Che senso ha essere ambientalisti?
Perché impiegare energie e tempo libero per difendere ambiente e salute?
Due articoli pubblicati recentemente sul quotidiano digitale Italia Libera di Vittorio Emiliani e di Fabio Balocco pongono importanti interrogativi sull’ambientalismo, sull’associazionismo ambientalista, sulla presenza politica della formazione politica che dichiara di esser espressione in primo luogo degli ideali ambientalisti, i Verdi.
Una risposta, con varie riflessioni condivisibili, è giunta da Massimo Scalia, fisico matematico, già deputato, fra i fondatori dei Verdi.
Un paio di brevi considerazioni in proposito solo per quanto riguarda il Gruppo d’Intervento Giuridico odv (GrIG).
Siamo nati nel 1992 per dar corpo a un’attività che le associazioni ambientaliste storiche lasciavano piuttosto in secondo piano, l’utilizzo mirato dello strumento diritto per difendere ambiente e salute.
Ed è quello che facciamo da quasi trent’anni con risultati piccoli e grandi.
Si poteva fare di più? Siamo un’associazione di volontariato puro, con le risorse e le energie disponibili quasi certamente no.
Cerchiamo di farlo con concretezza, efficacia e coerenza: per intenderci, senza avere soggetti vicini che fanno studi di impatto ambientale per centrali eoliche sui crinali appenninici o mille altri interessi nei vari affari delle fonti di energia rinnovabile.
Non abbiamo la bacchetta magica, non abbiamo le soluzioni in tasca, ma se non ci rimboccassimo le maniche ogni giorno per difendere il nostro ambiente e la nostra salute, saremmo in una situazione ben peggiore. E questo lo sanno bene anche Vittorio Emiliani e Fabio Balocco.
Ci rimbocchiamo le maniche anche per tutti quelli – e non sono pochi – che speculano, inquinano, appestano aria e acqua che respirano e bevono pure i loro figli, sperando che, prima o poi, risorgano i loro neuroni e cambino strada prima che sia troppo tardi.
Ci rimbocchiamo le maniche anche per chi vede gli ambientalisti come fumo negli occhi per partito preso, non sapendo che il fumo alberga nelle loro scatole craniche.
Anche per loro vale il saggio auspicio di Snoopy.
Ne vale la pena, lo facciamo per la nostra amata Terra, l’unica che abbiamo, così come migliaia e migliaia di volontari di associazioni e comitati quotidianamente in tutta Italia.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico odv
da Italia Libera, 18 marzo 2021
Ambientalismo e politica. La malinconica parabola dei Verdi italiani.
Nati con una forte impronta ideologica, in politica si sono smarriti dando vita a un partito delle tessere. Portavoce Luigi Manconi, in Parlamento ebbero un ruolo decisivo a metà degli anni Novanta con Massimo Scalia alla Camera e Maurizio Pieroni al Senato. In pochi anni, grazie a loro e a indipendenti di sinistra come Antonio Cederna e Gianluigi Ceruti, i Parchi nazionali balzarono dai soliti quattro ad una ventina. Poi prevalse lo spregiudicato Alfonso Pecoraro Scanio con lo schermo di alcuni immacolati personaggi come Grazia Francescato. Che ne pensano i protagonisti della migliore stagione dei Verdi? (Vittorio Emiliani)
Molti si domandano: perché i Verdi sono così forti in Germania, in Francia, in Austria o in Scandinavia e praticamente non esistono più in Italia dove il solo Angelo Bonelli tenta di tenere alto un isolato vessillo? Eppure il movimento ha conosciuto, da Alexander Langer in poi, anni migliori ed ha pure contato in materie strategiche, a cominciare dalle aree protette, dai Parchi Nazionali e (quando c’erano ancora le Provincie) Provinciali. Con una crescita impetuosa negli anni 80 e 90, per poi avvitarsi in una crisi che sembra non aver fine.
Lo stesso dicasi per le associazioni ambientaliste o comunque per la tutela. Italia Nostra, dopo anni di quasi latitanza susseguente alla fine della presidenza Bassani e poi Pasolini dall’Onda, dà con Ebe Giacometti segnali di ripresa con rassegne stampa quotidiane Nord-Centro-Sud utili e incisive. Alcune sue sezioni regionali e locali sono rimaste vive anche in regioni come l’Emilia-Romagna che, dall’avanguardia (legge Galasso), sono passate alla retroguardia col governatore Stefano Bonaccini: ultima perla il “sì” a pale eoliche alla dantesca Acquacheta sull’Appennino fra Firenze e la Romagna in pieno Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, pur avendo ricevuto un secco no dall’ente Parco stesso, dalla Soprintendenza, quindi dal ministero per i Beni Culturali. Una vera e propria sfida di tipo leghista. Ma che ci sta a fare in maggioranza Elly Schlein se poi passano certe scelleratezze? E le Sardine non hanno nulla da dire in merito?

