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Il T.A.R. Lazio sulla discarica di Magliano Romano.

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cassonetti dei rifiuti stracolmi

cassonetti dei rifiuti stracolmi

Riceviamo e pubblichiamo volentieri.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

Il T.A.R. Lazio (collegio Panzironi, Volpe, Tricarico), con sentenza Sez. I ter n. 5274 del 5 maggio 2016, si è pronunciato favorevolmente sul ricorso proposto dai cittadini di Magliano Romano, il Comitato No discarica di Magliano Romano e il GRE Lazio, rappresentati dagli avvocati Vittorina Teofilatto, Daniela Terracciano, Alessandro Di Matteo, annullando la modifica non sostanziale dell’AIA della discarica, approvata dalla Regione Lazio, che autorizzava il gestore a conferire in una discarica di inerti 21 codici CER di rifiuti, sulla cui natura inerte già l’ARPA Lazio aveva espresso seri dubbi e riserve.

Il T.A.R. Lazio ha individuato alcuni principi di rilievo per l’interpretazione della complessa materia.

Con riferimento alla legittimazione attiva, il Giudice amministrativo laziale ha superato la giurisprudenza che riconosceva la legittimazione solo ai cittadini che vivano ad una distanza dalla discarica non superiore a 1 km, affermando come non si possa sottilizzare in ordine alla distanza fisica di ciascun soggetto dalla discarica, atteso che la Regione e il gestore “non hanno offerto elementi tangibili per perimetrare con certezza la circonferenza territoriale, oltre la quale il rischio non sussisterebbe più in ogni caso”.

Inoltre ha introdotto un principio giuridico, peraltro logico, che però troppo spesso viene disatteso nei provvedimenti amministrativi di natura ambientale, vale a dire che la Regione è tenuta a stabilire in maniera puntuale e precisa i presidi a tutela dell’ambiente, evitando di lasciare il gestore arbitro delle modalità di esercizio della sola garanzia posta dall’organo consultivo a tutela dell’ambiente (ARPA Lazio, nel caso).

E’ necessario che venga stabilito con chiarezza come e quando debbano essere effettuate analisi aggiuntive sulla natura del rifiuto e soprattutto da chi. “In materia, invero, particolare attenzione dovrebbe essere posta in ordine al grado di sufficiente terzietà (rispetto agli interessi propri della parte privata che gestisce una discarica) in capo ai soggetti cui viene demandato il riscontro delle caratteristiche dei diversi, singoli tipi di rifiuti che si adducono in discarica, nonché alla capacità di reazione reciproca fra rifiuti di differente tipologia”.

Il T.A.R. afferma altresì un altro principio fondamentale: la Regione non può limitarsi a “prendere atto”, accettando acriticamente le spiegazioni tecniche fornite dalla parte privata, ma deve effettuare un’istruttoria approfondita e pervenire poi alla decisione finale, assumendosene le relative responsabilità ed esercitando il proprio ruolo di presidio a tutela dell’ambiente, consentendo, inoltre, la partecipazione dei cittadini alle decisioni ambientali.

Una pronuncia, quella del T.A.R. Lazio, che segna una forte discontinuità dalle modalità operative portate avanti dalla Regione Lazio (e da tante altre Amministrazioni pubbliche in tema) e dà speranza per il futuro.

Comitato No discarica di Magliano Romano

 

05274/2016 REG.PROV.COLL.

12933/2015 REG.RIC.

13784/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12933 del 2015, proposto da Domenico Arnaldi, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della omonima Azienda agricola Luciecontrasti, e Giorgio Arnaldi, in proprio e nella qualità di titolare di omonima impresa individuale, rappresentati e difesi dall’avv. Amerigo Cianti, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via Vito Sinisi, n. 71;

contro

Regione Lazio, rappresentata e difesa dall’avv.ssa Stefania Ricci, elettivamente domiciliata presso la sede dell’Avvocatura regionale in Roma, Via Marcantonio Colonna, n. 27;

nei confronti di

Idea 4 società a responsabilità limitata;

sul ricorso numero di registro generale 13784 del 2015, proposto da Alessio De Guttry, Nazzari Sandro, Maiuri Franco, Crescentini Paolo, Farinon Marco, De Santis Albina, Giudici Clara, Giudici Maria, Guidotti Alessio, Marchetti Silvia, Chavarria Darma, Comitato “No Discarica di Magliano Romano”, Robecchi Francesca, Mancini Francesco, Onori Marina, Gnisci Antonio, Iannotta Tommaso, Gruppi Ricerca Ecologica Lazio, Rinaldi Dino, Travaglini Dario, Radaelli Stefania, Di Francesco Orenzio, Percoco Giovanna, Igliozzi Andrea, Zappa Ida, Gnisci Patrizia, Agneni Iliana, Tremanti Giovanni, Marchetti Domenico, Pullara Massino, Giudici Renata, Pullara Barbara, Columbu Fabio, Rocco Francesca, Sepulveda Dora Elsy, Munervar Albertini Giancarlo, De Mattia Giuseppe, Fontana Emanuele, Onori Gigliola, Rinaldi Bruno, Di Benedetto Costantino, Laugeni Angelo, Bracone Maria Giusta, Benigni Luigino, Romanello Giulia, Fabi Dina, Farinon Angelo, Onori Pasqua Rosa, Bonanni Vincenzino, Vidiri Rosaria, Marchetti Palmira, Mariani Barbara, Ferrero Manuel, Nuccelli Maria Cristina, Tanzarella Flavia, Di Benedetto Valentina, Nuccetelli Gianna, Albertini Matteo, Arnaboldi Martina, Martello Anna Chiara, Zema Daniela, Francolini Stefano, Lancellotti Maurizio, Michelo Umberto, Gnisci Veronica, Ferrero Sabrina, Mori Sandro, Giudici Alba, Belgiotti Fabiola, Fioravanti Anna Maria, Di Gioia Monica, Marinucci Valerio, Trimboli Carmelo Salvatore Emilio, Nigro Giovanni, Cossu Silvia, Colizzi Alessandro, Gogoni Lucia, Vidiri Laura, Vidiri Anna Maria, Nuccetelli Deborah, Maiolino Marco, Igliozzi Milena, Onori Franca, Miconi Umberto, Onori Emireno, Cortegiani Rolando, Martella Carlo, Draghini Eugenia, Cicero Nicolò, Mancini Domenica, Orlando Gaetano, Angelici Giuseppe, Alberto Di Marzo in qualità di legale rappresentante pro-tempore della Azienda agricola-società semplice di Di Marzio Nacrelio e Di Marzio Alberto, Travaglini Amedeo, tutti rappresentati e difesi dalle avv.sse Vittorina Teofilatto e Daniela Terracciano e dall’avv. Alessandro Di Matteo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Viale delle Milizie, n. 1;

contro

Regione Lazio, rappresentata e difesa dall’avv.ssa Teresa Chieppa, elettivamente domiciliata presso la sede dell’Avvocatura regionale in Roma, Via Marcantonio Colonna, n. 27;
Città Metropolitana di Roma Capitale, rappresentata e difesa per legge dall’avv.ssa Giovanna De Maio, domiciliata in Roma, Via IV Novembre, n. 119/A;
Arpa Lazio;
Comune di Magliano Romano;

nei confronti di

Idea 4 s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Giammarioli, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Piazzale Clodio, n. 12;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 12933 del 2015:

