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Fauna selvatica, danni (reali e presunti) all’agricoltura e psicosi.

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Cinghiale (Sus scrofa meridionalis, foto Raniero Massoli Novelli)

Cinghiale (Sus scrofa meridionalis, foto Raniero Massoli Novelli)

La vicenda di Cefalù (PA), dove due coniugi sono stati aggrediti da un Cinghiale (e non un branco di Cinghiali, come da più parti detto), provocando la morte dell’uomo e ferite per la donna, così come l’analoga vicenda di Iseo (BS), dove un Cinghiale ha caricato un agricoltore che gli aveva sparato, provocandone la morte, hanno provocato e provocano mille polemiche e richieste di soluzioni finali per le sanguinarie e crudeli bestie selvatiche, quali che esse siano.

Si va dalle moderate parole dell’on. Michele Cossa, coordinatore dei Riformatori Sardi, che vorrebbe il “prelievo controllato” ai danni della “popolazione di cinghiali e cervi” che “in alcune zone della Sardegna sta crescendo eccessivamente, con gravi rischi per la popolazione (come si è visto in Sicilia) e per le coltivazioni, dimenticando che il Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) è una specie in via d’estinzione, super-tutelata dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale, presente solo in poche aree della Sardegna e della Corsica, agli strali da osteria del già senatore leghista Erminio Boso, che vorrebbe riempire di piombo gli Orsi (Ursus arctos) del Trentino (già teatro della macabra caccia all’orsa Daniza) per “tranquillizzare le persone”.

Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus)

Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus)

Non solo.   Il Consiglio provinciale di Pesaro-Urbino, che tuttora resiste alla riforma degli Enti territoriali intermedi, resiste anche a ogni forma di ridicolo, perchè “vista la presenza massiccia e anomala di animali selvatici, in particolare cinghiali e lupi, nel territorio provinciale … visto che la presenza dei lupi non è caratteristica del nostro territorio … considerato l’allarme sociale provocato tra la popolazione … ” chiede alla Regione Marche di programmare un piano preciso di cattura dei lupi per riportarli nelle aree compatibili con la loro presenza, dove si trovavano originariamente, in particolare nelle zone dell’Appennino del centro-sud.

In buona sostanza, con la deliberazione n. 22 del 29 luglio 2015, il Consiglio provinciale di Pesaro-Urbino pretende che la Regione Marche organizzi un piano di deportazione dei Lupi (Canis lupus italicus) nell’Appennino sudista, da dove pensa che saltino fuori.

Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

Lupo italiano o appenninico (Canis lupus italicus)

Davanti a simili perle di ignoranza (il Lupo è storicamente presente nelle Marche almeno dagli anni ’80 del secolo scorso e lo era in precedenza almeno fino agli anni ‘40) fa persino tenerezza la favola del cacciatore buono assediato dai lupi cattivi nel Senese del dicembre 2014.

Se la Coldiretti in Sardegna se la prende anche con i Cormorani (Phalacrocorax carbo, evidentemente più nefasti degli scarichi inquinanti, della pesca abusiva e della cattiva gestione delle zone umide) e le Nutrie (Myocastor coypus, specie non autoctona, ma importata nei decenni scorsi per l’allevamento da pelliccia), è sicuramente il Cinghiale (Sus scrofa e, in Sardegna, Sus scrofa meridionalis) che attira i peggiori strali.

Purtroppo, a causa dell’assurdo persistere dell’allevamento incontrollato allo stato brado del Maiale, continua a esserci una diffusione molto ampia della peste suina africana fra Cinghiali e ibridi, come indicato chiaramente nel piano straordinario di eradicazione 2015-2017 (determinazioni Presidenza Regione autonoma della Sardegna n. 2611/86 e n. 2623/87 dell’11 febbraio 2015 + allegato).

Nel maggio 2015 è stato, poi, validato dall’Assessorato regionale della difesa dell’ambiente il report sui danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica in Sardegna (2008-2013), base per i piani di controllo della fauna selvatica, che devono avere il preventivo parere favorevole dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.).

Cinghiali (Sus scrofa meridionalis)

Cinghiali (Sus scrofa meridionalis)

Com’era prevedibile, i maggiori danni alle produzioni agricole risultano esser stati arrecati dal Cinghiale (Sus scrofa meridionalis), seppure a macchie di leopardo, tuttavia l’ampliamento della caccia al Cinghiale (per giunta contestata da larga parte dello stesso mondo venatorio) e piani di abbattimento per gran parte dell’anno non risolverebbero nulla [1].

Le ricerche scientifiche più aggiornate (vds. G. Massei e Altri, Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe, 2015; C. Consiglio, Occorre abbattere i Cinghiali per limitarne i danni?, 2014) dimostrano che i piani di abbattimento, anche massicci, del Cinghiale non comportano la sua diminuzione nel medio periodo.  Anzi.  Una delle proposte che ultimamente riscuote credito nel mondo scientifico perchè sembra dare risultati nel medio-lungo periodo, quantomeno in determinate situazioni ambientali, è il controllo della fertilità della fauna selvatica.   Ne parla ampiamente Giovanna Massei, ricercatrice della Food and Environment Research Agency di York (GB) nel suo Il controllo della fertilità nella fauna selvatica: una soluzione praticabile? (in Gazzetta Ambiente, 2012).

