Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (GrIG) ha inoltrato (20 aprile 2017) una richiesta al Presidente della Regione Toscana, al Presidente del Consiglio regionale e ai Capigruppo consiliari perché siano inserite nell’ordinamento regionale disposizioni più efficaci per contrastare gli abusi effettuati durante l’attività estrattiva del marmo sulle Alpi Apuane.
E’ stato coinvolto anche il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, in quanto interessa gran parte del comparto estrattivo del marmo.
In sintesi, si chiede che venga data al Parco naturale regionale delle Alpi Apuane il potere di revoca delle autorizzazioni ambientali (pronuncia di compatibilità ambientale – P.C.A., provvedimento conclusivo della procedura di valutazione di impatto ambientale – V.I.A.) in caso di reiterata violazione delle prescrizioni autorizzative o di mancata esecuzione del ripristino ambientale intimato.
Infatti, attualmente è previsto soltanto il potere di ordinare la sospensione dei lavori e il ripristino ambientale (art. 64 della legge regionale Toscana n. 30/2015), ma non è prevista la possibilità di revoca delle autorizzazioni in caso di accertata grave violazione delle prescrizioni autorizzative o di inottemperanza all’ordine di ripristino ambientale. Per sua stessa natura, poi, la sospensione dei lavori non può che essere temporanea (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 823).
E’ vero, dovrebbero essere i Comuni, in teoria i principali interessati alla difesa del proprio territorio, a chiudere le cave “abusive”: l’art. 21 della legge regionale Toscana n. 35/2015 sulle cave dispone (comma 3°) l’adozione da parte del Comune territorialmente competente del provvedimento di decadenza dalla concessione estrattiva, qualora l’Impresa estrattiva non provveda alla sospensione dei lavori in caso di violazione delle prescrizioni autorizzative o alla messa in sicurezza ovvero al rispristino ambientale (commi 1° e 2°). Però, le amministrazioni comunali sono più preoccupate della tenuta economica del comparto del marmo che dei danni ambientali e di provvedimenti di decadenza delle concessioni di cava si trovano rare tracce.
Infatti, a fronte di numerosi e reiterati casi di riscontrata grave violazione delle prescrizioni autorizzative da parte di Aziende estrattive del marmo sulle Alpi Apuane con gravissimi danni all’ambiente e alle risorse naturali (soprattutto al patrimonio idrico), non si registrano i conseguenti opportuni provvedimenti di revoca e chiusura definitiva dei relativi siti estrattivi. A puro titolo esemplificativo, si riportano alcuni recenti provvedimenti di sospensione delle attività estrattive determinati da riscontrate violazioni delle autorizzazioni ambientali:
* Cava Madielle (Massa): ordinanza Commissario Parco Apuane n. 3 del 21 marzo 2017;
* Cava Padulello (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 2 del 17 febbraio 2017;
* Cava Vittoria (Fivizzano): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 9 del 23 dicembre 2016;
* Cava Calacatta (Carrara): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 8 del 21 ottobre 2016 e ordinanza Presidente Parco Apuane n. 1 del 3 giugno 2016;
* Cava Fossagrande (Carrara): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 7 del 23 settembre 2016;
* Cava Piastramarina (Minucciano): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 6 del 5 agosto 2016;
* Cava Granolesa (Seravezza): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 5 del 2 agosto 2016;
* Cava Romana (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 3 del 3 giugno 2016;
* Cava Valsora Palazzolo (Massa): ordinanza Presidente Parco Apuane n. 2 del 3 giugno 2016.
In pochi mesi ben 10 provvedimenti di sospensione dell’attività estrattiva e ingiunzione di ripristino ambientale, due dei quali riferiti alla stessa cava (Cava Calacatta, Carrara) denotano un quadro di illegalità ambientale di sensibili dimensioni, non contrastato da provvedimenti di efficace natura.
