Pronuncia di sensibile rilievo del Tribunale del riesame di Crotone in relazione alla profonda diversità di natura fra agriturismo e interventi immobiliari turistico-ricettivi.
La fattispecie concreta è data dalla realizzazione del Marine Park Village, struttura definita “turistica alberghiera – agrituristica” (79 bungalows in legno con basamento in cemento, servizi, viabilità, ristorante, ecc.) nel relativo permesso di costruire emanato con atto Comune di Crotone – Settore 4 n. 162/NC del 20 dicembre 2011. La realizzazione delle unità ricettive appare inserita nell’Azienda agricola di riferimento, complessivamente estesa mq. 74.080.
Il cantiere sulla costa di Capo Colonna – Punta Scifo e oggetto di vari procedimenti penali anche su vari esposti ecologisti, è stato sottoposto a sequestro preventivo (art. 321 cod. proc. pen.) nell’ambito del procedimento n. 296/2017 RGNR confermato da decreto G.I.P. presso il Tribunale di Crotone del 25 febbraio 2017.
Il Tribunale del riesame da un lato ha provveduto a integrare e correggere ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen. le argomentazioni presentate dalla Procura della Repubblica, così come da giurisprudenza costante (vds. per tutti Cass. pen., Sez. II, 27 aprile 2015, n. 17454), dall’altro ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti dei reati di abuso d’ufficio (art. 323 cod. pen.) e di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 cod. pen. in relazione all’art. 476, comma 1°, cod. pen.) riguardo il rilascio di titoli abilitativi in violazione dell’“art. 7, commi 4 e 5, della legge regionale n. 14 del 2009 che espressamente esclude la possibilità di avviare attivita agrituristiche mediante l’edificazione di nuove costruzioni”. D’altronde nell’area non avrebbe potuto esser insediato nient’altro che un agriturismo, visto che ricade in zona di cui all’art. 73, lettera G (attività agrituristiche), delle norme tecniche di attuazione del vigente piano regolatore generale (P.R.G.) di Crotone.
Lo stretto e inscindibile legame fra le attività ricettive agrituristiche e l’azienda agricola di riferimento appare confortato dalle definizioni normative in materia: per “agriturismo”, ai sensi dell’ art. 2, comma 1°, della legge n. 96/2006, si intendono “le attivita’ di ricezione e ospitalita’ esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di societa’ di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attivita’ di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali“. La legge regionale Calabria n. 14/2009 (artt. 2-3) ha tenore analogo.
Secondo il Tribunale del riesame, la realizzazione di nuove costruzioni ha dato luogo a “una marchiana violazione di legge” e a “un permesso di costruire illegittimo”, avente gli estremi di abuso edilizio in area tutelata con vincoli ambientali (art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. in relazione all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).
Il Tribunale crotonese ha, quindi, ripercorso le lunghe e complesse vicissitudini dell’intervento turistico-edilizio in argomento, individuando varie “criticità” inerenti il rilascio dei titoli abilitativi fra cui la produzione “a corredo dell’lstanza flnalizzata al rilascio del permesso” di “una scrittura privata incontestabilmente falsa”, dato che “risultava stipulata il 12.10.2008 (e registrata il 24.10.2008) e ciò anche se” il venditore dei terreni risultava “deceduto circa tre mesi prima, il 28.06.2008”.
Le conclusioni del Giudice del riesame delineano senza equivoci il quadro degli interventi in corso di realizzazione: “il ‘Marine Park Village’, pur insistendo … con certezza in zona agrituristica, è chiaramente e incontestabilmente un insediamento a vocazione esclusivamente turlstlca, non essendo altro che un villaggio, formato da 79 bungalow, realizzati su una base in cemento armato (già edificata), e da altri manufatti tipici del complesso turistico-alberghiero (ristorante, piscina), che nessun nesso di collegamento o di connessione presenta con qualsivoglia ipotetlca attività o azienda agricola esercitata o esistente sul medesimo fondo”. Ciò basta, “allo stato, per ritenere la contrarietà dell’erigendo intervento alle previsioni dello strumento urbanistico del Comune Pitagorico e, quindi, la illegittimità del permesso di costruire rilasciato”.
Dal quadro tratteggiato dal Tribunale del riesame di Crotone emerge allo stato una situazione di abusivismo edilizio piuttosto evidente.
dott. Stefano Deliperi
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14/17 R.R.A Reali
N.296/2017 R.G,N.R.
Camera di Consiglio deì
21.03.2017
Data di Deposito del
11 APR 2017
TRIBUNALE DÌ CROTONE
SEZIONE PENALE
Il Tribunale, riunito in Camera di Consiglio, così composto:
- dr. ssa Abigail Mellace Presidente relatore
- dott. Marco Bilotta Giudice
- dr.ssa Raffaella Dattolo Giudice
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul riesame recante il n. 14/2017 R.R.A. proposto dagli aw.ti Domenico GRANDE ARACRI e Franco SCALZI nell’interesse di:
SCALISE Salvatore, nato a Crotone il 21.03.1968 ed ivi residente alla via lsraele n.71,
SCALISE Armando, nato a Crotone il 18.02.1959 ed ivl resldente alla via Aston,
avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Crotone in data 25.O2.2017 e notificato in pari data nell’ambito del procedimento penale n. 296/2017 R.G.N.R.;
yisti gli atti trasmessi dall’Autorità procedente;
udita la Difesa ed il Giudice relatore;
a scioglimento della riserva assunta all’udienza camerale del 21 marzo 2017
OSSERVA e RILEVA
Le contestazioni provvisorie poste a base del decreto di sequestro preventlvo.
Con decreto, emesso ai sensi dell’art. 321 c.p.p. in data 25 febbraio 2017, il GIP presso il Tribunale di Crotone, accogliendo parzlalmente la prodromica mozione avanzata dal PM, disponeva il sequestro preventivo di un’area, srta in località c.d’ “Scifo” del Comune di Crotone (“identificato in Catasto al foglio 56 particelle 256 parte, 972 parte e 974 parte di mq 41.845,00 per
una superfice complessivo di rnq 74.080.00“), sulla quale era in corso di realizzazione un villaggio-campeggio, composto da “79 bungalow ad uso turistico e da un corpo centrale destinato a ristorante-pizzeria”, denominato “Marlne Vlllage Park’.
Nell’esporre le ragioni poste a base dell’atto, il GIP evidenziava la sussistenza del fumus dei reati prowisoriamente contestati ai capi A), B) ed E) agli indagatì Dominijanni Elisabetta, Stabile Gaetano, Germinara Giuseppe e Pagano Mario, ritenendo le emergenze investigative illustrate dalla Pubblica Accusa idonee a integrare gli estremi degli ipotizzati delitti di abuso di ufficio (323 c.p.) e falso ideologico in atto pubblico (art.479 c.p. in relazione all’art 476 co. 1 c.p.).
ln particolare, in ordine al reato di abuso di ufficio di cui al capo a), esponeva il Giudice della cautela che, nel rilasciare il 20.12.2011 agli odierni ricorrenti SCALISE Salvatore e SCALISE Armando il permesso di costruire n. 162/NC con il quale è stata autorizzata, in un’area avente destlnazione di zona atrituristica, la realizzazione di un campeggio composto da 79 bungalow ad uso turistico, i pubblici ufflclali Dominjannl Elisabetta, dirigente del settore 4 “pianificazione e gestione del territorio” del Comune di Crotone e Stabile Gaetano, responsabile del procedimento, hanno violato l’art. 7, commi 4 e 5, della legge regionale n. 14 del 2009 che espressamente esclude la possibilità di awiare attivita agrituristiche mediante l’edificarione di nuove costruzioni.
ll titolo rilasciato agli indagati, argomentava infatti il GlP, permette, nonostante la certa qualificazione dell’area interessata dall’intervento come “zona agrituristica”, di realizzare 79 bungalow con base in cemento armato, unitamente ad ahre strutture (ad esempio il ristorante, la piscina) aventi certamente la connotazione di “nuove costruzioni” la cui edificazione è, come già detto, vietata dal comma 4 del citato articolo 7, ai sensi del quale “‘non possono essere realizzate nuove costtuzlonl per l’attività agtituristica e attrezzoture connesse” .
Gli stessi menufatti, inoltre, non rientrano neppure in nessuna delle rigorose ed eccezionali previsioni contenute nel successivo comma 5 e che consentono, pur in zona agrituristica, la realizaziore ex novo di manufatti (stabilisce, infatti, il citato comma che “l’edificazione di nuovi volumi potrà essere consentito solo se si configura in termini di adeguamento di strutture esistenti e di più funzionale fruizione delle stesse, compresi gli ampliamenti necessari all’adeguamento igienico-sanitario e tecnologico, nonché per la realizzazione di strutture di servizi ad esso afferenti (aula per attività diddttiche e sociali). Non è consentito nessun ampliomento dei fabbricati esistenti per l’aumento dello capacità rìcettiva (ristorazione e alloggi)“.
Ancora, precisava il GlP, la costruzione delle medesime strutture non può trovare alcuna giustificazione neppure nelle previsioni dell’art.73 del PRG (che consente in zona agrituristica l’edificazione di “manufatti in legno, lidi, chioschi, bar, strutture sportive e per il tempo libero“) dal momento che su tale norma, prevalgono, nel sistema di gerarchia delle fonti del diritto, le già citate disposizioni di legge regionale.
Pertanto, concludeva il giudice della cautela, gli indagati Dominijanni e Stabile, avendo consentito ai fratelli Scalise, titolari delle omonima ditta, di ottenere, attraverso una marchiana violazione di legge, un permesso di costruire illegittimo e al cui rilascio non avevano in alcun modo diritto, hanno attribuito a questi ultimi un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Vantaggio che può dirsi procurato intenzionalmente, stante la macroscopica illegittimità dell’atto compiuto dai due pubblici ufficiali aventi posizione apicale nel dicastero dell’urbanistica del Comune pitagorico.
Quanto al reato di abuso di ufficio contestato al capo B), ll GlP, dopo avere stigmatizzato la mancata allegazione agli atti posti a base della richiesta di alcuni documenti la cui valutazione avrebbe potuto meglio consentire di apprezzare il fumus del delitto, riteneva comunque l’idoneità delle risultanze investigative esposte e documentate a comprovare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito ipotizzato (nei confronti degli indagati Dominijanni, Germinara e Stabile).
Al proposito evidenziava che, in data successiva al rilascio del sopra citato permesso a costruire, la Dominijanni aveva convocato un “tavolo tecnico’, al quale aveva partecìpato anche lo Stabile, al fine di chiedere a tutti i soggetti amministrativi già coinvolti nell’iter di rilascio del provvedimento concessorio di verìficare la ricorrenza e la permanenza in capo agli Scalise dei requisiti legittimanti l’ottenimento e la conservazlone del titolo già ottenuto.
ln seguito, tuttavia, la stessa Dominijannì al pari di tutti gli altri pubblici ufficiali convocati, fra cui il Germinara, deliberatamente omettevano di compiere qualsivoglia accertamento, anzi in data 30.09.2015 la Dominijanni e lo Stabile prorogavano, per ulteriori tre anni, la validita del permesso già rilasciato e fissavano la decorrenza del provvedimento dalla data del ritiro dell’atto, così permettendo, in pratica, agli SCALISE di determinare ad libitum il dies a quo della proroga triennale ottenuta.