della determinazione G09137 del 22.7.2015, pubblicata sul B.U.R.L. n. 61, supplemento n. 1, del 30.7.2015, con la quale la Regione, Direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, Area Ciclo integrato dei rifiuti, ha approvato la modificazione non sostanziale dell’autorizzazione già rilasciata a Idea4, con la determinazione n. A06398 del 6.8.2013, e, per l’effetto, le ha consentito l’ingresso di nuovi codici CER di rifiuti nella discarica sita in Comune di Magliano Romano, località Monte della Grandine, gestita da tale società;

quanto al ricorso n. 13784 del 2015:

della stessa determinazione regionale di cui al precedente ricorso, nonchè delle determinazioni regionali n. B0617 del 17.9.2012, B01393 del 9.4.2013, A06398 del 6.8.2013, A07329 del 18.9.2013, G04580 del 10.4.2014, oltre che di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio, di Idea 4 s.r.l. e della Città Metropolitana di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2016 il dott. Italo Volpe e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Con un primo ricorso (recante n.r.g. 12933/2015) Domenico Arnaldi, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della omonima Azienda agricola Luciecontrasti, e Giorgio Arnaldi, in proprio e nella qualità di titolare di omonima impresa individuale, hanno agito nei confronti della Regione Lazio e nei riguardi della controinteressata s.r.l. IDEA 4 (di seguito “Idea4”) chiedendo l’annullamento della determinazione G09137 del 22.7.2015, pubblicata sul B.U.R.L. n. 61, supplemento n. 1, del 30.7.2015, con la quale la Regione, Direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, Area Ciclo integrato dei rifiuti, ha approvato la modificazione non sostanziale dell’autorizzazione già rilasciata a Idea4, con la determinazione n. A06398 del 6.8.2013, e, per l’effetto, le ha consentito l’ingresso di nuovi codici CER di rifiuti nella discarica sita in Comune di Magliano Romano, località Monte della Grandine, gestita da tale società.

1.1. Quale antefatto, i ricorrenti riferiscono di gestire da tempo nel Comune di Magliano Romano aziende agricole che producono grano, cereali e colza (destinati all’alimentazione umana), oltre erba medica e favino, nonché terreni destinati a prato per il pascolo degli animali. Entrambe le aziende dispongono sui loro terreni di pozzi in concessione per uso idropotabile ed irriguo.

Le aziende hanno anche ottenuto le certificazioni di conformità ai requisiti del prodotto biologico, ai sensi dei Regolamenti CE 834/07 e 889/08 (relativi a colture biologiche fondate sull’utilizzo di risorse naturali incontaminate e che si svolgono in un contesto ambientale caratterizzato da un alto livello di biodiversità).

Viene aggiunto che in questo contesto ambientale (caratterizzato anche dalla presenza di due parchi regionali, ossia il Parco naturale regionale di Veio e il Parco regionale Valle del Treja) con determinazione n. A06398 del 6.8.2013 la Regione ha autorizzato Idea4 ad esercire una discarica per rifiuti inerti.

Riferiscono altresì i ricorrenti che l’impianto sorge a poca distanza dall’insediamento urbano (circa 800 metri) e ancora meno (circa 300 metri) dai terreni agricoli delle loro aziende.

Per lo stesso impianto, poi, la controinteressata ha presentato anche un’istanza per la riclassificazione in impianto destinato a rifiuti speciali non pericolosi. Il relativo procedimento è tutt’ora pendente in Regione e i ricorrenti hanno già impugnato gli atti autorizzativi, oltre che il provvedimento regionale di esclusione dal procedimento VIA del progetto per la realizzazione in un “impianto di trattamento acque chimico-fisico” al servizio della discarica. Il relativo giudizio pende innanzi al Consiglio di Stato, in attesa di fissazione dell’udienza.

Concludendo la premessa, i ricorrenti illustrano che dunque, dopo un primo diniego ed una richiesta di riesame nel 2014, la controinteressata ha ottenuto l’ampliamento delle tipologie di rifiuti conferibili in discarica.

1.2. Inoltre, quale illustrazione in fatto, i ricorrenti espongono che sulla richiesta di riesame la Regione aveva convocato un tavolo tecnico e trasmesso tutta la documentazione ad Arpa Lazio per il suo parere tecnico.

Con nota prot. n. 30270 del 13.4.2015 l’Arpa si era poi pronunciata in questi termini: “in relazione alla richiesta avanzata, si richiama quanto già riportato nei precedenti pareri espressi durante l’istruttoria autorizzativa della discarica in oggetto e di altri procedimenti analoghi, relativamente alla richiesta di gestire rifiuti il cui CER di identificazione, pur correttamente attribuito in virtù del ciclo produttivo, può non garantire automaticamente l’effettiva natura “inerte” del rifiuto stesso con riferimento alla definizione contenuta nell’art. 2 d.lgs. n. 36/2003 e s.m.i. e richiamata nella DGR n. 34/2012. (…) A tal fine, in fase di esercizio, deve essere prevista una verifica approfondita e puntuale per i rifiuti accettati. Dovranno pertanto essere definite dalla Società idonee procedure per la verifica della caratterizzazione di base ed il controllo all’accettazione di tali rifiuti, definendo ove necessari specifici protocolli (per ogni CER e singolo produttore) elaborati in relazione al processo dal quale i rifiuti vengono prodotti, al fine di dimostrare in modo univoco le caratteristiche a norma di legge”.

Con nota prot. n. 228327 del 27.4.2015 la Regione aveva trasmesso il parere dell’Arpa a Idea4 chiedendole di “predisporre una integrazione che esponga, in maniera esaustiva, un protocollo di accettazione rifiuti specifico per i codici CER” previsti nell’istanza di variazione non sostanziale.

Con nota a protocollo della Regione n. 244550 del 5.5.2015, Idea4 aveva consegnato il documento denominato “Protocollo speciale di accettazione nuovi codici CER” (datato aprile 2015).

Su questo Protocollo, con nota prot. n. 53916 del 2.7.2015 l’Arpa si era espressa in termini formalmente positivi, prescrivendo comunque che “in fase di esercizio, la descrizione dell’attività che ha generato il rifiuto gestito debba essere di maggiore dettaglio possibile e che le eventuali analisi aggiuntive da eseguire debbano essere frutto di valutazioni specifiche da eseguirsi in fase di caratterizzazione di base e verifica di conformità sulla base delle informazioni di dettaglio acquisite sul rifiuto”.

Col provvedimento impugnato, infine, la Regione, ritenendo di aver recepito quest’ultima prescrizione dell’Arpa, autorizzava la variante non sostanziale.

  1. A sostegno della loro domanda i ricorrenti hanno articolato i seguenti motivi:
  2. A) violazione della Convenzione di Aarhus del 25.6.1998 sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale – violazione della decisione del Consiglio UE del 17.2.2005, n. 2005/370/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della Convenzione di Aarhus – violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.n. 108/2001 – violazione dei principi generali della l.n. 241/1990 sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo.

Illustrano al riguardo i ricorrenti che l’art. 6 della convenzione prevede che il “pubblico interessato sia informato del processo decisionale in materia ambientale in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante pubblici avvisi o individualmente”.

Non si tratta di un obbligo meramente formale. Tutt’altro.

