anche su Il Manifesto Sardo (“Il condono edilizio abusivo della Regione Sardegna“), n. 214, 1 maggio 2016
Quanto sta emergendo in questi giorni riguardo l’attività svolta dagli uffici della Regione autonoma della Sardegna in materia di condono di abusi edilizi realizzati in aree tutelate con il vincolo paesaggistico ha del surreale.
Non solo. E’ di una gravità senza precedenti nell’ambito della tutela dell’ambiente/paesaggio e difficilmente rimarrà senza conseguenze.
Ville, villette, addirittura impianti industriali, abusi edilizi piccoli e grandi sanati con una procedura illegittima e “abusiva”. Con quattro soldi è stato possibile recuperare la verginità urbanistico-paesaggistica.
Come noto, l’ultima, nefasta, operazione normativa di condono edilizio ha visto la luce con il decreto-legge n. 269/2003 convertito con modificazioni nella legge n. 326/2003, che (art. 32) prevede la possibilità di ottenimento del titolo abilitativo in sanatoria in aree tutelate con vincolo paesaggistico/ambientale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) solo previo parere di compatibilità paesaggistica.
In ogni caso, “le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora … siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (art. 32, comma 27°, lettera d, della legge n. 326/2003). La disposizione è stata ripresa dalla legge regionale Sardegna n. 4/2004 (art. 2, comma 1°, lettera e)[1], con però la previsione della possibilità del rilascio della concessione in sanatoria “acquisito il nullaosta da parte del soggetto che ha imposto il vincolo” di natura ambientale.
La circolare assessoriale n. 2/U del 9 giugno 2004 diede un’interpretazione estensiva della materia, in palese contrasto con la normativa nazionale, con la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 49/2006, Corte cost. n. 70/2005, Corte cost. n. 71/2005, Corte cost. n. 196/2004) e con la giurisprudenza di legittimità e di merito. Lo ricordava, correttamente, lo stesso Ufficio Legale della Regione autonoma della Sardegna con uno specifico parere (nota n. L/5735 del 22 dicembre 2006) e l’ha ribadito l’attuale Direzione generale Area legale con analogo parere (nota n. 2657 del 27 marzo 2015).
Eppure per oltre dieci anni i Servizi regionali di tutela paesaggistica hanno continuato a emanare pareri paesaggistici per la sanatoria di opere abusive in aree tutelate con vincoli ambientali senza nemmeno inviarli alle competenti Soprintendenze, gli organi periferici del Ministero per i Beni e Attività Culturali e il Turismo, titolari dei poteri di controllo e di eventuale annullamento “ad estrema difesa del vincolo”, come riconosciuto dalla giurisprudenza costante (es. Cons. Stato, Sez. VI, 29 marzo 2013, n. 1843).
Analogamente si sono comportati per gli accertamenti di compatibilità paesaggistica in caso di riscontro di opere abusive da sanzionare ai sensi dell’art. 167 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.
Solo nel 2015 la Direzione generale regionale per la Pianificazione urbanistico territoriale e della Vigilanza edilizia è corsa ai ripari, proponendo una modifica della procedura, accolta dal Consiglio regionale: l’art. 15 della legge regionale Sardegna n. 8/2015 e dando indicazioni conseguenti ai Servizi regionali di tutela paesaggistica (nota n. 21404/DG del 13 maggio 2015), che, a dir il vero, hanno impiegato del tempo per metabolizzare la novità: per esempio, il Servizio regionale di tutela paesaggistica di Cagliari ha provveduto solo a luglio 2015 inoltrato (ordine di servizio n. 1/2015 del 22 luglio 2015), riconoscendo che “la procedura finora seguita dal Servizio si discosta da tali principi”.
Nel mentre, a fine maggio 2015, emanava, per esempio, il parere paesaggistico (determinazione n. 1474 del 27 maggio 2015) con annessa sanzione (solo 270 mila euro) per il titolo abilitativo in sanatoria per la parte abusiva del complesso industriale ex Polimeri Europa-Versalis e oggi Saras a Sarroch (CA).
Nel settembre 2015 il nuovo Soprintendente per le Belle Arti e il Paesaggio di Cagliari Fausto Martino ha preteso che fossero rispettate le competenze in materia di controllo paesaggistico da parte dell’organo statale periferico, suscitando la reazione dell’on. Pierpaolo Vargiu, esponente del centro-sinistra a Roma ed esponente del centro-destra a Cagliari, che ha effettuato un’interrogazione parlamentare in proposito. L’ondivago parlamentare riceverà a breve la risposta da parte del Ministero competente.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari riceverà, invece, una segnalazione dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus per tutte le attività di competenza sull’incredibile decennale condono edilizio abusivo della Regione autonoma della Sardegna. In numerose occasioni il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha sollecitato le strutture regionali per la ripresa delle attività di demolizione degli abusi edilizi e ripristino ambientale, interrotte dal 1994. Finora invano.
