«D’altra parte un linguaggio lui ce l’ha (l’animale ndr), e anche ben chiaro e coerente, siamo noi quasi sempre a non capirlo, se non addirittura a non volerlo proprio considerare. L’alfabeto degli animali, naturale eppure complesso da decifrare, è fatto di movimenti, di sguardi, di suoni, di odori..» Walter Bonatti.
Nessuna popolazione continua a crescere all’infinito.
Prima o poi, all’aumentare della densità, tra i membri di una popolazione si sviluppano influenze reciproche mediate dall’ambiente, che fissano le dimensioni della popolazione stessa.
Queste interazioni causano adattamenti fisiologici, morfologici e comportamentali.
Esiste una naturale tendenza delle popolazioni a ricavare il maggior vantaggio possibile dalle risorse essenziali (spazio, cibo, acqua, ecc.) fino al raggiungimento della capacità portante dell’ambiente: numero di individui di una popolazione che le risorse di una data area riescono a sostenere[1].
C’è infatti una densità biologica superata la quale compaiono nella popolazione segni di decadimento fisico dovuti ad elevata competizione tra individui della stessa specie[2].
Infatti, semplificando, il numero di cinghiali presenti in una certa area è in relazione alla disponibilità di ghiande, castagne, radici, frutti e insetti: risorse energetiche che permettono il sostentamento e la riproduzione. È infatti noto che in un anno di abbondante fruttificazione delle piante (abbondanza di frutti silvestri come ghiande, castagne, faggiole, ecc.) il peso dei cinghiali è maggiore di quello di annate di scarsa produzione dovuta, ad esempio, a siccità o pioggia incessante[3].
Non solo, è dimostrato che una diminuita produzione di ghiande provoca un netto regresso dell’attività ovarica nelle femmine di cinghiale e ne diminuisce notevolmente il successo riproduttivo (Matschke, 1964[4]; Henry, 1968[5]; Aumaitre et al., 1984[6]) che, secondo studi condotti da Stefano Focardi e Silvano Toso, passa da 3,02-5,21 piccoli per femmina, negli anni di abbondante fruttificazione delle piante, a 0,4 piccoli per femmina negli anni di penuria[7].
Se gli alimenti reperibili nel bosco sono insufficienti la dieta del cinghiale si orienta verso le produzioni agricole: cereali, leguminose, girasole, patata, barbabietola, uva[8].
È provato che il bosco, poiché offre anche protezione e rifugio, è un habitat che, in presenza di produzione sufficiente di frutti silvestri, è frequentato dal cinghiale in maniera quasi esclusiva.
In altre parole esiste un rapporto inversamente proporzionale tra disponibilità di alimenti nel bosco quali ghiande, castagne, faggiole, bacche, mele, pere, nespole, ciliegie selvatiche ecc. e frequentazione delle colture agrarie (Bratton, 1975[9]; Vassant e Breton, 1986[10]).
Adattato da: Massei G., S. Toso, 1993, – Biologia e gestione del Cinghiale. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 5.
Questo spiega perché il successo delle catture di cinghiali con mezzi appositi (chiusini e recinti) è strettamente dipendente dalla stagione: quando c’è una buona offerta alimentare naturale crolla il numero delle catture perché i cinghiali tendono a frequentare esclusivamente il bosco[11]. Infatti le catture registrano i valori minimi durante i mesi di ottobre e di novembre quando la disponibilità di faggiole, castagne e ghiande è massima, rendendo inefficace l’esca (mais) utilizzata per attrarre gli animali all’interno dei recinti[12].
Cosa ci dice l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale?
