Al Presidente Consiglio dei Ministri Mario Draghi
al Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani
al Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti
al Ministro della Cultura Dario Franceschini
al Ministro della Salute Roberto Speranza
Signor Primo Ministro, signori Ministri,
sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 del 08/04/2021 è stato pubblicato l’avvenuto rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’esercizio della centrale di compressione gas che la società Snam Rete Gas S.p.A. intende costruire nel Comune di Sulmona (AQ).
L’ampia documentazione sin qui prodotta ed esaminata non ci esime dall’esprimere la nostra seria preoccupazione per le decisioni prese sulla base di valutazioni che reputiamo figlie di altri tempi, non solo perché la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) – sia per la centrale che per i tratti di metanodotto che fanno parte della “Linea Adriatica” – risale ad oltre dieci anni fa quando, normalmente, la VIA deve essere reiterata dopo cinque anni dal rilascio in mancanza di realizzazione del progetto, ma anche perché nel frattempo le visioni del futuro sono radicalmente mutate.
I dati ci dicono che i consumi di gas nel nostro Paese hanno avuto un andamento altalenante, dal massimo storico di 86 miliardi e 265 milioni di metri cubi del 2005 ai quasi 62 miliardi del 2014 per poi attestarsi su poco più di 70 miliardi di metri cubi nel 2020, pari ai livelli di inizio secolo; le previsioni del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) valutano – dopo un picco previsto al 2027 motivato dal totale abbandono del carbone (“phase out” che comunque comporterà un recupero temporaneo di solo 4-5 miliardi di mc sul consumo 2020) – un fabbisogno al 2030 di circa 60 miliardi di metri cubi contro un aumento al 30% delle energie da fonti rinnovabili.
La stessa Snam stima il consumo di gas al 2030 in 62,3 miliardi di metri cubi (Scenario National Trend Italia), ben 24 miliardi in meno rispetto al picco massimo di consumi del 2005.
C’è tuttavia da tener presente che, rispetto al 2005, nel nostro Paese si è avuto un aumento dei gasdotti, del numero di centrali e della potenza installata per spingere il gas lungo la rete, per cui le infrastrutture oggi esistenti potrebbero assicurare il trasporto e la distribuzione di almeno 100 miliardi di metri cubi l’anno.
In conseguenza di ciò ci chiediamo quale sia la ragione di costruire nuovi impianti che sono ad un tempo costosissimi ed inutili, oltre a produrre un forte impatto sui territori attraversati.
La centrale di compressione di Sulmona è parte integrante del progetto “Linea Adriatica”, un gasdotto di 425 km da Sulmona a Minerbio (BO) che a sua volta si collega al gasdotto Massafra-Campochiaro di 264 km. Il costo complessivo dell’intera opera si aggira sui tre miliardi di euro.
Anche l’ENI ritiene inutile la realizzazione della “Linea Adriatica”. Infatti, nelle sue osservazioni al Piano decennale Snam 2020-2029 il colosso energetico italiano scrive: “Tra gli investimenti più significativi del Piano Snam spicca la realizzazione della nuova Linea Adriatica (…) Trattandosi di investimenti che non sono necessari a garantire il soddisfacimento della domanda nazionale (…) i relativi costi devono essere opportunamente allocati ai Paesi che ne beneficeranno (…) Diversamente si farebbero gravare interamente sui consumatori italiani i costi sostenuti per investimenti che verrebbero goduti da altri Paesi europei”. L’ENI prosegue affermando che i costi “verrebbero recuperati in tariffa in 40/50 anni” con il rischio però di “innescare per decenni una spirale di tariffe di trasporto crescenti, in un contesto in cui le infrastrutture potrebbero diventare stranded e contribuire esse stesse a rendere meno competitivo il gas”. Anche l’Anigas (che raggruppa le imprese distributrici di metano aderenti a Confindustria) esprime preoccupazione per le conseguenze negative della “Linea Adriatica” con le stesse motivazioni dell’ENI.
