
Com’era ampiamente prevedibile, dopo una serie di richiami, il 16 novembre 2023 è giunto il parere motivato (art. 258 del TFUE) da parte della Commissione europea sulla seconda procedura d’infrazione (n. 2020/4118) per violazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein) in relazione alle sistematiche proroghe delle concessioni demaniali “balneari”.
L’Italia rischia – e non poco – una nuova condanna e una pesante sanzione pecuniaria per la felicità di chi beneficia per quattro soldi di beni pubblici ambientali da tempi immemorabili.
Ne beneficia illegittimamente.
Ma può un Governo metter in piedi una farsa simile per squisiti interessi elettoralistici?
Le conseguenze, però, le pagheranno in senso letterale tutti gli Italiani.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Il Corriere della Sera, 21 novembre 2023
La guerra dei lidi: spiagge occupate dai balneari. Il trucco per sgonfiare i dati. (Gian Antonio Stella)
A forza di promettere «un’Italia grande» a Palazzo Chigi c’è chi si è po’ allargato. Aggiungendo quasi tremila chilometri, come da Aosta a Siracusa e ritorno, alla nostra linea costiera, isole comprese. Dai «circa 8.000» certificati dalla Treccani a 11.173. Boom! Risultato? Le spiagge occupate dalle concessioni balneari sembrano secondarie…
Dati incerti
In realtà, come precisa lo studio sulla Dinamica Litoranea dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, condotto da Maria Luisa Cassese, Filippo D’Ascola, Valeria Pesarino e Andrea Salmeri, definire con esattezza quanto siano lunghe le nostre coste compresi i contorni degli scogli (sopra i 10 metri di diametro massimo ci si riesce, sotto no) è impossibile. I «cambiamenti per erosione o per avanzamento» sono tali che nel giro di vent’anni, dal 2000 al 2020 il totale del nostro «profilo» costiero è sceso da 8.353 a 8.274 (2010) chilometri per risalire a 8.329. La «linea naturale» e cioè senza gli spazi che l’uomo ha «rubato» al mare costruendo via via porti, dighe, ponti, pontili o piazzali marini, è però decisamente minore: 7.522. Più o meno quella studiata sui vecchi sussidiari.
I cambiamenti
Esempio: l’area portuale di Napoli dal Circolo Canottieri vicino a piazza del Plebiscito al lungomare di San Giovanni a Teduccio, era in origine intorno ai cinque chilometri. Adesso, tra Avamporto di Levante, moli e banchine varie si arriva a oltre 22. Ripetiamo: circa. Su un pezzettino delle coste italiane. Prova provata che fa bene la Treccani a restare sul vago e al contrario è stupefacente la precisione della «Relazione sullo stato di avanzamento dei lavori del tavolo tecnico consultivo» sulle concessioni balneari. Che sotto il timbro della Presidenza del Consiglio dei Ministri dichiara: «Totale linea di costa: 11.172.794 metri». E i centimetri? Quanti centimetri se lo stesso Ispra che elabora tutti i dati con le Capitanerie di Porto resta alla larga da queste pignolerie sapendo che in dieci anni il totale della linea di costa può calare di 79 chilometri o crescere di 55?
Legambiente contesta i dati
Edoardo Zanchini di Legambiente, Roberto Biagini del Coordinamento nazionale Mare Libero, Stefano Deliperi del Gruppo intervento giuridico e larga parte degli ambientalisti sono convinti: lo spropositato «allungamento» delle nostre coste da parte del «tavolo tecnico consultivo» ministeriale coi rappresentanti di 24 associazioni balneari senza uno scienziato dell’Ispra aveva un solo obiettivo. Quello di far sembrare ridotta se non marginale l’occupazione delle concessioni balneari in vigore su 1.613.912 metri di costa, pari al 14%, e di quelle nuove o in fase di rinnovo su altri 529.781 per un totale di 2.143.693 metri (2.143 chilometri nel grafico in questa pagina, ndr): il 19%. Meno di un quinto, era il messaggio «sdrammatizzante», delle coste a disposizione.
Ma è così?
C’è costa e costa
Mica tanto. Per cominciare la costa bassa e sabbiosa, per l’Ispra, è di soli 3.418 chilometri. Tutto il resto è costa alta e rocciosa. Ai piedi della quale stanno una miriade di spiaggette che non arrivano neppure alla misura minima di legge per esser date in concessione.
Quindi le spiagge reali sono solo il 41% degli 8.329 chilometri di costa totale e meno di un terzo addirittura di quelli sbandierati dalla relazione che punta a rinviare ancora una volta l’applicazione della legge europea.
E già questo dato dice che gli stabilimenti occupano in realtà, prendendo per buoni i numeri dei balneari, non il 19 ma quasi il 63% delle spiagge teoriche.
Il limite
A dispetto della legge regionale 13 del 1999 che prevedeva «una percentuale minima di aree balneabili libere pari al 40% del fronte totale delle aree balneabili», in Liguria — che già Indro Montanelli bollava come «un paradiso perduto» ridotto a un «bagnasciuga di cemento» — le spiagge libere a Taggia sono per Legambiente il 19,7%, Celle Ligure il 17,4%, Spotorno il 13,9%, Rapallo il 13,5%, Santa Margherita Ligure il 12,6%, Alassio 11,8%, Diano Marina 7,2%, Laigueglia il 7,5%…
Il tutto in un contesto di progressivo dissesto idrogeologico: «I numeri parlano chiaro e ci raccontano di aree costiere già in sofferenza e che potrebbero subire cambiamenti e impatti sempre maggiori…».
I calcoli
Ma non basta. Secondo gli ambientalisti, infatti, a quella costa bassa e sabbiosa buona per metterci gli ombrelloni e farci il bagno vanno tolti i tratti dove sorgono tante città (avete presente il centro di Messina e altre «città di mare senza il mare»?) più una fetta del 3,26% di «costa abbandonata» e un altro 7,7% «non fruibile» perché è così inquinata da essere «interdetta alla balneazione».
Ma davvero c’è chi pensa che per aggirare ancora la direttiva Bolkestein che da anni imporrebbe la messa a gara delle concessioni sia sufficiente raccontare a Bruxelles che ci sono migliaia e migliaia di chilometri di spiagge ancora libere da dare a chi volesse inventarsi qua o là un nuovo Twiga? Dove? Sulla costa sarda di Porto Vesme ai piedi delle vasche di fanghi tossici vaste come 246 campi da calcio e alte come un palazzo di 15 piani? Su quella toscana di Rosignano Solvay sbiancata dagli scarichi di sostanze industriali e carbonato di sodio? Su quella campana di Bagnoli dove si parla della bonifica dal 1994? Su quella siciliana di Triscina seppellita sotto fantastilioni di tonnellate di cemento abusivo? O quella di Rossano Calabro su cui svettano le ciminiere dell’ex centrale a carbone?
Leggi obsolete
L’Ocse ce l’ha ripetuto un mese fa: «In Italia esistono leggi obsolete che compromettono la concorrenza, un’economia informale pervasiva e disincentivi alla crescita delle microimprese che ostacolano l’aumento della produttività».
E non è certo «allungando» di tremila chilometri la linea costiera italiana che si può rispondere alla commissione Ue, che giorni fa ha bacchettato la relazione tecnica spiegando che «vi si afferma altresì che il totale delle aree disponibili “non deve riguardare unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative”». Testuale.
(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)