Siffatto provvdimento, precisava ancora il GlP, è da rftenersi illegittimo in quanto adottato dalla Dominijanni dopo avere con certezza appreso in data 4.04.2014 (fatto, questo, provato per tabulas) della revoca, con efficacia retroattiva, dello status di imprenditore agricolo ottenuto da SCALISE Armando nel 2011, status costituente un requisito imprescindibile del permesso già rilasciato {insistendo il protettato Intervento in una zona agricola, a vocazione agrituristica), la Dominijanni e lo Stabile, inohre, continuava il Gip, si determinavano a concedere la proroga sopra detta nonostante il contrario parere espresso dai legali del Comune di Crotone nel quale, senza mezzi termini, questi ultimi evidenziavano la contrarietà dell’intervento già autorizzato alla disciplina urbanistica vigente e suggerivano l’annullamento in autotutela del permesso rilasciato agli SCALISE. E ciò, non solo per l’intrinseca illegttimità amministrativa dell’atto, ma anche perché a monte dl tale prowedimento si registrava la consumazione di un reato di falso commesso dai titolari della concessione edilizie.
I fratelli SCALISE, infatti, nell’avanzare l’istanza tesa al rilascio della concessione edilizia, avevano attestato la titolarità di un diritto di godimento del fondo derivante da una scrittura privata (apparentemente) conclusa il 12 ottobre 2008 con il proprietario del fondo, tale Zurlo Giuseppe che, tuttavia, a quella data era già con certezza deceduto (essendo venuto meno 28/06/2OO8.
Quanto infine al reato di cui al capo e) ascritto al PAGANO, il GIP evideniava Ia sussistenza di elementi sufficienti a confermare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria, emergendo dagli atti che l’indagato, nella qualita di Soprìntendente A.B.A.P, in una nota redatta al fine di rispondere ad una interrogazione parlamentare, aveva falsamente attestato di non avere adottato alcun provvedimento di sospensione dei lavori in quanto “l’edificazione dei 79 bungalow era ultimato“, mentre, invece, “ancora oggi può riscontrorsi l’avvenuto realizzazione solo di un bungalow, essendo stato edificata, per i restonti, solo lo base in cemento armato“.
Le motivazioni della richiesta di riesame avanzata da SCALISE Salvatore e SCALISE Armando.
Nel richiedere l’annullamento del disposto vincolo cautelare, i difensori degli indagati SCALlSE Salvatore e SCALlSE Armando, nell’atto di ricorso, in primo luogo hanno eccepito l’inutilizzabilità degli atti di indagine sulla cui base è stato chiesto ed emesso il decrelo impositivo, per violazione dell’art. 414 c.p.p.
A tal fine hanno rilevato che rimpugnato decreto è stato adottato nell’ambito di un procedimento che segue, in ordine di tempo, altro procedimento (avente n. 1318/2015) instaurato a carico degli SCALISE per il reato di cui all’art. 181 comma 1D. Lgs n. 42/2OO4 in relazione all’art. 44 lett. c) DpR n.380/2001 e già definito con decreto dl archiviazione adottato dal Gip in data 29.12.2016.
Orbene, hanno argomentato i difensori, i reatida ultimo contestati (anche) ai fratelli Scalise trovano il loro fondamento, come riconosciuto dal GlP, sugli stessi elementi, sulle medesime acquisizioni probatorie gia posti a base delle precedenti imputazioni; per tale ragione, da un punto di vista fattuale, non sono diversi da quelli già in precedenza valutati.
Per tale ragione I’apertura di un nuovo procedimento, sia pure per I’iscrizlone di reati aventi un nomen juris diverso da quelli in precedenza contestati, doveva essere autorizzata dal GlP, previa richiesta del PM, ai sensi dell’art 414 c.p.p. ciò in quanto il decreto di archiviazione priva il PM del potere di adottare “ulteriori opzioni” sui fatti già oggetto del medesimo decreto, a meno che non si chieda e si ottenga il decreto di riapertura delle indagini dal quale consegue una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Nel merito i difensori contestavano la sussistenza del fumus dei reati di abuso di ufficio e falso in atto pubblico posti a base del decreto impositivo del vincolo cautelare’
ln relazione al reato di cui al capo a) evidenziavano che l’art. 7 della legge regionale 14/2009, nel disciplinare i c.d. “locali per attività agritutistiche“, detta, ai commi 4 e 5, delle prescrizioni che non si riferiscono generalmente a tutte le nuove costruzionl che possono essere realizzate in zona agrituristica ma solo alle “strutture preesistenti”, già adibite ad attivita agrituristica, descritte nei primi tre commi della citata norma e che, in ogni, caso la violazione di tale disposizione comporta la semplice applicazione delle sanzioni di cui all’art.31 della stessa legge vale a dire “sanzioni pecuniarie ovvero di sospensione dell’attivito quale agroturistica e con la conseguente perdita delle agevolazioni anche fiscale”.
Aggiungevano ancora i difensori la non configurabilità, in punto di diritto, della ulteriore violazione dell’art. 73 del PRG contestata agli indagati nel corpo della imputazione di cui al capo a) (e non ritenuta, comunque, sussistente dal GIP nel decreto gravato).
Al riguardo evidenziavano che, secondo le disposizioni urbanistiche vigenti, nelle c.d. “zone agrituristiche”, oltre ad interventi su manufatti preesistenti, è consentita la realizzazìone di “campeggi, villaggi camping” i quali devono essere edificati secondo le modalità descritte al punto C) del medesimo art. 73 che testualmente recita: “in queste zone è consentlta lo reallzzazione di strutture turistiche quali campeggi (tende o bungalow ìn legno), lidi, chioschì e bar. ln queste zone è inoltre consentita lo realizzazione di sttutture sportive e per il tempo libero“.
Quanto al reato di cui al punto b) evidenziavano i difensori la legittimità del provvedìmento di proroga del permesso di costruire rilasciato agli indagati non solo in quanto la durata triennale della proroga concessa è contemplata e ammessa dalla normativa vigente (legge 98/2013 di conversione del DL n. 69/2013) ma poiché, comunque, non si appalesano sussistenti tutte quelle criticità che invece a giudizio della Pubblica Accusa avrebbero imposto la revoca in autotutela del permesso già rilasciato.
Al riguardo evidenziavano che la qualifica di l.A.P. (imprenditore agricolo professionale) non rileva quale presupposto del rilascio del titolo concessorio, trovando l’intervento edilizio la sua legittimazìone solo nella qualità intrinseca dell’area su cui insiste e non sulla titolarità, in capo ai richiedenti, del predetto status imprenditoriale, status che rappresenta solo la condizione necessaria per usufruire di vantaggi di natura fiscale, per come disposto dall’art. 17 comma 3 del TU n. 380/2001 (norma che disciplina le ipotesi di permesso di costruire gratuito, stabilendo in modo tassativo uno serie di esenzioni dallo corresponsione del contributo di costruzione) .
Aggiungevano che la contestata falsità della scrittura privata attraverso la quale gli SCALISE hanno provato la titolarita di poteri di disposizione sul fondo o88etto detl’intervento non è dimostrata in modo certo così come sostenuto dal GIP e che, comunque, siffatta emergenza è irrilevante dal momento che in seguito gli Scalise, con atto pubblico, sono in seguito divenuti i proprietari del fondo. ln ogni caso, precisavano, la revoca in autotutela di un provvedimento concessorio (revoca suggerita nel caso di specie dal legale del Comune di Crotone e non disposta dagli indagati) non è un atto doveroso, dipendendo la sua adozione da valutazioni discrezionali del pubblico ufficiale.
Soffermandosi poi sul reato di lottizzazione abusiva contestato nella richiesta cautelare e non ritenuto dal GIP idifensori sostenevano la legittimità del permesso di costruire rilasciato agli SCALISE:
– per essere questi divenuti proprietari dell’area interessata dall’intervento avendola acquistata medìante un alto pubblico rogato il 22.09.2010 dal notaio dott. Carlo Perri;
– per essere SCALISE Salvatore titolare di una impresa agricola con attività di coltivazione di ortaggi e seminativi regolarmente iscritta alla Camera di Commercio di Crotone,
– per insistere lrintervento edilizic in contestazione solo su una parte dell’area complessiva nella disponibilita degli SCALISE, essendo la restante parte destinata ad attivita agricole accessorie all’intervento edilizio stesso.
– per essere il progettato intervento rispettoso delle previsioni del PRG secondo le “nelle zone agrituristiche è consentita la realizzazione di strutture turistiche quali campeggi (tende o bungolow in legno, lidi, chioschi, bar)”.
Ancora evidenziavano che, in ogni caso, ad impedire la configurazione del contestato reato di lottizzazione abusiva è l’oggettiva sussistenza di un prowedimento concessorio che il Giudice penale non ha il potere di disapplicare sol perchè lo ritenga illegittimo, potendo la disapplicazione avere luogo soltanto nella ipotesi dì “collusioni del costruttore con la pubblica amministrazione”, eventualità questa esclusa dal GlP.
lnfine evidenziavano che, in ogni caso, la misura ablativa appare illegittima in quanto disposta in relazione a due contestazioni di abuso di ufficio prive dei requisiti della concretezza e dell’attualità nonché ampiamente consumate e prossime alla prescrizione e che, oltretutto, non presentano alcun nesso di pertinenzialità con la res sottoposta a vincolo.
Lo svolgimento del presente procedlmento dl riesame.
A seguito della tempestiva proposizione della istanza di riesame supportata dalle motivazioni sopra esposte, questo Presidente, con decreto del 7 marzo 2017, fissava la data del 14 marzo 2017 per la trattazione del ricorso.
Nel corso dell’udienza, tuttavia, i difensori dei ricorrenti chiedevano un breve differimento, evidenziando che il corposo incarto procedimentale trasmesso dal PM ai sensi dell’art. 324 comma 3 c,p.p., risultava pervenuto presso la cancelleria del Tribunale solo il giorno precedente.
Accolta l’istanza e aggiornato il procedimento, nel corso dell’odierna udienza il PM, riportandosi anche ad una memoria già depositata nel corso della precedente udienza del 14.O3.2017, illustrava gli sviluppi dell’indaSine e gli elementi acquisiti successivamente alla data di esecuzione del sequestro preventivo; guindi chiedeva il mantenimento del vincolo cautelare non solo per le ragioni esposte nell’atto impugnato ma anche in considerazione delle emergenze sopravvenute e di tutte le complessive risultanze “procedimentali” già poste a base delle provvisorie contestazioni riportate nella mozione cautelare, ivi comprese quelle (relative ai capi c), d) ed f) per cui il GIP aveva escluso il fumus.
Contestazlonl che, inoltre, il PM prowedeva a rimodulare e a precisare nei termini riportati appunto nella suddetla memoria del 14.03.2017.
I difensori, invece, previo deposito di memoria difensiva, ribadivano la richiesta di annullamento del vincolo cautelare, sostenendo, ancora una volta, la legittimità dell’intervento edilizio oggetto del permesso di costruire rilasciato dai pubblici ufficiali ai fratelli SCALISE Salvatore e SCALISE Armando.
All’esito della Camera di Consiglio, il Collegio, con dispositivo allegato agli atti, rigettava il ricorso e confermava il prowedimenlo impugnato, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
lnoltre, stante la complessita delle emergenze procedimentali riservava, ai sensi dell’art. 324 comma 7 in rel. all’art. 309 comma 10 c.p.p., il deposito della motivazione della decisione nel termine di trenta giorni (scadente il 20.03.2017).
Motivl della decisione. I poteri-doveri del Trlbunale “del riesame” nella trattazione del ricorso ex art. 324 c.p.p.
Ritiene ìl Collegio che il ricorso sia infondato e, pertanto, debba essere rigettato.