La progressiva diminuzione dei consumi di gas non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa, impegnata a raggiungere la neutralità climatica, in applicazione dell’Accordo di Parigi, entro il 2050 e la riduzione di almeno il 55% di CO2, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030.
La Commissione Europea prevede un calo del 20-25% del consumo di gas naturale in Europa entro il 2030, e un calo del 75-85% entro il 2050. Secondo il rapporto di Artelys (gennaio 2020), commissionato dalla European Climate Foundation, a livello europeo i nuovi investimenti nel settore del gas non sono necessari dal punto di vista della sicurezza energetica, poiché le infrastrutture esistenti sono già sufficienti per rispondere alla domanda.
L’Italia non ha possibilità di rivendere gas ad altri Paesi dell’Europa perché nel mercato europeo vi sono già quattro grandi hub del gas che coprono l’intero continente. Inoltre vari Paesi stanno provvedendo sia con nuovi gasdotti (come il Nord Stream 2 che porterà 110 miliardi di metri cubi l’anno dalla Russia alla Germania) sia con l’alternativa più flessibile dei Gas Naturali Liquefatti (GNL) via mare. Ciò significa che i costi del metanodotto “Linea Adriatica” e della centrale di compressione di Sulmona – pari a 1 miliardo e 900 milioni di euro – qualora tali impianti dovessero essere realizzati, graverebbero interamente (come sostiene l’ENI) sulla bolletta energetica dei cittadini-consumatori italiani.
In ogni caso, anche se la Snam riuscisse ad esportare limitati quantitativi di metano, questi potrebbero essere trasportati senza problemi attraverso le infrastrutture esistenti che, come si è visto, sono sovradimensionate rispetto ai consumi interni ed ancor più lo saranno in futuro. A dispetto del suo nome il tracciato della “Linea Adriatica” della Snam passa lungo l’Appennino attraversando le aree più altamente sismiche del nostro Paese, le stesse che sono già state tragicamente colpite dai terremoti dell’Aquila del 2009 e di Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio del 2016-17.
La sottovalutazione del rischio sismico da parte della Snam è stata riconosciuta anche dal MISE che nel 2018, a sette anni dal rilascio della VIA, ha incaricato l’INGV di compiere studi più approfonditi sia sulla centrale che sul metanodotto. I territori dell’Appennino, data la loro fragilità, hanno una grande necessità di essere messi in sicurezza; la popolazione residente non può essere gravata di ulteriori rischi dal momento che i gasdotti sono impianti pericolosi che possono esplodere anche in seguito a modestissimi smottamenti di terreno.
Solo negli ultimi anni diversi sono stati gli incidenti, ricordiamo: Tarsia (CS) 2010, Tresana (MC) 2012, Pineto (TE) 2015, Sestino (AR) 2015.
Anche la centrale di compressione di Sulmona è collocata in un’area ad altissimo rischio sismico. Il sito scelto è nei pressi della faglia di Monte Morrone; i sismologi pongono l’attenzione sulla pericolosità di questa faglia in quanto silente da oltre 1900 anni e sulla particolare origine geologica della Conca Peligna caratterizzata da depositi alluvionali, come la piana dell’Aquila, che in caso di terremoto amplifica notevolmente gli effetti dell’onda sismica a causa del fenomeno dell’accelerazione. La storia sismica di Sulmona è purtroppo ricca di eventi con effetti al di sopra della soglia del danno, ben 12 terremoti con intensità al sito valutato con i gradi da 6 a 9-10 della scala Mercalli (ISSN, quaderno 118, 2014).

I territori attraversati dal gasdotto “Linea Adriatica” non solo sono tra i più sismici del nostro Paese, ma sono anche di eccezionale valenza ambientale e paesaggistica.
Il tracciato del metanodotto interessa, in modo diretto o indiretto, Parchi nazionali, Parchi e Riserve regionali, oltre a numerosi Siti di Interesse Comunitario della Rete europea Natura 2000 e terreni vincolati dall’uso civico, i quali svolgono una importante funzione di tutela ambientale.
