
Il Governo Conte ha scodellato ben due decreti presidenziali (il D.P.C.M. 18 ottobre 2020 e il D.P.C.M. 24 ottobre 2020) per contrastare la pandemia di coronavirus COVID–19 in pochi giorni.
589.766 casi ufficiali di contagio dall’inizio della pandemia, 275.404 guariti, 37.905 deceduti al 28 ottobre 2020, con un incremento di 24.991 contagiati (e 205 morti) rispetto al giorno precedente in Italia (dati ufficiali Ministero della Salute). 43.540.739 casi confermati nel mondo dall’inizio della pandemia, 1.160.650 morti (ultimi dati O.M.S.. Fonte: Health Emergency Dashboard, 28 ottobre 2020).
Così si è espresso ufficialmente il Governo italiano: “In Italia si osserva un’accelerazione del progressivo peggioramento dell’epidemia di SARS-CoV-2 segnalato da undici settimane che si riflette in un aggravio di lavoro sui servizi sanitari territoriali. Per la prima volta si segnalano elementi di criticità elevata relativi alla diffusione del virus nel nostro Paese. Si evidenzia una nuova fase epidemiologica con un aggravio del lavoro dei servizi territoriali che potrebbe riflettersi in breve tempo in un sovraccarico dei servizi assistenziali”.
“Siamo consapevoli che sono misure severe ma sono necessarie a contenere i contagi. Diversamente la curva epidiemiologica è destinata a sfuggirci completamente di mano”, parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Parole di questi giorni, tuttavia la situazione odierna è figlia di quanto accaduto e di quanto non è stato fatto nelle settimane e nei mesi scorsi.
Inutile nasconderlo.
Per esempio, forse più dei costosi banchi a rotelle cari alla ministra dell’istruzione Lucia Azzolina sarebbero stati necessari più pulmann negli orari di punta per consentire una migliore ripresa della frequenza scolastica.
Per esempio, nella Sardegna covid free – così come veniva definita nell’estate scorsa – il mantenimento dell’apertura di discoteche e locali notturni con tanto di affollamenti di vacanzieri provenienti da ogni parte garantito dall’ordinanza presidenziale n. 38 dell’11 agosto 2020 è stata una delle attività che hanno drammaticamente favorito la ripresa della diffusione della pandemia nell’Isola, con buona pace del commissario regionale leghista on. Eugenio Zoffili, prima distintosi nel chiedere e sostenere il provvedimento, poi impegnatosi a fondo contro invasori e untori rappresentati da qualche decina di bambini e adulti di colore scuro non per l’abbronzatura estiva.

