Ottant’anni fa, il 5 settembre 1938, con il regio decreto legge n. 1390 Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, iniziava l’adozione di quella folle e infame serie di provvedimenti normativi che viene denominato leggi razziali.
Eppure, solo 4 anni prima, il 6 settembre 1934, parlando della politica razzista tedesca, Benito Mussolini aveva detto testualmente: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”.
Nel settembre 1938 iniziava la scrittura di una nefanda pagina della storia e della società italiana.
Non dobbiamo dimenticare.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Germania, negozio di ebrei deturpato, 2007
da Il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2018
Leggi razziali, 80 anni fa il primo dei decreti che anticiparono la Shoah. Così Mussolini privò gli ebrei di tutti i diritti.
Il 5 settembre 1938 fu firmato da Vittorio Emanuele III il primo provvedimento approvato dal fascismo per volontà del Duce con il quale si escludevano dalle scuole tutti gli appartenenti alla “razza ebraica”. In tutto furono 180 leggi che privarono una parte dei cittadini italiani dei diritti più elementari. Dal divieto di sposarsi con italiani “ariani” a quello di lavorare come pilota, avvocato, ostetrica o geometra, dal possedere una radio al pubblicare necrologi. Una decisione che il Duce rivendicò: “Chi dice che stiamo imitando qualcun altro, è un deficiente”. (Diego Pretini)
Il 5 settembre 1938 fu firmato il primo decreto dei circa 180 che passarono alla Storia come le leggi razziali. Ottant’anni dopo ilfattoquotidiano.it ripropone questo contenuto, in buona parte già pubblicato in occasione della Giornata della Memoria di quest’anno, che ricorda da una parte la decisione deliberata di Benito Mussolini e il sostanziale silenzio degli italiani non ebrei e dall’altra, soprattutto, gli effetti di tutte quelle norme: ecco come gli ebrei non furono più cittadini come gli altri.
La neve di Auschwitz, gli spettri lungo il filo spinato, il fumo dal camino, le fosse comuni, gli sguardi persi nel vuoto, gli esperimenti sui bambini, gli eroi, i carri-bestiame, i tedeschi cattivi, il suono dei violini, lo strazio dei figli e delle madri, gli stivali dei nazisti, i diari e le lettere, le porte abbattute casa per casa. L’orrore della Shoah è stato raccontato mille volte, con tutti i linguaggi e in tutte le lingue, e mille ne serviranno ancora e poi ancora mille. Resta, dopo lo shock di una narrazione cominciata troppo tardi, quello che fatica ancora ad essere raccontato, forse perché fatica ad essere accettato. Qualcuno la chiama la “memoria addomesticata”. L’infamia dello sterminio di massa degli ebrei, teorizzato da Adolf Hitler, ebbe infatti nei fascisti italiani i suoi collaboratori fattivi. L’orrore ebbe un’onda lunga che iniziò con le leggi razziali, volute da Benito Mussolini, Duce del fascismo, controfirmate dal capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III, e combattute da pochissime, isolate, voci.
Quello delle leggi razziali fu un virus che infettò ulteriormente e definitivamente giorno dopo giorno uno Stato già da tempo deprivato di tutte le libertà. Fu l’ultima iniezione: le norme, molte solo amministrative, ebbero un impatto irreversibile sulla vita quotidiana di migliaia di cittadini italiani, che non poterono più lavorare, studiare, formarsi, contribuire alla crescita individuale, delle proprie famiglie e delle proprie comunità.
Politici italiani, brava gente.
Dall’approvazione dei primi decreti-legge razziali ricorrono nel 2018 gli ottant’anni: il primo è del 5 settembre e ordina l’esclusione degli ebrei dalle scuole. Il re lo firma nella sua villa nella tenuta di San Rossore, in Toscana, dopo una colazione e una passeggiata fino al mare. Da quella passeggiata sono passati, oggi, ottant’anni: eppure sono pochi. Ancora alla fine del 2017 Simone Di Stefano, dirigente di CasaPound, ha spiegato che l’alleanza di Mussolini con Hitler era comprensibile perché “ancora non si sapeva dell’Olocausto“. All’inizio del 2018 il candidato presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – poi eletto – ha parlato di “difesa della razza bianca“. Negli stessi giorni il candidato presidente della Regione Lazio Sergio Pirozzi ha messo sulla stessa bilancia le opere pubbliche (in cui il Duce “ha fatto grandi cose”) e le leggi razziali, citate “tra le cose brutte”. “Per quello che riguarda infrastrutture, politiche sociali, una visione del Paese il Duce secondo me ha fatto grandi cose – disse Pirozzi – Ma l’aver aderito alle sciagurate leggi razziali e aver fatto entrare l’Italia in guerra al fianco di Hitler è stata una cosa sciagurata“. Nel 2005 era stata la volta dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: “Ci furono le leggi razziali, orribili, ma perché si voleva vincere la guerra con Hitler“. Il ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini è solito usare, parafrasati, i motti del Duce. Come “Molti nemici, molto onore”, ribadito il 29 luglio, giorno in cui nel 1883 Mussolini nacque a Dovia, frazione di Predappio. “Guardi – aveva detto Salvini mesi prima a una radio – Che durante il periodo del fascismo si siano fatte tante cose e si sia introdotto ad esempio il sistema delle pensioni, è un’evidenza. Poi evidentemente le leggi razziali e le persecuzioni sono quanto di più folle in assoluto nella storia dell’universo. Però dirlo mi sembra negare l’evidenza… Che le paludi siano state bonificate in quel periodo si può dire?”.