La realizzazione del metanodotto causerebbe in molti casi una profonda alterazione degli habitat e degli equilibri naturali. Attraversando vaste aree boscate l’interramento del gasdotto “Linea Adriatica” richiederebbe l’abbattimento e l’eradicazione di almeno cinque milioni di alberi, senza considerare quelli da eliminare per consentire l’apertura di nuove piste accessorie di montagna per l’effettuazione dei lavori.
Si tratta di numeri che, da soli, pregiudicano la sostenibilità di qualsiasi opera: secondo un recente studio dell’australiana James Cook University, un albero collocato in un bosco assorbe tra i 20 e i 50 kg di CO2 l’anno, evidenziando quanto sia importante tutelare il patrimonio forestale inserito nel proprio ecosistema. Il Servizio Programmazione Forestale della Regione Umbria ha stimato che per il solo tratto umbro la realizzazione del metanodotto comporterà “un’azione di sottrazione dell’habitat valutabile, con approssimazione di ampio difetto, in non meno di 750 ettari (…)
Nel migliore dei casi infatti, nel corso di lunghi decenni, se non di secoli, si potrà ottenere la rinaturazione del sito”.
Metanodotto e centrale non sono compatibili con il progetto A.P.E. (Appennino Parco d’Europa), che è il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese finalizzato alla conservazione della natura e alla promozione dello sviluppo ecosostenibile delle aree interne dell’Appennino, con l’ambizione strategica della valorizzazione integrata delle risorse naturali e culturali.

Anche la centrale di compressione di Sulmona è collocata in un’area di pregio ambientale, paesaggistico ed archeologico.
Essa è vicina a Pacentro, classificato tra i borghi più belli d’Italia, e ad uno degli ingressi al Parco Nazionale della Maiella. Da quanto riportato nella VIA del 2011, emerge (pag. 32 di 54) che nell’area della centrale di compressione risultano presenti “circa 24 specie di mammiferi, nessuna delle quali compresa nell’Allegato II della Direttiva Habitat 92/43 CEE”.
Ciò non corrisponde al vero; come attestato dal Parco Nazionale della Maiella, diventato di recente geoparco mondiale dell’UNESCO, il territorio interessato dalla centrale è frequentato in maniera stabile da almeno due branchi di Lupo appenninico (Canis lupus italicus), tutelato dalla Direttiva europea Habitat. Nell’area, inoltre, il Parco ha accertato la presenza del Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) e del Tritone crestato italiano (Triturus carnifex), specie tutelate anch’esse dalla Direttiva Habitat.
Si aggiunga che, dopo l’effettuazione della VIA (che comprende la VIncA e che, come si è visto, è stata rilasciata oltre 10 anni fa) è stata documentata scientificamente la frequentazione dell’area di Case Pente – sede di localizzazione della centrale di compressione – da parte di diversi esemplari di Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), specie ad altissimo rischio di estinzione, protetta in Europa dalla Convenzione di Berna ed elencata in appendice II, IV della Direttiva Habitat.
Lo stesso Ministero dell’Ambiente (ora della Transizione Ecologica), insieme ad ISPRA e diversi altri Enti ed Amministrazioni, ha promosso il protocollo d’intesa sul “Piano d’Azione nazionale per la tutela dell’Orso bruno marsicano” (PATOM). Una recente relazione (novembre 2020) firmata dai direttori del Parco Nazionale della Maiella, del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio ha attestato come la popolazione di orsi si stia espandendo fuori dall’areale di presenza storica, inserendo l’area di Case Pente tra i territori cruciali ai fini dell’espansione demografica e territoriale auspicata e prevista dal PATOM in quanto corridoio ecologico di fondamentale importanza non solo per gli spostamenti ma anche per alcune attività stagionali come l’alimentazione. Dalla relazione emerge che a partire dal 2012 oltre 15 diversi individui di orso, tra cui almeno tre femmine riproduttive, hanno utilizzato in maniera sempre più significativa l’area di Case Pente.
