato di 230 m³ per ettaro“.

Rapportando questi numeri all’intera superficie che si vorrebbe destinare al taglio raso, si raggiungono questi numeri: piante destinate al taglio: 573 mila; piante risparmiate dal taglio: 21 mila.

Appare poi quanto meno singolare che nel piano relativo a Montarbu, si affermi – a sostegno dei tagli rasi sulle formazioni ad alto fusto – che “la facoltà rigenerativa [del leccio] si mantiene elevata sino all’età di 80 anni, anche con alberi di notevoli dimensioni” (pag. 214) , mentre per i piani forestali di Is Cannoneris e Sette Fratelli è scritto tutt’altro: “l’elevato invecchiamento sconsiglia la ceduazione per motivazioni di carattere biologico (possibile scarso ricaccio, scarsa densità delle ceppaie)” (e si parla di una classe d’età inferiore, quella dei 60-70 anni).

Muflone (Ovis orientalis musimon)

Muflone (Ovis orientalis musimon)

Ma, soprattutto, è lo stesso piano ad “ammettere” che per coniugare la produzione legnosa con le “finalità di conservazione e miglioramento della biodiversità e del paesaggio” (proprie dell’Ente Foreste) sono indicate altre forme di governo della foresta, segnatamente quello a “fustaia”. Nel capitolo dedicato a quella compresa si legge: “La compresa delle fustaie di leccio si estende su una superficie complessiva di 54,1 ettari, corrispondenti a circa il 2% del totale del complesso forestale di Montarbu. Il fine istitutivo principale della compresa è la produzione legnosa che, seppur prevalente in termini economici e tale da condizionare la gestione selvicolturale, è coniugata con le finalità di conservazione e miglioramento della biodiversità e del paesaggio”.

Nonostante ciò il piano destina ben 175 ettari ai tagli rasi e soltanto 54 alla fustaia, mentre il ceduo composto, ossia una forma di gestione forestale intermedia tra fustaia e ceduo semplice, non è neppure menzionato tra le modalità di utilizzazione possibili.

Eppure tale tipologia sarebbe certamente di gran lunga preferibile al ceduo semplice (nelle porzioni di foresta in cui si volesse privilegiare la funzione produttiva a scapito delle funzione ecologica e paesaggistica), perchè “il ceduo composto presenta i vantaggi del governo a ceduo per quanto concerne la produttività, ma assicura nel contempo una maggiore e costante copertura del suolo e una maggiore complessità ecosistemica“.

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, i boschi relitti sotto Punta La Marmora visti da Punta Margiani Pubusa

Seui, Foresta demaniale di Montarbu, i boschi relitti sotto Punta La Marmora visti da Punta Margiani Pubusa

Il virgolettato è tratto da un piano di assestamento relativo ad una formazione boschiva in agro di Villanovatulo (redatto internamente alla Regione, dal Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, senza ricorrere ad assai costosi appalti esterni), dove tra i diversi motivi per cui il ceduo semplice matricinato viene scartato è anche quello dell’incremento del rischio d’incendio (il ceduo matricinato presenta una certa vulnerabilità agli incendi radenti per via della minore distanza esistente tra il livello del suolo e le chiome, soprattutto quando il soprassuolo è ancora in giovane età).

E allora è davvero necessario che anche il piano forestale di Montarbu venga profondamente rivisto, salvaguardando integralmente aree di estremo valore come quelle che dei Tonneri e limitando strettamente le “utilizzazioni” alle particelle più “antropizzate” con forme di governo diverse dagli anacronistici e fortemente impattanti tagli rasi.

Due parole, infine, su quanto afferma il Commissario straordinario dell’E.F.S. Giuseppe Pulina su La Nuova Sardegna (Il governo a ceduo dei boschi non significa radere al suolo foreste, 10 febbraio 2016):Il governo a ceduo dei boschi non significa radere al suolo foreste, 10 febbraio 2016 definisce il nostro sito webad ottusa ideologia ambientalista”, perché non prende per oro colato le cose che afferma il suo E.F.S.   Gli argomenti evidentemente scarseggiano e ricorre al dileggio e alla denigrazione. Espressioni che qualificano solo chi le usa.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus non si è mai espresso contro il “governo a ceduo” dei boschi in ogni caso, si è espresso contro quei tagli boschivi che rischiano di causare danni al bosco e al suolo. Quei danni che sono stati già causati dai primi tagli effettuati nelle Foresta demaniale del Marganai a detta degli stessi esperti incaricati dall’E.F.S.

Quei rischi ben evidenziati dai redattori del piano di gestione del sito di importanza comunitaria “Linas – Marganai”, fra cui il padre della geopedologia sarda, prof. Angelo Aru, non certo le ultime professionalità nel campo della gestione ambientale del territorio.

Il Commissario Pulina, genialmente, non ne parla.

Noi, ottusamente, lo ricordiamo.         La Giunta Pigliaru, coraggiosamente, tace.

Lo ripetiamo: all’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – così come a tantissimi sardi (e non), esperti o semplici cittadini – non interessa fare polemiche.  L’abbiamo detto in mille occasioni e in mille modi.

Interessa fare completa chiarezza e trasparenza sulla gestione presente e, soprattutto, futura delle nostre foreste demaniali.

foresta mediterranea

foresta mediterranea

Quella chiarezza che, spiace rammentarlo, finora manca, nonostante i vari docenti universitari scomodati a dar buoni voti agli interventi di reintroduzione del governo a ceduo.

