Il dott. Davide Asnicar è un biologo padovano e si è interessato alle problematiche dell’eccessiva localizzata presenza del Cinghiale (Sus scrofa).
Abbiamo ricevuto e pubblichiamo volentieri.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
Il “problema cinghiali” è riconosciuto in molte parti del nostro paese e nel resto del mondo. Questi animali, con le loro modalità di approvvigionamento del cibo, possono causare cambiamenti drastici nella composizione di flora e fauna nelle aree in cui si stabiliscono loro popolazioni (Massei & Genov, 2004). Scorrendo tra la letteratura scientifica sul tema relativo a questa specie di ungulati, si trovano note riguardanti la loro presenza allo stato selvatico in ambiente a volte positive (dispersione di semi di piante di cui si nutrono, aumento della crescita arborea), a volte negative (disturbo dell’habitat per specie vegetali e animali, competizione per il cibo con altre specie). Si parla degli aspetti negativi della presenza del cinghiale soprattutto nelle aree in cui questa specie è alloctona (non endemica) e quindi in cui non sono presenti i loro comuni predatori, oppure in quelle zone in cui i loro naturali predatori sono stati ridotti ad un numero esiguo di esemplari o addirittura portati all’estinzione (Ickes, 2001).
Nella maggior parte delle aree nel mondo in cui si trovano cinghiali, questi ultimi vi sono stati introdotti a fini commerciali/allevamento (e quindi fuggiti da recinti e fattorie) o venatori.
Questi animali si adattano ad un ampio range di condizioni climatiche, la loro dieta è molto varia e presentano il più alto tasso riproduttivo tra gli ungulati. Per questi motivi tendono a riprodursi in maniera veloce, e sono in grado di colonizzare velocemente la nuova area in cui sono stati introdotti, soprattutto se nell’area non sono presenti predatori naturali di cinghiali (Massei & Genov, 2004) (questo tema viene trattato più in dettaglio in questo articolo: Piano sostitutivo degli abbattimenti di Cinghiali e Daini nel Parco naturale regionale dei Colli Euganei.
Tra le motivazioni menzionate da esperti nel settore riguardo la presenza del cinghiale in alcune aree, vengono sottolineate: l’introduzione illegale di cinghiali a scopo venatorio e l’espansione dell’agricoltura (Barrios-Garcia & Ballari, 2012). Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso infatti, si affiancavano a molti terreni agricoli alcune porzioni di terreno che altrimenti erano in disuso all’allevamento di ungulati e soprattutto del cinghiale in quanto specie più duttile e da cui è facile ottenere un gran numero di capi in poco tempo (Ferri, 1998). Ciò mi fa sorridere, perché i primi a lamentarsi della presenza di cinghiali sono proprio cacciatori ed agricoltori. Ma le soluzioni al problema del rapporto agricoltura-cinghiali ci sono e funzionano se venissero utilizzate correttamente (maggiori dettagli: Piano sostitutivo degli abbattimenti di Cinghiali e Daini nel Parco naturale regionale dei Colli Euganei), come l’utilizzo di recinzioni e/o BOS ed evitare di tagliare qualsiasi quercia (i cinghiali sono ghiotti di ghiande) senza motivo, ma incentivarne la crescita in aree boschive. Quest’ultimo aspetto va considerato a maggior ragione, infatti i cinghiali prediligono gli ambienti boschivi in cui possono trovare anche riparo da predatori, tra cui i cacciatori (Massei & Genov, 2004).
Per quanto riguarda le “soluzioni” cruente che vengono proposte da quest’ultima categoria (sparare a tutto ciò che si muove) invece è dimostrato che non funzionano, anzi, provocano maggiori problemi. Morrison e colleghi (2007) descrivono questo fenomeno considerando il fatto che le popolazioni di cinghiale recuperano velocemente dopo fenomeni di riduzione del numero di individui, in quanto le risorse a disposizione potranno essere consumate da un numero inferiore di individui che ne trarrà beneficio in termini di maggior energia da investire nel successivo evento riproduttivo. In più, gli individui che sopravvivono all’evento di fallita eradicazione diventano più schivi e difficili da individuare. Gli unici casi in cui l’eradicazione è riuscita al 100% sono in alcune isole, in cui il territorio è abbastanza ridotto da poter permettere un facile e pressoché totale controllo da parte dell’uomo (Barrios-Garcia & Ballari, 2012) e in cui non c’è possibilità di reintroduzione naturale da zone limitrofe. Questo non risulta effettuabile in una vasta zona continentale. Prendiamo come esempio i Colli Euganei. Anche se venissero abbattuti tutti i cinghiali della zona ci saranno sicuramente delle nuove entrate di individui da zone limitrofe, i Colli Berici ad esempio. Questo avviene perchè, con l’eradicazione di una popolazione da una zona, la nicchia ecologica che quella specie occupava nei Colli Euganei verrà ad essere libera e quindi individui della stessa specie provenienti da diverse aree tenderanno a riempire quello spazio lasciato vuoto dalla precendente popolazione, ma ancora ricco di nutrimento disponibile, perchè necessitano di nuovi spazi per potersi nutrire e riprodurre a loro volta. Queste asserzioni non valgono solo per il cinghiale, ma per qualsiasi altro organismo vivente.