In risposta al Coordinatore regionale veneto del Gruppo d’Intervento Giuridico, Manuel Zanella, e in riferimento alla popolazione di cinghiale nel Parco Regionale dei Colli Euganei, ISPRA scrive testualmente:
« L’attività di controllo è finalizzata alla riduzione degli impatti della specie e non necessariamente alla drastica riduzione delle densità della popolazione. Pertanto l’efficacia del Piano di gestione dell’Ente dovrebbe essere valutata sulla base del contenimento degli impatti causati dal Cinghiale e del conseguente conflitto sociale, piuttosto che della riduzione della densità. »
La produzione di ghiande e faggiole – che gli studi dimostrano essere in grado di tenere i cinghiali distanti dai coltivi – inizia ad essere abbondante quando le piante hanno 40-50 anni ed è massima a 80-120 anni (Leaper et al. 1999[13]). Viene quindi da chiedersi come sia stata permessa, per due anni consecutivi (2015-2016), la razzia di sanissime querce a Torreglia (PD)[14], proprio nel Parco Naturale dei Colli Euganei, come da documentazione fotografica schiacciante:
Inoltre, se l’obbiettivo è la riduzione degli impatti sulle colture agricole, allora anche il cosiddetto “foraggiamento dissuasivo” torna ad avere un ruolo, per quanto marginale.
Si tratta di una tecnica di prevenzione indiretta del danno ai coltivi che consiste nella somministrazione (in bosco) di cibo alternativo a quello offerto dalle piante coltivate, tenendo conto sia dei tempi di maturazione delle colture a rischio sia delle disponibilità naturali in foresta. È uno strumento che va utilizzato con parsimonia per brevi periodi concomitanti con la presenza di colture a rischio[15]. Un’altra possibilità ancora è quella delle colture “a perdere” (semina di un appezzamento o di una fascia di terreno con piante appetite degli animali) posizionate all’interno o ai margini del bosco in modo da favorirne la frequentazione da parte dei cinghiali. Ne parliamo indirettamente anche qui: https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/07/13/dare-di-piu-o-togliere-di-meno-i-miglioramenti-ambientali-a-fini-faunistici/.
Il foraggiamento artificiale in punti strategici non è da scartare per la prevenzione degli impatti sulle colture. Come riportato dal Prof. Carlo Consiglio, professore di Zoologia all’Università di Roma (La Sapienza), nel suo articolo “Occorre abbattere i cinghiali per limitarne i danni?” apparso sul giornale on-line Fanpage[16]: « A Puechabon in Francia meridionale la distribuzione di mais a scopo dissuasivo ha permesso di ridurre i danni arrecati dai cinghiali alle vigne, permettendo di risparmiare più del 60% degli indennizzi corrisposti agli agricoltori[17]. » e ancora « Reimoser & Putman osservano… che il solo controllo del numero degli ungulati può non essere efficace per ottenere una riduzione del danno e che occorre esplorare approcci alternativi quali recinzioni, foraggiamenti, metodi culturali, ed altri[18].»
A proposito di recinzioni…
Non esiste solo il controllo diretto (catture e abbattimenti) ma anche il controllo indiretto (prevenzione): recinzioni elettriche e meccaniche e foraggiamento sostitutivo (in minima parte) di cui abbiamo parlato poco fa. La rete elettrosaldata è un esempio economico di recinzione meccanica. Se ben realizzata ha efficacia del 100% nel proteggere appezzamenti con colture, ma crea problemi di biopermeabilità (possibilità di attraversamento del territorio da parte della fauna)[19] e di estetica (vincoli paesaggistici), anche se è possibile attenuare l’impatto visivo con delle piante: es. piante rampicanti oppure siepi campestri miste. Molto meglio delle recinzioni metalliche sono le recinzioni elettriche costituite principalmente da un elettrificatore, cavi dove passa la corrente, pali di sostegno e isolatori[20]. Il Prof. Andrea Marsan dell’Università di Genova è uno dei più noti esperti operanti in Italia sulle tecniche di prevenzione dei danni prodotti dal cinghiale.
Si possono realizzare sia recinzioni individuali (proteggono appezzamenti di terreno di dimensioni contenute) sia recinzioni comprensoriali (a protezione di aree di notevole estensione).