Da anni il Wwf, finita la lunga e gloriosa presidenza effettiva di Fulco Pratesi, è come diventato afono. Legambiente ha scelto da decenni ormai la via “arrendevole all’ambientalismo” (come Symbola del resto), appoggiando parchi eolici e distese fotovoltaiche a tutto spiano. Discorso analogo purtroppo per Greenpeace. Me le sono trovate contro quando, con altri, il Comitato per la Bellezza si opponeva al parco eolico sul Monte Nerone, sopra Urbania e in vista di Urbino, istallazione bloccata dal referendum promosso da un sindaco abile e sensibile agli ospiti stranieri (i tedeschi avevano già giurato che se ne sarebbero andati) che ha sonoramente bocciato nell’urna il parco eolico. Che, oltre tutto, avrebbe scassato con strade e scavi un Appennino già dissestato e franoso. Mi sono preso gli acerbi rimproveri di Pippo Onufrio. Pazienza. Per Urbania, Urbino e il Montefeltro questo e altro.
Si parla tanto di “rinnovabili” in bolletta, ma se uno va a vedere, la parte preponderante la fornisce il vecchio “carbone bianco” delle dighe idroelettriche. Coi dati reali non si scherza, in Italia la ventosità è la metà di quella europea ed è sufficiente solo nella Daunia riempita di pale, nella punta nord della Sicilia e in quella sud della stessa isola, luoghi da tutelare con attenzione speciale.
Ma veniamo ai Verdi italiani il cui difetto originario – a mio avviso – è stato di nascere con una forte impronta ideologica provenendo una parte da Democrazia Proletaria per fondersi (fusione difficile anche se creativa) con l’altra componente di origine radicale, lo stesso Rutelli capogruppo in Comune, importante al tempo del nuovo grandioso Auditorium di Roma, e poi Franco Corleone, Sauro Turroni, Mauro Paissan e altri. Portavoce Luigi Manconi, in Parlamento ebbero ruolo decisivo Massimo Scalia (capogruppo di Ambiente, Territorio, Lavori Pubblici), Maurizio Pieroni, mancato da poco, al Senato. In pochi anni, grazie a loro e a indipendenti di sinistra come Antonio Cederna e Gianluigi Ceruti, i Parchi nazionali balzarono dai soliti miseri quattro ad una ventina. Ma i Verdi coltivavano l’idea di passare da movimento a partito. Ero vicino a loro e li supplicai di non farlo. Venivo dal Psi dove coi pacchi di tessere clientelari gli iscritti veri venivano regolarmente messi in minoranza.
Non venni ascoltato e sulle tessere si fiondò con grande spregiudicatezza Alfonso Pecoraro Scanio con lo schermo di alcuni immacolati personaggi come Grazia Francescato. Vennero candidati amici e parenti, il fratello di Pecoraro Scanio che giocava − merito ecologico rilevante? − mediano nell’Anconetana. Sauro Turroni, passato al Senato, si trovò a fare ostruzionismo da solo (incredibile) alla pessima legge Lupi sull’urbanistica riuscendo nella “mission impossible” di bloccarla. Da solo. Quella pur epica solitudine era però l’immagine plastica della crisi terminale dei Verdi italiani, da Alexander Langer a Pecoraro Scanio. Che ne pensano i protagonisti, appena citati, della migliore stagione dei Verdi?
13 marzo 2021
«Ambientalismo italiano al tramonto»: le speranze deluse di un attivista storico.
Trent’anni fa l’ambiente era al centro delle preoccupazioni dei cittadini, e le associazioni aggregavano le battaglie per difendere l’ambiente naturale. Oggi le organizzazioni strutturate “sopravvivono a se stesse”, e i giovani (di Friday for Future, ad esempio) vogliono concretezza e risultati. Per l’“ecologia superficiale” non è necessario mettere in discussione lo sviluppo, occorre solo reindirizzarlo. Nel pieno della crisi climatica, lo “sviluppo sostenibile” appare come un orizzonte inadeguato e di corto respiro. (Fabio Balocco)
Lo ricordo bene: erano i primi anni Ottanta e nei sondaggi sulle problematiche più sentite dalla popolazione l’ambiente era ai primi posti. Oggi, 2021, in piena sesta estinzione di massa, in pieno Antropocene, in piena pandemia derivante dal rapporto malato uomo/animale, l’ambiente è scomparso dalle preoccupazioni della gente. Sarà in parte per questo, sarà per altri motivi che potremo poi ipotizzare, l’ambientalismo – come fenomeno aggregativo di difesa dell’ambiente naturale − è oramai al tramonto.