Prima di esporre le ragioni di tale convincimento, appare opportuno, anche al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci e di evidenziare la manifesta infondatezza di alcuni rilievi difensivi relativi ai “limiti” entro i quali deve essere circoscrìtto il potere valutatavo e decisorio di questo Collegio, precisare, invece, la natura e i confini delle valutazioni e del conclusivo giudizio che, in ordine alla iegittimita di un prowedimento applicativo di una misura cautelare reale, è chiamato ad esprimere il Tribunale, investito, ai sensi dell’art. 324 c.p.p., di una istanza di riesame.
A tal proposito va evidenziato che, come pacificamente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. fra le altre sentenze, sezione ll, 27 aprile 2015 n. 17454), il Tribunale del riesame è un giudice di merito e, come tale, ha il potere-dovere di integrare, completare, flnanche correqgere la motivazione non solo in dlritto, ma andre in fatto del provvedimento cautelare impugnato, confernando qust’ultimo, ove ne ricorrano le condizioni, anche con una motivazione diversa e aggiuntiva rispetto a quella esposta nel decreto imposltivo.
Nella parte motivazionale della sentenza sopra citata, infatti, i Supremi Giudici hanno spiegato che “il Tribunole del riesome, sebbene non posso mutore lo natura del prowedimento sottoposto al suo sindacato e confermore cosi uno misura cautelore reole per finalità diverse da quelle per le quoli è stato disposto (trasformando ad esempio un sequestro preventivo in un sequestro probatorio o in un sequestro conservativo), può imtece correggere e integrore la motivazione del prowedimento impugnoao non solo in punto dl dlrltto (mutando ad esempio la quatilicazione giurldlca del fatto) ma anche relativamente alle questioni di fatto e agli apprezzamenti dl merito purché sulla scorta delle risuttanze deglì atli che ad esso sono sottoposti (Cass, sez. 2 n. 3703 del 18/12/2007), essendo prccluso al Ttlbunale del riesame l’esercizio dì potere istruttorio volto alla acquisizione di nuovi elementi di prova,
ll potere di integrare e correggere Io motivazione, con le relative valutazioni in fatto, discende dalla natura di Giudice del merito che è propria del Tribunale del riesame, natura che lo distingue essenziolmente dalla Corte di Cassazione quole giudice del mero diritto, dalla quale discende non solo il potere ma anche il dovere del detto Tribunale dl compiere un riesame ileno della vlcenda ad esso sottoposta, in modo da potere sostituire le proprie valutazioni a quelle del giudice che ha emesso ll provvedlmento impugnoto – ove non condivìse – e i propri argomenti giustificativi a quelll contenuti nel detto provvedimento“.
Sviluppando tale ragionamento, hanno ancora spiegato i Supremi Giudici di legittimità che “l’integazione o lo sostituzione della erroneo o non condivisa motivazione del provvedimento impugnato costituisce per il Tribunale del riesame un vero e proprio potere-dovere, dimodoché l’annullamento dello ordinanza impositiva dello misura cautelare costltuisce l’extrema ratio delle determìnazioni adottobili: tale annullamento può essere disposto solo ove il provvedimento impugnato sio manconte di motivazione, essa si risolva in clausole di stile e quindi in uno motivazione apparente. Negli altri casì il Trìbunale del rìesame non può annullare l’ordinanza impugnato della quale non condivida e ritenga erronea le valutazlonl in fatto, senzo prima avere verificato la posslbllltà che il provvedimento cautelare possa trovore idoneo fondamento giuridico e fattuale negli altri elemerrtl – dlversi da quelli indicati dal GIP – e comunque emergenti dagli atti ad esso sottoposti”.
Si ricorda, inoltre, che la Suprema Corte, in varie pronunce tutte conformi, ha anche precisato che gli elementi sulla base dei quali il Tribunale del riesame può legittimamente fondare la sua decisione possono essere sopravvenuti.
Al proposito si legge, ad esempio, nella recente sentenza n. 16459 del 2015 che “il Pubblico Ministero è libero di integrare il compendio con ulteriori atti – depositandoli nello cancelleria del Tribunale in visto dello procedura camerale di impugnazione azionato dall’interessato piuttosto che direttamente nell’udienza in camera di consiglio – atti che possono legittimamente essere posti dal Collegio a fondamento dello decisione assunta all’esito del ricorso per riesame“.
Del resto, argomentano i Giudìci di legìttimità, “l’art. 324 comma 7 c.p.p, fa espresso richiamo all’art. 309, commi 9 e 10 dello stesso codice, alla stregua del quale il Tribunale “annulla, riforma o conlerma l’ordìnanza oggetto del riesame decidendo anche sullo base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. ll Tribunale può annullare ll provvdìmento o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso…. Da tale lineare disposto normativo discende per tabulas che le parti, dunque anche quella pubblica, hanno pìena facvoltà di integrore il fascicolo della procedura incidentale producendo atti direttamente in udienza (ovvero nei giorni ad esso precedenti nello cancelleria del giudice della impugnazione) e che il Tribunale può poggiare il provvedimento decisorio su tali sopravvenienze.
Nella stessa sentenza si ricorda, inoltre, che la Suprema Corte, già nella sentenza sez. lll, n. 15882 dell’8 marzo 2001, he dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimilà costituzionale dell’art. 324 comma 7 c.p.p. “nella parte in cui, per lo decisione del riesame della misura cautelare, consente dl utlllizzare elementi di prova sopravvenuti sfavorevoli atl’indagato, atteso che i beni posti o confronto non sono tro loro comparabilili e il procedimento risponde al principio di parità dlle parti processuali nonché a quello di celere definizione dei giudizi“.
Quanto, invece. ai conflni dei poteri di cognizione del Tribunale del riesame, deve ricordarsi che, come pacificamente stabilito dalla Suprema Corte, nella procedura incidentale ex art.324 c.p.p., il sindacato del Collegio non può investire la concreta fondatezza dell’accusa ma, essendo fìnalizzato a verificare la sussistenza del fumus dei reatì prowisoriamente contestati, è circoscritto al “controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rlmanendo preclusa ogni valutazione riguardo la sussistenzo degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi” ( Cass. S.U.23-2-00 Mariano).
Ciò in quanto le condizioni generali per l’applicazione personali previste dagli artt.273 e 274 c.p.p. non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali, la cui adozione, pertanto, è del tutto svincolata da tali presupposti.
Orbene, se quanto appena detto è pacifico, è però altrettanto vero che la più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità ha precisato e chiarito che il giudice del riesame, per espletare in modo effettivo il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può limitarsi a valutare soltanto l’idoneità degli elementi probatori offerti dalla Pubblica Accusa a integrare il reato ma deve prendere in considerazione e vagliare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sul fumus del reato ipotizzato.
Sviluppando tale ragionamento, gli Ermellini hanno altresì sostenuto che, anche sulla base delle allegezioni difensive debitamente valutate, il Tribunale del riesame può rilevare il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché lo stesso emerga ictu oculi (cfr. Cassazione penale sez.VI 6/02/2014 n. 15153: “in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono mìsure cautelari reali, il Giudice benché gli sia precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operoare ll controllo, non meramente cartolore, sullo base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del ‘fumus’ del reato ipotizzato con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, purchè di immediato rilievo“).
Pacifico è, infine, il potere del Tribunale di confermare il prowedimento cautelare anche sulla base di una diversa e/o aggiuntlva quatlflcazione giuridica dei fatti esposti e rappresentati dalla Pubblica Accusa e in relazione ai quali è stato ravvisato il “fumus commissi delicti” sostiene, infatti, sul punto la Suprema Corte che “in tema di misure cautelari reali il Tribunale deve avere riguardo al fatto in relazione al quale si rappresenta l’esistenza di un fumus del reato ma ben può confermare il provvedlmento cautelare anche sulla base di una diversa qualificazione giuridico” (cfr. fra le altre Cass. !4/10/2009 n. 4316).
lnfondatezza dell’eccezione ex art 414 c.p.p.
Come sopra già anticipato, nel richiedere l’annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso dal GlP, i difensori degli odierni ricorrenti hanno “in via preliminare e assorbente evidenziato che i! provvedimento impugnato è assolutamente illegittimo per violazione dell’art.474 c.p.p. (si rimanda sul punto a quanto sopra esposto in merito alle motivazioni poste a base della richiesta di riesame).
Ritiene il Collegio che l’eccezlone sia manifestamente infondata e, pertanto, debba essere rigettata.
Ed invero emerge in modo chiaro dagli atli trasmessi a questo Tribunale come il procedimento penale, avente n.296/2017 RGNR, nel cui ambito è stato emesso l’impugnato decreto, ha ad oggetto fatti che, sotto ogni profilo, sono completamente dlversi da quelli ritenuti nel precedente procedimento penale n. 1318/2016 RGNR definito con prowedimento di archiviazione emesso in data 29.12.2015.
Si ricorda, infatti, per chiarezza che in quest’ultimo procedimento agli odierni ricorrenti era contestato soltanto il reato di cui all’art. 181 comma 1 D.Lgs. 42/2004 in relazione all’art 44 lett c) DPR n. 380/2001, avendo il PM ipotizzato che la autorizzazione paesaggistica, inizialmente ottenuta dagli indagati SCALISE Salvatore e SCALISE Armando per la costruzione del Marine Park Village, avesse perduto efficacia, per decorrenza quinquennale, alla data del 27.10.2013 e che, pertanto, l’erigendo villaggio fosse privo di un presupposto indispensabile per la sua realizzazione, presupposto la cui mancanza veniva ad inficiare anche la validità del provvedimento di proroga del permesso di costruire rilasciato dal Comune di Crotone in data 30.09.2015 (contestazione, questa che, all’esito anche della definizione della procedura incldentale di riesame promossa dagli indagati avverso ll provvedimento di sequestro inizialmente emesso dal GlP, si è rilevata infondata, essendo emersa la perdurante vigenza della predetta autorizzazione paesaggistica per effetto dell’avvicendarsi di varie norme che ope legis ne hanno prorogato l’efficacia, così come sul punto statuito anche dai competenti Giudici Amministrativi).
Ebbene, tanto premesso, è, allorò di tutta evidenza come il presente procedimento penale (iscritto per i reati di abuso di uffìcio, falso in atto pubblico, lottizzazione abusiva per illegittimità del provvedimento concessorio in contrasto con le previsioni urbanistiche) abbia ad oggetto fatti completamente e radicalmente diversi da quello già valutati.
Tali fatti, inoltre, sono ascritti non solo ai fratellì SCALISE ma anche a soggetti pubblici fino ad oggi mai coinvolti nelle indagini, e comunque, è bene precisare, sono compiutamente emersi nella loro rilevanza penale a setuito di indagini mirate e specifiche awiate a partire dalla data del 3.1.2017 (in cui veniva iscritto, inizialmente al modello 45 – registro afferente i fatti non costituenti notizia di reato – il procedimenlo n. 22/2017, poi divenuto dapprima il procedimento n.145/2°17 mod.44, iscritto contro ignoti, e poi il presente procedimento n. 296/2017 RGNR).
Dall’esame detli attì trasmessi a seguito dell’istanza di riesame emerge, infatti, che nella data sopra indicata pervenavano presso l’Uffìcio di Procura dapprima un articolo di giornale nel quale si segnalava l’assunta falsità di alcune dichiarazioni rese dal Soprintendente Pagano in seguito degli esposti che denunciavano l’illiceità, sotto vari profili, dell’intervento edilizio in corso di realizzazione in località SCIFO’
A seguito di tali eventi, l’Ufficio dl Procura disponeva l’avvio di specifiche indagini volte a fare luce espressamente sui fatti denunciati e soltanto all’esito, una volta appresi i risultati delle investigazioni, sintetizzati nella informativa depositata presso l’Uffìcio di Procura in data 26.O1.2017, iscriveva nel registro delle notitiae criminis gli specifici reati oggetto del presente procedimento, reati che, si ribadisce ancora una volta, sono completamente e ontologicamente diversi da quello contestato nel precedente procedimento chiuso con decreto di archiviazione.
