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Inquinamento da PFAS: arriverà un po’ di giustizia per il popolo inquinato?

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Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Cologna Veneta, scarico collettore fognario ARICA, di raccolta dei reflui di cinque depuratori (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel Fiume Fratta-Gorzone

Recentemente sono stati unificati presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza vari procedimenti penali aperti presso le Procure di Padova e Verona e nei giorni scorsi sono stati consegnati 10 avvisi di garanzia ad altrettanti amministratori della Miteni s.p.a., l’industria di Trissino ritenuta responsabile della grave situazione di inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e da cromo e zinco, che riguardano le aree attraversate dal fiume Fratta-Gorzone, nella Regione Veneto.

La grave situazione legata all’inquinamento da PFAS è nota a tutti, da anni e, nei mesi scorsi, ha ripreso vigore, dopo anni di stasi, il relativo procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica vicentina.

Anche il Ministero dell’ambiente sembra finalmente orientato ad avviare l’azione per danno ambientale contro il gravissimo inquinamento.

Era ora.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto esprime la sua soddisfazione per gli sviluppi della vicenda che sembrano aprire spiragli per un po’ di giustizia per il popolo inquinato.

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

Cologna Veneta, Fiume Fratta-Gorzone (la colorazione è emblematica)

L’inquinamento da PFOA e PFAS in Veneto.

Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si è interessato attivamente al problema fin dal 2013, in seguito alla diffusione dei dati molto preoccupanti emersi dallo “Studio di valutazione del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani”, condotto negli anni 2011 e 2012, dall’Istituto di Ricerca sulle Acque-IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e dalle campagne di monitoraggio effettuate nei mesi di maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013, in corpi idrici superficiali e reflui industriali e di depurazione del reticolo idrografico della provincia di Vicenza, oltre a campioni di acqua potabile nelle province di Padova e Verona.

Lo Studio in questione ha, infatti, evidenziato le elevatissime concentrazioni di PFOA-Acido perfluorootanoico (livelli superiori superiori a 1000ng/L) nel reticolo idrico superficiale nell’area a sud dell’autostrada, nel bacino di Agno e Fratta Gorzone, anche a monte dello scarico del collettore ARICA.

Ma uno dei dati più allarmanti, messo in luce dalla relazione dell’IRSA-CNR, è quello relativo alla misura delle concentrazioni delle medesime sostanze nelle acque potabili prelevate da punti di erogazione sia pubblici che privati. In particolare, nel bacino di Agno-Fratta Gorzone, sono state rilevate concentrazioni crescenti da nord a sud, che raggiungono valori di PFOA superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Se è vero che la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nell’acqua non è ancora fatta oggetto di specifici limiti (standard di qualità ambientale), è altrettanto vero che la direttiva 2013/39/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, individua l’acido perfluoroottansolfonico e derivati (PFOS)[1] come sostanza pericolosa prioritaria, fissandone lo standard di qualità ambientale (SQA) a una concentrazione di 6,5 × 10 –4 μg/l e cioè 0,65 ng/l, a fronte di valori rilevati nelle acque superficiali e sotterranee nella Valle dell’Agno e del Chiampo che, come dimostrato dallo studio (tre campagne di monitoraggio nel maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013) dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque – IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, raggiungono valori di PFOA (acido perfluoroottanoico) superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.

Questo significa che le acque della Valle dell’Agno e del Chiampo, e di tutto il tessuto idrografico che insiste in quella regione, possono presentare valori di sostanze perfluoro-alchiliche che eccedono di 1.500, 2.000 volte lo standard di qualità proposto dalla Direttiva Quadro sulle Acque di 0,65ng/L .

Peraltro, già nel 2012 l’ARPAV, in seguito a dei controlli effettuati all’epoca, aveva evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta era prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche allo scarico industriale della ditta Miteni Spa., e suggeriva una serie di azioni finalizzate a migliorare la situazione di grave inquinamento dell’intera area, tra le quali anche l’eliminazione nel breve periodo, dal ciclo produttivo le sostanze PFOA e PFOS.

Veneto, aree contaminate da PFAS

Veneto, aree contaminate da PFAS

Nonostante la situazione sia estremamente grave, non risultano tuttora nemmeno affrontati i fattori inquinanti.   Il 20 aprile 2016 sono stati presentati i risultati derivanti dallo studio di biomonitoraggio effettuato dalla Regione Veneto con l’Istituto Superiore di Sanità relativamente all’inquinamento da sostanze alchiliche (PFAS) e quanto emerso delinea una situazione altamente compromessa, sotto il profilo sanitario, poiché lo studio ha confermato la presenza di PFAS nell’organismo dei soggetti dell’area di maggiore esposizione, identificata con l’Ulss 5 di Arzignano e, in misura minore, con l’Ulss 6 di Vicenza, in quantità statisticamente significative rispetto all’area di controllo (parte dell’Ulss 6 di Vicenza non interessata, Ulss 8 di Asolo, Ulss 9 di Treviso, Ulss 15 Alta padovana e Ulss 22 di Bussolengo).

Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminateha spiegato l’assessore regionale alla Sanità, Lucio ColettoAltre 250 mila sono interessate dal problema”.

Eppure la Regione Veneto, da due anni (febbraio 2015), era stata invitata dal Ministero dell’ambiente ad adottare limiti provvisori e urgenti per le sostanze inquinanti. Invano, come denunciato anche da un’interrogazione del consigliere regionale Andrea Zanoni.

Ciliegina sulla torta: gli elevati costi di potabilizzazione delle acque verranno scaricati sugli utenti.

campagna veneta

campagna veneta

La pericolosità.