La scelta deliberata di Mussolini
La bonifica delle paludi e l’Inps a petto delle espulsioni di massa, dei rastrellamenti dei ghetti, delle bastonate, delle deportazioni. Eppure le leggi razziali non furono un incidente né un caso. Mussolini non aderì alle leggi razziali: le scrisse e le fece approvare. Mussolini non subì la scelta, la preparò, la propose e la sostenne. Le leggi razziali non furono una sciagura, non sono state una disgrazia, ma una decisione deliberata, sostenuta e accettata da tutti gli apparati dello Stato, fino dai suoi vertici, compreso il capo di Casa Savoia.
Nell’agosto del 1938 era già nata la Difesa della Razza, un quindicinale sostenuto economicamente dal fascismo e diretto da uno dei giornalisti più attivi nella polemica antisemita, Telesio Interlandi. E’ lì che viene pubblicato per la seconda volta in due settimane il Manifesto della razza, la prima era stata sul Giornale d’Italia. È firmato da 10 scienziati, due dei quali zoologi. “Il Duce – scrive sul suo diario Galeazzo Ciano, genero e ministro di Mussolini – mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui”.
Il manifesto: “I caratteri fisici non devono essere alterati”
Il manifesto dice tra l’altro che “le razze umane esistono”, che ne esistono di “grandi” e di “piccole”, che il concetto di razza è “puramente biologico”, che “è una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”, che “esiste una pura razza italiana”, che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana”, che è “necessario fare una distinzione tra i mediterranei d’Europada una parte e gli orientali e gli africani dall’altra”, che “i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo”. Parole che in qualche caso risuonano con altri obiettivi e altre maschere in diverse piazze italiane di oggi.
Il discorso di Trieste: “Chi crede che imitiamo qualcun altro è deficiente”
Mussolini firma i primi due decreti-legge il 5 e il 7 settembre 1938: vieta l’istruzione pubblica a studenti e professori ebrei e ordina ai non italiani ebrei di lasciare l’Italia. Dieci giorni dopo si affaccia su una piazza di Trieste per rivendicare quelle leggi e quelle che verranno. “Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale – sottolinea ad un certo punto – Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso, come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno”.
Poche settimane dopo, il 6 ottobre, il Gran Consiglio del fascismo, approva la “Dichiarazione sulla razza”. In 5 anni i decreti razziali saranno circa 180. I primi sono più vessatori di quelle in Germania: gli studenti ebrei in Italia per esempio sono espulsi dalle scuole prima di quelli in Germania. Uno degli ultimi obbliga gli ebrei al lavoro coattoi.
Il silenzio degli altri italiani
Prima del genocidio, dunque, molto prima, Mussolini e lo Stato fascista decidono di cancellare una parte di cittadini, quelli appartenenti a una cosiddetta “razza”, privandoli dei loro diritti più elementari. Intorno, poche e deboli sono le voci contrarie. Anzi, molti i delatori. E le cattedre lasciate vuote dai professori ebrei sono prontamente occupate da non ebrei. Chi cerca di fare qualcosa per impedire le vessazioni, anche senza eroismo ma con ragionevolezza, viene denunciato per “pietismo filogiudaico“. “Due fascisti”, racconta il Corriere della Sera del 6 dicembre 1938, sono espulsi dal partito perché “affetti da inguaribile spirito borghese, si abbandonavano ad incomposte manifestazioni pietistiche nei confronti di un giudeo”. Si chiamano Italo Locatelli e Mario Castelli: estromessi perché hanno partecipato a una colletta per un regalo al direttore della loro industria, rimosso dall’incarico perché ebreo. Sette giorni prima l’editore Angelo Fortunato Formiggini, considerato “profeta” della Treccani, all’inizio estimatore di Mussolini, si era buttato di sotto dalla Ghirlandina di Modena con le tasche piene di soldi perché non si dicesse che fosse per questioni di debiti. Al segretario del Pnf, Achille Starace, non interessò: “È morto proprio come un ebreo – commentò – Si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”.