Manifestamente infondate è allora, alla luce ditali considerazioni, l’eccezione difensiva.
Il provvedimento di archiviazione emesso dal GIP ha, infatti, una efficacla limitatamente preclusiva, impedendo solo, ìn difetto del decreto ex art 414 c.p., solo quelle nuove investigazioni che riguardano il “medesimo fatto” gia ritenuto nel procedimento concluso, intendendosi con tale precisa espressione solo “il fatto storicamente riconosciuto e addebitato all’indagato, nelle componenti oggettive della condotta, dell’evento e del nesso di causalità”.
Per tale ragione la procedura autorizzatoria per la riapertura delle indagini non è necessaria e, anzi, non deve essere in alcun modo awiata quando le nuove investigazioni non riguardano il medesimo fatto ma un fatto storicamente e giuridicamente completamente diverso, a maggior ragione se appreso successivamente.
Nel sancire tale principio, la Suprema Corte, valutando l’utilizzabllltà in altro procedimento degli atti di indagine compiuti nel procedimento archiviato, in assenza del decreto ex art 414 c.p.p. ha anche, con chiarezza precisato che “in tema di riapertura delle indogini, l’inutilizzobilità degli elementi di prova è limitato a quegli atti di indagine compiuti dal p.m. in ordine alla medesima notitia criminis per la quale è stota in precedenza disposta l’archiviazione ove siono effettuati senza che sia stato adottato un formale provvedimento di riapertura delle indagini. L’inutilizzabilità riguorda, dunque, unicamente gli atti di ìndagine geneticamente compìutì in riferimento ai fatti per i quali vi è stata archiviazione ma non anche quelli acquisiti e formati in un autonomo e diverso procedimento probatorio rilerito a fatti diversi” (Cass. 12-12-2003 n. 5181).
E ancora “sono utilizzabili le dichiorazioni rese, prima dell’autorizzazione del giudice alla riapertura dette indagini, in un procedimento diverso da quello oggetto della pregressa archiviazione e relative al fotto qualiflcato come oggettlvomente divercsoda quello sul quale l’archiviazione sia intervenuta” {Cass. 1-O4.2010 n. 1512); “la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell’art 414 c.p. colpisce solo gli atti che riguordano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione e non anche fattl dlversi e successlvl benché collegati con i fatti oggetto dello precedente indagìne” (Cass. 28-09.2004, 115).
ll “fumus commissl delicti” in ordine alle prowisorie contestazioni oggetto del presente procedimento.
Come sopra già detto, a seguito della proposizione della istanza di riesame da parte degli odiemi indagati, il PM ha trasmesso a questo Tribunale tutti gli atti e i documenti già acquisiti nella fase delle indagini sfociate nel provvedimento di urgenza non convalidato dal GIP (colmando anche le “carenze documentali” stigmatizzate dal GIP) nonché quelli acquisiti in seguito alla esecuzione del decreto di sequestro preventivo, nelle more della trattazione del presente ricorso.
Sulla base di tali elementi, ha anche, nella memoria depositata nel corso dell’udienza del 14 marzo 2017, precisato, in punto di diritto, le prowisorie contestazioni mosse a tutti i soggetti indagati nell’ambito del presente procedimento (al proposito si ricorda che, secondo la pacifica Giurisprudenza della Suprema corte il PM, “nella fase delle indagini preliminari, può procedere in qualsiasi momento alle modificazioni fattuali dello contestazione, anche nel corso dell’udienza per
il riesame delle misure cautelari“- Cass. 24-5-05, Sorocino).
Ebbene la valutazione del complesso compendìo “probatorio” sottoposto al vaglio di questo Tribunale consente di ritenere la piena legittimità del provvedimento impositivo adottato, essendo lo stesso fondato su entrambi i presupposti (fumus commissi delicti e periculum in mora) che, per legge, ne consentono l’adozione.
Venendo, ln prlmo luogo a ricostruire i fattl oggetto delle provvisorie contestarione di cui ai capi A), B), C) e D, va ricordato che, in data 20.12.2011, il Comune di Crotone, nelle persone di Dominijanni Elisabetta, dirigente del settore 4 “pianificozione e gestione del territorio”, e Stabile Gaetano, responsabile del procedimento, a conclusione di un iter iniziato nell’anno 2008, rilasciavano ai germani SCALISE Salvatore e SCALISE Armando, il permesso di costruire n. 162/NC con il quale autorizzavano, nell’area c.d. di Punta Scifo, ricadente, secondo le previsioni del vigente Piano Regolatore Generale in “zona agrituristica”, la realizzazione “di un campeggio articolato in 79 bungalow a uso turistico e un copro centrale attrezzato destinato a ristorante/pizzeria” denominato “Marine Park Village”.
Tale prowedimento veniva emesso a seguìto delle istanze con le quali i germani Scalise attestavano (il 10.07.2008, il 25.09.2008, 12.11.2009) di essere “imprenditori agricoli professionali” e “proprietari” dell’area dove doveva sorgere il progettato intervento.
A seguito della specifica domanda avanzata in data 29,09.2008, il Comune di Crotone, in persona del funzionario responsabile STABILE Gaetano, rilasciava il 29.09.2008 (nello stesso giorno di presentazione dell’istanza) una certificazione con la quale attestava che “l’intervento proposto in doto 1O luglio 2OO8, prot. n. 38300, relativo al progetto di un campeggio in località Alfiere è normato dall’art. 73 lett. G delle N.T.A. al P.R.G. ed è conforme olle previsioni dello strumento urbanistico“.
Successivamente il 27.10.2008 la Provincia di Crotone rilasciava l’autorizrazione paesaggistica n.97/2008, inviando l’incartamento alla Soprintendenza B.A.P. per la Calabria per l’adozione del necessario nulla osta paesagglstico.
Tale ente, tuttavia, ometteva di provvedere nel termine di 60 giorni previsto dalla legge (e scadente il 27.12.2008), così determinando il formarsi del nulla osta, nella forma del “silenzio-assenso“.
ln seguito il 24.04.2009 la competente Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria, pronunciandosi sulla richiesta di un “parere” in merito al progettato intervento, esprimeva “parere favorevole” ma prescriveva, essendo l’area interessata dai lavori “prossimale al parco Archeologico di Capo Colonna, vincolato con D.M del 7/11/1981 ed espropriato con DM del16/05/2001”, di compiere “ogni operazione che comportasse scavi di qualsìasi natura sotto l’alta sorveglianza di personale tecnico scientifico specializzato nel settore archeologico”.
Il 20.12.2011 il Comune di Crotone, nelle persone del dirigente Dominijanni Elisabetta e del responsabile del procedimento Stabile Gaetano, dopo avere nelle premesse richiamato, fra gli altri atti, “il pìano di miglioramento oziendole redatto dal dott. Salvatore Nicoscia in dota 11 dicembre 2009” e “il certificoto IAP rilasciato dalla Provincia di Crotone in data 24.10.2011 attestante la qualifica di SCALISE Salvatore quole imprenditore agricolo professionale“, rilasciavano il permesso di costruire.
I lavori iniziavano nell’aprile 2012.
A distanza di circa due annl, la PG avviava delle indagini avendo constato che su un’area adiacente a quella interessata dalla costruzione del “Marine Park Village” erano in corso dei lavori non autorizzati finalizzati a realizzare un “percorso verso lo battigia tramite lo predisposizione dì grossi massi sovropposti o sostegno del terreno” (trattasi di vicenda divenuta oggetto di un parallelo procedimento penale, avente n. 2458/2014, ancora pendente innanzi al Tribunale monocratico di Crotone).
Dette investigazioni, svelando un “abuso” avente carattere servente rispetto all’intervento edilizio che qui occupa, producevano l’effetto di accendere i riflettori anche sui lavori di realìzzazione del Marine Park Village, tanto che in data 21.01.2014 la dirigente Dominijannì Elisabetta emetteva una ordinanza (la n.6) con la quale sospendeva, non solo la realizzazione dei lavori abusivi di realizzazione del percorso verso la battigia, ma anche “a scopo cautelativo” quelli già assentiti con il permesso di costruire n. l62/2011.
ln seguito la stessa dirigente Dominijanni convocava un “tavolo tecnico” avente il fine di rìesaminare la legittimità del medesimo prowedimento concessorio rilasciato e, quindi, la conformità dello stesso atto agli strumenti urbanistici e alle prescrizìoni paesaggistiche vigenti.
A tale tavolo venivano invitati, oltre al responsabile del procedìmento Stabile Gaetano, anche la Provincia di Crotone, nella persona di GERMINARA Giuseppe, e la Soprintendenza nella persona di LOPRETONE Pasquale.
Secondo quanto emerge dagli atti, tale determinazione veniva assunta perché a quel tempo stavano emergendo alcune “criticità” che connotavano il titolo rilasciato ai fratellì Scalise.
ln particolare la Dominijanni, in data 4 agrile 2014, veniva ufficialmente informata che il 24.03-2014 i competenti organi provinciali, a seguito di specifici accertamenti eseguiti dall’lNPS, avevano revocato con effetto retroattivo la qualifica di l.A.P. ottenuta in data 10/05/2010 da SCALISE Salvatore.
lnoltre dalle indagini in corso era emerso che i germani SCALISE, al fine di dimostrare la disponibilità giuridica del fondo interessato dall’intervento, avevano prodotto, a corredo dell’lstanza flnalizzata al rilascio del permesso, una scrittura privata incontestabilmente falsa.
Tale scrittura, infatti, con la quale il proprietario del fondo ZURLO Giuseppe “autorizzava i signori SCALISE Armando e SCALISE Salvatore a richiedere documentazione relative al fondo di sua prcprietà, a varare progetti” e a fare quant’altro necessario “per l’awio di qualsiasi attività sul fondo, immettendoli nel possesso del medesimo“, risultava stipulata il 12.10.2008 (e registrata il 24.10.2008) e ciò anche se il predetto ZURLO era deceduto circa tre mesi prima, il 28.06.2008.
Per tali ragioni la Dominijanni. dopo avere convocato il suddetto tavolo tecnico. in data 8/05/2014, chiedeva all’Ufficio Legale del Comune di Crotone un “parere” in ordine alla legittimità del permesso di costruire n. 762/2011.
Evadendo tale richiesta, l’aw. Rosa Russo suggeriva “quale unica soluzione prospettabile“, l’annullamento in autotutela del titolo rilasciato agli Scalise.
Ciò in quanto, a giudizio dell’Awocatura, tale permesso, oltre ad essere radicalmente nullo in quanto adottato in conseguenza di un reato e, precisamente, del delitto di falso in scrittura privata (485 c.p.), era fondato su un requisito, la qualifica da l.A.P. in capo a SCALISE Salvatore in seguito revocata dai competenti organi con effetto retroattivo.
Ebbene a fronte di tali risultanze, secondo quanto emerge dagli atti, la dirigente Dominijanni e i soggetti pubblici coinvolti nell’iter amministrativo di verifica della perdurante legittimità del prowedimento concessorio, non adottavano alcuna determinazione né spiegavano in alcun atto ufficiale le ragloni del loro mancalo intervento.