Si ricorda, inoltre, che il PFOS (acido perfluorottano solfonoico) è classificato nel DESC (Database ecotossicologico sulle sostanze chimiche) del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare come cancerogeno (categoria di pericolo 2), tossico per la riproduzione (categoria di pericolo 1b) e nocivo per i lattanti allattati al seno, tossico per diversi organi bersaglio per esposizione ripetuta (categoria di pericolo 1), tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.  Il suo utilizzo è soggetto a forti restrizioni.

D’altra parte, PFOS e PFOA non sono, attualmente, inclusi nella legislazione vigente sulle acque potabili ma sono inclusi nella terza lista di sostanze candidate da US-EPA alla regolamentazione a livello federale. US-EPA (USEPA 2009) ha proposto per PFOS un Provisional Health Advisories di 200ng/L mentre per PFOA di 400ng/L. In Germania, ricorda la relazione dell’IRSA, la Commissione per le acque potabili ha definito delle classi di rischio, espresse come somma di PFOS e PFOA, in base al tempo di esposizione e all’età, fissando a 100ng/L il limite assoluto di sicurezza per una esposizione decennale per ogni classe di individui, mentre per una esposizione breve, nel caso di un adulto sano, si considerano tollerabili concentrazioni fino a 5 µg/L.

La relazione dell’IRSA-CNR ha evidenziato che, in assenza di limiti di potabilità italiani o comunitari, confrontando le concentrazioni rilevate con i limiti proposti in ambito US-EPA (400ng/L per PFOA) e tedeschi (100ng/L per la somma dei perfluorurati per una esposizione decennale) sussiste un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono le acque prelevate dalla falda, posto che tali composti si comportano da interferenti endocrini nel metabolismo dei grassi e hanno sospetta azione estrogenica e cancerogena.

stendardo GrIGL’azione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.

Come detto il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus si occupa concretamente del grave e misconosciuto inquinamento fin dal 2013.    L’ultima, ennesima richiesta di informazioni a carattere ambientale (interessati, tra gli altri, il Ministro dell’Ambiente, la Regione Veneto, l’ARPAV, la ULSS 6, la Provincia di Vicenza, e per conoscenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza e la Commissione Europea) è del 23 giugno 2016.

Le analisi svolte dall’A.R.P.A.V. (nota A.R.P.A.V. Vicenza prot. n. 75059/X.00.00 dell’11 luglio 2013, in  risposta a precedente istanza del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus del 20 settembre 2013) hanno evidenziato che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta è prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nello scarico industriale della ditta Miteni Spa, allacciata all’impianto di depurazione di Trissino, la quale contribuisce per il 96,989% all’apporto totale di PFAS, in presenza di un impianto di depurazione non in grado di abbattere tale tipo di sostanze, in quanto non dotato di tecnologia adeguata. Scrive l’ARPAV: “Allo stato attuale risulta che la propagazione della contaminazione ha raggiunto un’area di estensione di circa 150 km2 ed interessa principalmente le province di Vicenza, Verona e Padova, con presenza in falda e nei corsi d’acqua superficiali e nel sistema dei pozzi utilizzati per uso potabile nella zona di Lonigo, Sarego, Brendola e Vicenza”.

Un inquinamento folle che infetta e aggredisce una zona che va almeno da Trissino (VI) a Montagnana (PD).

Cologna Veneta, scarichi nel Fiume Fratta-Gorzone

Cologna Veneta, scarichi nel Fiume Fratta-Gorzone

Con la richiesta di informazioni ambientali e opportuni interventi inoltrata il 26 febbraio 2015, l’Associazione ecologista ha voluto verificare l’efficienza depurativa del collettore fognario ARICA posto sul Torrente Fratta-Gorzone, probabilmente il fondamentale veicolo dell’inquinamento: conseguentemente il Sindaco di Cologna Veneta ha chiesto (nota Ufficio tecnico – Servizio ecologia prot. n. 2752/15 – R del 24 marzo 2015) alla Regione Veneto, all’A.R.P.A.V., al Consorzio di gestione del depuratore, alla Provincia di Vicenza, informando contemporaneamente la magistratura e la polizia giudiziaria competenti, tutti gli elementi utili per poter comprendere se vi sia “una situazione di pericolo per l’ambiente” e poter provvedere con un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000 e s.m.i. (Testo unico degli Enti locali).

Dal canto suo, l’A.R.P.A.V. ha indicato (nota del 10 marzo 2015) i siti web istituzionali dove sono conferiti i dati sull’inquinamento, il rischio ambientale e il rischio sanitario per la presenza di acido perfluoroottansolfonico (PFOS).  Eccoli:

* rischio ambientale: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas

* rischio sanitario: http://prevenzione.ulss20.verona.it/pfas.html.

Inoltre, nel mese di maggio 2016, nella località Ponte degli Asini, in Comune di Castelbaldo, sono stati eseguiti in conto proprio, incaricando un laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche, dei prelievi di acque e fanghi che successivamente hanno evidenziato elevati valori di Cromo totale e Zinco.

Pertanto, non essendo a conoscenza dell’avvenuta risoluzione della grave situazione di inquinamento delle aree interessate dalla presenza di PFAS, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus-Veneto ha chiesto alle autorità interessate tutte le informazioni a carattere ambientale al riguardo, ed auspica l’adozione di drastici provvedimenti che garantiscano alle popolazioni residenti nelle località interessate condizioni ambientali salubri, in base al principio di precauzione, previsto dall’art. 191 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e dell’art. 3 ter del Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.) ed in virtù del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, come diritto fondamentale della persona e della collettività.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

anatre_in_volola Società Miteni s.p.a. informa:

 

Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2017

Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2017

(foto M.F., archivio GrIG)



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