Segnaliamo, inoltre, che nell’area è presente anche il Gatto selvatico (Felis silvestris) e la specie dei Chirotteri, palesemente trascurati nella checklist presentata dalla Snam, che è oggetto di studi e ricerche da parte del Parco Nazionale della Maiella.
E’ necessario tener presente che le disposizioni della Direttiva Habitat hanno come obiettivo anche piani e progetti situati al di fuori del sito Natura 2000, ma che potrebbero avere incidenze significative su di esso, indipendentemente dalla loro distanza dal sito in oggetto.
Appare evidente che la collocazione dell’impianto di compressione – in un’area di ben 12 ettari – con i suoi inquinanti (emissioni, rumore, inquinamento luminoso) e con la sottrazione di habitat, risorse trofiche e modifica dell’ambiente, si ripercuoterà negativamente non solo sull’Orso bruno marsicano ma anche sulle numerose e diversificate specie di fauna, molte delle quali rare e minacciate da estinzione.
Eppure, nonostante ciò, il Parco Nazionale della Maiella non è stato mai coinvolto nel procedimento autorizzativo né della centrale né del metanodotto (che passa a 300 metri dalla sede del Parco).
Oltre al rischio sismico e ai danni all’ambiente naturale la realizzazione delle due infrastrutture inciderà pesantemente sulle attività economiche, in primo luogo il turismo e l’agricoltura, di territori già in forte difficoltà. Il metanodotto e la centrale comporteranno la sottrazione o comunque la limitazione di centinaia di ettari di terreno agricolo destinato all’agricoltura di qualità (come uliveti, vigneti, alberi da frutta, tartufaie ed ortaggi come il famoso aglio rosso di Sulmona), nonché di un gran numero di terreni di uso civico.
Contro la realizzazione dell’opera si sono espressi, con validissime ragioni, Enti di tutti i livelli istituzionali: dai Comuni alle Province e Regioni fino alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati attraverso una risoluzione votata all’unanimità nell’ottobre 2011.
Forte è sempre stata l’opposizione da parte delle popolazioni locali; basti ricordare la manifestazione tenutasi a Sulmona il 21 aprile 2018 che ha visto la partecipazione di oltre 10.000 persone e l’adesione di quasi 400 tra Istituzioni e organizzazioni.
Ma i Governi che si sono succeduti non hanno mai tenuto conto delle voci delle Istituzioni locali e dei cittadini. La centrale di compressione non potrà che avere un impatto negativo sulla salute degli abitanti della Valle Peligna.
La stessa Snam riconosce che le emissioni della centrale (macroinquinanti), costituiscono contributi potenziali all’inquinamento atmosferico locale. Per i dati tecnici riguardanti le emissioni segnaliamo solo alcuni punti specifici.
Nella documentazione presentata dalla Snam per il rilascio dell’AIA (Allegato B) si dichiarano emissioni di ossidi di azoto pari a circa 75 tonnellate annue ed emissioni di monossido di carbonio pari a circa 86 tonnellate annue, mentre nel documento presentato nel 2010 (Integrazioni allo studio d’impatto ambientale) i valori dichiarati nelle medesime condizioni di esercizio erano rispettivamente di 160,83 tonnellate e di 214,44 tonnellate, oltre il doppio; nell’Allegato B si dichiarano anche emissioni aggiuntive derivanti da emissioni fuggitive (in larga parte metano, oltre ad altri composti organici) quantificate in 147 tonnellate l’anno. Ricordiamo che il metano è un pericoloso gas-serra quando emesso direttamente in atmosfera, 84 volte più potente della CO2; al riguardo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) ha affermato che le emissioni fuggitive derivate dall’utilizzo finale del gas trasportato dalla Snam sarebbero superiori di 70 volte rispetto a quelle dichiarate ufficialmente.