Anzi, in seguito, in data 30.09.2015, la Dominijanni e lo Stabile, accogliendo la richiesta dei fratelli SCALISE, deliberavano la ripresa dei lavori e, con un prowedimento emesso a firma congiunta, prorogavano la validlta del permesso di costruire di ulteriori tre anni (nonostante la sospensione fosse durata diciotto mesi).
Orbene, tanto premesso in punto di ricostruzione fattuale della complessa vicenda in esame e passando ad analizzare le emergenze investigative poste a base delle provvisorie contestazioni di cui ai capi a) e b), ritiene il Collegio che le medesime permettano di sussumere i fatti contestati nell’ambito di applicazione delle ipotizzate fattispecie di abuso di ufficio.
lnvero è incontestato e incontestabile, essendo ammesso pacificamente anche dalla difesa degli odierni indagati, che la porzione di territorio crotonese (c.d. località “Scifo”) sul quale è in corso di realizzazione l’intervento edilizio che qui occupa, denominato “Marine Park Village” (identificata al catasto al foglio 56 particelle 256 parte, 912 parte e 914 parte) ricade, secondo le previsioni del vigente piano regolatore generale, in “zona agrituristica” e, quindi, in un’area destinata, ai sensi dell’art. 73 lett. G delle Norme Tecniche di attuazione del P.R.G., all’esercizio
dell”‘agriturismo quale attìvità collaterale ed ausìliario a quello agricolo” e che, per espressa previsione di legge “è normata ai sensì dell’art. 61 (zona agricola normale a vocazione produttiva)“.
Tale ultima norma, si rlbadisce espressamente richiamata dal primo comma dell’art. 7 lett. G delle NTA, in primo luogo, precisa che “le zone agricole sono destinate all’esercizio delle attività dirette o connesse con l’agricoltura“; quindi stabilisce che sulle stesse “sono ammesse esclusivamente abitazioni, impianti, infrastrutture e attrezzature necessorie alle attività funzionali alla produzlone agricola, dettagliatamente indicate alle lettere a) e b)”.
L’area oggetto dell’insediamento, inoltre, ricadendo, come appena detto, in una zona agricola destinata all’esercizio delle attività dirette o connesse con l’agricoltura, soggiace alle disposizioni generali che, in relazione a tutte le “zone agricole“, sono dettate dall’art. 59 delle N.T.A, che, af primo comma, stabilisce che “Ia realizzazione di una nuova edificazione in area agricola è consentita solo ed esclusivamente ai fini della condizione agricola del fondo e all’esercizio delle attività agricole e dl quelle ad esse connesse e/o compatibili. L’edificazione in area agricola è concessa subordinatamente alla redazione di un piano di utilìzzazione aziendale sottoscrltto da un agronomo forestale o da un perito agrario che, previa indicazione dei risultati che si intendono conseguire, evidenzi I’utilizzazione delle costruzioni esistenti e l’indispensabilità delle nuove costruzioni“.
La stessa norma, ancora, al comma 3 prevede che “in tutte le zone agricole è consentito l’attività agrituristica” e aggiunge che “per l’attìvità agrituristica possono essere utìlizzati solo i fabbricati esistenti nelle aziende agricole, non è quindi consentita la realizzazione di nuovi volumi, salva I’applicazione degli indici previsti per le singole sottozone“.
Orbene, tale essendo con certezza il quadro normativo-urbanistico alla luce del quale deve essere valutato l’intervento edilizio progettato dagli Scalise, ritiene questo Tribunale che il medesimo, secondo quanto emerge dagli atti e degli elementi trasmessi (e acquisiti a seguito della esecuzione del decreto di sequestro preventivo), non sia conforme alle disposizioni appena richiamate.
Ed invero, il “Marine Park Village”, pur ìnsistendo, come già detto, con certezza in zona agrituristica, è chiaramente e incontestabilmente un insediamento a vocazione esclusivamente turistlca, non essendo altro che un villaggio, formato da 79 bungalow, realizzati su una base in cemento armato (già edificata), e da altri manufatti tipici del complesso turistico-alberghiero (ristorante, piscina), che nessun nesso di collegamento o di connessione presenta con qualsivoglia ipotetica attivita o azienda agricola esercltata o esistente sul medesimo fondo.
Ed invero, per quanto emerge dagli atti e anche dalle stesse allegazioni difensive, nella zona oggetto dell’intervento non solo non esiste alcuna azienda agricola, ma neppure l’insediamento della medesima è mai stata prevista, non contemplando con certezza I’elaborato progettuale allegato alla istanza di concessione nessun tipo di funzionale e strumentale rapporto tra l’erigendo villaggio turistico e una qualsivoglia, ipotetica, astratta attività agricola (intendendo con tale termine quelle attivita di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali che, ai sensi dell’art. 2135 c.c., connotano la figura dell’imprenditore agricolo).
Tanto è già ampiamente sufficiente, allo stato, per ritenere la contrarieta dell’erigendo intervento alle previsioni dello strumento urbanistico del Comune Pitagorico e, quindi, la illegittimità del permesso di costruire rilasciato alla ditta Scalise per manifesta contrarietà di tale atto alle previsioni del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (T.U delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) che, si ricorda, all’art 12 comma 1 impone di rilasciare tale provvedimento “in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistìci, deì regolomenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente“.
A tal proposito non può questo Collegio non ribadire che la realizzazione di un insediamento costruttivo-residenziale in una zona agrituristica, che, per definizione, è prima di tutto una zona agricola, non possa in alcun modo prescindere da quella che è la prima regola che disciplina siffatta attività di edificazione ovvero il necessario, imprescindibile nesso di funzionalità e strumentalità di tale edificazione alle esigenze e alla vocazione naturalmente agricola del fondo, in termini di stretta collateralità e o ausiliarietà.
Ed infatti, per espressa previsione del piano regolatore generale del Comune di Crotone (art. 73 lett. G delle Norme Tecniche di attuazione del P.R.G.) la zona agrituristica, disciplinata in via generale dalle norme relative alle zone agricole, è destinata all’”agriturismo quale attività collaterale ed ausilioria a quella agricola“, con l’ovvia e semplice conseguenza che non possono essere autorizzati attività e insediamenti agrituristici che sono del tutto svincolati e indipendenti da una oggettiva e prevalente attività agricola esercitata sul medesimo fondo ,
Per tale ragione radicalmente e manifestamente illegìttima appare la realizzazione in una zona agrituristica (che, si ricorda, è prima di tutto una zona agricola) di un nuovo insediamento edilizio che non presenti alcun nesso oggettivo e manifesto di collegamento con le esigenze agricole del medesimo fondo, nesso la cui chiara sussistenza rappresenta, anzi deve rappresentare un elemento fondamentale dell’elaborato progettuale, dovendo questo proprio espllcltare, per essere conforme alle previsioni dello strumento urbanistico, il rapporto di strumentalità, in termini dl collateralità e/o di ausiliarietà, che deve legare il nuovo insediamento alle prevalenti attività agricole cui l’area è naturalmente destinata.
Del resto quanto sin qui detto, oltre che dalle chiare previsioni del piano regolatore generale del Comune di Crotone, si ricava dalla legge regionale n. 14 del 30.04.2009 che, in generale, nel disciplinare l’esercizio delle attività agrituristiche, chiarisce lo stretto, imprescindibile legame con la vocazione agricola del fondo che deve caratterizzare gli insediamenti agrituristici.
Ed invero, ai sensi dell’art. 2 di tale legge, per attivita agrituristiche “si intendono esclusivamente le attività di ricezione ed ospitalità esercitate degli imprendltorl ogricoli di cui all’orticolo 2735 del codice civile,…… attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di complementarietà e attività connesse, rispetto all’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali che devono rimanere principali“.
Spiega, ancora, il citato articolo al punto 2 che rientrano tra le attività agrituristiche quelle che consistono “nel dare ospitalità” o “in alloggi che sono disciplinati dal successivo articolo 7” (norma, si ricorda, la cui violazione è stata ritenuta dal GIP nell’impugnato decreto) o “in spazi aperti destinati alla sosta dei campeggiatori e caravans“.
A sua volta il sopra citato art- 7, a sua volta, dapprima prevede che “possono essere utilizzate per attività agrituristiche i locali siti nell’abitazione dell’imprenditore ubicata nel fondo nonché gli edifici o parte di essi esistenti nel fondo“; poi aggiunge al comma 2 che “i fondl e gli edilici destinatì allo svolgimento dl attlvttà agrituristiche sono strumentali all’esercizio dell’attlvltà agricola sia dal punto di vista fiscale al sensi dell’articolo 3 comma 156 dello legge 23 dìcembre 1996 n. 662 (‘misure dl razionalizzazione della finanza pubblica’) sia da quella della puanificazione urbanistica“; infine statuisce che “non possono essere reallzzate nuove costruzioni per l’attività agrituristica e per le attrezzature di servizi a essa afferenti” .
Di rilievo, ai fini del corretto inquadramento della vicenda in esame, sono anche le previsioni del successivo artacolo 4 della legge regiohale n. 14/2009 che dopo avere chlarito che “le attività agrituristiche devono essere esercitate attraverso l’utilizzazione dell’aziendo in un rapporto di connessione e complementarietà con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento degli animali”, spiega che “il rapporto di connessione si realizza quando nell’esercizio dette attività agtituristiche sono utilizzate le materie prime ed i locali dell’azienda agricola”, aggiungendo infine che “le attività agricole devono rimanere prevalenti rispetto alle attività agrituistiche. Detta prevalenza è realizzata quando il tempo di lavoro necessario per l’esercizio dell’attività agricola e delle produzioni, nel corso dell’anno solare, è superiore al tempo necessario per I’esercizio dell’attività agrituristica“.
Dunque, tirando le fila di quanto sin qui detto, incontestabile appare, ad avviso di questo Collegio, allo stato, l’illegittimità del provvedimento concessorio rilasciato agli SCALISE, per avere tale atto consentito in una zona agricola, nella quale sono permesse anche attività agrituristiche, la realizzazione di un complesso a vocazione escluslvamente turistica-residenziale, chiaramente preordinato, per come apertamente dichiarato nell’elaborato progettuale, “a promuovere ed incentivare lo sviluppo turlstlco nonché l’attività produttiva in una zona con potenziale vocazione turistica (stante la sua vicinanza al mare) mediante la creazione di un sistema di abitazioni private destinate all’accoglienzza turistica”.
Tale insediamento, si ripete, in modo incontrovertibile non presenta nessun nesso di complementarietà o di strumentalità rispetto a qualsivoglia attivita o azienda agricola la cui operatività non è neppure prevista in via meraniente ipotetica nell’elaborato progettuale.
ll medesimo insediamento, in altre parole, è soltanto un vero e proprio villagglo turistico-residenziale destinato, secondo quanto si legge sempre nel progetto, ad accogliere i “viaggiatori alternativi” ovvero i turisti che, nella stagione estiva, desiderano “evìtare alberghi impersonali e spesso assai dispendiosi” e risiedere invece, a prezzi vantaggiosi. in confortevoli bungalow, aventi un accesso lmmedlato a una delle zone dl mare più belle e suggestive del territorio calabro (a riprova di ciò si ricorda quanto accertato dalla PG nel 2014 ln ordlne alla abusiva realizzazione, da parte degli indagatl, di una strada di accesso alla battigia che collegava l’erigendo villaggio alla spiaggia e che, in modo sin troppo manlfesto, palesa le reali finalità, esclusivamente turlstiche, dell’insedlamento, non avente alcuna connotazione rurale).