Bene ha fatto il Soprintendente per le Belle Arti e il Paesaggio di Cagliari arch. Fausto Martino a sospendere (come avevamo chiesto nel gennaio 2015) con ordinanza del 24 settembre 2015 i tagli boschivi nella Foresta demaniale del Marganai in quanto mai autorizzati sotto il profilo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), affermando che “non si tratta di un taglio colturale, l’unico esente dalla necessità di conseguire la preventiva autorizzazione paesaggistica[2].

E, su segnalazione del Soprintendente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari ha aperto un procedimento penale.

Ma tutto questo è ottuso ricordarlo, no?

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

____________________________________________

[1] “La presenza all’interno delle particelle soggette al taglio di alcuni individui di leccio di enormi dimensioni rappresenta una particolarità nel complesso di Montarbu. Queste piante, che in passato costituivano le alberature di pascoli ampiamente diffusi, attualmente hanno una elevata importanza naturalistica poiché costituiscono degli habitat naturali per alcune specie di animali. Se in alcune aree sottoposte a ceduazione possono rappresentare un problema per la corretta rigenerazione del bosco dopo il taglio, a causa dell’eccessiva copertura al suolo da parte della folta chioma che può sensibilmente indebolire e ridurre la capacità di ricaccio delle ceppaie, potrà essere valutata la possibilità di eliminarli.

[2] La giurisprudenza penale è chiara nel ritenere necessaria l’autorizzazione paesaggistica per tutti gli interventi che non rientrino nella nozione di “taglio colturale”. Recentemente la sentenza Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2015, n. 962 ha ricordato che soltanto il taglio colturale per il miglioramento del bosco, rientrando nella previsione di cui all’art. 149 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (attività agro-silvo-pastorali), non necessita di preventiva autorizzazione paesaggistica.   E’ giurisprudenza ormai costante: vds. Cass. pen., Sez. III, 29 settembre 2011, n. 35308Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 20138; Cass. pen., Sez. III, 25 gennaio 2007 n. 2864; Cass. pen., Sez. III, 11 giugno 2004, n. 35689.  Il taglio del bosco e la successiva aratura del terreno comportano la commissione del reato di cui all’art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

 

bosco in passato governato a ceduo

bosco in passato governato a ceduo

(foto J.I., S.D., archivio GrIG)


Nove proposte per salvare gli Anfibi dei Colli Euganei.

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Colli Euganei, Rana di Lataste (foto Beatrice Zambolin)

Colli Euganei, Rana di Lataste (foto Beatrice Zambolin)

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ed Ente Nazionale Protezione Animali hanno le idee chiare sulle strategie da seguire per salvare gli Anfibi dei Colli Euganei.

Esperienze pluriennali di salvataggio e osservazioni sul campo hanno portato alla stesura di una relazione di 9 pagine contenente 9 proposte concrete, spedita il 3 febbraio 2016 al Direttore dell’Ente Parco Colli Euganei Michele Gallo e, per conoscenza, al Consigliere del Parco Antonio Rota.

Veneto, paesaggio

Veneto, paesaggio

Nove proposte per mitigare l’impatto antropico sull’erpetofauna euganea e per il miglioramento ambientale. Eccole:

  1. Interdizione del traffico automobilistico ai non frontisti lungo Via Volti, Via Regazzoni Alta (Comune di Torreglia), Via Gloria,Via Circuito Monterosso (Comune di Teolo), Via Barbarigo e Via S. Eusebio (Comune di Galzignano Terme) almeno per tutto febbraio e marzo (momento culminante dell’emergenza migratoria riproduttiva). Si tratta di strade d’importanza secondaria, non indispensabili per il transito dei veicoli dei non frontisti e, al contrario, strade strette che presentano anche tratti di senso unico alternato. A questo scopo si suggeriscono l’uso di barriere e cartellonistica stradale, anche luminosa, o preferibilmente la creazione di zone a traffico limitato (come in Via Miazzo a Feriole di Selvazzano Dentro) così da estendere la protezione ad adulti e piccoli neometamorfosati durante tutto l’arco dell’anno (mesi invernali, primaverili e autunnali);
  1. si propone di collocare le reti anti-attraversamento Anfibi già verso la fine di gennaio e lungo tutte le strade implicate dalla migrazione riproduttiva e per tutta la lunghezza stradale interessata dallo spostamento degli animali (per il momento, 15 siti individuati dalle associazioni);
  1. apposizione di cartelli di divieto d’immissione di specie esotiche (carpa koi, pesce rosso, tartaruga dalle orecchie rosse, pesce gatto, ecc.) in prossimità degli stagni obbiettivo dove si riproducono gli Anfibi. Inasprimento delle sanzioni per chi viene sorpreso a compiere introduzioni di specie aliene in pozze e stagni. Trasferimento incruento delle specie alloctone, dagli stagni riproduttivi degli Anfibi verso corsi d’acqua maggiori (qualora queste specie siano già presenti nei fiumi e canali del territorio) o verso vasche separate (qualora si tratti di specie particolarmente problematiche, non già presenti sul territorio come fauna esotica naturalizzata);