La Convenzione prevede infatti che l’Amministrazione comunichi ai privati interessati informazioni il più possibile dettagliate, riguardanti, ad esempio:

  1. a) l’attività proposta e la richiesta su cui sarà presa una decisione;
  2. b) la natura delle eventuali decisioni o il progetto di decisione;
  3. c) l’autorità pubblica responsabile dell’adozione della decisione;
  4. d) la procedura prevista, ivi compresi (nella misura in cui tali informazioni possano essere fornite):

d.1) la data di inizio della procedura;

d.2) le possibilità di partecipazione offerte al pubblico;

d.3) la data e il luogo delle audizioni pubbliche eventualmente previste;

d.4) l’indicazione dell’autorità pubblica cui è possibile rivolgersi per ottenere le pertinenti informazioni e presso la quale tali informazioni sono state depositate per consentirne l’esame da parte del pubblico;

d.5) l’indicazione dell’autorità pubblica o di qualsiasi altro organo ufficiale cui possono essere rivolti osservazioni e quesiti nonché i termini per la loro presentazione;

d.6) l’indicazione delle informazioni ambientali disponibili sull’attività proposta;

d.7) l’assoggettamento dell’attività in questione ad un procedura di valutazione dell’impatto ambientale a livello nazionale o transfrontaliero.

Emerge dunque che l’obiettivo della convenzione non è solo quello di consentire la partecipazione degli interessati ma soprattutto quello di imporre alle amministrazioni la promozione della partecipazione stessa, mediante la pubblicizzazione dell’avvio dei vari procedimenti ambientali.

Nel caso di specie, invece, nulla di tutto questo è avvenuto. L’Amministrazione ha omesso nei confronti dei ricorrenti pure la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l.n. 241/1990;

B) violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 1, lett. l-bis, del d.lgs. n. 152/2006 – violazione e falsa applicazione dell’art. 15, co. 14, della l.r. n. 27/1998 – violazione e falsa applicazione della deliberazione di Giunta Regionale del 18.4.2008, n. 239 – difetto di istruttoria – illogicità e irragionevolezza – omessa o insufficiente motivazione.

Idea4 ha presentato alla Regione un’istanza per la modifica non sostanziale della precedente autorizzazione della discarica. Nella relazione tecnica allegata all’istanza (risalente ad aprile 2014), a pg. 1/10 la società definisce “non sostanziale” la modifica dell’autorizzazione perché la stessa rispetterebbe quanto previsto al punto 3.2.1. delle linee guida regionali adottate con la DGR n. 239/2008 in tema di varianti non sostanziali.

Ebbene, a fronte delle affermazioni (di parte e chiaramente interessate) di Idea4, circa il carattere “non sostanziale” della modifica proposta, nel provvedimento impugnato si legge solo che la Regione prende atto “che la modifica di cui all’istanza può ritenersi non sostanziale, così come dichiarato nella relazione tecnica e nella documentazione allegata alla istanza medesima”. Ancora, nel provvedimento si legge che la Regione prende atto pure “che le modifiche previste non rientrano nelle fattispecie di cui all’art. 5 comma 1, lett. l-bis, del D.lgs. 152/2006 e s.m.i.” che contiene la definizione di “variante sostanziale”.

L’Amministrazione, dunque, ha omesso qualsiasi attività istruttoria volta ad accertare l’effettiva natura “non sostanziale” della modifica richiesta da Idea 4.

Del resto pare difficile sostenere che l’ingresso di ben 21 nuovi codici CER nell’impianto non abbia conseguenze sulla quantità di rifiuti trattati dall’impianto e, in ultima analisi, sui ricavi della controinteressata (che rappresentano, evidentemente, l’obiettivo principale della richiesta di modifica).

Comunque il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto di motivazione. Anche a voler ammettere la completezza dell’istruttoria, sostengono i ricorrenti che non è dato comprendere in base a quali dati specifici, fattuali e normativi, la variante sia stata considerata come “non essenziale”;

C) violazione del principio di precauzione in materia ambientale dall’art. 191 del Trattato UE – violazione e falsa applicazione dell’art. 3-ter del d.lgs. n. 152/2006 – eccesso di potere per difetto di istruttoria – vizio del procedimento – carenza di motivazione – illogicità e irragionevolezza.

Colla nota prot. n. 30270 del 13.4.2015 l’Arpa esprimeva giudizio tecnico in ordine all’impossibilità di assumere come effettivamente inerti i rifiuti dei nuovi codici CER richiesti.

Poi, dopo avere ricevuto la relazione (del 2015) di Idea4 contenente il “protocollo speciale d’accettazione rifiuti specifico per i codici CER”, con successiva nota prot. n. 53916 del 2.7.2015 l’Arpa ha ribadito che “a fronte dell’ampio numero di tipologie di rifiuti che la società chiede di poter gestire, si vuole richiamare l’attenzione sul fatto che debba essere prevista una approfondita verifica per i rifiuti che potrebbero per effettive caratteristiche chimico/fisiche non essere “inerti” secondo la definizione di legge richiamata (come ad esempio, i fanghi prodotti dal trattamento di effluenti industriali e delle acque reflue urbane, il compost fuori specifica, i rifiuti il cui CER può identificare una vasta gamma di tipologie quale il 191212, ecc. ecc.) (…) Si ritiene, pertanto, che in fase di esercizio la descrizione dell’attività che ha generato il rifiuto gestito debba essere di maggiore dettaglio possibile e che le eventuali analisi aggiuntive da eseguire debbano essere frutto di valutazioni specifiche sa eseguirsi in fase di caratterizzazione di base e verifica di conformità sulla base delle informazioni di dettaglio acquisite sul rifiuto”.

Quest’ultima prescrizione è poi stata recepita dal provvedimento impugnato che la richiama al n. 5 della parte dispositiva.

Tuttavia il provvedimento impugnato è illegittimo in parte qua perché viola il principio di precauzione, sancito dall’art 191 del Trattato UE e, a livello nazionale, dall’art. 3-ter del d.lgs. n. 152/2006. Invero, come chiarito dalla giurisprudenza, il “principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione. L’applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali” (ex multis, C.d.S., V, 18.5.2015, n. 2495).

Nella specie, infatti, a fronte del rischio più volte sottolineato dall’Arpa, che alcuni dei nuovi codici richiesti potessero corrispondere a rifiuti non inerti e, quindi, che alcuni dei corrispondenti rifiuti potessero provocare inquinamento ambientale e pericolo per la salute umana, ove smaltiti nell’impianto della società controinteressata, il rispetto del principio di precauzione avrebbe imposto all’Amministrazione di escludere almeno quei particolari codici dall’autorizzazione della variante non sostanziale.

D) violazione e falsa applicazione dell’art. 3-ter del d.lgs. n. 152/2006 – eccesso di potere per difetto di istruttoria – vizio del procedimento – mancata osservanza dei pareri di Arpa Lazio – carenza di motivazione – illogicità e irragionevolezza.

Idea4 predisponeva il “Protocollo speciale di accettazione per variante non sostanziale nuovi codici CER nota GR/02/16/228327 del 24/04/2015” datato aprile 2015.

Ricevutolo, con nota prot. n. GR/02/16/257765 del 12.5.2015 la Regione lo ha trasmesso ad Arpa chiedendo “un parere sul suddetto protocollo, che, nelle intenzioni della scrivente Area, farà parte integrante della eventuale determina di approvazione”.

Nel provvedimento impugnato, però, manca del tutto il riferimento al protocollo imposto a Idea4. Manca nelle premesse e manca nella parte dispositiva, dove la Regione ha omesso qualsiasi tipo di prescrizione in capo al soggetto gestore circa l’adozione e la stretta osservanza del protocollo. Né valga dire, surrogatoriamente, che il protocollo è comunque presente negli atti istruttori e che sarebbe comunque richiamato, sia pure indirettamente, nel provvedimento impugnato. Il protocollo non è nemmeno allegato al testo del provvedimento.

