
Lentamente, con passi incerti, l’Afghanistan del re Mohammed Zahir Shah cercava di uscire dal medioevo negli anni ’70 del secolo scorso.
Un colpo di stato, a cui seguirono altri colpi di stato, portarono a un’improbabile democrazia popolare sorretta prima dal supporto, poi dalle stesse armi sovietiche (dicembre 1979) nel mezzo di una società tribale dell’Asia centrale.
Dieci anni di guerriglia da parte dei Mujaheddin, ampiamente sostenuti e foraggiati dal Pakistan e dagli Stati Uniti, e il conseguente ritiro delle forze sovietiche portarono alla costituzione (1989) dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e alla presa del potere (1996) da parte della fazione dei dei talebani, salvo che in alcuni territori settentrionali (soprattutto il Pansjshir) controllati dall’Alleanza del Nord dei restanti mujahedin anti-talebani, guidati dal comandante Ahmad Shah Massoud.
Il governo retrivo e oscurantista dei talebani si rivelò quale pugno di ferro sulla popolazione e sui diritti civili, nonché un disastro per il patrimonio storico-culturale afgano (nel 2001 avvenne la distruzione dei Buddha di Bamiyan perché blasfemi ai loro occhi ignoranti).
Dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti decisero di invadere l’Afghanistan, dando il via all’operazione Enduring Freedom, che si poneva come obiettivo la fine del regime dei talebani e la distruzione dei campi di addestramento e della rete di al-Qāʿida, il gruppo terroristico guidato da Osama bin Laden.
Vista la sproporzione di forze il regime integralista venne rovesciato in poco più di un mese, nel novembre del 2001.
Da allora una sorta di democrazia esportata, piuttosto corrotta e debole, sostenute da miliardi di dollari.
Da allora numerosi Stati aderenti alla N.A.T.O., fra cui l’Italia (missione ISAF), hanno sostenuto con reparti militari, interventi umanitari e soldi pubblici il traballante Stato afgano.
Coinvolti in una guerra non dichiarata.
Fino a 5 mila soldati contemporaneamente, 53 morti, centinaia di feriti.
Nel 2020 l’Amministrazione statunitense Trump ha firmato gli accordi di Doha con i talebani, sancendo il ritiro unilaterale U.S.A. dall’Afghanistan, portato a termine dalla successiva Amministrazione Biden, che, novella Biancaneve, ha recentemente dichiarato che non era intenzione americana di favorire la costruzione di uno stato democratico in Afghanistan, ma semplicemente di combattere il terrorismo internazionale.
Cina, Russia, finanziatori arabi e pakistani dei talebani se la ridono.
Ora, dopo vent’anni, ritorniamo al punto di partenza, come in un sanguinario e tragico gioco dell’oca.
Talebani che riproclamano l’emirato islamico a base di interpretazioni della sharia, governanti corrotti in fuga con la cassa, donne candidate alla morte, bambine candidate al buio, come se non fosse già difficile la loro condizione normale, esercito afgano sciolto come neve al sole, migliaia e migliaia di persone che avevano sperato e creduto in un futuro migliore che tentano di scappare dai liberatori in ogni modo.
Non finirà qui. I talebani, nonostante le prime dichiarazioni distensive, hanno proseguito i consueti massacri.
E non s’impara nulla.
Stefano Deliperi
P.S. quando i Paesi europei si degneranno di avere una loro politica estera, sostenuta dalle loro forze di sicurezza, indipendente da quella U.S.A., egoista e storicamente ottusa?
(foto A.N.S.A., Twitter)