    L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

    L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

  1. consulenze scientifiche, aggiornamento degli studi, monitoraggi e censimenti dell’erpetofauna dei Colli Euganei. Suggeriti 3 ricercatori di spicco: Enrico Romanazzi[1], Raoul Manenti[2] e Lucio Bonato[3];
  1. ripristino o creazione ex novo di terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei, ideali per erpetofauna ed avifauna, così come ipotizzato dall’ornitologo e grande studioso della fauna dei Colli Euganei Stefano Bottazzo della Lega italiana protezione uccelli[4];
  1. ripristino o creazione ex novo di stagni e pozze al di qua e non al di là della strada, ovvero fosse piene d’acqua che consentano agli Anfibi di trovare dell’acqua stagnante senza dover attraversare la sede stradale durante il periodo riproduttivo;
  1. coordinamento e riconoscimento dell’importanza dei salvataggi e dei volontari impegnati nell’assistenza agli Anfibi durante la migrazione riproduttiva. Almeno 4 associazioni operative nel salvataggio Anfibi sui Colli Euganei: GRIG, ENPA, LIPU, LAV;
  1. ripristino ambientale in Via Volti, nel Comune di Torreglia, dove nell’inverno 2015 è stato realizzato un piazzale in pietrisco e ghiaia di fronte uno dei rospo-dotti, rendendo così inservibile il condotto. Il piazzale viene tutt’ora utilizzato come deposito di materiale e di mezzi pesanti causando chiazze di olio minerale inquinante e schiacciamento degli Anfibi in migrazione a causa del viavai di autocarri;
  1. osservanza di quanto già individuato nella “Relazione del Piano di Gestione della ZPS IT3260017 Colli Euganei – Monte Lozzo – Monte Ricco – dicembre 2010” (pag. 344-345): tutela integrale dell’Area umida di Torreglia.
L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

L’idea dell’ornitologo padovano Stefano Bottazzo: ripristinare i terreni acquitrinosi all’interno del Parco Colli Euganei

Tralasciati volutamente i sottopassaggi artificiali per Anfibi (rospodotti) in quanto quelli già realizzati sono inadeguati.

Per questo motivo le associazioni attendono una sinergia con dei veri esperti, prima di dissipare ancora e inutilmente i pochi fondi a disposizione per la salvaguardia degli Anfibi.

Associazioni favorevoli ad un’intesa e ad una collaborazione con l’Ente Parco Colli Euganei e con i sindaci del Comprensorio euganeo, ma anche la pazienza ha un limite: non si è più disposti a tollerare silenzi di tomba istituzionali e atteggiamenti di indifferenza verso l’eccidio degli Anfibi.

La migrazione riproduttiva degli Anfibi è iniziata una settimana fa. Ad oggi, 6 febbraio 2016, l’Ente Parco Colli Euganei, nonostante lo stanziamento di denaro grazie all’interessamento del Consigliere Antonio Rota e nonostante le innumerevoli segnalazioni degli scorsi anni, non ha ancora provveduto alla posa delle reti anti-attraversamento Anfibi lungo le strade. Questo determina una situazione fuori controllo e nuove stragi di animali.

A forza di tirare, la corda si rompe.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto                     Ente Nazionale Protezione Animali – Padova

Coordinamento Protezionista Padovano

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[1] http://www.muse.it/de/il-muse/chi-siamo/staff/seiten/Enrico-Romanazzi.aspx

[2] https://www.researchgate.net/profile/Raoul_Manenti

[3] http://www.biologia.unipd.it/lucio.bonato/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=1SJy3othe3U , http://msn.visitmuve.it/wp-content/uploads/2013/02/27-suppl62-Bottazzo-e-Tonelli.pdf

 

Rospo comune (Bufo bufo) investito sulla strada in località Valsanzibio, di fronte Villa Barbarigo

Rospo comune (Bufo bufo) investito sulla strada in località Valsanzibio, di fronte Villa Barbarigo

(foto Beatrice Zambolin, Stefano Bottazzo, M.F., archivio GrIG)


Lasciate in pace la Cascata del Sasso!

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S. Angelo in Vado, Cascata del Sasso

S. Angelo in Vado, Cascata del Sasso

Quasi settanta metri di fronte, oltre dieci metri d’altezza, un rimbombo che intimorisce, schizzi, aerosol e arcobaleni. Così si presenta la Cascata del Sasso, una delle prime dieci d’Italia.

Non si trova su qualche affluente alpino del Po e neppure sul Nera. Si trova a Sant’Angelo in Vado e le acque che rombano e danno spettacolo sono quelle del Metauro.

Certo, ci hanno costruito attorno una zona industriale, certo non è mai stato molto valorizzata, ma la sua apparizione improvvisa tra gli alberi lascia di stucco i visitatori, che mai si aspetterebbero una cosa così “forte” in un paesaggio così dolce e addomesticato. Una visione e un godimento che da soli giustificano una gita.

Bene, hanno deciso di costruirci (sopra e sotto) una centrale idroelettrica, che ne devierà parte delle acque. Il tutto per poco più di 300 kw. Certo in tempi di crisi e con il trattato di Parigi che preme alle porte come dire di no all’energia “pulita” (anche se poca)? Solo che il trattato di Parigi è stato fatto per incrementare le energie pulite e non tiene conto del fatto che l’Italia è abitata da italiani e che le cose tendono spesso a trascendere le buone intenzioni. E che quando c’è da fare affari ogni scusa è buona, anche l’energia “verde”. Così si è pronti a distruggere le cose più belle che abbiamo “purchè renda” (a chi?).

