Da una decina di anni sta prendendo sempre più piede uno squallido e ricco business letteralmente sulla pelle dei Leoni.
In parole povere, in numerose fattorie del Sudafrica (ben 260), vere e proprie riserve private, vengono allevati cuccioli di Leone definiti orfani per catturare la sensibilità dei tanti sostenitori animalisti di tutto il mondo, ma, in realtà, nati da inseminazione artificiale di leonesse-fattrici.
Dopo un periodo nel quale vengono utilizzati per le foto con i turisti-sostenitori, i poveri Leoni finiscono sparati in un penoso tiro al bersaglio da parte di eroici cacciatori da operetta pieni di soldi.
Ed è sempre più difficile il presente e il futuro del Leone (Panthera Leo).
In epoca classica il suo areale andava dal Mediterraneo all’India, all’intera Africa.
Oggi è limitato all’Africa sub-sahariana, a macchie di leopardo, e al solo Gir Forest National Park in India.
Attualmente si stima (I.U.C.N.) l’esistenza complessivamente di 16.500 – 47.000 esemplari di Leone, nel 1950 si stimavano 400.000 esemplari.
E’ una specie vulnerabile, come tale iscritta nella Lista rossa delle specie minacciate dell’I.U.C.N..
L’uomo, solo l’uomo, è la causa del difficile presente e del difficilissimo futuro del Leone. Caccia, squallide pagliacciate come questa e distruzione degli habitat.
E’ ora di voltare pagina, una volta per tutte.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Leone (Panthera Leo), areale (I.U.C.N., 2014)
da Africa ExPress, 2 settembre 2018
Sudafrica, la lucrosa industria dei leoni allevati in cattività venduti a pezzi. (Sandro Pintus)
Ma il leone non era tra le specie selvatiche protette? Certo, ma non quando è allevato in cattività. Con questo stratagemma, dal 2008 il Sudafrica fa un lucroso business derivante da trofei, denti, artigli e dalle ossa del “re della foresta”.
La denuncia arriva da diverse associazioni ambientaliste e da vari media tra i quali il National Geographic Magazine e il quotidiano britannico Independent che accusano l’ex Paese dell’apartheid di incoraggiare l’industria del maestoso felino africano.
La prova tangibile è che la ministra dell’Ambiente, Edna Molewa, lo scorso 16 luglio, senza nessuna consultazione pubblica, ha annunciato che nel 2018 l’export degli scheletri di leone passerà da 800 a 1500 all’anno. Una conferma della grande crescita della domanda.
La decisione di Molewa ha mandato su tutte le furie molte ong che si sono schierate contro questo business. Le “fattorie” spesso hanno anche l’hotel dove gli ignari clienti possono essere fotografati con i leoni convinti che sia gli adulti che i cuccioli un giorno potranno tornare nel loro habitat naturale.
La popolazione dei leoni nel continente nero, dai 450 mila degli anni Quaranta si è ridotta ormai a circa 20-30 mila esemplari, minacciati quotidianamente dal bracconaggio. In Sudafrica i parchi nazionali ne ospitano 2.600 ma ci sono più leoni in cattività che liberi nelle savane. Nei 260 allevamenti dell’ex colonia britannica, secondo l’ong Born Free, se ne contano oltre 8.000.
In un’inchiesta il quotidiano britannico Indipendent ha denunciato la truffa delle fattorie dei cuccioli di leone orfani. Tutto falso. Le leonesse vengono continuamente inseminate artificialmente e i piccoli, dopo pochi giorni sono allontanati dalle madri per diletto dei turisti che non vedono l’ora di farsi i selfie con i cuccioli.
Quando diventano più grandi, ma non ancora pericolosi, sono utilizzati per accompagnare i visitatori nelle passeggiate e quando sono adulti vanno incontro a un triste, amaro destino che niente ha a che fare con la savana africana.
La “canned hunt” (letteralmente caccia in scatola) viene chiamata lo sporco segreto dell’Africa o la vergogna del Sudafrica. L’ “industria del leone” alleva la Panthera leo per offrire ai facoltosi turisti un macabro divertimento. Il fotogiornalista e ambientalista Ian Michler, in collaborazione con Humane Society International nel 2014 ha girato un Blood Lions (Leoni insanguinati) documentario di denuncia sul tema che ha fatto il giro del mondo.
È un crudele, atroce “sport” della serie “Ti piace vincere facile?”. Nella pratica diventa un tiro al bersaglio dove il leone, spesso drogato, è sbattuto in un’area ristretta e senza via di fuga.
Dopo aver pagato diverse migliaia di USD, una volta uccisa la fiera, il “giocatore” (se così si può chiamare) se ne torna a casa soddisfatto dove può appendere la sua testa come trofeo sulle pareti del soggiorno della villa.
Questo tipo di caccia, secondo gli ambientalisti è definita immorale e anti etica e contribuisce ad aumentare il bracconaggio. Il report “Trophy Hunting by the Numbers” (I numeri dei trofei di caccia) dell’ong americana Humane Society International (HSI) conferma che per ammazzare un leone in cattività il costo oscilla tra 10 e 20 mila USD. HSI riporta che, solo negli Stati Uniti nella decade tra il 2005 e il 2015, sono entrati circa 5.600 trofei di leone africano. La maggior parte di questi provengono dal Sudafrica.

Leone (Panthera leo)
(foto P.F., archivio GrIG)