
La Commissione europea in questi giorni ha aperto la procedura di infrazione n. 2021/2028 con una specifica lettera di messa in mora (art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE) per mancato completamento della designazione dei siti della Rete Natura 2000, in applicazione della normativa comunitaria per la salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali (direttiva n. 92/43/CEE) e della normativa comunitaria per la tutela dell’avifauna selvatica (direttiva n. 09/147/CE).
La Commissione europea, al termine di una lunga e complessa fase di accertamenti, ha deciso di contestare all’Italia la carente attività di individuazione di siti di importanza comunitaria (SIC), zone di protezione speciale (ZPS), zone speciali di conservazione (ZSC), perché “ai sensi della direttiva Habitat e della direttiva Uccelli, gli Stati membri hanno convenuto di sviluppare una rete Natura 2000 europea coerente proponendo siti di importanza comunitaria (SIC) adeguati e classificando le zone di protezione speciale (ZPS). Si tratta di prescrizioni fondamentali per la protezione della biodiversità in tutta l’Ue. Sia l’European Green Deal sia la strategia europea sulla biodiversità per il 2030 sottolineano quanto sia importante che l’Ue arresti la perdita di biodiversità mantenendo i siti naturali, migliorando gli ecosistemi danneggiati e ripristinandone il buono status ecologico”.
Il 10 febbraio 2021 il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza chiudendo definitivamente l’iter per la disciplina dei Pnrr (Piani nazionali di ripresa e resilienza) avviato dalla Commissione europea lo scorso 27 maggio 2020, mettendo a disposizione dei Paesi Ue 672,5 miliardi di euro per la ripresa e la resilienza, dunque la parte più sostanziosa dei 750 miliardi del pacchetto Next Generation Eu.
La risoluzione è stata assunta in coerenza con l’accordo storico raggiunto dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 che, approvando la proposta della Commissione, ha deciso di assumersi il carico di un debito comune tra stati Ue in risposta alla crisi pandemica.
Il concetto fondante è netto: per ogni euro di spesa dev’essere dimostrato che non nuoce all’ambiente, pena la perdita dei fondi comunitari.
Il principio europeo è chiaro e netto: tutela della biodiversità e dell’ambiente, nelle sue varie componenti, sono pilastri inderogabili, anche in questi tempi duri e difficili.
“Niente offese al paesaggio, bellezza e cultura sono nostre identità”, anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sente il diritto-dovere di esprimere pubblicamente, mediante un’insolita lettera aperta pubblicata su Vanity Fair (26 maggio 2021), la propria forte preoccupazione e contrarietà per le ventilate disinvolte modifiche normative contenute principalmente sul proposto ennesimo “Decreto Semplificazioni 2021”, finalizzato a sveltire le procedure per attuare il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano finanziato con i fondi comunitari del Next Generation EU.
La gran parte degli Italiani – e noi del Gruppo d’Intervento Giuridico insieme a loro – la pensano come il Presidente Mattarella.
Paesaggio e cultura sono identità e patrimonio inestimabile di quell’Italia, che è nota nel mondo come il Bel Paese non a caso.
La ripresa economico-sociale non può esser pagata dallo scempio del territorio e della nostra identità.
E i fondi comunitari del Next Generation EU, ben investiti, possono realmente essere fondamentali per il territorio e il contesto economico-sociale.
Non convincono i progettati stravolgimenti delle procedure di valutazione d’impatto ambientale, non convincono i Ministri che vorrebbero avere mani libere sul territorio, men che meno convincono quegli “ambientalisti” che vorrebbero le Soprintendenze smantellate e silenziate, mentre da lungo tempo hanno soggetti vicini che fanno studi di impatto ambientale per centrali eoliche sui crinali appenninici o mille altri interessi nei vari affari delle fonti di energia rinnovabile.
A puro titolo di esempio, nel caso della Tuscia siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi. Centinaia e centinaia di ettari di terreni agricoli e boscati stravolti dalla speculazione energetica, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili.
La realizzazione di questi progetti energetici snaturerebbe radicalmente alcuni dei più pregiati paesaggi agrari della Tuscia con pesanti impatti sull’ambiente e sui contesti economico-sociali locali. Stupisce, infatti, l’assenza di alcuna seria e adeguata analisi preventiva sugli impatti negativi anche sul piano economico-sociale di decine di migliaia di ettari di paesaggio storico della Tuscia sulle attività turistiche.
La Provincia di Viterbo detiene il non invidiabile primato per il consumo del suolo per abitante (rapporto ISPRA sul consumo del suolo 2019), 1,91 metri quadri per residente rispetto alla media regionale di 0,47 e nazionale di 0,80.
In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico isolano.
A queste si somma un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.
Complessivamente sarebbero interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli
Solo questi due esempi possono far comprendere quali veri e propri scempi ambientali annunciati incombono su alcuni dei migliori esempi di paesaggi storici del povero Bel Paese.
Gli ultimi dati disponibili (primo trimestre 2021, elaborazione QualEnergia su dati TERNA) vedono una domanda pari a 78 TWh, di cui 27,38 prodotti da fonti rinnovabili (il 34,8%).
Gli ultimi dati annui disponibili (TERNA, 2019) affermano che “nel 2019 in Italia la domanda di energia elettrica ha raggiunto i 319.622 GWh, con una flessione dello 0,6% rispetto all’anno precedente”, mentre “la potenza efficiente lorda si è attestata a 119,3 GW (+1,0 % rispetto al 2018 essenzialmente imputabile alle rinnovabili). Il parco di generazione termoelettrico si è mantenuto sostanzialmente stabile, mentre il parco di generazione delle fonti rinnovabili continua la sua crescita con un incremento generale pari al +2,2% ed una potenza che rappresenta il 46,5% del totale installato in Italia (era 46% nel 2018)”.