Per fare un parallelo, è come se, in tempi di crisi, decidessimo di macinare i ponti romani della Flaminia per fare un po’ di cemento, così almeno rendono qualcosa. Oppure potremmo macinare il Colosseo: chissà quanto buon cemento si potrebbe produrre.

S. Angelo in Vado, Cascata del Sasso

S. Angelo in Vado, Cascata del Sasso

Purtroppo le crisi sono pericolose e quando arrivano, la parte “gastrica” del cervello tende a prendere il sopravvento; e se un popolo non ha solide radici e una ancor più solida cultura, rischia di vendere il proprio patrimonio in cambio di specchietti e perline colorate; è sempre stato così. Si fa un gran blaterare di turismo, di paesaggio, di valori culturali (abbiamo chiamato in campo anche Dustin Hoffman), ma poi scopriamo di trovarci in una Regione le cui autorità sembrano non considerare granchè i cittadini, specie quando sono pochi.

E’ un dato che le Marche siano una regione fortemente dicotomica e che mentre la maggior parte dei cittadini vive (giustamente) sulle rive dell’Adriatico, la maggior parte dei valori ambientali e culturali si trovano nelle aree interne, che più sono interne meglio sono conservate. Così, da una parte ci viene detto che le Marche non hanno nulla da invidiare alla Toscana, dall’altra si è pronti, con tranquillità olimpica e dopo aver “sistemato le carte”, a manomettere una delle dieci più belle cascate d’Italia, vero gioiello di famiglia per tutta la zona.

Allo stesso modo si costruisce in un’area vergine (poco lontano) e di grande bellezza un immane parco eolico, con torri che si vedranno da distanze enormi, si dà il via libera al supergasdotto appenninico, che con il suo sterro da 40 mt di larghezza devasterà irrimediabilmente centinaia di chilometri di crinali e boschi e si è pronti a dare il via libera ad altre selve di torri eoliche, ovunque, su ogni poggio.

L’energia pulita non c’entra: il vento non c’è, la cascata può produrre ben poco e la domanda di gas si è dimezzata.

Sicuramente da queste cose qualcuno ci guadagna, i finanziamenti girano, ma di certo non ci guadagnano nè la collettività, né tantomeno l’ambiente. Non è possibile avallare l’ossimoro per il quale per “salvare il pianeta” si deve distruggere il pianeta. In tutto questo, mentre si sa bene qual è il pensiero della Giunta Regionale, che sembra avere in massimo spregio le questioni legate all’ambiente e al paesaggio (a quanto si racconta  affrontate con sorrisetti di sufficienza e crasse battute), stupisce non poco l’atteggiamento delle Soprintendenze, cosi’ attente e presenti nei luoghi topici tanto quanto appaiono incuranti nelle aree periferiche, apparentemente disponibili anche alla “distruzione totale” di siti importanti, purchè “le carte siano in regola” e aggiungiamo, “che sia lontan dagli occhi”.

Insomma, tra Regione e Soprintendenze per le belle arti, richiamo di tornare indietro di decenni e buttare alle ortiche le conquiste civili degli ultimi 40 anni in materia di salvaguardia e tutela ambientale e di diritto.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus       La Lupus in Fabula

 

 

(foto A.L.C., archivio GrIG)


S.O.S. Italia.

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stendardo GrIG

Speculazione immobiliare, tagli boschivi, inquinamento, grandi opere inutili e dannose, devastanti cave, dissesto idrogeologico, caccia selvaggia, degrado urbano, discariche abusive, inceneritori, peggioramento della salute pubblica, monumenti abbandonati, smog, crudeltà contro gli altri animali, riduzione del verde pubblico nelle città, aggressione ai demani civici…

Sembra un bollettino di guerra e sostanzialmente lo è.

E’ quanto accade ogni giorno nel nostro Bel Paese, la nostra povera Italia, maltrattata, inquinata e vilipesa da amministratori pubblici ignavi (quando non peggio), speculatori senza scrupoli, industriali avidi e miopi.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si batte contro tutto questo da più di vent’anni, per l’ambiente e la salute, per una migliore qualità della vita.

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Pettirosso (Erithacus rubecula)

Abbiamo l’esigenza di confrontarci e promuovere azioni che possano dare sempre migliori risultati per l’ambiente e la salute di tutti noi.     Lo faremo a Pisa, presso la Stazione Leopolda (Piazza Federico Domenico Guerrazzi, 11), sabato 12 marzo 2016 (inizio ore 10.00), con una riunione propositiva e programmatica a cui sono invitati tutti i soci GrIG e i simpatizzanti.

Parleremo di vari conflitti ambientali aperti, ci confronteremo su metodi e proposte, individueremo obiettivi e azioni per difendere al meglio la nostra Terra.

Sarà naturalmente possibile iscriversi e rinnovare l’iscrizione all’Associazione [1].

Partecipiamo numerosi!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

dov'è la Stazione Leopolda!

dov’è la Stazione Leopolda!

N.B.   la Stazione Leopolda è a pochi dalla Stazione Ferroviaria, dall’Aeroporto “Galileo Galilei” e dalle uscite (Pisa Centro) della Superstrada Firenze-Pisa-Livorno, delle Autostrade A 12 (Genova–Livorno) e A 11 (Firenze–Mare).  E’ presente un punto di ristoro, un punto vendita di prodotti alimentari a filiera corta mentre in zona vi sono numerosi ristoranti.

