Sul quotidiano L’Unione Sarda, edizione di domenica 25 settembre 2016, è stata pubblicata un’intervista ad Antonello Pirotto, della R.S.U. dell’Eurallumina, impianto industriale di Portoscuso (CI).
Proposte alternative nel campo della riconversione industriale sono state da noi fatte, senza alcun riscontro positivo. L’obiettivo dichiarato è quello di far ripartire il ben noto modello industriale, ormai sul viale del tramonto, per usare un eufemismo.
Ecco la risposta del Comitato Carlofortini Preoccupati e dell’Associazione Adiquas.
Buona lettura.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
Dopo aver letto l’intervista fatta al signor Pirotto riteniamo che per onestà informativa sia necessario presentare ai lettori dell’Unione Sarda le opinioni del No alla riapertura delle fabbriche espresse da diverse Associazioni, Comitati o singoli cittadini.
Come è noto la riapertura dell’Eurallumina dovrebbe realizzarsi attraverso una centrale per produrre elettricità che funzionerà con l’utilizzo del carbone, ovviamente importato, e ciò si vorrebbe realizzare in una epoca in cui per i cambiamenti climatici moltissimi stati programmano la fine dell’era del carbone.
Per sfatare l’asserzione secondo cui la posizione del NO sia esclusivamente strumentale si ricorda che le associazioni, comitati e varie organizzazioni di cittadini nascono su aree territoriali dove si è creato un vuoto di fiducia verso istituzioni o amministrazioni locali e/o periferiche che avrebbero dovuto vigilare, denunciare e intervenire a tutela, in questa circostanza, dell’ambiente e della salute. Queste problematiche sono insorte nel tempo e nel nome della tutela del lavoro e dei lavoratori dell’industria si è taciuto si è mantenuto un silenzio colpevole provocando una reazione legittima di tutela della propria salute e dei propri beni da parte di numerosi cittadini che sentendosi abbandonati a sé stessi e al loro destino li ha indotti ad organizzarsi per difendersi e far sentire la propria voce.
Andare contro corrente “sulla sbandierata tutela dei posti di lavoro” e denunciandone i disastri ambientali e alla salute su cui e vittima il nostro territorio, ovviamente, puntando il dito su multinazionali e loro sostenitori, per noi, semplici cittadini non è semplice e di certo non attiriamo alcun megafono a nostro sostegno, ma ben altro, da parte di chi sostiene la presenza dell’industria.
Bisogna ricordare che il comune di Portoscuso non vive di sola industria né esistono esclusivamente gli interessi dell’industria e dei suoi lavoratori. L’industria è una componente economica ma non è la sola poiché coesistono come in ogni altro luogo altre attività come quelle turistiche, della pesca ecc.. attività che devono convivere e non è detto che traggano beneficio in questa convivenza, anzi. Prima dell’industria Boi Cerbus era uno stagno pescoso come lo era pure Mari Biu, oggi si assiste al più grande disastro ambientale in quei luoghi. Su Boi Cerbus vige il divieto di pesca e la lunghissima spiaggia di Mari Biu, una volta un paradiso terrestre, a causa dei frangi flutti e del porto industriale edificati per difendere la discarica dei fanghi rossi e per far arrivare le grandi navi in porto, hanno inghiottito per chilometri parte della pineta e dei ginepri e con esse le dune.
Oggi si assiste in molte zone alla visione di alberi pietrificati a molti metri dall’attuale arenile. Nessuno ci ha mai illuminati sulla salute di Mari Biu visto che ancora oggi è frequentato dai bagnanti e in passato al largo scaricavano i fanghi rossi. Una volta questo luogo era un mare pescoso.
Esistono i proprietari terrieri che onorano il fisco denunciandone il possesso e pagandone le tasse per le loro terre, terreni non più utilizzabili per produrre vino o ortaggi a causa dei danni prodotti dalle industrie. I pochi che lavorano la terra lo fanno a proprio rischio salute. Percorrendo le strade di campagna del comune di Portoscuso, recandosi verso il comune di Gonnesa, si intravede il disastro ambiente, sono visibili le vigne e i terreni abbandonati. Il tutto è desertificato.
Questo luogo che in passato era un enorme giardino ricco di vigneti, orti, campi di frumento, animali. Che dire dei pastori che in alcuni momenti non hanno potuto commercializzare il latte per la presenza di sostanze tossiche nel latte?
I danni ambientali non si fermano all’interno del comune di Portoscuso ma si estendono ai comuni limitrofi con il consumo del territorio da sacrificare alle discariche per i rifiuti di lavorazione. Al bacino dei fanghi rossi si aggiungono le discariche de Sa Piramide ancora a Portoscuso, la discarica De S’acqua e sa Canna e delle ceneri e gessi della centrale Enel a Nuraxi Figus, comune di Gonnesa, della discarica de Genna Luas nel comune di Carbonia.
Ai danni descritti si aggiungono i danni alla salute. I malati in cura o deceduti per tumore a Portoscuso e dintorni non si contano come pure sono diffuse le patologie alla tiroide e circolatorie.
Da quanto esposto emergono le ragioni per cui ci si oppone al futuro di questa tipologia di fabbriche e non all’industria in generale.
Lo slogan “Pane e carbone” non ci piace perché non corrisponde al nostro slogan che è “Pane e Salute” e nessuno può chiederci di sacrificare la nostra vita “Per il pane e Carbone” altrui.
Il danno arrecato al territorio e alla salute dei suoi abitanti sicuramente ha molti responsabili e tra questi ritengo poter annoverare i sindacati, proprio quelli che oggi gestiscono le lotte per riattivare queste fabbriche. Come si può dare credibilità a persone che oggi sostengono che produzione e ambiente per via delle nuove leggi possono andare di pari passo?
Come si può dare credibilità a personaggi che non hanno mai speso alcuna parola di dissenso verso la propria azienda rispetto ai processi in corso contro i danni prodotti al territorio da queste industrie?
Comitato Carlofortini Preoccupati Associazione Adiquas
(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)