Last but not least, l’opinione pubblica deve ringraziare quei giornalisti che hanno lavorato con determinazione sulla cosa: Pablo Sole, per Sardinia Post, e Mauro Lissia, per La Nuova Sardegna. E, naturalmente, quei funzionari pubblici che fanno il loro dovere per difendere il nostro paesaggio.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
qui le determinazioni adottate in materia di tutela del paesaggio nelle Province di Cagliari e Carbonia Iglesias nel 2015.
da Sardinia Post, 28 aprile 2016
Cemento sulle coste, Regione choc: “Abbiamo sanato in maniera illegittima”. (Pablo Sole)
“Scusate, abbiamo scherzato. Dice l’ufficio legale della Regione che dobbiamo rispettare le norme, perfino quelle nazionali. Pare quindi che non potessimo sanare, come abbiamo regolarmente fatto finora, le centinaia di metri cubi di cemento che privati e società hanno riversato sulle coste. Nemmanco facendo pagare le due lire di sanzione che abbiamo sempre irrogato. Poi, dice sempre l’avvocatura regionale che avremmo dovuto chiedere il parere vincolante della Sovrintendenza ai beni paesaggistici: ce ne siamo scordati. Ma da oggi basta, si cambia: applicheremo le leggi”.
Ecco cosa vien fuori a tradurre dal burocratese l’ordine di servizio (leggi) che il 15 luglio 2015 Alessandro Pusceddu, direttore del Servizio tutela paesaggistica di Cagliari e Carbonia-Iglesias, trasmette agli uffici. È un documento dirompente, un’ammissione di colpa che alza il velo su anni e anni di abusi sanati senza colpo ferire. Da Carloforte a Muravera: tutto consentito. Sulle coste il cemento, nelle casse della Regione qualche euro: fatti salvi un paio di casi, per l’ufficio tutela del paesaggio le colate di cemento non hanno mai causato alcun danno (in caso contrario: o sarebbero arrivate le ruspe, o il conto sarebbe stato ben più salato) e quindi con pochi spiccioli il discorso è chiuso. Lo testimonia il ‘prezziario’ applicato con grande benevolenza a chi, aggrappandosi ai vari condoni e al buon cuore degli uffici regionali, ha costruito in area vincolata di tutto un po’: piscine, immobili nuovi di pacca e perfino capannoni industriali.
Il parere dell’area legale citato da Pusceddu è del 27 marzo 2015 (leggi) ed è stato secretato in vista di potenziali contenziosi. Per due mesi non accade nulla: il documento viene trasmesso agli uffici dal Dg della Pianificazione urbanistica Elisabetta Neroni solo il 13 maggio. Ma servono ancora sessanta giorni perché in viale Trieste si accorgano dell’esistenza di quel documento, quando Pusceddu firma appunto l’ordine di servizio e tra le altre cose scrive, quasi fosse un principio sconosciuto caduto improvvisamente dal cielo: “Dalla lettura del parere […] emerge che la Regione non può derogare alle norme procedimentali stabilite dalla legislazione nazionale in materie di competenza esclusiva dello Stato, quali il paesaggio”. Da qui, poche righe dopo, l’incredibile ammissione: “La procedura finora seguita dal Servizio si discosta da tali principi”. Una brevissima frase dalla portata sconcertante, anche perché Pusceddu è a capo del Servizio tutela da oltre quattro anni e mezzo (nonostante il Piano anticorruzione della Regione consideri quella posizione ad alto rischio e quindi imponga che il dirigente venga sostituito ogni tre anni).
C’è poi un ulteriore elemento che lascia esterrefatti: è dal 2006 che l’ufficio legale della Regione tenta di far capire al Servizio tutela che sanare cubature e altri abusi diversi dal semplice restauro conservativo nelle aree vincolate, è semplicemente illegittimo. Lo scriveva appena dieci anni fa l’avvocato Graziano Campus (leggi), citando non solo la Corte Costituzionale ma anche diverse sentenza emesse l’anno prima dalla Corte d’appello di Cagliari e l’ha ribadito nel marzo dello scorso anno il direttore generale dell’area legale Sandra Trincas: le opere non sono sanabili, il ministero può annullare l’autorizzazione e il parere della Sovrintendenza è vincolante. Tutto chiaro? Non proprio, visto che poche settimane dopo Alessandro Pusceddu firma la sanatoria nientemeno che per il petrolchimico Eni di Sarroch. Abusivo, chiaramente.