Si ringrazia il C.A.I. di Pisa per la preziosa collaborazione.

_______________________________________________

[1] puoi sempre sostenere le battaglie del Gruppo d’Intervento Giuridico – GrIG a favore dell’ambiente, diventando socio o rinnovando la tua iscrizione, con un versamento minimo di € 15,50 sul conto corrente postale n. 22639090 intestato a “associazione Gruppo d’Intervento Giuridico“ oppure con un bonifico bancario con il codice IBAN IT39 G076 0104 8000 0002 2639 090.     Il codice BIC/SWIFT è BPPIITRRXXX.

 

 

(foto S.D., archivio GrIG)


Il piano urbanistico comunale di Pula mette a rischio coste e beni archeologici.

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Pula, costa di Nora

Pula, costa di Nora

Il piano urbanistico comunale (P.U.C.) di Pula (CA) recentemente adottato pone seri rischi per la salvaguardia delle coste e dei beni archeologici della zona di Nora – Agumu.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha, quindi, inoltrato (13 febbraio 2016) un atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento di approvazione del P.U.C. e nel connesso procedimento di valutazione ambientale strategica (V.A.S.).

Il nuovo P.U.C. è stato adottato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 30 del 24 novembre 2015, modificando profondamente la precedente stesura adottata con deliberazione del Consiglio Comunale n. 15 del 7 giugno 2013, successivamente integrata dalla deliberazione C.C. n. 16 del 16 luglio 2013.[1]

Dovrà sostituire il vecchio programma di fabbricazione (P.d.F.) del 1989 e dovrà esser in adeguamento alle previsioni del piano paesaggistico regionale (P.P.R.).

Pula, Nora, Torre del Cortellazzo

Pula, Nora, Torre del Cortellazzo

La procedura seguita dall’Amministrazione comunale di Pula per l’adozione del nuovo P.U.C. è stata piuttosto lunga e farraginosa, ma una costante è stata la scelta – assolutamente non condivisibile – di predisporre l’ennesimo porto turistico con la solita cementificazione della contigua costa.

In proposito, le “osservazioni” ecologiste sul merito delle scelte pianificatorie, in particolare riguardano l’individuazione dell’area litoranea di Agumu come zona omogena “G/F” per servizi generali e alberghieri e per la realizzazione di un porto turistico, in contrasto con norme di legge (legge regionale n. 23/1993), disciplina del P.P.R. e già irreversibilmente valutata dalla Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici per la Sardegna (nota n. 1944 del 20 marzo 2007) e dalla Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari (nota n. 2799 del 20 aprile 2007 e n. 1756 del 9 marzo 2007) in contrasto con le esigenze di salvaguardia dell’area archeologica emersa e sommersa di Nora.

La classificazione come altamente edificabile dell’area di Agumu (sede di un campeggio abusivo) contrasta, inoltre, con l’individuazione parziale quale zona “Hi4” (pericolosità molto elevata) sotto il profilo idrogeologico.

Pula, litorale di Nora

Pula, litorale di Nora

Altra indicazione del P.U.C. adottato in palese contrasto con le disposizioni normative di tutela (legge regionale n. 23/1993) è la previsione di “valorizzazione ai fini turistici-ricreazionali” relativamente alla zona omogenea di salvaguardia costiera “H1” degli isolotti di S. Macario e Coltellazzo, nonché la conferma dell’edificabilità dell’area “Pineta Is Morus” (ex S.A.I.A. – Sant’Angelo Immobiliare Alberghiera s.p.a.), ormai non più tollerabile vista la presenza di oltre 150 unità immobiliari in completa assenza di fognature e impianto di depurazione, come stigmatizzato dalla sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 23 ottobre 2013, n. 664, e della lottizzazione di Is Molas, ormai scaduta da decenni e prorogata illegittimamente più volte in contrasto con la giurisprudenza in tema.

Pula, Is Molas, cantiere edilizio

Pula, Is Molas, cantiere edilizio

L’istanza ecologista – indirizzata al Comune di Pula, alla Direzione generale regionale della Pianificazione territoriale e della Vigilanza edilizia, alla Provincia di Cagliari (Ufficio V.A.S.), alla Segretariato regionale del Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo, le Soprintendenze per il paesaggio e per i beni archeologici – chiede la modifica delle previsioni del P.U.C. adottato nel senso del rispetto della normativa ambientale e di corretta gestione del territorio.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] in proposito l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva inoltrato ben due atti di intervento nel procedimento con “osservazioni” (25 settembre 2013, 16 novembre 2013), sempre con la finalità di garantire una migliore tutela ambientale e dei beni culturali.

 

Pula, campeggio "Golfo dei Fenici", loc. Agumu

Pula, campeggio “Golfo dei Fenici”, loc. Agumu

(foto per conto GrIG, C.B., S.D. archivio GrIG)


No alla caccia al Lupo!

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Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

Siamo alla follìa.

Il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare sta portando avanti un’assurda ipotesi di possibile riapertura di caccia controllata al Lupo (Canis lupus) nell’ambito del Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia in esame dal 16 febbraio 2016 presso il relativo Comitato paritetico Stato – Regioni e in adozione entro il prossimo mese di marzo 2016 da parte della  Conferenza Stato – Regioni e Province autonome.