Peraltro il protocollo non sarebbe che un mero “copia e incolla” delle norme di legge che prescrivono la “caratterizzazione di base” e la “verifica di conformità”, nonché delle altre affermazioni e richieste di Arpa. Di misure destinate, nella sostanza, a prevenire i rischi sollevati da Arpa non ve n’è traccia.

  1. Si è costituita la Regione Lazio a difesa del provvedimento censurato.
  2. Con memoria depositata il 17.3.2016 i ricorrenti hanno riepilogano le loro difese, insistendo sul fatto che la Regione non ha effettuato una vera e propria istruttoria, limitandosi a prendere atto di quanto la controinteressata aveva detto e descritto nel protocollo, a sua volta frutto di una copiatura di quanto proceduralmente stabilito dalle disposizioni attuative del norme primarie in materia.

Nell’occasione i ricorrenti segnalano altresì che l’istruttoria è carente anche sotto un ulteriore profilo. Il provvedimento impugnato non tiene conto delle modifiche apportate dal Regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 che sostituisce l’allegato III della Direttiva quadro europea sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE) e quindi, a livello nazionale, quanto contenuto nell’Allegato D (criteri di classificazione dei rifiuti) e I (codifica delle caratteristiche di pericolo) della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006. Il regolamento introduce infatti nuovi criteri per la classificazione dei rifiuti che in molti casi differiscono da quelli finora utilizzati, contenuti nell’allegato D della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006.

  1. Con memoria depositata il 18.3.2016 la Regione replica ai motivi di ricorso sostenendo che:
  2. A) non è stato violato il diritto all’informazione previsto dalle norme sovranazionali, giacchè esso non è contemplato per i casi di discariche per inerti. Neppure è stato violato l’art. 7 della l.n. 241/1990 giacchè i terzi non avrebbero avuto da osservare ed il provvedimento finale non sarebbe potuto essere di contenuto diverso;
  3. B) non è vero che la variazione sia non sostanziale. Nella specie non è stata modificata la volumetria complessiva di saturazione della discarica. Pertanto una volta raggiunta la sua capienza massima la discarica deve essere chiusa. Poco importa se, nel frattempo, vengono conferiti solo i rifiuti originariamente autorizzati ovvero anche altri, frutti della modificazione;
  4. C) non è stato violato il principio di precauzione. Sulla scorta delle disposizioni vigenti per casi del genere, i rifiuti sono ammessi in discarica se risultano conformi ai criteri di ammissibilità della corrispondente categoria di discarica. Ciò vuol dire che un rifiuto di natura dubbia non può/deve essere escluso a priori ma che deve essere sottoposto a verifica in fase di esercizio e, all’esito degli accertamenti, essere ammesso o meno nella discarica di categoria corrispondente;
  5. D) la mancata allegazione del protocollo speciale di accettazione non è causa di illegittimità. Esso viene citato nelle premesse del provvedimento ed è riportato nel parere Arpa. Peraltro le procedure previste dal protocollo sono quelle stabilite nel decreto ministeriale di ammissibilità dei rifiuti in discarica e pertanto esse sono comunque obbligatorie. Il protocollo, in pratica, altro non fa che indicare il “tipo di rifiuto”.
  6. Con memoria depositata il 29.3.2016 i ricorrenti replicano agli scritti avversari sostenendo:

1) che, a differenza di quanto affermato dalla Regione, trova applicazione l’art. 6 della Convenzione di Aarhus relativo ai doveri partecipativi in relazione a procedimenti del tipo in discorso. E’ vero che questo articolo espressamente si riferisce alla autorizzazione delle attività elencate nell’all. I della convenzione e che quest’ultimo non riguarda le discariche di rifiuti inerti ma è anche vero che nella fattispecie non si tratta di una prima autorizzazione sibbene di una modifica ed un ampliamento dell’autorizzazione originaria. Conseguendone un livello di inquinamento maggiore era allora doveroso ricorrere alle forme partecipative previste dalla convenzione;

2) è sbagliato sostenere che non si applicasse l’art. 7 della l.n. 241/1990 sia perché i ricorrenti erano facilmente individuabili, data la loro dislocazione geografica rispetto al perimetro della discarica, sia perché è erroneo ritenere che essi nulla avrebbero potuto addurre di utile nel procedimento, riguardando esso questioni prettamente tecniche. Anche i ricorrenti avrebbero potuto far scrivere da loro tecnici;

3) non è vero, come sostenuto dalla Regione, che non risultano superati gli originari limiti volumetrici della discarica, per effetto dell’ampliamento assentito. I limiti volumetrici sono invero influenzati dalla tipologia di rifiuto scaricato. Aumentando i CER ammissibili, perciò, si sono alterati tali limiti. Comunque, come affermato da questa Sezione con sentenza n. 3418/2014, per qualificare come sostanziale o meno una variazione di impianto occorre una valutazione sostanziale circa gli effetti (eventualmente negativi) sull’ambiente conseguenti alla variante. Nel caso di specie questa valutazione sostanziale è mancata, tanto più necessaria invece in considerazione degli stessi dubbi paventati dall’Arpa;

4) la prova del mancato rispetto del “principio di precauzione” sta nel fatto che, a fronte degli stessi dubbi sollevati dall’Arpa sulla possibile realtà non inerte dei rifiuti di cui ai nuovi CER, i controlli prescritti non dovevano essere rimessi alla “fase di esercizio” della discarica ma essere pretesi prima;

5) in ogni caso, il “rimedio” del protocollo specifico richiesto al gestore della discarica è di fatto inefficace giacchè lo stesso non è stato né allegato all’atto di assenso né i suoi contenuti sono stati inseriti nell’atto di assenso in modo da costituirne specifici e vincolanti condizionamenti nei riguardi del gestore della discarica.

  1. Con un secondo ricorso (recante n.r.g. 13784/2015) i soggetti in epigrafe per esso indicati hanno agito nei confronti della Regione Lazio e nei riguardi di Idea4, del Comune di Magliano Romano, dell’Arpa Lazio e di Roma Capitale per l’annullamento della stessa determinazione regionale di cui sub 1 supra, nonchè delle determinazioni regionali n. B0617 del 17.9.2012, B01393 del 9.4.2013, A06398 del 6.8.2013, A07329 del 18.9.2013, G04580 del 10.4.2014, oltre che di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali.

