Vale la pena di correre dei rischi solcando aree colpite più volte negli anni recenti da terremoti devastanti?”
E’ la domanda semplice, diretta, devastante proprio come un terremoto che pone la penna magistrale di Gian Antonio Stella su Sette, il magazine de Il Corriere della Sera (2 settembre 2016) in relazione al progetto denominato gasdotto “Rete Adriatica”, noto anche come “gasdotto appenninico”, opera che, nella sua attuale configurazione, riuscirebbe a unire lo scempio ambientale della dorsale dell’Appennino con l’aumento del pericolo per l’incolumità pubblica a causa del rischio sismico fra i più elevati in Italia per giunta con l’esborso di ingenti fondi pubblici.
Infatti, la “grande opera” d’interesse privato ma di finanziamento pubblico determinerebbe – per il suo folle tracciato – un vero e proprio disastro ambientale (interseca pesantemente ben 3 parchi nazionali, 1 parco naturale regionale, 21 fra siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale) ed economico-sociale (basti pensare ai danni alle zone turistiche umbre e marchigiane, nonché alle pregiate tartufaie appenniniche), senza contare il gravissimo pericolo determinato dall’interessare numerose aree in zona sismica “1”, nel tratti abruzzese, umbro, laziale e marchigiano, alcune fra le zone maggiormente a rischio sismico d’Italia.
L’abbiamo evidenziato in tutti i modi, ancor più dopo il tragico terremoto del 24 agosto scorso, abbiamo esperito tutti i rimedi giudiziari consentiti.
Dobbiamo metter insieme ferri di cavallo, corna di bue, l’ottimo aglio di Sulmona oppure esiste ancora uno straccio di buon senso in questo benedetto Bel Paese?
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
(simulazione Studio Newton – Fano, foto S.L., archivio GrIG)