La precedente edizione del Piano (2002) prevedeva esclusivamente misure di salvaguardia del Lupo, quella attualmente in discussione prevede la possibilità di abbattere il 5% della popolazione stimata di Lupo in Italia (circa 1.500 esemplari dalla Sila alle Alpi) per risolvere con il piombo eventuali situazioni di conflitto locali con gli allevatori.

Lupo europeo (Canis lupus lupus)

Lupo europeo (Canis lupus lupus)

La situazione del Lupo in Italia è certamente migliorata nel corso degli ultimi anni[1] proprio grazie alle normative di tutela e alle varie iniziative di contrasto della predazione del bestiame domestico finanziate con fondi comunitari e nazionali.  Tuttavia nel solo periodo 2013-2015 sono stati uccisi da bracconaggio (40,8%) e incidenti vari (45,6%) almeno 115 esemplari. E un altro grave rischio è rappresentato dall’inquinamento genetico.

Una seria politica di gestione ambientale dovrebbe:

  • inasprire la lotta al bracconaggio, elevando pene e sanzioni e potenziando la vigilanza con l’attivazione di squadre specializzate nella prevenzione e nelle indagini antibracconaggio;
  • intensificare il contrasto al randagismo, per prevenire danni al bestiame domestico e il fenomeno dell’ibridazione con il Lupo;
  • diffondere capillarmente gli strumenti di contrasto della predazione del bestiame domestico fra gli allevatori;
  • garantire tempestivi e completi risarcimenti dei danni subiti dagli allevatori, in misura analoga su tutto il territorio nazionale;
  • predisporre e attuare una campagna informativa su “chi è” veramente il Lupo, per confinare nel mondo delle favole quelle che favole sono (es. i rapimenti di persone…);
  • realizzazione di un monitoraggio della specie a livello nazionale e trans-frontaliero (per le Alpi).

Purtroppo, invece, si sta regredendo pericolosamente.

Apecchio, Lupo morto investito da auto (2 novembre 2013)

Apecchio, Lupo morto investito da auto (2 novembre 2013)

Invitiamo tutti a sottoscrivere la petizione promossa dal WWF al Ministro dell’ambiente Gianluca Galletti e al Presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini perché non sia permessa la caccia al Lupo: http://www.wwf.it/lupo/soslupo/.

Invitiamo tutti anche a un ulteriore piccolo impegno: manifestiamo direttamente al Ministro Galletti (segreteria.ministro@minambiente.it) e al Presidente Bonaccini (sbonaccini@regione.emilia-romagna.it) la nostra contrarietà alla caccia al Lupo con un breve messaggio dal seguente tenore:

il Lupo e Cappuccetto Rosso

il Lupo e Cappuccetto Rosso

Al Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare,

al Presidente della Conferenza delle Regioni,

 

Gent.mo Sig. Ministro, gent.mo Presidente,

Vi chiedo di non concedere alcuna deroga che consenta l’abbattimento di Lupi nell’ambito del Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia e in qualsiasi altra forma.

Sono dalla parte del Lupo, così come ritengo che gli allevatori debbano esser sostenuti con politiche di diffusione dei sistemi di contrasto alla predazione del bestiame domestico e indennizzi.

Seguirò con attenzione gli sviluppi della vicenda.

Grazie per il Vostro interessamento, cordiali saluti.

firma

 

Il Lupo ha bisogno anche di te, ora.

Gruppo d’Intervento Giuridico

 

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[1]  In questi ultimi anni il Lupo è ritornato sulle Alpi e nel parco nazionale dell’Alta Murgia, in Puglia.

 

branco di Lupo europeo (Canis lupus lupus)

branco di Lupo europeo (Canis lupus lupus)

(foto A.L.C., S.D., archivio GrIG)



“Specie che si adattano e specie che scompaiono”, conferenza a Padova.

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locandina_19-01 (1)

 

Specie che si adattano e specie che scompaiono

Padova, 19 febbraio 2016 – ore 20.45

Sala consiliare Quartiere 2, Via Curzola


Riparte il progetto Sitas a Malfatano-Tuerredda (Teulada), ma con parecchi ostacoli.

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Teulada, Tuerredda, cantiere S.I.T.A.S. s.r.l.

Teulada, Tuerredda, cantiere S.I.T.A.S. s.r.l.

Riparte il progetto immobiliare S.I.T.A.S. s.p.a. lungo la costa di Malfatano e Tuerredda, in Comune di Teulada (CA), ma gli ostacoli non sono pochi.

Archiviata la vicenda giudiziaria amministrativa[1], si è concluso il procedimento di scoping  (avviato nell’ottobre 2015) davanti al Servizio valutazioni ambientali della Regione autonoma della Sardegna per, propedeutico alle  necessarie procedure di valutazione di impatto ambientale riguardo il comparto E1 del medesimo progetto immobiliare (ottobre 2015).

Ora, se la S.I.T.A.S. s.p.a. in liquidazione vorrà proseguire (cosa altamente probabile), dovrà predisporre lo studio di impatto ambientale in base alle numerose prescrizioni contenute nel provvedimento conclusivo della procedura di scoping (nota Servizio V.A. della R.A.S. prot. n. 2257 dell’8 febbraio 2016) e nel parere A.R.P.A.S. (nota prot. n. 38337 del 23 novembre 2015).