7.1. Premesse considerazioni introduttive sulla loro legittimazione attiva (trattasi di residenti a distanze dalla discarica, per lo più, fra 1-2 km e pochi altri entro i 5 km, nonché di esercenti attività agricole in loco per uso proprio ovvero per commercio, tutti comunque fruitori, per scopi agricoli o alimentari, delle acque di falda locali, nonché del Comitato “no discarica di Magliano Romano” – che ha raccolto oltre 17.000 firme – e dell’Associazione “Gruppo ricerca ecologica” riconosciuta dal Ministero dell’ambiente e pertanto legittimata ex lege), i ricorrenti hanno formulato per lo scopo i seguenti motivi:

1) violazione degli artt. 2 della direttiva 1999/31 e 2 del d.lgs. n. 36/2003 – violazione dell’art. 6 e dell’allegato II della direttiva 1999/31 – violazione dell’art. 13 della direttiva 2008/98 – violazione della decisione 2003/33 del Consiglio europeo – difetto di istruttoria – eccesso di potere – difetto di motivazione – violazione dell’art. 178 del d.lgs. n. 152/2006 – violazione dell’allegato III della direttiva 2008/98 – contraddittorietà – violazione dell’art. 97 Cost.;

2) violazione degli artt. 5, 6, 19, 20 del d.lgs. n. 152 del 2006, della direttiva 2011/92/UE, della direttiva 2014/52/UE, del d.m. n. 52 del 30.3.2015 – violazione del d.m. 7.9.2010, recante definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, dell’art. 2 del d.lgs. n. 36/2003, della deliberazione del Comitato interministeriale del 27.7.2014, recante disposizioni per la prima applicazione dell’art. 4 del d.P.R. n. 915/1982, dell’art. 97 Cost. – contraddittorietà e irragionevolezza – violazione dell’art. 127 del d.lgs. n. 152/2006 – violazione dell’art. 4 della direttiva 2008/98 e dell’art. 179 del d.lgs. n. 152/2006, del principio di unicità dell’AIA, dell’art. 29-quater, co. 11, del codice dell’ambiente;

3) violazione degli artt. 5, 6, 19, 20 del d.lgs. n. 152 del 2006, del d.m. 7.9. 2010, degli artt. 2, 7, e 1.1 dell’allegato 1 del d.lgs. n. 36/2003, della direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat, degli artt. 2, 3, 5 del d.P.R. n. 357/1997, del d.P.R. n. 120/2003, del d. lgs. n. 152/1999 – omessa verifica di incidenza – violazione della direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, della direttiva 2014/52/UE – omessa VIA – violazione della d.g.r. 18.2.2012, n. 14, concernente il piano rifiuti della Regione Lazio, della l.r. n. 24/1998, del d.m. 18.11.1996, del d.m.a.f. 23.10.1992, del reg. CEE 2081/92, del reg. CEE 2092/91, dell’art. 21, co. 1, lett. a), e 13, lett. c), del d.m. n. 52/2015, omessa verifica di assoggettabilità, omessa verifica dei fattori di elusione e/o di attenzione, violazione della l.r. n. 17/2004, omessa istruttoria.

7.2. Nell’illustrare i motivi i ricorrenti riferiscono che la controinteressata è autorizzata solo alla gestione di una discarica per rifiuti inerti.

Con riferimento alle procedure di ammissione in discarica di inerti, è allora necessario tenere presente che la decisione del Consiglio europeo n. 2003/33 ha stabilito che il primo elemento che deve essere escluso in materia di rifiuti inerti è la presenza al loro interno di sostanze pericolose. E’ l’allegato III della direttiva 2008/98 a stabilire le caratteristiche di pericolo dei rifiuti.

Esclusa la presenza di sostanze pericolose e constatata la natura comunque inerte del rifiuto, si può procedere alla sua caratterizzazione ed analisi ai sensi del d.m. del 27.9.2010 e solo, dunque, quando è certo che a) il rifiuto non contiene sostanze pericolose, b) la sua natura lo porta a non subire significative trasformazioni fisiche, chimiche o biologiche, c) la caratterizzazione e le analisi chimiche rientrano nei parametri indicati dal citato d.m., il rifiuto può allora essere considerato inerte e come tale conferito in una discarica di inerti.

Secondo la decisione del Consiglio europeo n. 2003/33, il campionamento può anche essere effettuato dai produttori di rifiuti o da operatori, ma “a condizione che una sufficiente supervisione di persone indipendenti e qualificate o di istituzioni assicuri che gli obiettivi stabiliti dalla direttiva vengano raggiunti”.

Tutto questo, nella specie, non è però stato rispettato, soprattutto perché la Regione ha assentito previa mera presa d’atto di quanto riferito dalla controinteressata con relazione tecnica di parte, in sede di istanza di ampliamento. Quindi manca una diretta istruttoria regionale sulle tipologie dei rifiuti gestiti e sugli effetti che tali rifiuti possono avere sulla biosfera.

Aggiungono i ricorrenti che la Regione poi ha assentito la modifica con procedura semplificata ritenendo che i nuovi codici CER non avrebbero avuto portata innovativa sostanziale, essendo già la discarica autorizzata per rifiuti inerti. In pratica essa ha esattamente ripetuto quanto asserito dall’istante. Peraltro, in passato, la Regione aveva già assentito 92 codici di rifiuti + 2 codici CER tramite silenzio assenso e con l’ultima modifica vengono di fatto aggiunti 21 nuovi codici CER, per cui ora la discarica gestisce ben 115 rifiuti diversi senza mai essere stata sottoposta a verifica di assoggettabilità.

Inoltre l’assenso è stato dato sulla base di mera assunzione di formale corrispondenza dei rifiuti di cui ai nuovi codici a quelli definiti inerti dal d.m. del 2010. In realtà, la corretta applicazione del d.m. implica proprio il contrario: ossia che il rifiuto già attestato come inerte risulti tale anche dopo i test previsti dalle 2 tabelle ad esso allegate. E se si esaminano le declaratorie di rifiuti corrispondenti ai nuovi codici assentiti ci si avvede che per diversi di essi il rischio che de facto non siano in realtà rifiuti inerti è elevato. Da ciò, del resto, i caveat della stessa Arpa.

Aggiungono ancora i ricorrenti che manca nella specie, nonostante quanto indicato dall’Arpa, un protocollo specifico per i singoli rifiuti giacchè quello predisposto dalla controinteressata oltre ad essere generico e vago, non riguarda i singoli rifiuti né forma oggetto di espressa prescrizione nell’ambito dell’atto di assenso impugnato.

Tra l’altro, consentire un ammasso di rifiuti assai diversi fra loro aumenta esponenzialmente il rischio ambientale in considerazione delle possibili reazioni chimiche che si possono, poi, innescare a causa del loro contatto.

La Regione, perciò, o non doveva adottare la procedura della modificazione non sostanziale, cui è estranea la valutazione del rischio per singolo rifiuto, oppure, anche previa istruttoria, doveva valutare e prescrivere le analisi aggiuntive da eseguire per scongiurare rischi per l’ambiente, non nascondendosi dietro al fatto che il protocollo è comunque conforme alla normativa in materia.

In sintesi, la Regione ha agito superficialmente, senza neanche considerare che in situ la falda acquifera è ormai emersa, tanto che all’interno della discarica si è formato un lago di ampie dimensioni e di origine del tutto incerta.

  1. La Regione si è costituita diffondendosi, difensivamente, sui motivi per i quali il ricorso sarebbe irricevibile (perché tardivo, puntando ad invalidare atti pregressi ormai irretrattabili) ovvero inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti, nonché infondato nel merito in considerazione della correttezza del procedimento seguito, alla luce dei parametri normativi di riferimento.
  2. In vista dell’udienza di discussione una prima volta fissata per l’11.1.2016:

A) ha depositato una breve memoria la controinteressata con la quale, per un verso, si riprendono gli argomenti della Regione in ordine alla presunta carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti e, per altro verso, si difendeva nel merito la bontà dell’atto di assenso impugnato;

B) hanno depositato memoria i ricorrenti per controbattere all’asserita carenza di legittimazione e per sostenere le ragioni della domanda cautelare comunque proposta unitamente all’atto introduttivo del giudizio.