Il quadro generale non è dei migliori. Non siamo più ai tempi e ai metodi di Michelangelo, anche se c’è chi si ostina a non voler vedere e capire.
Purtroppo, nel corso degli ultimi vent’anni si è cavato dalle Apuane più che nei 2000 anni precedenti, ogni anno 4 milioni di tonnellate di montagna, un milione e mezzo di metri cubi.
L’industria del marmo è decisamente molto redditizia, ma quasi esclusivamente per i pochi soggetti titolari delle attività estrattive. Fra questi c’è anche la famiglia Bin Laden che con la sua Cpc Marble & Granite Ltd ha acquistato nel 2014 il 50% della Marmi Carrara pagando a quattro famiglie proprietarie 45 milioni di euro.
I ricavi dei Comuni non sono paragonabili neanche lontanamente a quelli dei concessionari: in questi ultimi tempi, per esempio, il Comune di Carrara incassa 15 milioni di euro annui a titolo di canone, una parte minima rispetto a quanto rende l’estrazione marmifera. Per esempio, nel 2012, a fronte del canone di 15 milioni di euro in favore del Comune di Carrara, le imprese operanti nel settore del marmo hanno ricavato ben 168 milioni di euro. Al Comune è dunque andato solo l’8,8% del ricavo complessivo.
Anche i dati sull’occupazione confermano che il marmo non rende immuni dalla disoccupazione, anzi: nel 2016 il tasso di disoccupazione medio in Italia era dell’11,7% (dati I.S.T.A.T.), in Provincia di Massa Carrara era del 16,6%.
La stessa Regione Toscana (nota Direzione Ambiente ed Energia prot. n. AOOGRT 0275665 del 23 dicembre 2015) ha riconosciuto che “la produzione di rifiuti caratteristici del distretto lapideo apuano (marmettola, n.d.r.) è dell’ordine delle 275.000 tonnellate annue in anni recenti” e non sono pochi i danni alla risorsa idrica destinata al consumo potabile: “i maggiori costi legati alla presenza di materiali fini derivanti dall’esercizio delle cave sono valutabili nell’ordine di 300 mila euro all’anno“, secondo il gestore Gaia s.p.a. (vds. “Marmettola nel Frigido, rendere potabili le acque costa 300.000 euro in più all’anno”, Il Tirreno,3 febbraio 2016). Si deve ricordare che gran parte del comparto estrattivo del marmo – ben 178 cave, di cui 118 attive, nei soli bacini imbriferi del Carrione e del Frigido, secondo l’A.R.P.A.T. (report n. 168 del 13 agosto 2015 sulle “Alpi Apuane e marmettola”) – ricade proprio nell’ambito del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane.

acqua alla marmettola, se la bevano tutti quegli amministratori pubblici che non difendono le Apuane
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – grazie all’incessante e determinata attività del proprio Presidio Apuane – è da tempo impegnato duramente in una decisa battaglia legale e di sensibilizzazione contro gli scempi ambientali compiuti quotidianamente sulle Alpi Apuane e l’inquinamento delle acque da marmettola,
Ora il GrIG chiede alla Regione Toscana che siano dati efficaci poteri di salvaguardia ambientale per contrastare gli illeciti delle cave al Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, individuato dalla stessa Regione quale ente preposto alla tutela dell’area naturale di pertinenza.[1]
Non solo. Ogni cittadino, ogni comitato, ogni associazione può fare la sua parte: il GrIG mette a disposizione un fac simile di istanza di analogo contenuto da completare, chiunque la volesse inoltrare può richiederlo all’indirizzo di posta elettronica grigsardegna5@gmail.com.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
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[1] ai sensi dell’art. 69 della legge regionale Toscana n. 30/2015, “l’ente parco svolge tutte le funzioni relative ad accertamenti, valutazioni, considerazioni, autorizzazioni, atti in proposito”.
(foto A.G., F.L., archivio GrIG)