In proposito, proponiamo un’intervista al prof. Carlo Consiglio, biologo, docente universitario emerito presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, entomologo e zoologo di fama internazionale, nonchè Presidente onorario della Lega per l’Abolizione della Caccia.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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[1] Finora risultano approvati alcuni piani di abbattimento controllato: Gallura (luglio 2015), Parco naturale regionale “Porto Conte”, annualità 2013-2015 (dicembre 2014).

 

Cinghiale (Sus Scrofa)

Cinghiale (Sus Scrofa)

da Il Fatto Quotidiano, 17 agosto 2015

Cefalù e cinghiali: considerazioni e strategie da adottare. (Tamara Mastroiaco)

Dopo l’aggressione a Salvatore da parte di un gruppo di cinghiali a Cefalù e una serie di articoli usciti sull’argomento, ho deciso di contattare il Prof. Carlo Consiglio, zoologo e presidente onorario della Lega Abolizione Caccia (Lac) per commentare, insieme a lui, cosa realmente potrebbero e dovrebbero fare le istituzioni.

Sono ovviamente dispiaciuta per la morte dell’uomo e vicina alla famiglia, ma credo sia giusto ricordare a tutti che i primi responsabili della sua morte non sono i cinghiali, ma gli uomini, i cacciatori e le istituzioni, che spesso adottano scelte leggere, irresponsabili e dettate da motivazioni economiche e politiche.

Angelo Pizzuto, presidente del Parco delle Madonie, ha definito la morte dell’uomo come un disastro annunciato. Dice di aver chiesto più volte aiuto ma il legislatore non ha ancora preso provvedimenti. Il sindaco di Cefalù, Rosario Lampuzina e il sindaco di Pollina, Magda Culotta, hanno chiesto l’abbattimento degli animali perché “si trovano ovunque, anche vicino alle abitazioni”.

Cosa si potrebbe dire a tutti loro? “Esprimo la mia solidarietà al presidente del Parco delle Madonie, ma preciso anche che, se come ‘aiuto’ intende l’abbattimento, non riuscirà mai a risolvere i problemi del parco, anzi, essi si aggraveranno sempre di più. Nel comprensorio delle Madonie c’è da molti anni un fenomeno di pascolo brado di maiali, che si sono incrociati con i cinghiali, dando luogo a ibridi che hanno caratteri intermedi tra cinghiali e maiali. Questi ibridi, probabilmente, sono più prolifici dei veri cinghiali e, inoltre, hanno meno paura dell’uomo. Comunque è probabile che, se si abbattono, i danni aumentino” spiega il Prof. Consiglio.

Cinghiali (Sus scrofa)

Cinghiali (Sus scrofa)

Sentiamo, spesso, parlare di cinghiali autoctoni e alloctoni. Quanto ha colpa l’uomo? Quanto hanno colpa le Regioni? “Enormi colpe. Basti pensare che un secolo fa il cinghiale era assente dall’Italia settentrionale; nell’Italia centrale e meridionale il cinghiale era presente ma in misura molto ridotta. Ancora 30 anni fa, l’areale del cinghiale in Italia (cioè l’area da esso occupata) era appena un quinto di quella attuale. Le cause di questa enorme esplosione di popolazione sono legate sia all’abbandono delle campagne per opera dell’uomo che alle immissioni fatte a scopo venatorio dalle Regioni, dalle Province e dalle associazioni venatorie, in parte con esemplari di razze estranee, di maggiore statura, spesso provenienti da allevamenti, talvolta addirittura ibridati con maiali domestici. Va rilevato che gli animali di allevamento sono in genere più prolifici di quelli allo stato naturale, perché in natura la selezione favorisce gli individui che producono il giusto numero di figli, mentre nell’allevamento vengono favoriti i più prolifici, perché il cibo è disponibile in misura illimitata, in quanto è fornito dall’uomo.

Per lo stesso motivo gli animali domestici tendono ad essere più prolifici dei loro antenati selvatici. Quindi è probabile che queste immissioni abbiano causato un aumento della prolificità dei cinghiali. Possiamo, dunque, ben dire che la caccia in Italia è stata la causa della grande diffusione dei cinghiali e quindi dei danni da essi prodotti. Basti pensare che dei fondi a disposizione delle Amministrazioni provinciali, per far fronte all’impatto causato dalla fauna selvatica sulle attività antropiche di interesse economico, l’80% viene annualmente destinato al risarcimento dei danni causati dal cinghiale; il restante 20%, invece, va a rimborsare i danni causati da tutte le altre specie. In tutta Europa il cinghiale arreca danni all’agricoltura per oltre 80 milioni di euro all’anno, ma gli abbattimenti non sono un metodo efficace per evitare o limitare i danni, anzi, potrebbero incrementarli” dice il Prof. Consiglio. Uccidere gli animali per contenerne il numero è la scappatoia spesso adottata dalle Regioni e dalle Province, le stesse istituzioni che prima avallano l’immissione degli animali e subito dopo decidono di risolvere l’emergenza abbattendoli.