10. In vista dell’odierna udienza di discussione:

A) ha depositato memoria la controinteressata con la quale:

1) si insiste sulla tardività del ricorso quanto a tutti gli atti di assenso risalenti e non contestati tempestivamente, in ordine ai quali peraltro questa Sezione si sarebbe pronunciata con sentenza n. 8703/2015;

2) onde ribadire la irretrattabilità di pregressi assensi, ha ripercorso la storia provvedimentale della discarica, ricordando in particolare il fatto che la sua gestione era proseguita anche grazie ad altra sentenza della Sezione (n. 6528/2013) che aveva annullato un provvedimento di revoca parziale della gestione stessa operata dal Comune nel presupposto che le competenze in materia fossero ormai tutte della Regione;

3) si sottolinea che i ricorrenti non sono in grado di denunciare pregiudizi attuali e sicuri, essendo essi sempre evocati come eventuali o, al più, meramente possibili. Viene difeso altresì il fatto che i nuovi codici CER ammessi non possono che riferirsi ad altri rifiuti anch’essi inerti;

B) hanno depositato memoria i ricorrenti, insistendo sulla loro legittimazione attiva, specie per quanto riguarda le associazioni, e soprattutto ribadendo nel merito il fatto che se, come sostengono Regione e controinteressata, l’atto impugnato deve considerarsi conforme alle norme sia primarie sia secondarie di settore, anche dal punto di vista della classificazione delle pericolosità dei rifiuti, ciò non può dirsi del tutto vero in quanto, con decorrenza 1.1.2015, trova applicazione il regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 che sostituisce l’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, che ha abbassato le soglie di rilevanza operanti ai fini della predetta classificazione. Ed il provvedimento impugnato, del luglio 2015, non mostra di aver considerato questo sopravvenuto parametro normativo. Il punto ha una sua rilevanza specie per il fatto che ormai nella discarica in questione converge una massa rilevante di rifiuti diversi fra loro, non tutti sicuramente ed inequivocabilmente inerti;

C) i ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria di replica a quella della controinteressata sub A), con la quale hanno riepilogato l’insieme delle loro argomentazioni.

11. Entrambe le cause venivano chiamate all’odierna pubblica udienza di discussione ed ivi trattenute in decisione.

12. Innanzi tutto i due ricorsi meritano di essere riuniti per la loro prevalente connessione oggettiva, essendo stato impugnato un identico provvedimento rilevante, riguardando essi la medesima discarica e proponendosi in essi, in pratica, coincidenti motivi di censura.

13. Deve poi essere affrontata – secondo ordine logico di trattazione – l’eccezione (sollevata dalla Regione ma alla quale si è poi associata la controinteressata Idea4) di carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti di cui all’atto introduttivo sub 7 supra, suscettibile, ove fondata, di condurre all’inammissibilità di questo atto.

L’eccezione, tuttavia, risulta infondata.

Non ignora il Collegio – né esso avrebbe in ipotesi motivo di discostarsene – il ricordato orientamento giurisprudenziale che con costanza ripete che la legittimazione attiva, in casi del genere, può dirsi radicata se ed in quanto la vicenda denunciata sia idonea a concretare, se non una vera e propria lesione tangibile, quanto meno un pericolo in atto sufficientemente circostanziato ed in grado di rendere plausibile e legittimo il fronteggiarsi degli interessi contrapposti di chi intende conseguire ovvero difendere l’ampliamento della propria sfera giuridica soggettiva e di chi al contrario, per rimuovere la lesione intervenuta ovvero escludere il pericolo serio paventato, punta a non far conseguire ovvero a far retrocedere quell’ampliamento soggettivo.

Ebbene, nel caso di specie è sufficientemente evidente che i ricorrenti innanzi detti agiscono solo de damno vitando, ossia per poter escludere con apprezzabile e soddisfacente ragionevolezza che i nuovi rifiuti conferibili nella discarica della società controinteressata possano determinare nel tempo (con quella lenta progressività tipica degli accumuli inappropriati in inappropriate discariche) danni all’ambiente (in particolare, alle falde acquifere locali che essi pure adoperano per uso anche umano e agli strati di terreno che alimentano le coltivazioni destinate ad uso proprio e di terzi).

E, sempre nel caso di specie, che questo rischio non sia meramente ipotetico bensì suscettibile di concretezza ed attualità deriva da quanto apprezzabilmente ed inequivocabilmente certificato da Arpa Lazio nel più volte richiamato, nella illustrazione del fatto, suo parere tecnico.

Se, dunque, il rischio esiste – in quanto ufficialmente rappresentato dall’Autorità istituzionalmente preposta a verificarne l’esistenza – non può allora dirsi che i soggetti che vivono ed operano nell’area circostante alla discarica non abbiano sufficiente legittimazione a promuovere uno scrutinio giurisdizionale della legittimità dell’atto che, in ipotesi, quel rischio avrebbe dovuto rimuovere con appropriate misure. Né può dirsi – giacchè sarebbe altrimenti tautologico – che il rischio segnalato dall’Autorità competente non esiste più per il semplice fatto che l’Autorità che avrebbe dovuto farnese carico, per risolverlo (ossia la Regione, nella fattispecie), ha adottato un atto formale a questo riguardo.

L’atto in questione, in quanto segnalato come possibilmente illegittimo, non più in grado di per sé ad escludere il rischio sopra detto e, di conseguenza, ciò che radica la legittimazione attiva dei ricorrenti.

Quanto a questi ultimi, possono sicuramente dirsi legittimati colo che vivono ed operano, anche a fini commerciali, intorno alla discarica. Al riguardo, non pare possibile sottilizzare in ordine alla distanza fisica di ciascun soggetto rispetto alla discarica stessa. Anche perché né la sua gestrice né la Regione hanno offerto elementi tangibili per perimetrare con certezza (in distanza metrica) la circonferenza territoriale oltre la quale il rischio sopra detto non sussisterebbe più in ogni caso.

In ordine poi all’ente associativo e al comitato che pure agiscono, non si dubita (né risultano farlo la Regione e la controinteressata) che abbia legittimazione l’ente formalmente riconosciuto dal Dicastero dell’ambiente.

Il Comitato, per canto proprio, come del resto denota la sua stessa denominazione (“no discarica di Magliano Romano”), non è ente qualunque di difesa di generici e lati valori riferibili al patrimonio ambientale sibbene un soggetto precipuamente ed attivamente impegnato proprio in riferimento alla discarica gestita da Idea4. E tanto può bastare a consentirle di interloquire su atti amministrativi ampliativi che la riguardano.

Valga poi dire che non persuade l’obiezione della controinteressata secondo la quale farebbe testo, qui, la sentenza di questa Sezione n. 8703/2015 in punto di orientamento in tema di legittimazione ad agire.

Può invero replicarsi che il caso deciso con quella sentenza (assenso per un “impianto di trattamento acque chimico-fisico” nell’ambito della discarica gestita da Idea4) è ben diverso da quello ora in esame e che, pertanto, non sono direttamente raffrontabili i rischi paventati in quello e in questo caso. Senza poi contare che, in questo caso, fa perno il monito espresso da Arpa Lazio (espressivo di per se stesso della sussistenza di un rischio non marginale) mentre, in quello, non risulta qui che sussistesse un pari avvertimento.

Non sfugga, per finire, ed incidentalmente, la singolarità del fatto che Regione e Idea4 sollevano l’eccezione in questione con riferimento al secondo ricorso sopra illustrato, non al primo. Eppure, anche il primo è stato proposto da un operatore dislocato nei pressi della discarica e che promuove censure ed argomenti non diversi da quelli articolati e sostenuti dai secondi ricorrenti.