Erano sempre gli anni Ottanta quando, giunto a Torino, mi iscrissi a Pro Natura, la più antica associazione italiana di difesa della natura. Ci rimasi circa trent’anni e, in questo lasso di tempo, i soci si erano dimezzati. Non fu per questo che lasciai, bensì per la consapevolezza della perfetta inutilità della nostra azione oltre che, appunto, la mancanza di ricambio generazionale e di risorse. Oggi le altre associazioni storiche non stanno certo meglio: il Wwf ha chiuso tutte le sezioni; Italia Nostra è composta da persone di una certa età anagrafica. Se la cava ancora Legambiente, quanto meno a livello centrale, forte dei rapporti che ha mantenuto col sistema partitico (nacque pur sempre da una costola del Partito Comunista) e degli sponsor che la sorreggono. E poi c’è Greenpeace, forte di grandi risorse internazionali. Non so che fine abbiano fatto ad esempio Kronos 1991 e gli Amici della Terra, tanto per citare altre organizzazioni minori.
Quali sono le cause della crisi, probabilmente irreversibile? Una l’ho già additata: il venir meno della sensibilità nella popolazione. Ma questo è un po’ un serpente che si morde la coda: uno degli scopi dell’associazionismo doveva essere proprio quello di aumentare la sensibilità e di fare proseliti. E qui veniamo ad un altro punto dolente: i metodi di lotta, spesso antiquati e rivolti a tappare le falle. Parlo di comunicati-stampa, di conferenze-stampa, di osservazioni ai progetti di legge, di denunce, di ricorsi amministrativi. A mio modo di vedere, specie oggi, si sarebbe dovuta imboccare la strada di azioni maggiormente visibili e di impatto mediatico (tipo quelle di Greenpeace) e/o concrete, tipo acquistare terreni da difendere. Dove sta oggi il senso di collaborare con un potere che non ti tiene in alcuna considerazione? Che senso ha disperdere tempo e forze per democraticamente e diligentemente denunciare di essere contrari ad una nuova norma in campo edilizio o venatorio?
A cosa serve la leale collaborazione? Il “sistema” (perché di questo si tratta) non ti tiene in alcun conto, quindi che collabori a fare? Faccio un esempio eclatante di questa affermazione. La legge istitutiva del ministero dell’Ambiente (Legge 349/1986) stabilì che le associazioni di protezione ambientale di maggior rilievo a livello nazionale venissero riconosciute, il che dava loro la possibilità di agire in giudizio e di sedere nel neo-istituito Consiglio Nazionale dell’Ambiente. Bene: ottennero il riconoscimento associazioni come: l’Associazione Italiani Insegnanti di Geografia, oppure l’Associazione Europea Operatori Polizia, oppure ancora l’Associazione Nazionale Istruttori Subacquei. Persino l’Ekoclub, associazione parto del mondo della caccia! La scarsa serietà del riconoscimento denotava già allora quanto il sistema tenesse in considerazione l’ambiente e chi lo difendeva. E poi: alzi la mano chi ha mai sentito parlare del Consiglio Nazionale dell’Ambiente…
Credo che le falle dell’ambientalismo siano state la mancanza di concretezza e i metodi d’azione inefficaci. Tutto ciò sicuramente ha giocato sul fronte della mancanza di turn-over e quindi di nuove idee: i giovani, specie oggi, vogliono apparire, vogliono concretezza e risultati. Tutte cose che le vecchie associazioni non garantiscono più. Poi, sicuramente, c’è anche la sfiducia. Ci può stare che dei giovani, pur sensibili, oggi non credano nella protezione dell’ambiente, in considerazione sia del fatto che nulla si è ottenuto in passato e sia del fatto che nulla forse si può più fare oggi per invertire la rotta. Certo, restano i Fridays for Future. Ma si può definire ambientalista un movimento (non è un’associazione) che predica il passaggio alle energie rinnovabili senza porsi il problema del loro impatto ma soprattutto senza predicare una riduzione della popolazione e dei consumi? Cioè, un diverso stile di vita?
A ben pensarci, questo non l’hanno neanche mai fatto le associazioni storiche… È la cosiddetta “ecologia superficiale”. Cos’è l’ecologia superficiale? È, detto molto rozzamente, quel settore dell’ambientalismo che non mette in discussione i fondamenti della nostra società, ma ritiene che alla stessa debbano essere apportati semplici aggiustamenti. Detto altrimenti, l’ecologia superficiale aderisce al cosiddetto “sviluppo sostenibile”, locuzione coniata nel 1987 ed adottata anche dall’Iucn – The World Conservation Union, cui aderiscono appunto le maggiori associazioni ambientaliste. Quindi, non è necessario mettere in discussione lo sviluppo, ma occorre reindirizzarlo. Ma di ecologia ne esiste anche un’altra branca, l’”ecologia profonda” (definizione coniata da Arne Næss). Da sempre questa ecologia sostiene che occorre ripensare l’evoluzione della società, che essa non deve necessariamente svilupparsi, ma anzi deve trovare un modus vivendi con la natura di tipo olistico, di interazione e rispetto.
Ma questa è un’altra storia. Ne riparliamo un’altra volta.
(foto Raniero Massoli Novelli, E.R., D.M., S.D., archivio GrIG)