Fra le più rilevanti prescrizioni, in primo luogo, emerge la difficoltà di ritenere compatibile il progetto immobiliare con il piano paesaggistico regionale (P.P.R.), la necessità di individuare alternative di sito per i sub-comparti E1c ed E1h perché vi sono estese formazioni di Ginepri e macchia mediterranea, l’analisi dei rapporti con gli altri piani di settore (difesa del suolo, tutela delle acque, ecc.). Dovrà esser poi analizzata l’opzione zero (la non realizzabilità dell’intervento immobiliare) ed effettuata una puntuale analisi costi-benefici con le ricadute effettive sul piano economico-sociale, così come dovranno esser verificati i reali fabbisogni idrici per usi civili e irrigui (si stima un consumo di 90.000 mc./anno + l’utilizzo di due pozzi) e l’impatto sul fenomeno della salinizzazione delle falde idriche costiere.   Gli impatti su ambiente, fauna e vegetazione, paesaggio dovranno esser approfonditi, sia per la fase di cantiere che per quella di gestione.

Teulada, Malfatano-Tuerredda, cantiere Sitas s.p.a.

Teulada, Malfatano-Tuerredda, cantiere Sitas s.p.a.

Le volumetrie previste nell’attuale progetto dovrebbero esser state ridotte a mc. 90.000, per usi esclusivamente ricettivi.

Indubbiamente quanto già realizzato – anche per la pessima qualità architettonica – rappresenta un vero e proprio scempio ambientale, che fa il degno paio con la saturazione antropica estiva della spiaggia di Tuerredda, causata da chioschi e parcheggi che stanno uccidendo lentamente un vero e proprio gioiello costiero.

Si riparte, quindi, ma non da zero.

Non si può dimenticare che la procedura seguita per autorizzare una delle speculazioni immobiliari più pesanti sulle coste sarde degli ultimi decenni è stata dichiarata illegittima per aver spezzettato l’unico progetto turistico-edilizio in cinque comparti per le valutazioni di impatto ambientale. Il Consiglio di Stato, che l’ha riconosciuto, non ha esorbitato dalle sue competenze giurisdizionali, come ha confermato la Corte di cassazione.

E’ quanto abbiamo detto e denunciato in svariati esposti, ricorsi, denunce da lunghi anni.

Teulada, Tuerredda, chiosco e stabilimenti balneare

Teulada, Tuerredda, chiosco e stabilimenti balneare

Inascoltati colpevolmente dal Comune di Teulada, dalla Regione autonoma della Sardegna, dal Ministero dell’ambiente, dalla Commissione europea.    Sistematicamente, perché non si doveva disturbare il manovratore delle ruspe.

Resta da ringraziare gli amministratori e funzionari pubblici – all’interno del Comune di Teulada, della Regione autonoma della Sardegna, del Ministero dell’ambente, della Commissione europea – per essersene pilatescamente lavati le mani.

Nel mentre, davanti al Tribunale penale di Cagliari è in corso il processo relativo alle opache procedure messe in campo per far ripartire il progetto immobiliare.

Noi siamo dalla parte dell’ambiente, come sempre, e saremo in campo per difenderlo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra

 

Teulada, Malfatano-Tuerredda, progetto originario Sitas s.p.a.

Teulada, Malfatano-Tuerredda, progetto originario Sitas s.p.a.

 

dal sito web istituzionale Sardegna Ambiente

Procedura di Scoping per la realizzazione del complesso di servizi turistici – zona F comparto E1 nel Comune di Teulada.

La Società SITAS Società Iniziative Turistiche Agricole Sarde – srl in liquidazione ha depositato, presso il Servizio delle valutazioni ambientali (SVA) dell’Assessorato regionale della Difesa dell’ambiente, l’istanza di Scoping, corredata dalla relativa documentazione, per il progetto “Realizzazione del complesso di servizi turistici – zona F comparto E1 nel Comune di Teulada”.

Conclusione scoping
Esito scoping [File .pdf]
Nota ARPAS [File .pdf]

Consulta i documenti
Documentazione Scoping 1 [File .zip]
Documentazione Scoping 2 [File .zip]
Indice dei contenuti [File .pdf]
PdC Progetti edilizi – Comparti D e E [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto F [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto G – Parte 1 [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto G – Parte 2 [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto G – Parte 3 [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto G – Parte 4 [File .zip]
PdC Progetti edilizi – Comparto G – Parte 5 [File .zip]
PdC Variante Comparto G [File .zip]
PdC Comparto G II stralcio – Parte 1 [File .zip]
PdC Comparto G II stralcio – Parte 2 [File .zip]
PdC Comparto G II stralcio – Parte 3 [File .zip]
PdC urbanizzazioni – Parte 1-1 [File .zip]
PdC urbanizzazioni – Parte 1-2 [File .zip]
PdC urbanizzazioni – Parte 1-3 [File .zip]
PdC urbanizzazioni – Parte 1-4 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 1-5 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – parte 2 -1 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – parte 2-2 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – parte 2-3 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – parte 2-4 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-5 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-6 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-7 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-8 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-9 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-10 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-11 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-12 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-13 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-14 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-15 [File .zip]
PdC Urbanizzazioni – Parte 2-16 [File .zip]

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[1] la sentenza 4 febbraio 2016, n. 2198 della Corte di cassazione, a Sezioni unite civili, ha respinto il ricorso della S.I.T.A.S. s.p.a. in liquidazione per motivi inerenti la giurisdizione (art. 110 e ss. cod. proc. amm.) avverso la sentenza Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36, che a sua volta aveva confermato la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427.