Argomento in più – potrebbe dirsi – a riprova della non persuasività dell’eccezione.

  1. Deve poi essere affrontata l’eccezione di inammissibilità (sollevata dalla Regione ma alla quale pure si è associata, nel sostenerla, la controinteressata Idea4) che intaccherebbe, in parte, il secondo ricorso sub 7 supra.

L’eccezione può avere un suo spessore se si considera che, nei fatti, provvedimenti anteriori a quello regionale, ultimo in ordine di tempo, appaiono formalmente oggetto dell’impugnativa proposta con detto ricorso.

Altrettanto nei fatti, però, v’è da dire che la difesa dei ricorrenti ha poi precisato che l’interesse contingente che sostiene l’azione proposta è quello allo scrutinio della sola determinazione regionale del 22.7.2015.

Peraltro, l’inammissibilità del ricorso in questione sarebbe in ogni caso solo parziale ed inidonea a precluderne completamente il suo esame nel merito.

L’eccezione può dunque, per questo, dirsi superata.

  1. Nel merito i ricorsi riuniti, siccome propositi avverso un identico provvedimento regionale, risultano fondati nei termini di seguito indicati e pertanto meritevoli di accoglimento.

15.1. Vale, in estrema sintesi, riepilogare i termini della questione.

Idea4 è stata assentita per la gestione di una discarica per rifiuti inerti e, a questo scopo, è stata abilitata fa farvi conferire rifiuti riferibili ad un certo numero (inizialmente non troppo elevato) di codici CER.

A distanza di tempo il gestore della discarica chiede alla Regione l’ampliamento del novero dei rifiuti conferibili, con simmetrico ampliamento dei codici CER di riferimento.

In sostanza, questo le viene quindi permesso attraverso assenso per silentium.

Poi, come descritto incidentalmente in fatto, Idea4 si adopera per l’assenso ad un “impianto di trattamento acque chimico-fisico” nell’ambito della sua discarica.

Da ultimo, Idea4 chiede ed ottiene l’ampliamento del novero dei rifiuti – e dei relativi codici CER – conferibili nella sua discarica.

In disparte il fatto – peraltro non forse del tutto trascurabile ma di certo non costituente oggetto di accertamento precipuo in questo giudizio – che i ricorrenti paventano che la controinteressata stia in realtà agendo nel tempo per conseguire, a rate, una modifica ontologica (e dunque sostanziale) dell’assenso che riguarda la sua discarica (da discarica inizialmente consentita per soli inerti a discarica assentita anche per non inerti, se non addirittura per rifiuti pericolosi), resta la circostanza indubitabile che, questa volta, Arpa Lazio ha espresso – dopo precedenti difficoltà più pregnanti – il giudizio secondo il quale i rifiuti di cui agli ultimi codici CER richiesti potrebbero non essere così inerti come la loro codifica formale potrebbe far credere, onde la necessità – da lei formalmente espressa – di appositi accorgimenti precauzionali.

Gli accorgimenti indicati dall’Arpa, in particolare, sono stati dalla stessa così identificati (col suo atto, sopra citato, di aprile 2015): “in fase di esercizio, deve essere prevista una verifica approfondita e puntuale per i rifiuti accettati. Dovranno pertanto essere definite dalla Società idonee procedure per la verifica della caratterizzazione di base ed il controllo all’accettazione di tali rifiuti, definendo ove necessari specifici protocolli (per ogni CER e singolo produttore) elaborati in relazione al processo dal quale i rifiuti vengono prodotti, al fine di dimostrare in modo univoco le caratteristiche a norma di legge”.

A fine aprile 2015 la Regione ha trasmesso l’avviso di Arpa a Idea4 chiedendole di “predisporre una integrazione che esponga, in maniera esaustiva, un protocollo di accettazione rifiuti specifico per i codici CER” previsti nell’istanza di variazione non sostanziale.

Idea4 ha quindi consegnato alla Regione il documento denominato “Protocollo speciale di accettazione nuovi codici CER”.

Ma questo protocollo, pur riportando infine l’avviso positivo dell’Arpa, evidentemente non ha soddisfatto pienamente l’Organo consultivo se è vero che con la nota del 2.7.2015 l’Arpa ha comunque prescritto ancora che “in fase di esercizio, la descrizione dell’attività che ha generato il rifiuto gestito debba essere di maggiore dettaglio possibile e che le eventuali analisi aggiuntive da eseguire debbano essere frutto di valutazioni specifiche da eseguirsi in fase di caratterizzazione di base e verifica di conformità sulla base delle informazioni di dettaglio acquisite sul rifiuto”.

Ha fatto poi seguito il provvedimento regionale ora impugnato.

15.2. Il vizio di legittimità che, a questo punto, emerge vistoso nella determinazione regionale impugnata del 22.7.2015 mostra almeno un triplice aspetto:

– per un verso, invero, la Regione, con quello che doveva essere l’atto conclusivo del procedimento per il quale essa è istituzionalmente competente, si limita solo a “prendere atto” di rappresentazioni pur sempre fattele da una parte privata, senza assumersi in prima persona la responsabilità di assentire direttamente – ove credendoci sostanzialmente – l’ampliamento della capacità recettiva della discarica rispetto a rifiuti tipologicamente nuovi ed in ordine ai quali non v’era sicurezza ab origine in ordine al fatto che non potessero già essere ovvero divenire (a contatto fra loro e/o con quelli per i quali l’assenso al conferimento era già stato dato) forieri di rischi e danni. Questa censura, del resto, è comune a tutti i ricorrenti (v. sub 2.B) e 7.2 supra);

– per altro verso, poi, la Regione omette (mancando anche di allegarglielo fisicamente) di far divenire parte integrante e sostanziale della propria determinazione quel protocollo che, assentito almeno formalmente dall’Arpa (non sostanzialmente, giacchè l’Arpa comunque aveva di fatto rimesso alla Regione la responsabilità di far divenire più stringente ed efficiente ed efficace il protocollo stesso), avrebbe invece dovuto costituire – nelle intenzioni dell’Organo consultivo – lo strumento di garanzia concreta del fatto che l’ampliamento tipologico dei rifiuti conferibili in discarica non si traducesse in un generatore di rischi ambientali. La censura di mancata allegazione, in particolare, è stata formulata col primo ricorso (v. sub 2.D) supra) ma l’inadeguatezza sul punto del provvedimento impugnato forma oggetto anche del secondo ricorso;

– per altro verso ancora, poi, la determinazione impugnata omette di esplicitare adeguatamente tempi, frequenza, tipologie, modalità di espletamento e, soprattutto, responsabilità in ordine alle “analisi aggiuntive” che “in fase di esercizio” l’Arpa ha conclusivamente indicato che dovessero essere effettuate.

L’ultimo aspetto, specificamente, denota la sostanziale genericità, e dunque l’illegittimità, del provvedimento impugnato, tanto più grave se si considera che, al riguardo, esso avrebbe dovuto, invece, essere quanto più circostanziato ed inequivoco possibile, proprio perché da questo sarebbe dipesa l’affidabilità del grado di precauzione suggerito dall’Arpa e del quale la Regione si sarebbe dovuta fare interprete in sede di proiezione applicativa del suo atto di assenso conclusivo del procedimento avviato da Idea4.