Basta pagare (una miseria) e dalla Regione arriva l’ok che sana il cemento sulle coste.
In Regione è come se avessero abolito il Servizio tutela del paesaggio. Nessuno se n’era accorto, eccezion fatta per gli aficionados degli abusi edilizi. Gli uffici che in teoria avrebbero il compito di preservare le coste e le zone vincolate dal cemento e dalle speculazioni, negli ultimi tempi hanno firmato svariati nullaosta, senza riscontrare alcun danno ai beni ‘tutelati’. E vista l’entità irrisoria delle sanzioni emesse, in Sardegna il prezzo di una sanatoria è parecchio competitivo.
Piscine e seminterrati, ma anche intere villette, bagni, verande e perfino capannoni industriali: a scorrere la lista delle autorizzazioni in sanatoria firmate nel solo 2015 (guarda), si stenta a credere che il settore dell’edilizia sia in crisi.
Qualche esempio? A Carloforte, condonare una piscina dopo aver pure ampliato la casetta al mare costa 555 euro. A quel punto conviene realizzare due immobili ex novo. Ed è proprio quel che ha fatto, sempre sull’Isola di San Pietro, un intrepido signore che grazie al condono del 2003 ha sanato “due immobili residenziali” con appena 1.643 euro. Più economica Villasimius: per incrementare la cubatura di una casa entro i 300 metri dal mare – zona che sulla carta dovrebbe essere semplicemente intoccabile – basta staccare un assegno di ben 258 euro. A Castiadas per un ampliamento volano via 348 euro, a Torre delle Stelle circa 854. Dipende chiaramente dall’entità dell’intervento. Che però, secondo le norme, è pacificamente vietato.
L’exploit più significativo però lo si ha a probabilmente Capoterra, dove l’ufficio tutela è riuscito a condonare senza riscontrare alcun danno “due capannoni industriali con annessi uffici”, sempre in area vincolata. La domanda di sanatoria è stata presentata a valere sul condono del 1985 e la società proprietaria se l’è cavata pagando l’esosa sanzione di 285 euro.
La formuletta usata dai prodighi dirigenti e funzionari dell’ufficio tutela è sempre la solita: viste le carte,non si ritiene che l’intervento “abbia arrecato pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati dal vincolo e che le opere eseguite non abbiano alterato negativamente le caratteristiche paesaggistiche dei luoghi circostanti”. È la frase rituale riportata in quasi tutti gli atti di sanatoria, ed è grazie a questo mantra che le sanzioni comminate per risolvere la questione sono semplicemente ridicole. Perché se gli uffici avessero riscontrato un danno – quello cioè che a rigor di logica dovrebbe sempre o quasi derivare da un abuso edilizio in area vincolata – sarebbero entrate in azione le ruspe o, quanto meno, i conti in banca dei Signori del cemento sarebbero stati prosciugati a suon di multe di migliaia e migliaia di euro.
A parte il danno-fantasma poi, a minare la legittimità della maggior parte dei nullaosta accordati dalla Regione c’è un piccolo problema: il condono Berlusconi del 2003 non permette di sanare nuove cubature nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, come invece hanno fatto in viale Trieste. E non è mica una novità: gli uffici lo sanno almeno dal 2006 e una rinfrescata è stata data per l’ennesima volta nel marzo dello scorso anno, tanto che il direttore del servizio tutela Alessandro Pusceddu alla fine ha ammesso che l’iter seguito dagli uffici “si discostava” dalle norme. Nel frattempo però, nessuno ha pensato di chiedergli conto e congelare in autotutela le pratiche al vaglio della Regione.
Infine, ci sarebbe un altro banalissimo particolare: nelle zone tutelate, il via libera è sempre subordinato al parere della Sovrintendenza ai beni paesaggistici. All’Ufficio tutela sapevano anche questo. Non risulta però che negli ultimi dieci anni, qualcuno si sia preso la briga di interpellare i vertici di via Cesare Battisti.
A onor di cronaca però, la Regione in alcuni casi è stata inflessibile. Ad esempio, non ha battuto ciglio nel negare l’autorizzazione ad una coppia di Villamassargia che aveva intenzione di installare un impianto fotovoltaico sul tetto di casa. “L’abitazione è in centro storico, quindi niente da fare”, ha fatto sapere l’ufficio tutela. D’altronde, mica volevano colare cemento.
da La Nuova Sardegna, 28 aprile 2016
Condoni edilizi: «Per undici anni violate le norme».
