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La riforma dei reati ambientali ha creato non pochi “pasticci”.

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Portoscuso, centrale eolica

Portoscuso, centrale eolica

La legge 22 maggio 2015, n. 68, quella sui c.d. nuovi reati ambientali, è ormai in vigore da tempo.

Come si ricorderà, la sua approvazione è stata accompagnata da forti critiche provenienti da numerosi operatori del diritto, da associazioni ecologiste e da alcuni titolati padri del diritto ambientale in Italia, come i magistrati Gianfranco Amendola e Raffaele Guariniello.

I primi risultati non sono così positivi come erano stati annunciati.

In più vi sono gli effetti sui reati ambientali, spesso contravvenzioni secondo la legge, del decreto legislativo n. 28/2015 in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto lesivo e delle disposizioni introdotte con l’art. 1, comma 9°, della legge n. 68/2015, che introduce nel Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.) la Parte Sesta bis (articoli da 318 bis a 318 octies) rubricata “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”.

L’ambito di applicazione della disciplina è circoscritto alle ipotesi contravvenzionali previste dal Codice che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette. Le nuove disposizioni, nell’ottica di incentivare le condotte ripristinatorie, hanno individuato un apposito procedimento che porta all’estinzione della contravvenzione in seguito all’adempimento, da parte del contravventore, di una serie di prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza (o polizia giudiziaria) e al pagamento in sede amministrativa di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Ma anche qui i problemi non mancano, come ci ricorda Gianfranco Amendola.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

Cagliari, parte terminale di Via Simeto, discarica abusiva

Cagliari, parte terminale di Via Simeto, discarica abusiva

da Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2016

Ambiente, l’incertezza del diritto e della pena, anche dopo la legge sugli ecoreati. (Gianfranco Amendola)

Forse non tutti sanno che la recente legge sugli ecoreati, oltre a introdurre nel codice penale i delitti contro l’ambiente, contiene anche una parte relativa alle “vecchie” contravvenzioni del Testo unico ambientale, che, ancora oggi, continuano a essere i reati maggiormente riscontrati nella realtà italiana. Stabilisce la nuova legge che queste contravvenzioni, così come quelle per la prevenzione infortuni, possono essere “eliminate” senza processo attraverso una procedura “di polizia” di regolarizzazione che si conclude con un pagamento molto ridotto senza conseguenze sulla fedina penale.

Non tutte, però, ma solo quelle che che “non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”. E già questo costituisce un primo problema perché spesso la polizia giudiziaria non è in grado di capire se questo requisito sussiste; tanto più che, di solito, il danno o il pericolo per l’ambiente non è immediatamente riscontrabile.

Portoscuso, bacino c.d. fanghi rossi

Portoscuso, bacino c.d. fanghi rossi

Ma i dubbi aumentano quando poi si legge contraddittoriamente che la polizia giudiziaria impartisce prescrizioni con eventuali misure “atte a far cessare situazioni di pericolo”, in quanto se c’è pericolo non sono contravvenzioni cui si può applicare la sanatoria. Aumentano ancora quando ci si trova di fronte a contravvenzioni punibili con la pena dell’arresto o dell’arresto congiunto con l’ammenda (le più gravi) che, per evidenti motivi, non possono essere trattate, per la sanatoria tramite pagamento ridotto, come quelle (meno gravi) punibili con sola ammenda o con pena alternativa.

Aumentano ancora quando si legge che la prescrizione deve essere “asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata” senza ulteriori precisazioni: probabilmente ci si riferisce alle Arpa (agenzie regionali protezione ambiente) ma di certo non è chiaro. Così come non si dice a chi devono essere versate le somme versate dopo la regolarizzazione. Ma, soprattutto, non si capisce quali prescrizioni possono essere impartite dalla polizia giudiziaria nei casi (la quasi totalità) in cui la violazione consiste nell’assenza di un’autorizzazione dato che, in questi casi, il reato è già consumato e quindi è evidente che, comunque, il contravventore, se vuole continuare l’attività, deve munirsi di autorizzazione, a prescindere da qualsiasi prescrizione di polizia.

In più, senza entrare troppo in particolari tecnici, si consideri che questa procedura deve essere armonizzata con altre procedure simili quali quella per l’oblazione o per i reati di particolare tenuità. Il che crea ulteriori problemi.

In questo quadro, dopo poco più di un anno dagli ecoreati, l’unica certezza relativa a questa novità è l’incertezza. Di fronte ai tanti dubbi, infatti, la maggior parte delle Procure della Repubblica ha ritenuto di dettare, in proposito, proprie linee guida alla polizia giudiziaria del proprio territorio. Con il risultato di creare evidentissime disparità di trattamento sul territorio; tanto che, a volte, a distanza di pochi chilometri, la stessa contravvenzione può essere estinta da una parte mentre arriva a processo dall’altra. Alcune Procure Generali hanno meritoriamente tentato di armonizzare le disposizioni in tutto il loro distretto, ma evidentemente non è sufficiente.

Urge un qualche intervento che, una volta per tutte, faccia finire questa giostra di incertezze e riporti uniformità di trattamento in tutto il Paese. Già, infatti, vi sono molti dubbi sui nuovi “ecoreati”; almeno, salviamo i “vecchi”.

 

Tuscia, acquedotto romano

Tuscia, acquedotto romano

(foto da mailing list ambientalista, S.D., archivio GrIG)

 



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