Nel Parco Nazionale delle Cinque Terre Marsan ha realizzato una recinzione comprensoriale di perimetro elettrificato di circa 7500 metri che chiude un’area di circa 500 ettari. Costo complessivo dell’impianto? 6.636 euro[21]!
E per recinzioni individuali? Marsan fornisce caratteristiche tecniche e costi del materiale utilizzato:
Tratto da: Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
Ponendo i fili ad un’altezza di 25 e 50 cm dal suolo (con ogni accortezza del caso) si evitano le intrusioni dei cinghiali e un buon materiale è rappresentato da una treccia di nylon che avvolge parzialmente conduttori di rame e acciaio[22]. Per terreni agricoli molto asciutti si consiglia di utilizzare un terzo filo. In questo caso le altezze consigliate per i tre fili sono 10, 30 e 60 cm[23].
Il Prof. Andrea Marsan ha sperimentato oltre cento recinzioni elettrificate di diverse dimensioni (da 200 m a 7 km di lunghezza) e in differenti situazioni ambientali. Gli impianti hanno ridotto le perdite di raccolto ad un valore compreso tra 0 e 5% (Marsan, ined.)[24].
Ma quanti enti ed amministrazioni provinciali adottano misure di prevenzione dei danni da Ungulati in Italia? Le informazioni sono come sempre lacunose o addirittura mancanti ma « Il campione disponibile per l’analisi delle cifre investite per la prevenzione è composto da 78 diversi enti tra cui province, enti parco (nazionali e regionali) e ATC (Ambiti Territoriali Caccia ndr). Di questi, 27 (pari al 35%) hanno intrapreso azioni di prevenzione dei danni (Fig. 74), ma solo 17 dispongono dell’informazione relativa alla cifra investita. Dei restanti 51 enti, 39 (pari al 76%), pur denunciando episodi dannosi, non ricorre ad alcuna delle tecniche attualmente disponibili per la prevenzione del danno. » (Carnevali et al., 2009)[25].
Fonte: Carnevali et al., 2009[26]
Dato il costo assai ridotto delle recinzioni elettriche, considerata l’efficacia comprovata di queste nel difendere i coltivi e preso atto che la gran parte delle amministrazioni provinciali e degli enti non adotta alcuna misura di prevenzione dei danni da cinghiali (Il Parco Colli Euganei non fa eccezione), qual è il senso che Coldiretti, Confederazione italiana agricoltori e altre organizzazione di imprenditori agricoli continuino a invocare (invano) un’inarrivabile eradicazione del cinghiale invece di convincere i propri associati a dotarsi al più presto di recinzioni elettriche?
Qual è il senso di lamentare, ogni anno, tutti gli anni, decine e centinaia di migliaia di euro di danni[27], senza investire in modo adeguato nella prevenzione di questi?
Qual è il senso dei cannoni a gas[28] dopo che la letteratura scientifica ha già dimostrato da decenni che gli animali vanno incontro ad assuefazione in brevissimo tempo, annullando l’efficacia dei mezzi di dissuasione[29]?
E perché la Regione Veneto, la Provincia di Padova e l’Ente Parco, in più di vent’anni di presenza del cinghiale sui Colli Euganei, non hanno ancora pensato di dotare l’area protetta di una nuova figura di tecnico in grado di affiancare alla funzione peritale quella di consulenza agronomica per la prevenzione dei danni alle colture non improvvisata ma supportata da un solido approccio tecnico?[30] Se ci fosse, magari non ci sarebbero i cannoni a gas e ci sarebbero le recinzioni elettriche!
Le recinzioni elettriche funzionano se l’installazione è corretta e la manutenzione e il monitoraggio sono costanti: due o tre tagli dell’erba all’anno, misura della corrente un paio di volte la settimana, saltuaria ispezione del perimetro e, per la coltivazione della vite (potenzialmente danneggiata tra luglio, agosto e settembre), attivazione della recinzione elettrica già nel mese di marzo per abituare i cinghiali a non entrare più nel terreno. Queste cose un bravo tecnico come Andrea Marsan le sa e i risultati arrivano!