Ovviamente ci sono le conseguenze anche dei comportamenti scorretti o negazionisti di troppe persone che vedono nel distanziamento e nelle mascherine un’insopprimibile violazione della libertà (mai parola fu così abusata…), ma ora tutti paghiamo le conseguenze di quanto non è stato fatto o è stato fatto con giuliva dabbenaggine, per non dire altro.
Sì, sono parecchi i Paesi ora devastati dalla pandemia, dalla Francia alla Spagna, dagli Stati Uniti alla Russia, dal Brasile alla virtuosa Svezia, alla stessa Cina, ben poco credibile focolaio iniziale, solo a titolo di esempio.
Sì, Cristiano Ronaldo è quantomeno un irresponsabile, oltre che sciaguratamente un calciatore juventino, ma l’attuale drammatica situazione non dipende (solo) da lui.
Cerchiamo di non fuggire dalle responsabilità, a tutti i livelli, perché di questo passo resteranno solo macerie sociali ed economiche.
Così ne parla il sociologo Luca Ricolfi. Buona lettura.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
da Il Messaggero, 23 ottobre 2020
Covid fuori controllo/ Il prezzo alto da pagare per gli eccessi dell’estate. (Luca Ricolfi)
Ma come si fa a non capire? E come facciamo noi cittadini a sopportare tanta leggerezza?
Chiedo scusa al lettore per il modo crudo con cui inizio questo articolo ma, dopo mesi passati a cercare di mettere il mondo politico di fronte ai numeri di questa epidemia, sono sgomento. A quanto pare il manipolo di politici e burocrati della sanità che ormai da otto mesi è padrone delle nostre vite, e settimana dopo settimana stabilisce (senza chiedere il permesso a nessuno, tanto meno al Parlamento) che cosa possiamo fare e che cosa no, non ha ancora capito. E, sia chiaro, dico “non ha ancora capito” per lasciar loro una ciambella di salvataggio, una scusante.
Se avessero capito, e agito come hanno agito in piena coscienza, verrebbe quasi da pensare a un giudizio per “crimini di pace”. Perché 36 mila morti ufficiali, il tracollo dell’economia, milioni di persone alla disperazione, centinaia di migliaia di attività che stanno chiudendo, una seconda ondata che sta per sommergerci, sono un bilancio che non possiamo accettare da nessuna classe dirigente.
Tanto più se consideriamo che la maggior parte degli altri Paesi ha pagato un prezzo molto più modesto, sia in termini di morti sia in termini di punti di Pil perduti.
Ma veniamo al punto. Che cosa non hanno capito? Non hanno capito, prima di ogni altra cosa, l’aritmetica di un’epidemia. Ammetto che non è molto intuitiva, ma con un piccolo sforzo possiamo capirla. Dunque proviamo a spiegarla, usando un esempio che si usa a scuola, specialmente in Francia, a quanto pare.
C’è uno stagno, e al centro dello stagno c’è una ninfea. Il numero di ninfee raddoppia ogni notte, e lo stagno ne può contenere fino a mille, prima di saturarsi e far soffocare tutto ciò che contiene. Il contadino che custodisce lo stagno si sveglia al mattino e nota che le 2 ninfee del giorno prima sono diventate 4. Il giorno dopo nota che sono 8. Il giorno dopo ancora che sono 16. Dopo una settimana sono 128, e occupano meno del 13% dello stagno. Il contadino non è preoccupato: penserà domani a ripulire lo stagno, in fondo in 7 giorni le ninfee sono cresciute lentamente, meno di 20 ninfee al giorno. Ma oggi è venerdì, e il contadino pensa: sabato e domenica mi riposo, lo stagno lo ripulirò lunedì o martedì. Lunedì le ninfee sono 512, ma il contadino rimanda ancora una volta la pulizia, e in una sola notte le ninfee diventano 1024, riempendo tutto lo stagno: ora è troppo tardi, perché in una sola notte le ninfee sono cresciute di numero quanto nei 9 giorni precedenti. Lo stagno è saturo, tutta la vita animale e vegetale che conteneva è morta o sta morendo.
Questa, all’osso, è l’aritmetica di un’epidemia. I giorni del nostro apologo sono le settimane che il governo aveva di fronte per intervenire. I primi segnali di ripresa dell’epidemia risalgono a metà giugno, ma non erano facilmente riconoscibili senza strumenti raffinati. Invece a partire da luglio capire che l’epidemia stava rialzando la testa era facilissimo, bastava non ignorare i dati della Protezione Civile.
Ricoveri, terapie intensive, rapporto nuovi casi/tamponi hanno cominciato a crescere in modo esponenziale (e rapido) già da luglio. E da settembre lo hanno cominciato a fare anche i dati dei decessi, che nei mesi precedenti erano stati frenati dall’abbassamento dell’età mediana dei contagiati (gli under-50 muoiono molto meno degli over-50), creando così l’effetto-Sgarbi, ossa l’ingenua credenza che pochi morti al giorno significassero epidemia domata.
In questa situazione che cosa hanno fatto i nostri governanti? Anziché cominciare a ripulire lo stagno, hanno rimandato ogni intervento al futuro, contando sul fatto che il numero assoluto di nuove ninfee, giorno dopo giorno, sembrava modesto: poche decine di morti la settimana, poche migliaia di nuovi casi la settimana, aumenti contenuti del numero di ricoveri in ospedale e in terapia intensiva.
Poi, circa dieci giorni fa, quando il numero di nuovi casi ha cominciato a puntare verso quota 10 mila, e il numero di morti giornalieri verso quota 100, un barlume di consapevolezza si è cominciato a fare strada. Sono cominciate le disquisizioni su nuovi lockdown e o semi-lockdown, coprifuoco globali o locali, chiusure più o meno severe di bar, ristoranti, palestre, scuole, con un’unica preoccupazione: escludere un nuovo lockdown globale, come quello di marzo e aprile, e convincerci che sconfiggere l’epidemia era compito nostro, o tutt’al più dei poteri locali, governatori delle Regioni e sindaci dei Comuni.

Nessuna autocritica, nessuna ammissione di avere sbagliato tutto nel trimestre estivo quando, nonostante i dati dicessero il contrario, si è fatto come se l’epidemia stesse battendo in ritirata, e non ci fosse bisogno di rafforzare il trasporto pubblico locale, la politica dei tamponi, le strutture scolastiche, i controlli su movida e assembramenti.
Il risultato è che il tentativo maldestro di salvare l’economia durante l’estate verrà pagato con gli interessi nei mesi prossimi quando, per limitare le dimensioni della catastrofe sanitaria, le autorità saranno costrette a nuove chiusure, che ora non hanno il coraggio di annunciare ma che non potranno evitare.
Sembra incredibile, ma quello che sta andando in scena in questi giorni è il remake del film che abbiamo già visto tra febbraio e marzo, quando per “riaprire Milano” si rinunciò a chiudere per tempo Nembro e Alzano. Anche oggi, come allora, per paura di fermare l’economia si prende tempo, sperando che l’epidemia retroceda da sola, e dimenticando che quel che sta succedendo questa settimana, così come quel che succederà la prossima, è già scritto, perché dipende dai comportamenti di 2-3 settimane fa. Nel frattempo i contagi e i morti raddoppiano ogni settimana, come le ninfee dello stagno, nella vana attesa che il contadino faccia qualcosa. E quando finalmente ci si deciderà a fare qualcosa, sarà così tardi che questo qualcosa dovrà essere molto duro e prolungato.
Perché la legge fondamentale dell’epidemia è questa: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutti.

(foto S.D., archivio GrIG)