 

Teulada, costa di Malfatano

Teulada, costa di Malfatano

 

(tavola progettuale S.I.T.A.S. s.p.a., foto S.D., archivio GrIG)


Un parco avventura a Bidderosa (Orosei)?

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dune, ginepri, spiaggia, mare

dune, ginepri, spiaggia, mare

Curiosi e singolari destini spesso hanno i gioielli naturalistici della Sardegna.

E’ il caso, a quanto pare, di Bidderosa, sul litorale di Orosei (NU).   860 ettari di spiaggia e bosco litoraneo (Ginepri, Pini, Lecci, Querce, macchia mediterranea) di proprietà comunale gestiti finora integralmente dall’Ente Foreste della Sardegna e dalla cooperativa Le Ginestre di Orosei.

Area tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e con vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993), disciplinata come non trasformabile anche dal piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero), rientra nel sito di interesse comunitario – S.I.C. “ITB020012 Berchida – Bidderosa” (direttiva n. 92/43/CEE), munito di specifico piano di gestione (decreto assessoriale n. 15 del 28 febbraio 2008).

Per conservarne le caratteristiche naturali è stato – giustamente – istituito il numero chiuso: al massimo sono accettati 140 autoveicoli e 30 moto (nessun camper). Un servizio di bus navetta porta le persone verso le cinque calette.

ginepro, mare, cielo

ginepro, mare, cielo

Un’area naturalistica come questa ben sarebbe stata un luogo dove trasferire i diritti di uso civico di Orosei, sdemanializzando i siti già illegittimamente urbanizzati e avviando così a soluzione una vicenda complessa con soddisfazione di tutti gli interessi.

Invece, che cosa accade?

Il Consiglio comunale di Orosei, con votazione quasi unanime (deliberazione C.C. n. 6 del 5 febbraio 2016 + rettifica), ha assegnato in concessione a una società nemmeno ancora costituita (la Natura Park) rappresentata da una “legale rappresentante” (Romina Franca Flore) che legalmente non può rappresentare un soggetto societario che ancora non è costituito 51.055 metri quadrati (cioè più di 5 ettari) di Bidderosa per 15 anni per la realizzazione di un non meglio conosciuto “parco avventura”.[1]

Non si ha notizia di eventuali procedure selettive né di alcuna verifica su progetti e capacità gestionale e finanziaria di un soggetto societario non ancora esistente.

Men che meno di un corrispettivo.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus segue e seguirà con attenzione gli sviluppi della vicenda e svolgerà le opportune azioni per garantire la salvaguardia di un vero e proprio gioiello naturalistico del Mediterraneo.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1]  Qui i parchi avventura in Italia: http://www.parchiavventuraitaliani.it/. Allo stato, di quanto si vorrebbe realizzare a Bidderosa non si sa nulla.

 

dune

dune

(foto S.D., archivio GrIG)


I tagli boschivi del Marganai su Ambiente Italia, RAI 3.

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Foresta demaniale Marganai, area dei primi interventi di taglio (loc. Caraviu e su Isteri, Comune di Domusnovas)

Foresta demaniale Marganai, area dei primi interventi di taglio (loc. Caraviu e su Isteri, Comune di Domusnovas)

Lo sapevate che i tagli boschivi della Foresta demaniale del Marganai servono per combattere i cambiamenti climatici?

Ve lo spiegano i vertici dell’Ente Foreste della Sardegna su Ambiente Italia, RAI 3, sabato 20 febbraio 2016, alle ore 12.55.

Buona visione!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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“In primo piano … il caso della foresta Sarda del Marganai, regione sud occidentale del Sulcis, consumata dal taglio di piante secolari, che vengono poi usate come legna da ardere, per favorire – è la motivazione data dall’ente forestale – la ‘rinnovazione’ della foresta che si adatterebbe così ai cambiamenti climatici”.

 

(foto F.A., archivio GrIG)


Attenti ai ladri d’identità su Facebook!

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Oloturia (Holothuria poli)

Oloturia (Holothuria poli)

Soltanto in questi giorni, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza, su Facebook, di una pagina che utilizza illecitamente il nome e un logo riferibile alla nostra Associazione, per un fantomatico “Sportello telematico nazionale per gli affari legali ed istituzionali in materia di caccia, pesca, C.I.T.E.S., bracconaggio e maltrattamento animali“, quindi chiariamo subito che quella pagina non è in alcun modo riferibile al Gruppo d’Intervento Giuridico onlus. 

Naturalmente, abbiamo già adottato e adotteremo tutte le misure finalizzate alla tutela della nostra Associazione nelle sedi opportune e, nel frattempo, vi chiediamo di non tenere nel minimo conto la pagina abusiva, segnalandola ai Gestori del social network.

Grazie!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

su Facebook i nostri riferimenti sono questi e solo questi:

* https://www.facebook.com/gruppo.onlus/?fref=ts

* https://www.facebook.com/groups/184047014989655/?fref=ts

* https://www.facebook.com/ro.ar.9026

stendardo GrIG

(foto S.D., archivio GrIG)


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