Il sovrintendente: la Regione ha agito illegittimamente Vargiu, Sc, aveva presentato una interrogazione al Mibac. (Mauro Lissia)
CAGLIARI. Fino all’estate 2015 la legge sul condono edilizio del 2003, varata dal governo Berlusconi, in Sardegna è stata applicata anche in aree tutelate dal vincolo paesaggistico, malgrado le norme dello Stato lo vietassero. Centinaia di sanatorie di abusi sono state concesse in aperto contrasto con la legge, con danni incalcolabili al paesaggio dell’isola. Responsabile di quello che appare come un omaggio ai costruttori abusivi sarebbe la Regione, che nell’applicare in modo estensivo il condono berlusconiano ha a lungo ignorato oltre che il Piano paesaggistico regionale e le norme di riferimento contenute nel Codice del paesaggio, tre sentenze emesse nel 2006 dalla sezione penale della Corte d’Appello di Cagliari, con le quali i giudici avevano confermato come nessun abuso edilizio possa essere sanato nelle aree protette dal vincolo paesaggistico. Quelle sentenze erano note agli uffici di viale Trento: a dimostrarlo è un parere sull’argomento firmato dall’ufficio legale della stessa Regione il 22 dicembre 2006, un parere nel quale le decisioni dei magistrati vengono citate espressamente. Quel parere è caduto nel vuoto, le domande di sanatoria considerate inammissibili dal consulente legale della Regione sono state comunque accolte negli anni successivi, in barba alle norme prevalenti: quelle dello Stato.
È Fausto Martino, il sovrintendente per le Belle arti e il paesaggio di Cagliari, Oristano e Ogliastra a denunciare quella che appare come una grave leggerezza commessa dagli uffici regionali nell’arco di quasi dodici anni di attività, fino a quando Martino – il 12 agosto 2015 – è stato nominato dirigente del paesaggio e ha messo fine a quella che appare come un’abbuffata di cemento illegale. Ed è una denuncia dagli effetti imprevedibili, perché si trova già nelle mani del Mibac – il ministero dei Beni culturali – cui due mesi fa si era rivolto il parlamentare Pierpaolo Vargiu per lamentare una sorta di eccesso di zelo da parte di Martino, «colpevole» di applicare nell’esame delle istanze e nelle pratiche di condono edilizio le norme restrittive dello Stato anzichè quelle, molto più larghe, approvate dalla Regione. Colpa che avrebbe provocato, a detta di Vargiu, danni economici alle imprese e confusione tra i cittadini.
La realtà, secondo il dirigente ministeriale, è del tutto diversa e viene illustrata in una lunga nota indirizzata al Mibac che servirà per rispondere all’interrogazione di Vargiu, una nota di cui la Nuova Sardegna ha potuto conoscere il contenuto. Prima di tutto la competenza: in base alla Costituzione è lo Stato a legiferare sul paesaggio e a garantirne la tutela. La conseguenza inevitabile è che qualsiasi norma sulla materia elaborata dalla Regione dev’essere in linea con le leggi statali. Quindi se il condono edilizio del 2003 aveva stabilito limiti e paletti, tra i quali la tutela delle aree vincolate, la Regione avrebbe dovuto rispettarli e non andare al di là di quanto lo Stato aveva concesso. Ma secondo Martino è accaduto proprio questo: gli uffici regionali hanno trattato le domande di condono applicando norme più permissive e comunque illegittime. Mentre il solo riferimento per stabilire la compatibilità paesaggistica degli interventi edilizi è il Piano paesaggistico regionale perché recepisce la legge dello Stato. Il Ppr – secondo Martino – è «il solo strumento direttamente investito dal legislatore statale nella funzione di contemperare l’obiettivo di un razionale sfruttamento del territorio con l’esigenza, non meno importante, che ciò avvenga in modo compatibile con la tutela di quella tipologia di beni paesaggistici». In altre parole: non sono ammesse deroghe al Ppr, quindi sanare un abuso edilizio in un’area tutelata dai vincoli del Ppr è un atto illegittimo. Ora
non resta che attendere la risposta ufficiale del Ministero al deputato Vargiu. Sarà l’ufficio legislativo del Mibac a valutare le osservazioni di Martino e a stabilire se il sovrintendente della Sardegna ha ragione o no e se quanto il dirigente ha esposto possa dar luogo ad altre iniziative.
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[1] “Non sono, comunque, suscettibili di sanatoria …
- e) le opere abusive che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere dei beni ambientali e paesistici, qualora non venga acquisito il nullaosta da parte del soggetto che ha imposto il vincolo, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Quartu S. Elena, demolizione abusi edilizi (1994). Ultima operazione di demolizione degli abusi edilizi effettuata dalla Regione autonoma della Sardegna
(foto S.D., archivio GrIG)