Quanto sin qui sostenuto, del resto, trova insuperabile conferma anche nelle risultanze dl un verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Stabile Gaetano in data 28 marzo 2014 da quale si ricava in modo certo che tale ing. Sabino Vetta, indicato dallo Stabile come colui che ha seguito il procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire dalla data della presentazione fino al 31 dicembre 2010 aveva inserito all’interno della “scheda istruttoria” un parere nel quale si affermava testualmente: “l’intervento non è più classilicabìle come intervento agriturlstlco venendo meno completamente le parti agricole“.
ll progettato insediamento, si ricorda ancora, nel prevedere la costruzione di ben 79 “bungalow” oltre ad ulteriori strutture comuni, quale ad esempio un ristorante-piscina di rilevanti dimensioni, si caratterizza, per prevedere (incredibilmente) l’edificazione, in una zona agricola, di numerose, nuove costruzioni, la cui realizzazione non è in alcun modo prevista in quel pìano di utilizzazione aziendale al quale, ai sensi dell’art. 73 lett G), in relazione agli artt. 61 e 59 N.T.A. del P.R.G., è subordinata l’edificazione in zona agricola di nuove strutture.
Strutture che, oltretutto, in tanto possono essere edificate in quanto sono indispensabili ai fini delle attività di produzione agricola.
Ed infatti l’insediamento in questione risulta progettato sulla base di un “piano di utilizzazione aziendale” redatto dal dr. agr. Salvatore Nicoscia in data 11.12.2009 ed espressamente richiamato nel permesso di costruire n.]162/2001.
Tuttavia tale piano incredibilmente non prevede la realizzazione di nessuno dei 79 bungalow previsti nel progetto né, comunque, argomenta in ordine alla necessità delle stesse strutture ai fini delle attività di produzione agricola da svolgersi sul fondo.
Anzi, secondo quanto appare emergere dagli atti, sulla stessa area sulla quale stanno sorgendo i 79 bungalow, il citato piano colloca due serre che avrebbero dovuto occupare l’intera particella 912 per 41.800 mq (mentre in realtà buona parte della stessa particella risulta occupata dai bungalow per 14.795,50 mq).
A conferma di quanto appena detto il evidenzia che agli atti del presente procedimento
si rlnvlenè un verbale dl dichiarazioni rese il 13 febbraio 2014 da DOMINIJANNI Elisabetta nel quala la stessa, alla domanda “se le due serre previste nel piano di utilizzazione azlendale fossero state realizzate”, rlsponde affermando categoricamente: “per quanto mì consta non sono state ancora realizzate in quanto NON vi è alcun progetto finalizzato alla concesslone a costruire per la realizzazione delle serre su quell’area” (dichiarazione che conferma, ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, l’assenza di qualsivoglia rapporto di strumentalità fra l’erigendo villagqio e la vocazione esclusivamente agricola del fondo oggetto dell’intervento).
Ed allora, alla luce di siffatte risultanze, non può negarsi che il permesso di costruire rilasciato ai fratelli SCAL|SE dagli indagati Domijanni Elisabetta e Stabile Gaetano per la costruzione del “Marine Park Village” appare, allo stato, un provvedimento radicalmente illegittimo in quanto emanato in violazione sia degli artt.59-61-73 lett. G delle norme tecniche di attuazione del PRG (e quindi in violazione dell’art. 12 del DPR n. 380/2011 che vieta il rilascio di permessi non conformi alle previsioni urbanistiche) sia degli artt.1- 2- 4 e 7 della legge regionale 30 aprile 2009.
Ma vi è ancora di più,
Ed invero, come agevolmente si ricava dagli artt. 2 e 3 della legge regionale n. 14/2009, le attività agrituristiche di ricezione e ospitalità (ovvero quelle attività che dovrebbero, in teoria, essere svolte con il progettato insediamento) in tanto possono essere in tal modo definite in quanto sono esercitate “dogli ìmprenditori agrlcoll dl cul all’articolo 2735 c.c., all’art. 7 del D. Lgs 18 moggio 2OO7 n. 228 e all’articolo 7 del Decreto legislativo 29 marzo 2OO9 n. 99 che sono in possesso del certifÌcdto di abilitozione all’esercizio dell’attivìtà agrituristica per come previsto nel successivo att.72 dello presente legge” (si ricorda che, ai sensi dell’art. 2135 c,c., “è imprenditore agricolo chi esercito una delle seguenti ottività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Si intendono comunque connesse le attività esercitate dol medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o dol bosco o dall’allevamento di animali nonché le attività dirette alla fornitura di beni e di servizi medionte I’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurole e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dallo legge”).
Orbene, secondo quanto emerge dagll atti, nessuno dei fratelli SCALISE ha mai svolto di fatto. in modo stabile e abituale, quelle attività che connotano lo status di imprenditore agricolo, avendo da sempre e notoriamente espletato “abitualmente e prevalentemente“, quali titolari e gestori della società “Scalise Sport Group srl“, attività di commercio al dettaglio di articoli sportivi e abbigliamento sportivo, oltre ad avere gestito strutture residenziali-sciistiche site in una nota località calabrese di montagna.
Conferma quanto appena detto il fatto che SCALISE Armando non ha mai avuto la qualifica di IAP, mentre SCALISE Salvatore, che pure nel 2010 aveva chiesto e ottenuto tale qualifica, nel 2014, a seguito di specifici e mirati accertamenti svolti dall’lNPS, si è visto revocare, dal competente organo provinciale, tale status con effetto retroattivo (revoca comunicata all’interessato che, anzi, avverso la stessa ha , in data 24/04/2010, presentato un ricorso, rigettato dai competenti organi il 21/05/2014).
Tanto risulta incontrovertibilmente dagli accertamenti compiuti dall’INPS nonché da ultimo dal Nucleo di Polizia Tributaria della GDF di Crotone che dimostrano come SCALISE Salvatore, in effetti, ha sempre avuto un reddito agrario di poche decine di euro (addirittura nell’anno 2011, quando otteneva la qualifica di lAP, aveva un reddito di appena 69 euro) riconducibile all’essere lo stesso solo un proprietario terriero e non imprenditore agricolo, al pari di SCALISE Armando.
Incontestabile è, allora, alla luce di quanto appena detto, l’impossibilìtà, anche da un punto di vista soggettivo, di qualificare come conforme alle previsioni dello strumento urbanistico e della legge regionale n. 14/2009 l’intervento edilizio oggetto del permesso di costruire che qui interessa, essendo lo stesso volto alla edificazione in una zona agricola-agrituristica di un insediamento che oltre a non presentare, neppure in astratto, alcun nesso di strumentalità con l’esercizio di attività agricole, è soggettivamente riferibile non a un imprenditore agricolo ma a due noti lmprendltorl che non hanno mai gestito sul fondo oggetto dell’intervento una azienda agricola, essendosi sempre dedicati ad attività (nei settori del commercio al dettaglio di articoli sportivi e della gestione di strutture turistiche- alberghiere) di tutt’altra natura.
Solo per completezza deve precisarsi che, al fine di confutare quanto sin qui detto e di sostenere, quindi, la legittimità deltitolo concessorio rilasciato agli SCALISE, non è sufficiente fare riferimento, cosi come sostenuto dalla difesa, alla previsione contenuta nell’ultimo comma del punto G dell’art. 73 N.T.A. (norme tecniche di attuazione) del P.R.G. che prevede la realizzazione in zona agrituristica di “campeggi, villaggi camping, secondo le modalità descritte al punto C”, norma quest’ultima che, a sua volta, consente la realizzazione delle cd. “strutture” leggere “ovvero tende o bungalow in legno, lidi, chioschi, bar”.
Ed infatti tale previsione, essendo contenuta nell’ultimo comma dell’art 73 NTA, non può essere letta in modo avulso e isolato dal contesto del quale fa parte e dalla cui complessiva lettura emerge, con assoluta chiarezza, che la costruzione del manufatti sopra detti è legittima purché gli stessi facciano parte di un più ampio insediamento “autenticamente” agrituristico , realizzato cioè su un fondo effettivamente adibito ad attività agricole, al fine di esercitare quelle attività di ricezione e ospitalità connesse e collaterali a tali princiopali attività.
Evenienza quest’ultima che, come già detto, non si ravvisa in alcun modo nel caso di specie.
ln ogni caso non può neppure non evidenziarsi che i bungalow che compongono, unitamente ad altra struttura centrale di rilevanti dimensioni, il realizzando villaggio, secondo quanto emerge dagli atti, non sono neppure edificati interamente in legno ma sono stabilmente infissi al suolo tramite una base in cemento armato, al pari del corpo centrale di rilevante dimensioni, destinato a ristorante-pizzeria.
ll villaggio in questione, inoltre, non può definirsi neppure un vero e proprio “campeggio” o “villagglo-camplng”, atteso che, ai sensi dell’art. 1 della legge regionale n.28/1986, “sono campeggi i complessi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, su aree recintate per la sosta ed il soggiorno di turisti provvisti di norma di tende o altri mezzi autonomi dì pernottamento e dei relativi mezzi dì trasporto” e sono villaggi camping “i complessi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, attrezzati su aree recintate per lo sosta ed ll soggiorno di turisti provvisti, di norma, di tende o altrì mezzi autonomÌ di pernottamento e dei relativi mezzi dl trasporto e che dispongono altresì di un numero di posti letto, in allestimenti minimi dal 15 ol 35% della loro ricettività complessiva” .
Ed allora, allo stato degli atti, si ripete. il permesso di costruire rilasciato dagli indagati Dominijanni e Stabile è, sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo illegittimo in quanto emanato in violazione sia degli artt. 59-61-73 lett. G delle norme tecniche dl attuazione del PRG (e quindi in violazione dell’art. 12 del DPR n.380/2001 che vieta il rilascio di permessi non conformi alle previsioni urbanistiche) sia degli artt.1- 2- 4 e 7 della legge regionale 30 aprile 2009.
ll suddetto prowedimento, inoltre, ha attribuito ai fratelli SCALISE un ingiusto vantaggio patrimoniale, avendo consentito la realilzalione di un insediamento turistico-alberghiero, composto da numerosi manufatti aventi una base in cemento armato, in una zona agricola che, oltretutto, è di rilevante interesse storico, artistico e archeologico, rappresentando una delle aree più belle e suggestive del territorio calabro, soltoposta a vincolo tutorio diretto e indiretto ex art. 142 lett. a) D,lgs. n. 42/2OO4 (come testualmente si afferma nel DM 5.5.1965 di imposizione del primo vincolo tutorio diretto e nel DM 27.O7.1968 di imposizione del secondo vincolo tutorio diretto).
Da quanto detto deriva, a parere di questo Tribunale, la sussistenza del fumus del reato di cui al capo A) della rubrica contestato agli indagati STABILE e DOMINIJANNI.
Come, infatti, da tempo chiarito dalla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte di Cassazione, pur non potendosi qualificare gli strumenti urbanistici come norme di legge o di regolamento, “la loro violazione rapprcsenta il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in maniera urbanistita alla quale si deve fare rilerimento quale elemento sttutturale del reato di abuso di ufficio”. (Cass. Sez. Vl n. 46503 3.12.2009, sez Vl n. 11620, 3O/O3/2OO7, sez Vl n. 16241, 20/04/2001, sez. VI, n. 9422, 5/09/2000, sez. VI, n. 6247).
Al proposito la Suprema Corte ha anche ricordato che, in virtù di quanto stabilito dall’art. 12 DPR n.380/2001 il permesso di costruire deve essere rilasciato in conformita alle previsioni degli strumentì urbanistici. Pertanto il rilascio di un titolo abilitativo che viola le previsioni dei predetti strumenti urbanistici dà luogo ad una violazione (mediata) dello stesso art. 12.