Tutti i divieti: gli ebrei diventano “non cittadini”
E’ da quelle settimane del 1938 e fino all’abolizione delle leggi razziali nel 1944 che gli ebrei non possono più essere cittadini uguali agli altri.
Non possono essere iscritti al Partito nazionale fascista. Non possono far parte di associazioni culturali e sportive.
Non possono insegnare nelle scuole statali né in quelle parastatali. Non possono studiare nelle scuole pubbliche. Non possono insegnare né studiare in accademie e istituti di cultura. Non possono lavorare come insegnante privato. Non possono entrare nelle biblioteche. Non possono avere una radio.
Non possono sposarsi con italiani “ariani”. Non possono, da cittadini stranieri, rimanere in Italia, né ottenere la cittadinanza italiana né mantenerla se concessa dopo il 1919.
Non possono lavorare come notaio, giornalista, avvocato, architetto, medico, farmacista, veterinario, ingegnere, ostetrica, procuratore, patrocinatore legale, ragioniere, ottico, chimico, saltimbanco girovago, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale. Non possono avere la licenza per il taxi. Non possono fare i piloti di aereo.
Non possono lavorare in nessun ufficio della Pubblica Amministrazione. Non possono lavorare nelle società private di carattere pubblico, come le banche e le assicurazioni.
Non possono prestare servizio militare. Non possono essere proprietari o gestori di aziende. Non possono essere proprietari di terreni o di fabbricati. Non possono farsi pubblicità.
Non possono essere tutori di minori. Non possono, in alcuni casi, neanche mantenere la patria potestà sui propri figli.
I testi redatti, curati o commentati da autori ebrei, anche se scritti con “ariani”, non possono essere adottati nelle scuole. Le carte geografiche murali di autori ebrei sono vietate.
Gli ebrei non possono assumere domestici “di razza ariana”. Non possono lavorare come portieri di stabili abitati da ariani.
Le strade, le scuole e gli istituti non possono avere nomi ebraici e per questo vengono cancellati. Non possono comparire sugli elenchi telefonici e per questo sono cancellati. Non possono pubblicare necrologi.
Nei programmi radiofonici e nelle stagioni dei teatri non ci possono essere opere scritte da autori ebrei. Gli ebrei non possono fare gli attori, i registi, gli scenografi, i musicisti, i direttori d’orchestra e per questo vengono licenziati. Nelle mostre non possono essere esposte opere di pittori e scultori ebrei. Gli ebrei non possono fare i fotografi. Non possono fare i tipografi. Non possono vendere oggetti d’arte. Non possono vendere oggetti sacri, soprattutto se cristiani.
Non possono avere una rivendita di tabacchi, non possono lavorare come commerciante ambulante, non possono gestire agenzie d’affari, non possono gestire agenzie di brevetti. Non possono vendere gioielli. Non possono essere mediatori, piazzisti, commissionari. Non possono vendere oggetti usati.
Non possono vendere apparecchi radio. Non possono vendere libri. Non possono vendere penne, matite, quaderni. Non possono vendere articoli per bambini. Non possono vendere carte da gioco.
Non possono fare gli affittacamere. Non possono gestire scuole da ballo e scuole di taglio. Non possono gestire agenzie di viaggio. Non possono lavorare come guida turistica, non possono lavorare come interprete. Non possono gareggiare nelle manifestazioni sportive, perché il Coni li espulse da tutte le federazioni.
Non possono frequentare luoghi di villeggiatura in luoghi considerati di lusso, come la Versilia, alcune località di montagna, ma anche Ostia, il mare di Roma. In pratica non possono andare in spiaggia.
Non possono vendere alcolici, non possono esportare frutta e verdura, non possono esportare la canapa.
Non possono gestire la raccolta di rifiuti. Non possono raccogliere rottami di metallo. Non possono raccogliere lana da materassi, non possono tenere depositi né possono vendere carburo di calcio. Non possono raccogliere né vendere indumenti militari fuori uso.
Non possono avere il porto d’armi. Non possono avere concessioni per le riserve di caccia. Non possono avere permessi per fare ricerche minerarie. Non possono esplicare attività doganali. Non possono tenere cavalli. Non possono nemmeno allevare piccioni.

Italia, negozio di proprietà israelita chiuso (1942)
(foto da Wikipedia, P.F., archivio GrIG)