Nel 1967 gli ecologi Robert MacArthur (Università della Pennsylvania), Edward Osborne Wilson (Università di Harvard) e più tardi (1970) Eric Rodger Pianka (Università del Texas) hanno sviluppato il concetto di selezione “r” e di selezione “K”. Secondo questa teoria il ciclo biologico di una specie è il prodotto dell’evoluzione e riflette le condizioni ambientali prevalenti entro cui la selezione naturale ha agito.
Le specie r-strateghe sono quelle adattate ad habitat imprevedibili e variabili: hanno un accrescimento rapido, alta resilienza alle perturbazioni (capacità di rigenerazione e ricolonizzazione di aree distrutte), sono ottime pioniere (scoprono subito il nuovo habitat e si disperdono rapidamente alla ricerca di ambienti di nuova formazione), hanno elevati tassi riproduttivi in presenza di basse densità di popolazione, sviluppo demografico rapido, breve durata di vita, taglia corporea relativamente piccola, prole numerosa e assenza di cure parentali.[31] Esempi? Il taràssaco (Taraxacum officinale).
Le specie K-strateghe, invece, hanno un accrescimento lento, alta resistenza alle perturbazioni (sopportano i cambiamenti), sono meglio adattate a comunità mature che troviamo in habitat costanti o prevedibilmente stagionali (come una foresta che non è stata tagliata o incendiata), hanno un tasso di crescita lento, riproduzione piuttosto tardiva, individui longevi, producono pochi semi o giovani e forniscono cure parentali.[32] Esempi? L’uomo.
Tuttavia, poiché le specie K-strateghe vivono in ambienti duraturi e stabili presentano spesso un’elevata densità di popolazione che aumenta la competizione intraspecifica (tra individui della stessa specie) e che rende necessaria un’alta capacità competitiva per occupare e difendere un tratto di ambiente. Il tasso di sopravvivenza e di fecondità degli adulti è determinato dalla forte competizione tra gli adulti stessi e in questo ambiente affollato anche la prole è costretta a competere!
E il cinghiale che strategia adotta?
Secondo alcuni autori, considerato l’elevato potenziale riproduttivo e l’alta mortalità dei piccoli, il cinghiale adotta una strategia di tipo “r”[33], contrariamente a quasi tutti gli altri Ungulati. In un anno di buona disponibilità alimentare una popolazione di cinghiale può raddoppiare o triplicare (Briedermann, 1986[34]) e, sempre a seconda delle disponibilità alimentari, ogni figliata può essere costituita in media da 3-6 piccoli. Una percentuale variabile di giovani femmine di 6-9 mesi e di subadulte, inoltre, può anticipare la pubertà e partecipare già alla riproduzione[35].
Questo sembra effettivamente collocare il cinghiale tra le specie r-strateghe. Però, come riportato da Marsan e Mattioli[36], le femmine di cinghiale costruiscono un nido (rami, erba, foglie) e fanno cure parentali intense, con grande investimento energetico (allattamento, sorveglianza dai predatori come la volpe o grandi rapaci, ecc.), al punto che il tasso di mortalità femminile è uguale a quello maschile (Toïgo et al., 2008[37]). I maschi, dal canto loro, sono spinti ad abbandonare la madre all’età di 9-12 mesi, ad evitare contatti con i maschi adulti, a procurarsi il cibo da soli o riuniti in piccole bande di maschi coetanei e infine, divenuti solenghi (conducono vita solitaria), devono competere tra loro (ferite, botte e dimagrimento) per l’accesso alle femmine.
Le giovani femmine invece si aggregano alla loro madre (gruppo matriarcale) e si posizionano ad un basso livello gerarchico che ne subordina l’accesso alle risorse alimentari.