Quanto al requisito dell’ingiustizia del danno e del vantaggio, appare sin troppo facile osservare che il rilascio di un titolo abilitativo edilizio che permette la realizzazione di un immobile la cui edificazione non è consentita, determina inequivocabilmente un vantaggio patrimoniale ingiusto nei confronti del privato che lo ottiene e che, in forza del titolo indebitamente conseguito, costruisce dei manufatti che, oltre ad incrementare il valore dell’area su cui insistono, hanno un valore intrinseco e possono essere successivamente alienati, locati o destinati comunque ad utilizzazioni economicamente vantaggiose.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, condivide appieno questo Collegio quanto sostenuto dal Giudice per le indagini preliminari circa la macroscopica illegittimilà che inficia il provvedimento che qui interessa e che allo stato, emergendo ictu oculi, rappresenta un elemento idoneo a manifestare la sussistenza, nei fatti per cui si procede, di quell’elemento soggettivo del dolo intenzionale che caratterìzza la fattispecie di cui all’art 323 c.p.
Sul punto è sufficiente ricordare quanto sostenuto anche in recenti sentenze dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. fra le altre sez. lll sentenza n. 19182 dell’8.05.2015 e sentenza 2 marzo 2015 n. 8977) in relazione al fatto che “la prova del dolo Ìntenzionale che qualifica la fattispecie criminosa può essere desunta onche da elementi sintomatici, come la macroscopìca illegitlimità dell’atto compiuto, non essendo richiesto l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire” (ex multis Sez.. Vl n. 36179 del 15/04/2014).
Chiarissima anche sentenza sez.lll, 12/01/2012 n.649 nella qualesi afferma che “nell’abuso di ufficio commesso al rilascio di un permesso edilizio ritenuto illegittimo e nei reati edilizi compiuti in esecuzione di tale permesso uno degli elementi dai quali desumere l’intenzionalità del dolo o la colpa è costituita dall’analisi del contrasto del permesso di costruire con la norma urbanistica nel senso che ttanto quanto più è palese o macroscopico tale contrasto tanto più evidente è la ricorrenza dell’elemento psicologico del reato”.
Nella stessa decisione gli Ermellini evidenziano come anche “l’omesso espletamento da parte dei pubblici ufficiali dell’istruttoria necessaria per accertare la reale natura del manufatto oggetto dell’intervento condotta suscettibile di integrare il reato di abuso edilizio”.
I fatti sin qui ricostruiti, a parere di questo Tribunale, oltre ad integrare gli estremi del reato di abuso di ufficio provvisoriamente contestato al capo A, sono, in punto di diritto, sussumibili nell’ambito di aoplicazione (anche) del reato di lottizzazione abusiva di cul all’art.44 lett. c) DPR n. 380/2001.
Ed invero una volta acclarata la palese illegittimità del provvedimento concessorio e una volta accertato, altresì, che il medesimo atto è il frutto di una condotta illecita dei pubblici ufficiali che lo hanno adottato (condotta rlentrante nel paradigma di cui all’art 323 c.p.), appare evidente come il complesso intervento edilizio progettato ed eseguito dagli SCALISE su una vasta area agricola del territorio crotonese, sottoposta a vincoli tutori per il suo rilevante interesse storico e archeologico, abbia comportato una illecita trasformazione urbanlstica ed edilizia dell’area su cui il medesimo intervento insiste.
Tale illecita trasformazione integra appunto, alla perfezione, il contestato reato di lottizzazione abusiva del quale con evidenza sussiste il fumus.
Si ricorda al proposito che l’illecito in esame, a condotta libera, si realizza con varie modalità fra le quali certamente si annovera l’ipotesi della realizzazione di un insediamento che non potrebbe in nessun caso potrebbe essere realizzato poiché per le sue connotazioni oggettive si pone in radlcale contrasto con le previsioni di ronirzarlone e/o di localizzazione dello strumento generale dl pianiflcazlone che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi e che, quindi, determina una trasformazione urbanlstica ed edlllzla del terrltorlo, conferendo all’area un assetto territoriale non conforme alle suddette previsioni, attraverso impianti di interesse pdvato e di interesse collettivo tali da creare una nuova maglia di tessuto urbano.
Con una decisione perfettamenle calzante al caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione ha anche chiarito che “integra il reato dl lottlzzazlone abuslva il frazlonamento e la predlsposlzlone dl un terreno agricolo alla realizzazione di più manufatti aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attività edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione e allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l’originaria vocazione dell’area” (Sez. 3 n. 155605 del 31.03.2011, Manco ed altri).
Va precisato, altresì, che I’illecito in esame è configurabile, non solo quando il suddetto intervento è realizzato in mancanza di qualsivoglia autorizrzazione, ma anche in presenza di un titolo abilitativo illegittimo rilasciato in contrasto con le prescrizioni urbanistiche contenute in disposizioni legislative, regolamentari o negli strumenti urbanistici.
ln tali casi, infatti, come da tempo chiarito dalla Suprema Corte, non si configura una non consentita disapplicazlone da pane del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio “perche lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattiispecie di reato sia previsto un atto amministrativo, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica dell’atto ma deve verifÌcare I’integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume o tutela, nella quale gli elementi di natura extra penale convergono organicamente assumendo un significato descrittivo” (Cassazione SU 29.11.2006, Di Mauro).
Pertanto “il reato di lottizzazione abusiva può ravvisarsi anche in presenzo di un tltolo edilizio illegittimo perché in tal caso il giudice penale procede ad una identificazione in concreto della fattispecie criminosa e non disappolica I’atto amministrativo, né interferisce della sfera della PA perchjè esercita un potere fondato nella previsione normativa incriminatrice” (Cassazione Sez. lll n. 19732 del 22 maggio 2007. Pres. Onoreli, est. Teresi, ric. Monacelli).
Da precisare che la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico- edilizia e alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata, non soltanto se l’atto medesìmo sia illecito, cioè frutto di attività crirninosa, anche se non caratterizzata da collusioni dolose del privato interessato con organi dell’amministrazione, ma anche nelle sole ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge e nelle ipotesi di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere.
Per completezza si precisa, altresì, che in tali casi non può neppure invocarsi, per escludere l’esistenza del reato di lottizzazione abusiva, l’errore incolpevole dei privati autori dell’intervento, per avere questi operato nella ragionevole convinzione che fossero stati ottenuti tutti i richiesti provvedimenti concessori, donde l’esclusione della rilevanza penale dei fatti.
lnfatti la sussistenza del reato in esame, che, si rìcorda, può essere punito anche a titolo di sola colpa, non può essere esclusa sotto il profilo soggettivo per errore sulla legittimita del titolo manifestamente illegittimo perché contrastante con le previsioni del PRG perché nemmeno in virtù del crilerio “dello ignoronzo inevitobile” teorizzato nèlla sentenze Corte Costituzionale n. 364/1988 è possibile scusare chi esegue opere che incidono sul tessuto urbanistico senza informarsi delle leggi che disciplinano la materia, lncombendo all’interessato l’onere di verificare la conformità delle opere alle norme urbanlstlche di cui è presenta la conoscenza ex art 5 c.p.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, ritiene il Collegio che, allo stato, non possa negarsi la legittimità del prowedimento di sequestro disposto dal GIP in relazione (anche) al reato di lottizzazione abusiva, essendo ifatti sopra esposti, gia qualiflcati, in punto di diritto, ai sensi dell’art. 323 c.p., chiaramente riconducibili (anche) nell’ambito di applicazione di tale fattispecie.
A parere del Tribunale la sussistenza del fumus commissi delicti può ravvisarsi anche in ordine alla provvisoria contestazione di cui al capo b).
Ed invero le risultanze investigative sopra sintetizzate comprovano come i pubblici uffìciali Dominijani e Stabile si siano determinati a concedere in data 30.09.2015 ai fratelli SCALISE la proroga del provvedimento concessorio già rilasciato, pur essendo al tempo perfettamente consapevoli delle numerose criticità (rectius illegittimità) che affliggevano il titolo genetico.
Non può, infatti, negarsi che, a partire dall’aprile dell’anno 2014, gli indagati venivano formalmente informatl della revoca, con effetto retroattivo, della qualifica di l.A.P. in precedenza concessa a SCALISE Salvatore, qualifice indispensabile per costruire in zona agricola-agrituristica, cosl come correttamente ritenuto dalla stessa Dominijannl (al proposito si richiama il già citato verbale di s.i.t. rese da DOMINIANNI Elisabetta in data 13 febbraio 2014 – prima, quindi, della comunicazione della revoca a SCAL|SE Salvatore deltitolo di IAP- nel quale la stessa indagata, alla domanda “per quonto riguarda la qualifico di lmprenditore Agricolo Professionole richiomoto nel permesso a costruire per SCALISE Solvatore, era un requisito indispensabile per la concessione di tale tipo di interverto“, testualmente risponde: “sicuramente quella qualfica è lndìspensabile per la richiesta della costruzione di un agriturismo”.
Gli stessi indagatl, inoltre, sempre nell’anno 2014 acquisivano il parere dell’Ufficio Legale del Comune di Crotone che suggeriva caldamente ai pubblici ufficiali, “quale unica soluzione prospettabile“, di annullare, in via di autotutela, il prowedimento concessorio già rilasciato, non solo perché fondato su un reato di falso commesso dagli stessi SCALISE (per provare nell’anno 2008, attraverso una scrittura privata falsa, il requisito della disponibilita giurìdica dei fondi,) ma proprio perché imprescindibilmente vincolato alla esistènre di un presupposto, lo status di IAP di Scalise Salvatore, in seguito venuto meno, con effetto retroattivo.
Ebbene, nonostante tali certe emergenze, secondo quanto emerge dagli atti, i pubblici ufficiali Dominijanni e Stabile, non solo non assumevano alcuna determinazione in ordine al permesso già rìlasciato, ma, addirittura, ne prorogavano la durata per ulteriori tre anni.
L’adozione di tale prowedimento, allora, violando le disposizioni legislative ed urbanistiche che necessariamente richiedono, per costruire in zona agricola-agrituristica, lo status di imprenditore agricolo ed apparendo palesemente ed esclusivamente finalizzata a soddisfare interessi privati a totale discapito di quelli pubblici tutelati dalla normativa urbanistica, certamente integra il reato di abuso di uffìcio contestalo al capo b).
Quanto appena detto trova conferma nella pacifica Giurisprudenza della Corte di Cassazione che, infatti, nella sentenza n. 33043 depositata del 28 luglio 2016 ha affermato “che è configurabile il reato dl abuso dì ufficio per i tecnici del Comune che rilasciano una concessione per nuove costruzioni su un terreno agricolo se ll commlttente non è un imprendltore agricolo“.
Nella motivazione della suddetta decisione i Giudici di legittimità, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli odìerni ricorrenti, esplicitamente riconoscono come rappresenti, addiriftura, una macroscopica violazione di legge il rllascio in una zona agricola di un permesso finalizzato a realizzare nuove costruzioni a un committente che non abbla la qualifica dl lmprenditore agricolo.
Le condotte oggetto della provvisoria contestazione in esame, inoltre, secondo quanto emerge dagli atti, sono state poste in essere senza compiere, come era invece necessario e doveroso, una rlgorosa e puntale attlvita lstruttorla in ordine alle effettlva sussistenza delle ragioni che avrebbero imposto, cosi come sugggerito dai legali del Comune di Crotone, di rigettare l’istanza di proroga degli SCALISE e, anzi, di annullare in via di autotutela il precedente provvedimento concessorio.