Manca inoltre qualsiasi stima delle emissioni di particolato secondario, derivante dall’interazione tra i composti emessi al camino e l’atmosfera; l’ARPA Emilia Romagna stima in 880 kg le polveri sottili per tonnellata di ossidi di azoto emessa in atmosfera.
Tali emissioni andranno a sommarsi alla situazione della qualità dell’aria ante operam della Valle Peligna, cui seguiranno quelle della messa in esercizio dell’impianto. A questo proposito ha destato nei cittadini particolare sorpresa e indignazione il fatto che il rilascio dell’AIA sia avvenuto senza attendere l’esito della campagna di monitoraggio dell’aria richiesta dalle prescrizioni della VIA, campagna avviata nell’estate 2020 e che dovrebbe avere termine alla fine dell’estate 2021.
La stessa modalità di realizzazione del monitoraggio era stata contestata all’origine, in quanto le prescrizioni prevedono la realizzazione di una rete di centraline mentre la Snam, alla quale spetta l’onere dell’installazione, ha collocato solo due centraline senza utilizzare adeguati criteri scientifici per valutarne l’ubicazione, non esistendo ad oggi uno studio specifico sul clima della Valle Peligna.
Per avere un valido monitoraggio è necessario un congruo numero di stazioni di rilevamento da distribuire su tutto il territorio della Valle Peligna, dentro e fuori i centri abitati e non solo nei pressi dell’area destinata all’impianto, poiché il rischio sanitario derivante dalle emissioni della centrale coinvolgerà tutti gli abitanti della Valle. La conformazione orografica particolare della Valle Peligna è caratterizzata da ridotta capacità di ricambio d’aria e dalla presenza dell’inversione termica (fenomeno che si verifica nelle valli montane alpine ed appenniniche e che favorisce il ritorno dei fumi a livello del terreno), che determina un maggior tempo di ristagno delle sostanze nocive derivanti dalla combustione dei gas, e quindi una più elevata esposizione delle popolazioni umane, animali, vegetali ai rischi connessi alla loro presenza.

Ciò comporta un peggioramento della qualità dell’aria con conseguente peggioramento dello stato di salute dei cittadini, come rilevato in un documento firmato da oltre 150 medici ed operatori sanitari della Valle Peligna, al quale le autorità di governo non hanno dato alcun riscontro. Lo stesso Ministero dell’Ambiente, nelle osservazioni alla VAS della proposta di nuovo piano della qualità dell’aria della Regione Abruzzo ha, per alcuni inquinanti, evidenziato la necessità di approfondire il tema delle inversioni termiche nelle conche interne, tra cui quella della Valle Peligna; questo vale per le emissioni dei camini per il riscaldamento ma non per le emissioni di un grande impianto autorizzato dallo stesso Ministero?
E’ noto che l’inquinamento atmosferico, subito dopo dieta, fumo, ipertensione e diabete, è uno dei fattori di rischio più importanti per la salute e causa ogni anno 2.9 milioni di morti premature in tutto il mondo (https://www.stateofglobalair.org/report), provocando direttamente malattie gravi e croniche come asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni. In termini economici, le malattie imputabili all’inquinamento atmosferico costano miliardi di euro in giornate di lavoro perdute.
In piena epoca pandemica giova ricordare che diversi studi attribuiscono al particolato atmosferico (PM10 e PM2,5, le cosiddette “polveri sottili”) la funzione di carrier, ovvero di vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus; concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 potrebbero perfino esercitare un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta di un’epidemia. Riteniamo che non sia giusto anteporre gli interessi della Snam, perché di questo si tratta, ai diritti di interi territori che con convinzione lottano per difendere la propria sicurezza, la propria salute, l’integrità dell’ambiente e degli habitat naturali, la qualità della vita, in una parola il proprio futuro ma anche quello del pianeta.