È quindi evidente che la vita dei cinghiali è caratterizzata da un’elevata competizione intraspecifica (perfino i lattonzoli competono per i capezzoli più ricchi di latte![38]), tipica di specie K-strateghe!
Al contempo però c’è anche una grande solidarietà: se una madre muore o viene uccisa, altre femmine dello stesso gruppo adottano gli orfani (Delcroix et al., 1985[39]).
Chi invece non provvede alle cure parentali è il maschio dominante, è cioè quello più grande, più forte e combattivo, l’unico ad avere accesso alle femmine (nei cinghiali c’è poliginia = più femmine per un solo maschio)[40]. Il maschio dominante, quando sale il livello di testosterone nel sangue, diventa aggressivo con gli altri maschi, bagna la vegetazione con la saliva e usa la ghiandola prepuziale.
Nella stagione degli amori maschi e femmine, che vivono separati, tornano a contattarsi.
Ma esiste anche l’equivalente femminile del verro dominante: la scrofa dominante (matriarca).
Non è quindi sufficiente raggiungere la maturità sessuale fisiologica per potersi riprodurre, ma deve sussistere anche la maturità riproduttiva comportamentale (!), condizionata anche da feromoni: sostanze chimiche rilasciate dagli animali che influenzano il comportamento di altri individui della stessa specie[41].
E questo spiega perché una femmina di cinghiale, nonostante possa essere già fertile alla precoce età di 6-9 mesi, in condizioni normali si accoppierà non prima dei 2 anni (controllo chimico e comportamentale delle femmine adulte).
Abbiamo appena visto che il cinghiale è un animale sociale. Come interviene la caccia?
Il Dott. Marlène Gamelon, assieme ad altri studiosi, ha condotto uno studio di lungo periodo (22 anni) nel Dipartimento francese della Haute-Marne, studiando una popolazione di cinghiali sottoposta ad elevata pressione venatoria (Gamelon et al., 2011[42]). Lo studio ha dimostrato che la caccia determina un anticipo della maturità sessuale nelle femmine le quali raggiungono la pubertà già entro il primo anno di vita.
In pratica la forte pressione venatoria riduce le femmine adulte nella popolazione e, per contro, richiama alla riproduzione precoce le femmine giovani e subadulte! E poiché gli elevati tassi di natalità del cinghiale sono dovuti anche al contributo delle giovani femmine che riescono ad accedere alla riproduzione, appare evidente che la caccia finisce per favorire un incremento della riproduzione che a sua volta dà una spinta demografica che consente il ripristino dei numeri in poco tempo. Anche il Biologo Marco Moretti, che ha svolto studi sui cinghiali del Canton Ticino, in Svizzera, ha osservato femmine che si riproducono già nel primo anno di vita in una popolazione cacciata[43].
La caccia provoca uccisioni di scrofe e verri dominanti, disgregazione sociale e della parentela, riorganizzazioni gerarchiche nei branchi e nella popolazione, e quindi relazioni sociali disordinate.
Venuto meno il controllo chimico (feromoni) e comportamentale degli adulti dominanti, giovani e subadulti possono quindi partecipare alla riproduzione (spinta demografica).
Se al quadro sopra descritto aggiungiamo che con la caccia aumentano spazio e risorse alimentari pro capite per gli animali superstiti il risultato è quello descritto dal grafico qui sotto: recupero di tutte le perdite in tempi brevi.
Adattato da: SMITH T. M., SMITH R. L., 2013 – Elementi di Ecologia. Ottava edizione a cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini, Pearson Italia, Milano – Torino.