Ebbene anche tale condotta omissiva, chiaramente evincibile dasli atti, è idonea, secondo la paciflca giurisprudenza di legittimità, a integrare, soprattutto nella materia urbanistica, quella violazione di legge rilevante ai fini della sussistenza del reato di cui all’art 323 c.p..
Si ricorda, infatti, che l’istruttoria amministrativa è imposta da una norma generale sul procedimento amministrativo (art.3 legge n.241/1990, costituendo una fase procedimentale essenziale e incidente direttamente sul momento finale della decisione in cui i diversi interessi pubblici collettivi e privati devono essere ponderatì.
Da ciò consegue che l’inosservanza del dovere di istruttoria non può essere considerata violazione di semplici norme interne al procedimento, prive del carattere formale e del regime giuridico della legge o del regolamento, “in quanto ogni procedimento amministrativo e, in porticolore modo, quelli attinenti alla materia urbanistica, è regolato da norme primarie generali o di settore che prevedono necessoriomente una attività di natura istruttoria preliminare alla decisione finale da parte dell’amministrazione che deve essere assunta sulla base di una completa conoscenza dello situazione di fatto e dei dati giuridici (ctr. tra le altre Cass. penale sez Vl sentenza del 14 giugno 2007 n. 37531): in temo di abuso di ufficio è idonea od integrore Io violazione di legge, rilevante ai fini dello sussistenzo del reoto, l’inosservonzo da porte dell’amministratore pubblico del dovere di compiere una adeguata istruttoria diretta ad accertare la ricorrenzo delle condizioni rìchieste per il rilascio di una autorizzazione incidendo Ia stesso direttomente sulla Iase decisorio in cui i diveÉi intercssi pubblici e privoti devono essere ponderatl“.
Non può, infine, non ricordarsi che, secondo la piir recente e condivisibile Giurisprudenza di legittimità (consacrata nella pronuncia a Sezioni Unite 12/155), se è vero che non è configurabile il reato di abuso di ufficio in presenza di un addebito di “eccesso di potere“, è anche vero che non ricorre tale ultima ipotesi, configurandosi, invece, una “violazione di legge” tanto nel caso in cui la condotta del pubblico ufficiale si sia manifestamente svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere quanto nel caso in cui tale condotta risultl palesemente orientata alla sola reallzzarione di un interesse collidente con quello per il quale ll potere è atttibulto. In tale ultima ipotesi, infatti, “si realizza il vizio dello ‘svìomento dl potere’che integra la ‘violazione di legge’ poiché lo stesso non viene esercitato secomdo lo schema normativo che ne ne legittima l’attribuizione”.
Ebbene, a parere del Collegio, anche dalla applicazione del condivisibile principio appena detto discende la rilevanza penale, ai sensi dell’art. 323 c.p., dei fatti oggetto della provvisoria contestazione in esame, apparendo il prowedimento di proroga del titolo concessorio adottato dai pubblici ufficiali Stabile e Domnijanni esclusivamente teso a realizzare degli interesse privati del tutto antitetici e collidenti con quelle finalità pubbliche di tutela del territorio a[ cui perseguimento gli stessi soggetti erano invece preposti in forza dell’ufficio ricoperto.
Sussistente appare ancora, ad avviso del Collegio, alla luce degli atti trasmessi dal PM a seguito della proposizione della istanza di riesame, anche il fumus commissi delicti in relazlone ai fatti oggetto delle provvisoria contestazione di reato di cui al capo d).
Ed invero dai medesimi atti emerge che i lavori che qui occupano sono proseguiti (con la realizzazione di uno scavo a servizio della erigenda piscina, nonché con l’edificazione di un bungalow e di una struttura portante del locale da adibire a piscina, di circa 400 mq) anche a seguito dell’adozione del decreto n. 56 del 24.03.2016 con cui la Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Regione Calabria ha incluso l’area oggetto dell’intervento in una zona di interesse archeologico, individuata ai sensi dell’art . 142 co.1 lett. m) D. Lgs n. 42/2OO4.
Tale provvedimento, invece, (ancora oggi vigente, pur se impugnnato al TAR) avrebbe imposto agli odierni ricorrenti di richiedere ai competenti uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale quella specifica autorizzazione richiesta dalla legge “per ogni intervento da eseguirsì nell’ambito della zona dichiorata di interesse archeologico“.
Fondata appare, allo stato, anche quella “parte” della contestazione in esame in cui si ascrive agli indagati di avere violato le prescrizioni del nullaosta archeologico del 24.04.2009 che imponevano agli Scalise “di effettuore ogni operazione che comporti scavi di qualsiasi natura sotto l’alta sorveglianzo di personole tecnico- scientifico specializzato nel settore archeologico“.
ln particolare il fumus di tale illecito si apprezza alla luce delle dichiarazioni rese in data 13.O2.2017 da BRUSCO Amedeo, l’esperto che, quale archeologo e collaboratore esterno della Soprintendenza di Cosenza era incaricato di presenziare alle operazionl di scavo presso il cantiere
del realizzando villaggio turistico- avendo questi riferito alla PG di avere verificato, durante il sopralluogo compiuto nella data sopra indicata, che, “in prossimitò del lato ovest della cornice della piscina“, era stato realizeato uno scavo, al quale non era stato chiamato a presenziare, mediante “l’asportozione di uno lingua di terra di modeste dimensioni” (dichiarazioni queste che trovano riscontro sia nei rilievi fotografici acquisiti agli atti sia nelle sit rese da ultimo da ANNESE in data 13.03.2017).
E’ vero poi che dagli atti emerge che il BRUSCO, a seguito delle sue richieste di spiegazioni, apprendeva dal proprietario della ditta presente sul posto, tale Mungo Maurizio, che lo scavo era stato realizzato solo “per motivi di sicurezza ol fine di tutelare gli operai che lavoravono al di sotto“. E’ pur vero però che tale giustificazione, anche ove venisse in seguito riscontrata, non esclude, allo stato, il fumus del reato in esame, non esonerando in alcun modo gli indagati al rispetto delle vincolanti prescrizioni contenute nel nulla osta archeologico e che, si ricorda, impongono l’alta sorveglianza di personale tecnico-scientifico specializzato “in relozione od ogni operazione che comporti scavi di qualsiasi natura“.
Ed infaftL in ordine agli scavi indebitamente effettuati, non sono emerse circostanze che di fatto avrebbero impedito agli indagati di avvertire tempestivamente il BRUSCO della necessità di compiere con urgenza le opere predette e nelle more del suo intervento in cantiere, di sospendere prudenzialmente i lavori, anche a tutela dell’incolumità degli operai.
lnfine, quanto al fatti oggetto della contestazione di cui al capo E) ascritta soltanto all’indagato Pagano, ritiene il Collegio che gli stessi non rilevino in questa sede, trattandosi di fatti (integranti il reato di falso in atto pubblico) che obiettivamente non presentano alcun nesso di collegamento o di connessione, neppure indiretta, con il bene immobile oggetto del provvedimento di sequestro preventivo sottoposto al vaglio di questo Tribunale.
ll periculum in mora.
L’adozione dell’impugnato decreto, in relazione ai fatti sopra illustrati, è legittimo anche sotto il profilo del “periculum in mora“.
Al proposito, al fine di rispondere alle obiezioni difensive tese ad evidenziare l’assenza di un nesso di collegamento fra le ipotesi di abuso di ufficio ritenute dal GIP e l’area sottoposta a misura cautelare, deve precisarsi che oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene, anche se appartenente a persona estranea al reato, alle uniche condizioni che esso sia, anche indirettamente, riferibile al reato per cui sl procede e, se lasciato in libera disponibilità, sia idoneo a costltuire pericoto dl aggravamento o di protrazlone delle conseguenze del reato ovvero dl agevolazione della commisslone dl ulteriori fattl penalmente rilevanti.
Ebbene le complessive emergenze procedimentali, a parere del Collegio, consentono agevolmente di ravvisare la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità fra l’area oggetto del sequestro preventivo disposto dal GIP e le provvisorie contestazioni formulate dalla Pubblica Accusa, essendo innegabile che tale superficie, da un lato rappresenti l’oggetto dei provvedimenti contra legem adottati dai pubblici ufficiali al fine di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale agli odierni ricorrenti, dall’altro sia proprio il sito ove è in corso di realizzazione quell”illegittimo intervento edilizio che, integra, a parere di questo Collegio, (anche) il reato di lottizzazione abusiva.
Per tale ragione la sottrazione del medesimo bene alla libera disponibilità degli odierni ricorrenti è l’unica misura che può realmente impedire la prosecuzione delle attività edificatorie e, quindi, la protrazione dei rilevanti effetti dannosi derivanti dai fatti per cui si procede, non potendo negarsi che l’ultimazione delle opere e l’utilizzazione del complesso edilizio di rilevante volumetria verrebbero ad alterare in modo irrimediabilee il carico urbanistlco e l’assetto territoriale di una delle zone più prestigiose, sotto il profilo storico artlstlco e archeologico, della Regione Calabrla.
E tanto vale non solo per il reato di lottizzazione abusiva che, certamente, alla data del sequestro, era ancora in corso di commissione ma anche per i delitti di abuso di uffìcio che, invece alla medesima data, erano già perfezionati e consumati.
Ciò in quanto anche in tal caso la perdurante disponibilità da parte degli SCALISE dell’area su cui, a seguito e per effetto della commissione di condotte illecite integranti il reato di abuso di ufficio, è stata autorizzata una illegittima attivita edìficatoria, certamente aggraverebbe in modo rilevante le conseguenze di tali delitti, consentendo cioè la prosecuzione di una attività che, invece, al fine di non violare ulteriormente e irreparabilmente rilevanti interessi pubblici, deve essere prontamente arrestata.
Non può non ricordarsi, inoltre, che nella vicenda in esame il disposto sequestro appare legìttimo non solo ai sensi del primo comma – e cioè per evitare che i reati dei quali è stato ravvisato il fumus vengano portati a conseguenze ulteriori – ma anche ai sensi del secondo comma dell’art 321 c.p.p., per garantire, cioè, l’esecuzione della misura della confisca.
Si ricorda, al proposìto, che l’accertamento in sede penale del reato di lottizzazione abusiva comporta ope legis la confisca del terreno e delle opere abusivamente eseguite anche, addirittura, nelle ipotesi in cui si pervenga ad una declaratoria di estinzione per prescrizione del reato.
Ciò in quanto la confisca prevista in materia di lottizzazione abusiva dall’art.44 comma secondo del DPR 6 giugno 2001 n. 380, costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza patrimoniale (cfr. fra le altre Cass. Sez. 3 n. 36844 del 9/O7 /2OO9 RV 244923) e, essendo connessa con l’oggettiva illiceità della cosa, opera automaticamente ove sia accertata la lottizzazione abusiva a prescindere dalla persona del condannato, sicché non si procede alla confisca soltanto nel caso in cui sia giudizialmente accertata l’insussistenza del fatto.
Consegue dalle argomentazioni sopra esposte il rigetto del ricorso e, pertanto, la conferma del decreto di sequestro preventivo adottato dal Glp.
Stante l’esito sfavorevole del gravame, i rìcorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso e, per l’effetto, CONFERMA l’impugnato decreto,
CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
MANDA alla Cancelleria per quanto di competenza.
Così deciso in Crotone, nella Camera di Consiglio del 27 marzo 2017
Il Presidente estensore
Dott.ssa Abigail Mellace
(foto da mailing list ambientalista, M.F., archivio GrIG)