Un altro fattore di controllo di popolazioni naturali può essere riconosciuto nella predazione di cinghiali da parte di altri animali. Tra quelli che in genere si annoverano come in grado di uccidere e cibarsi di un cinghiale (uomo a parte) si parla di lupi, orsi, coccodrilli, tigri e altri grossi felini (dipendentemente dall’area in cui ci troviamo), ma spesso in queste liste si tende a dimenticare dei possibili predatori di cuccioli e giovanili di cinghiale, molto più inesperti nella lotta alla sopravvivenza. Quest’ultimi possono essere predati (tra gli altri) da uccelli rapaci, felini e canidi di medie dimensioni.
Da notare che spesso sono proprio i giovanili, soprattutto maschi che vengono allontanati dal gruppo matriarcale da piccoli e sono indotti a seguire una vita indipendente e solitaria, quelli che causano problemi ad agricoltori. I giovani cinghiali infatti, proprio perché inesperti, vanno in cerca di guai perché non sanno cosa si aspettano e si aggirano curiosi per ogni dove.
Nei nostri territori non sono presenti grossi predatori (eccezion fatta per il lupo che sta riprendendo piede in tutto lo Stivale), ma predatori di medie dimensioni ce ne sono in abbondanza.
Ciò fa pensare che sia molto probabile che i cuccioli di cinghiale possano essere predati nei nostri territori da, tra gli altri, poiane e volpi (Cinghiale – Sus scrofa – Chi è e come vive il cinghiale, Cinghiale ,Sus scrofa)
Sicuramente la rimozione dei possibili predatori del cinghiale non aiuta lo stabilizzarsi delle popolazioni di questa specie (Ickes, 2001), ma ne incentiva il loro accrescimento.
Ovviamente in Italia e in particolare in Veneto, sembra impossibile poter pensare una cosa del genere… Possiamo immaginare cosa direbbero i cacciatori se gli fosse proibito di sparare alle volpi. I cacciatori infatti accusano le volpi, o meglio, usano come scusa il fatto che le volpi si cibino di fagiani e lepri per poter sparare anche a loro. Ma i fagiani e le lepri di cui stiamo parlando sono animali che vengono rilasciati il giorno prima della battuta di caccia dai cacciatori stessi (vi piace vincere facile!).
In definitiva è un continuo circolo vizioso da cui non si esce se non si mette il bastone tra qualche raggio di questa ruota che è stata imbastita ben bene dal sistema governativo pro-caccia.
Il sistema che si è venuto a creare, infatti, si può riassumere in modo schematico e generale in un continuo ripetersi di questo elenco:
– introduzione (illegale molte volte) di alcune specie in territori in cui non c’entrano niente;
– sparare a quelli che riescono;
– quelli che sopravvivono e riescono a riprodursi crescono di numero;
– nel frattempo le introduzioni continuano;
– lamentarsi che ci sono troppi animali e che cominciano a dare fastidio;
– continuare a cacciare indisturbati, anzi spesso incentivati dalle regioni o province o comuni o stato, perché quello che era iniziato come uno svago per pochi, ora è diventato un problema pubblico e quindi va finanziato con i soldi di tutti.
La gestione del problema dovrebbe essere fatta con più criterio, coinvolgendo tutte le parti e gli esperti che possono aiutare a capire e a trovare soluzioni attuabili ed efficaci e non prendendo solo esperti di caccia.
Davide Asnicar
Dottore in Biologia
Università degli Studi di Padova
BIBLIOGRAFIA
Barrios-Garcia, M.N., Ballari, S.A., 2012. Impact of wild boar (Sus scrofa) in its introduced and native range: a review. Biol Invasions 14: 2283.
Ferri, M., 1998. Il Cinghiale: calamità o risorsa? Quaderni di gestione faunistica n°2. Comune di Modena.
Ickes, K., 2001. Hyper-abundance of Native Wild Pigs (Sus scrofa) in a Lowland Dipterocarp Rain Forest of Peninsular Malaysia. BIOTROPICA, 33:4, p. 682-690.
Massei, G., Genov, P.V., 2004. The environmental impact of wild boar. Galemys: Boletín informativo de la Sociedad Española para la conservación y estudio de los mamíferos, 16:1, p.135-145.
Morrison, S.A., Macdonald, N., Walker, K., Lozier, L., Shaw, M.R., (2007). Facing the dilemma at eradication’s end: uncertainty of absence and the Lazarus effect. Front Ecol Environ 5:271–276
Wood, G.W., Barrett, R.H., 2006. Status of Wild Pigs in the United States. Wildlife Society Bulletin. 7:4, p. 237-246.
(foto L.A.C., S.D., archivio GrIG)