E, a proposito di riduzione degli impatti sulle colture (quelli su cui ISPRA suggerisce di concentrarsi): « Un aspetto che però viene spesso trascurato è che il cinghiale preferisce in larga misura alimentarsi con alimenti naturali in ambienti di macchia o forestali e che si rivolge alle colture agrarie solo se non trova fonti trofiche naturali. Questo comportamento è tanto più vero quanto più ci si trovi in presenza di popolazioni ben strutturate, costituite cioè da animali adulti dotati di esperienza nella ricerca del cibo e buoni conoscitori del territorio in cui vivono; popolazioni destrutturate con un eccesso di individui giovani sono al contrario quelle che determinano un impatto più elevato a cause degli eccessivi erratismi degli animali poco esperti.[44]» Queste le parole del Tecnico Faunista Sandro Nicoloso e di Giovanna De Stefani, collaboratrice di Veneto Agricoltura.
La conclusione di questo lunga esposizione è che la caccia, sia svolta come controllo (Ente Parco) che come prelievo venatorio (cacciatori), non solo non è in grado di impedire i danni dei cinghiali all’agricoltura, ma rappresenta una causa dei danni stessi.
Come si esce da questo circolo vizioso?
- Recinzioni elettriche
- Consulente tecnico dell’area protetta per la prevenzione dei danni alle colture
- Pratiche colturali in grado di ridurre il rischio di danno da parte della fauna selvatica
- Colture “a perdere” o foraggiamento dissuasivo (con cautela e solo in casi necessari)
Telecontraccezione con vaccino immuno-contraccettivo (da sostituire nel tempo con la somministrazione orale). Ne parliamo lungamente qui: https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/10/27/la-scienziata-giovanna-massei-disponibile-a-lavorare-con-cinghiali-e-daini-per-i-colli-euganei/. Per chi critica la permanenza degli animali poiché il vaccino non li uccide, si tenga presente che i cinghiali raggiungono al massimo i 10-15 anni (Massei e Genov, 2000[45]) e che la caccia, come sopra argomentato, è un rimedio peggiore del male.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto
Coordinamento Protezionista Padovano
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[1] SMITH T. M., SMITH R. L., 2013 – Elementi di Ecologia. Ottava edizione a cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini, Pearson Italia, Milano – Torino.
[2] Massei G., S. Toso, 1993, – Biologia e gestione del Cinghiale. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 5.
[3] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[4] MATSCHKE G. H.,1964 – The influence of oak mast on european wild hog reproduction. Proc. Ann. Conf. Southest. Assoc. Game & Fish Commiss., 18: 35-39.
[5] HENRY V. G., 1968 – Lenght of estrous cycle and gestation in European wild hogs. J. Wildl. Manage., 32 (2): 406-408.
[6] AUMAITRE A., J. P. QUERE, J. PEINIAU, 1984 – Effect of environment on winter breeding and prolificacy of the wild sow. Symp. Internat. Sanglier, Toulouse: 69-78.
[7] Massei G., S. Toso, 1993, – Biologia e gestione del Cinghiale. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 5.
[8] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[9] BRATTON S. P., 1975 – The effect of the European wild boar Sus scrofa, on gray beech forest in the Great Smoky Mountains National Park. Ecology, 56: 1356-1366.
[10] VASSANT J., D. BRETON, 1986 – Essai de réduction de dégates de sangliers (Sus scrofa L.) sur blé (Triticum sativum) au stade laiteux par distribution de mais (Zea mais) en forèt. Gibier Faune Sauvage, 3: 83-95.
[11] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[12] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[13] LEAPER R., MASSEI G., GORMAN M.L., ASPINALL R., 1999 – The feasibility of reintroducing wild boars to Scotland. Mammal Review 29: 239-259.
[14] https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2015/02/23/addio-bosco-natio/, https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/02/24/i-boschi-dei-colli-euganei-come-la-foresta-del-marganai-boga-sogu-a-unu-zurpu/
[15] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[16] http://autori.fanpage.it/occorre-abbattere-i-cinghiali-per-limitarne-i-danni/
[17] Calenge C., D. Maillard, P. Fournier & C. Fouque 2004. Efficiency of spreading maize in the garrigues to reduce wild boar (Sus scrofa) damage to Mediterranean vineyards. Eur. J. Wildl. Res. 50: 112-120.