La potenza efficiente lorda del “sistema energia” italiano è ampiamente sufficiente a sostenere la domanda, visto che “il valore della punta massima registrato nel 2019 è stato pari a 58,8 GW, e si è verificato il giorno 25 luglio alle 17. La punta 2019 è stata leggermente più alta (+1,8%) rispetto alla punta del 2018, determinando un trend di crescita che si protrae dal 2014. Si conferma la forte correlazione tra il carico e le temperature estive”.[1]
Non risulta, quindi, un problema di produzione energetica in Italia, quanto un serio problema di pianificazione e di politica industriale legata alle necessarie scelte di politica ambientale.
A puro titolo di esempio, è pura follìa, nel XXI secolo, continuare ottusamente a voler produrre alluminio primario con metodi energivori e inquinanti piuttosto che predisporre un virtuoso circolo del riciclaggio dell’alluminio: la produzione di un kg. di alluminio di riciclo ha un fabbisogno energetico (0,7 kwh) che equivale solo al 5% di quello di un kg. di metallo prodotto a partire dal minerale (14 kwh). Eppure, il gruppo siderurgico russo Rusal, con il beneplacito e i soldi del Governo nazionale e della Regione autonoma della Sardegna intende far ripartire la produzione di alluminio primario dalla bauxite a Portoscuso, con gravissimi problemi ambientali e sanitari (oltre che energetici).
Nessuna adeguata e puntuale pianificazione delle reali necessità energetiche nazionali e locali, nessun meccanismo legale di chiusura coercitiva di impianti produttivi di energia da fonti fossili[2], eccessivo spazio offerto alla produzione energetica da biomasse (il che significa incremento dei tagli boschivi), palese contrarietà alla normativa comunitaria per la salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali (direttiva n. 92/43/CEE) e la difesa delle acque e del suolo (direttive n. 08/105/CE e n. 06/118/CE).
La delega contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea) sull’attuazione della direttiva n. 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili prevede esplicitamente l’emanazione di una specifica “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita’ dell’aria e dei corpi idrici, nonche’ delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi”.
Disciplina a oggi non emanata.
Problematiche e criticità fortissime, tuttora non affrontate, che han fatto sì che ben ventuno associazioni ambientaliste (ma altre ancora stanno aderendo) costituissero la Coalizione Articolo 9 per manifestare a gran voce la più netta contrarietà al Far West dell’energia eolica e solare, dove ogni speculatore energetico può fare quello che gli pare senza regìa pubblica né controlli.
Il paesaggio è fonte perenne di bellezza, garanzia del rispetto dell’identità dei luoghi, fondamentale attrattiva per il turismo. Non dimentichiamolo.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico odv
[1] È importante sapere che cos’è il “dispacciamento” delle energie rinnovabili. Ce lo spiega il GSE (Gestore Servizi Energetici): “Il servizio di dispacciamento, svolto dal gestore della rete di trasmissione nazionale (Terna), è la gestione coordinata delle immissioni e dei prelievi di energia elettrica sulla rete di trasmissione nazionale per garantire il bilanciamento del sistema elettrico. L’energia elettrica, di norma, non è un bene immagazzinabile, purtroppo. Per questo, è necessario produrre, istante per istante, la quantità di energia richiesta dall’insieme dei consumatori finali e gestirne la trasmissione in modo che offerta e domanda siano sempre in equilibrio, garantendo così la continuità della fornitura in condizioni di sicurezza.
In tempo reale, Terna monitora i flussi elettrici e corregge i livelli di immissione e prelievo di energia, in modo che siano perfettamente bilanciati in ogni momento, inviando, ove necessario, ordini a ridurre o aumentare l’energia immessa in rete alle unità di produzione” (http://www.gse.it/it/Gas%20e%20servizi%20energetici/Dispacciamento_Rinnovabili/Pagine/default.aspx).
In Italia non vige un regime di concorrenza che premia chi produce energia a prezzi piu’ bassi, soprattutto riguardo alle fonti energetiche rinnovabili “non programmabili”, il cui dispacciamento è regolato con Delibera 522/2014/R/eel.
L’unica energia che “deve” essere effettivamente acquistata, quando viene prodotta, è quella degli impianti in regime di “essenzialità”, definito da una delibera dell’Autorità per l’energia, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), nello specifico la 111/06 relativa a tutte le attività che sono svolte da Terna per garantire il soddisfacimento della domanda di energia di tutto il sistema elettrico italiano, garantendo allo stesso tempo i requisiti di sicurezza e affidabilità necessari in un sistema che evolve nel tempo con continue variazioni di energia consumata e prodotta, e che devono essere mantenuti identici in ogni istante.
La delibera AEEGSI 111/06 definisce “impianto di produzione essenziale” un impianto di produzione in assenza del quale, anche per le esigenze di manutenzione programmata degli altri impianti di produzione e degli elementi di rete, non è possibile assicurare adeguati standard di gestione in sicurezza del sistema elettrico. Gli “Impianti di produzione essenziali per la sicurezza del sistema elettrico ai sensi dell’articolo 63, comma 63.1, dell’Allegato A alla delibera dell’AEEGSI n. 111/06” individuati da Terna s.p.a.
[2] Gli impianti di produzione di energia elettrica essenziali per la sicurezza del sistema elettrico (art. 63, comma 63.1, dell’Allegato A alla delibera dell’AEEGSI n. 111/06) sono tutti “programmabili”, con combustibile fossile o biomasse (vds. https://download.terna.it/terna/A27%20-%20anno%202020_8d769b522431880.pdf).

(foto Cristiana Verazza, da Sardinia Post, S.D., archivio GrIG)