Se, per un verso, può giustificarsi una certa genericità dello stesso parere dell’Arpa (le parole “in fase di esercizio”, invero, poco dicono in ordine al quando e al come della prescrizione data), dato che esso era rivolto alla Regione e non direttamente alla parte privata, quella stessa genericità diventa invece riprovevole e non ammissibile quando poi essa è stata ribaltata tal quale dalla Regione a Idea4, in forma tale da lasciarla di fatto arbitra delle modalità di esercizio della sola garanzia posta dall’organo consultivo a tutela dell’ambiente e dei terzi che in esso stanno, intorno alla discarica.

E ciò ancor più ove si consideri che lo stesso protocollo offerto alla Regione da Idea4 non risulta – come evidenziato dalla difesa di tutti i ricorrenti – propriamente un modello dal punto di vista della descrizione circostanziata ed inequivoca di come e quando sarebbero state effettuate le analisi aggiuntive e soprattutto da chi. In materia, invero, particolare attenzione dovrebbe essere posta in ordine al grado di sufficiente terzietà (rispetto agli interessi propri della parte privata che gestisce una discarica) in capo ai soggetti cui viene demandato il riscontro delle caratteristiche dei diversi, singoli tipi di rifiuti che si adducono in discarica, nonché alla capacità di reazione reciproca fra rifiuti di differente tipologia.

15.3. A mero titolo esemplificativo, nella fattispecie non risulta affatto chiaro, dalla lettura della determinazione impugnata, se le analisi aggiuntive volte alla prevenzione del rischio debba essere effettuate prima che un singolo rifiuto giunga nel perimetro della discarica ovvero dopo che lo stesso vi sia stato immesso.

Per l’eventualità che le analisi aggiuntive vengano effettuate quando il rifiuto ha già raggiunto la discarica, non è altresì affatto chiaro quali debbano essere le ulteriori precauzioni perché il rifiuto sottoposto ad indagine non venga ancora a contatto con quelli già stoccati in discarica ovvero, qualora la confusione tra rifiuti sia già accaduta, in qual modo il rifiuto analizzato e risultato sospetto ovvero non conforme alla sua caratteristica propria (l’inerzia, in assoluto primo luogo) possa essere poi nuovamente separato rispetto agli altri già stoccati.

15.4. Né possono valere in termini rassicurativi – e quindi idonei a salvare la legittimità del provvedimento censurato – le affermazioni (che tra l’altro, in questo giudizio, rimangono al solo stadio di affermazioni) riferite dalla Regione e da Idea4 in ordine al fatto che le caratteristiche strutturali che connotano il fondo della discarica in questione sono tali da poter proteggere il terreno sottostante e le falde che lo attraversano dalle infiltrazioni che si potrebbero verificare nel caso di stoccaggio di rifiuti anche non inerti.

Il punto, in verità, non è questo.

Se, infatti, la discarica è stata assentita secondo il procedimento proprio stabilito per discariche di inerti occorre che i rifiuti che vi si adducono siano sicuramente inerti.

Se questa certezza non sussiste il rifiuto dubbio non deve allora pervenire alla discarica.

Del resto, se non si applicasse questo basilare paradigma logico si entrerebbe in un contesto di relativismo assoluto, dove prevarrebbe – di caso in caso e di volta in volta – il giudizio in ordine alla idoneità tecnica della singola discarica, a prescindere dalla tipologia procedimentale seguita per la sua attivazione.

15.5. Neppure può valere la considerazione – anch’essa propria delle difese della regione e di Idea4 – che il protocollo predisposto nel caso in questione sia stato redatto nello scrupoloso, formale rispetto delle varie disposizioni di fonte gradata che, in materia, trovano applicazione.

La considerazione, in verità, rimane sterile nella sua portata ove si consideri che, se tanto fosse bastato, lo stesso protocollo allora non sarebbe stato di alcuna utilità, visto che le disposizioni di settore normative e regolamentari, generali ed astratte, devono sicuramente essere ritenute applicabili ex se, senza bisogno alcuno di venire ricopiate formalmente in un documento destinato alla soluzione di un caso di specie.

Il protocollo piuttosto – come peraltro già accennato – deve sì essere redatto nel rispetto delle disposizioni di settore ma altresì andare ben oltre le stesse, declinando piuttosto – e col dovuto dettaglio – gli adempimenti che l’ente amministrativo di riferimento, alla luce delle cautele suggerite dall’Organo consultivo competente, pretende che vengano puntualmente ottemperati allo scopo precipuo di escludere in radice i margini di dubbio – in ordine a possibili rischi – che la fattispecie concreta mostrano di poter sussistere.

  1. Concludendo, in accoglimento dei ricorsi, la determinazione impugnata deve essere annullata ed il procedimento di assenso, avviatosi su iniziativa di Idea4, deve poter riprendere il suo corso a partire da una rielaborazione appropriata, dettagliata e soddisfacente del protocollo di parte, onde renderlo idoneo rispetto alle finalità di garanzia e rassicurazione segnalate dall’Arpa.

Con l’occasione del riavvio del procedimento, poi, la Regione avrà altresì buona occasione per valutare le più opportune iniziative idonee a dare attuazione, nel caso di specie, al principio di precauzione il cui rispetto e comunque dovuto.

E ciò non tanto perché, nella specie, debba trovare applicazione integrale la Convenzione di AArhus introduttivamente ricordata (invero gli stessi ricorrenti ammettono che essa non si applica puntualmente in caso di discariche per rifiuti inerti), quanto piuttosto per il fatto che il principio di precauzione risponde ad esigenze di buon senso, prima ancora che strettamente giuridiche, e che lo stesso trova un sufficiente paradigma di realizzazione anche solo nel rispetto delle regole di partecipazione amministrativa di cui alla nota l.n. 241/1990.

La partecipazione procedimentale, ove garantita ed effettuata dalla Amministrazione pubblica responsabile dell’adozione di un provvedimento finale, può invero ottimamente servire – facendo emergere le visioni, giuridiche, tecniche e pratiche di contrapposti interessi – per far conseguire quel grado di consapevolezza, nella regolamentazione puntuale di un caso di specie, necessario a soddisfare altresì le esigenze precauzionali che il caso stesso implica.

Con l’occasione inoltre, la Regione, semmai ritornando ad acquisire l’avviso tecnico dell’Arpa, avrà pure modo di analizzare la domanda di ampliamento dei Idea4 alla luce delle nuove disposizioni di cui al regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 le quali, nel caso in questione, non hanno avuto modo di essere valutate applicativamente in occasione dell’adozione della determinazione impugnata.

Qualora poi, per effetto di una rinnovata e più approfondita ed aggiornata istruttoria, la Regione dovesse avvedersi di un eventuale intento di parte orientato a far modificare in modo sostanziale l’assenso alla discarica di cui già dispone (da discarica per inerti a discarica di rifiuti di natura diversa), la stessa avrà altresì modo di valutare se ed in quale misura le circostanze di fatto ed ambientali siano in grado di prendere in considerazione un tale più ampio intento di Idea4, alla luce peraltro degli interessi altresì coinvolti delle altre parti privati e di quelli di più generale e pubblica natura.

  1. Ricorrono infine giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima-Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie i ricorsi riuniti e, per l’effetto, annulla la determinazione regionale impugnata del 22.7.2015 nei termini di cui in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Italo Volpe, Consigliere, Estensore

Rita Tricarico, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/05/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

(foto S.D., archivio GrIG)


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