[18] Reimoser F. & R. Putman 2011. Impacts of wild ungulates on vegetation: costs and benefits. In: R. Putman, M. Apollonio & R. Andersen, Ungulate management in Europe: problems and practices, Cambridge University Press, Cambridge: 144-191.
[19] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[20] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[21] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[22] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[23] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[24] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[25] Lucilla Carnevali, Luca Pedrotti, Francesco Riga, Silvano Toso, 2009 – Banca Dati Ungulati: Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. Rapporto 2001-2005. Biol. Cons. Fauna, 117:1-168 [Italian-English text]
[26] Lucilla Carnevali, Luca Pedrotti, Francesco Riga, Silvano Toso, 2009 – Banca Dati Ungulati: Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. Rapporto 2001-2005. Biol. Cons. Fauna, 117:1-168 [Italian-English text
[27] http://www.padova.coldiretti.it/da-cinghiali-nutrie-co-danni-per-centinaia-di-migliaia-di-euro-l-anno.aspx?KeyPub=GP_CD_PADOVA_HOME%7CCD_PADOVA_HOME&Cod_Oggetto=72162331&subskintype=Detail
[28] http://www.ilgazzettino.it/nordest/padova/colli_euganei_cannoni_cinghiali_danni-1944400.html
[29] Massei G., S. Toso, 1993, – Biologia e gestione del Cinghiale. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 5.
[30] Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
[31] SMITH T. M., SMITH R. L., 2013 – Elementi di Ecologia. Ottava edizione a cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini, Pearson Italia, Milano – Torino.
[32] SMITH T. M., SMITH R. L., 2013 – Elementi di Ecologia. Ottava edizione a cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini, Pearson Italia, Milano – Torino.
[33]Boitani L., P. Trapanese, L. Mattei & D. Nonis 1995. Demography of a wild boar (Sus scrofa L.) population in Tuscany, Italy. Gibier faune sauvage 12 (2): 109-132.
Massei G., S. Toso, 1993, – Biologia e gestione del Cinghiale. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 5.
[34] BRIEDERMANN L., 1986 – Schwarzwild. VEB, Berlin.
[35] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[36] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[37] TOÏGO C., SERVANTY S., GAILLARD J.-M., BRANDT S., BAUBET E., 2008 – Disentangling natural from hunting mortality in an intensively hunted wild boar population. Journal of Wildlife Management 72: 1532-1539
[38] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[39] DELCROIX I., SIGNORET G.P., MAUGET R., 1985 – L’élevage en commun des jeunes au sein du groupe social chez le saglier. Journées de la Recherche Porcine en France 17: 167-174.
[40] MARSAN A., MATTIOLI S., 2013 – Il Cinghiale. Il Piviere Edizioni.
[41] SMITH T. M., SMITH R. L., 2013 – Elementi di Ecologia. Ottava edizione a cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini, Pearson Italia, Milano – Torino.
[42] GAMELON M., BESNARD A., GAILLARD J.-M.,SERVANTY S., BAUBET E., BRANDT S., GIMENEZ O., 2011 – High hunting pressure selects for earlier birth date: wild boar as a case study. Evolution 65: 3100-3112.
[43] MORETTI M. 1995. Birth distribution, structure and dynamics of a hunted mountain population of wild boars (Sus scrofa L.), Ticino, Switzerland. Ibex 3: 192-196.
[44] Nicoloso S.,De Stefani G. (2005) – Il Cinghiale. Problematiche gestionali e prevenzione dell’impatto sulle attività antropiche. RegioneVeneto.
[45] MASSEI G., GENOV P., 2000 – Il cinghiale. Calderini Edagricole, Bologna.
(foto da http://www.fotografia.deagostinipassion.com, Cristiana Verazza, L.A.C., S.D., archivio GrIG)