cartello "attenzione caccia al cinghiale"

cartello “attenzione caccia al cinghiale”

E’ questa la soluzione? “No, non solo da un punto di vista animalista, ma anche da quello tecnico, questa soluzione è rozza e semplicistica. Per trovare la giusta soluzione bisogna prima di tutto conoscere la struttura di popolazione ed il comportamento degli animali, cose che i nostri governanti naturalmente ignorano. Bisogna sapere che i cinghiali vivono in gruppi di sole femmine più i piccoli dell’anno, chiamati “compagnie”, nel cui ambito esiste la sincronizzazione dell’estro (periodo in cui una femmina è recettiva all’accoppiamento), cioè tutte le femmine di una stessa compagnia vanno in estro nello stesso momento, e per conseguenza anche tutti i parti delle femmine della stessa compagnia avvengono in un breve periodo di tempo. Quando le nascite sono così regolate, le femmine hanno in genere una sola gravidanza all’anno, incominciando con il secondo anno di vita.

Ma quando i cinghiali sono pesantemente cacciati, le compagnie si disperdono, le femmine diventano feconde già nel primo anno di vita e tendono ad avere due gravidanze all’anno. Di conseguenza, le popolazioni di cinghiali si accrescono invece di diminuire, così come i danni da loro causati. Infatti, nonostante in Italia da tanti anni si facciano abbattimenti di cinghiali, i danni aumentano sempre“. Altra questione che non digerisco – non senza ragione – è la scelta di demandare ai cacciatori la gestione degli animali selvatici ed è della stessa mia opinione il Prof. Consiglio: “E’ un gravissimo errore, per la semplice ragione che i cacciatori hanno tutto l’interesse a modificare i dati.

Prendiamo per esempio i censimenti, che sono alla base di qualsiasi gestione. I cacciatori hanno interesse a mostrare che ci sono molti animali, per convincere le amministrazioni regionali e provinciali e gli ambiti territoriali di caccia a mantenere aperta la caccia alle specie relative e per farsi assegnare carnieri più alti. Inoltre, essi saranno favorevoli a fissare carnieri che massimizzino la rendita e non la grandezza delle popolazioni interessate”. Gli abbattimenti vengono fatti in tutta Europa, in ogni stato con metodi diversi che possono variare localmente. Uscendo dall’Europa ci sono paesi, come gli Stati Uniti, per esempio, che adottano altri metodi per contenerli, come i contraccettivi. E’ naturale chiedersi se funziona, se è costoso e soprattutto perché in Italia non viene utilizzato questo metodo! “Esiste il vaccino GonaCon che viene definito come “efficace, umano e sicuro”. È contenuto in unasiringa che viene sparata con un apposito fucile; l’effetto secondo alcuni autori durerebbe più anni.

Ma ci sono metodi ancora più semplici, i migliori sono le recinzioni elettriche unite alla pasturazione in foresta. Le recinzioni elettriche costano pochissimo e, per questo motivo, sono molto usate anche dai pastori in montagna. Vanno però disposte intorno all’insieme dei campi coltivati e non intorno ad ogni singolo terreno. Inoltre, devono essere combinate con la pasturazione, perché i cinghiali devono trovare qualcosa da mangiare, altrimenti saranno portati a forzare le recinzioni. Le pasturazioni con mais devono essere situate in foresta ad almeno un chilometro dalle colture da proteggere. Si dice che le recinzioni elettriche permettano di conseguire risultati “davvero eccezionali” nella prevenzione dei danni, raggiungendo perfino il loro azzeramento”.

Cosa possiamo fare se dovessimo imbatterci in un cinghiale con prole, come dobbiamo comportarci? “Come con qualsiasi animale di grande mole e potenzialmente pericoloso: allontanarsi cercando di non mostrare di avere paura” conclude il Prof. Consiglio. Il caso di Cefalù, come quello di Daniza e dell’orso KJ2 (di cui parlerò a breve), è un esempio di malagestione della fauna selvatica da parte delle istituzioni. Esse dovrebbero dedicare e investire maggiormente denaro sull’educazione ambientale, anche nelle scuole, per insegnare il corretto rapporto uomo-animale. Tanti casi di animali “killer” – come vengono definiti da istituzioni e giornali – non esisterebbero, se gli uomini fossero in grado di rispettare il loro ambiente, adottando i giusti comportamenti.

 

Sardegna, foresta mediterranea di S'Acqua Callenti (Castiadas)

Sardegna, foresta mediterranea di S’Acqua Callenti (Castiadas)

(foto Raniero Massoli Novelli, L.A.C., A.A., S.D., archivio GrIG)

 



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