Una vera transizione, ecologica o meno che sia, non può realizzarsi attraverso i consueti meccanismi legati al profitto, al consumo di suolo, al mancato rispetto della natura e dell’ambiente del quale facciamo parte, al rifiuto di tenere in considerazione le istanze di chi ha una visione diversa del progresso.
Condividiamo le parole di Don Ciotti: «Una transizione senza conversione è cambiamento solo esteriore, un farsi condurre altrove rimanendo gli stessi di prima. Invece quello che Papa Francesco non smette di sottolineare è che per cambiare le cose dobbiamo prima cambiare noi, cambiare i nostri rapporti sociali e interpersonali, la nostra relazione con la natura e la Terra che ci accoglie, cambiare la coscienza che abbiamo di noi stessi riconoscendo l’essenza relazionale dei nostri io isolati egoisti ed egocentrici. Senza conversione non c’è insomma transizione che possa trasformare la globalizzazione dell’indifferenza in globalizzazione della speranza».
Quello della “Linea Adriatica” della Snam è un progetto che appartiene al passato, un passato basato sull’uso delle fonti fossili e rispetto al quale dobbiamo urgentemente voltare pagina perché, come ha detto recentemente il segretario generale dell’ONU António Guterres, “il mondo è sull’orlo dell’abisso”. Sulmona è situata nel centro della Valle Peligna, circondata dai monti del Parco Nazionale della Maiella, dalla Riserva Naturale Regionale Monte Genzana-Alto Gizio, dai monti settentrionali del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, dalla Riserva Naturale Regionale del Sagittario, dai monti meridionali del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, del Parco Regionale Sirente-Velino, dalla Riserva Naturale Regionale Gole di San Venanzio e dalla Riserva Naturale Regionale Sorgenti del Pescara che rappresentano la convergenza delle aree protette della Regione Verde d’Europa.
La sede del Parco Nazionale della Maiella è nella monumentale abbazia celestiniana fondata da papa Celestino V, conosciuto anche come Pietro da Morrone per aver scelto questa montagna come luogo della sua vita eremitica. Sulmona è Città d’Arte: l’imperatore Federico II di Svevia nel 1233 la elevò a capitale dell’Abruzzo.
Il suo centro storico medievale e rinascimentale, ben conservato e abitato, è rappresentato da palazzi nobiliari, chiese, fontane, piazze, porte di accesso alla città, musei, biblioteche e dal monumento al poeta latino Publio Ovidio Nasone nativo della città.
La Valle Peligna prende il nome dall’antico popolo italico dei Peligni che ospitava nella propria capitale Corfinio (Corfinium) la Lega Italica formata da Sanniti, Frentani, Marrucini, Marsicani, Peligni, Vestini, Pretuziani, Piceni, contro l’occupazione da parte dei Romani. A Corfinio fu coniata una moneta d’argento con la scritta ITALIA nel 90 a.C. per ricordare il governo unitario dei popoli italici.
Il territorio peligno, che ha dato 2111 anni fa il nome ITALIA alla nostra penisola, non può essere ignorato, banalizzato e aggredito da un’opera che non tiene conto del Patrimonio Naturale, della Storia, dell’Arte, della Sicurezza e della Salute dei cittadini e dei Diritti sanciti dalla Costituzione Repubblicana.
Per quanto sopra riportato,
C H I E D I A M O
– di riconsiderare totalmente il progetto “Linea Adriatica” della Snam sottoponendo i tre tratti del metanodotto e la centrale di compressione di Sulmona ad una nuova Valutazione di Impatto Ambientale (compresa l’opzione zero), ad una nuova Valutazione di Incidenza (che prenda in esame la presenza delle varie specie protette e in particolare dell’Orso bruno marsicano) e ad un riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale;
– di sottoporre i tre tratti del metanodotto “Linea Adriatica” e la centrale di compressione ad una analisi costi/benefici che consideri non soltanto i costi per la realizzazione dell’opera ma anche i costi che incidono sul cambiamento climatico e sull’ambiente, nonché quelli per la salute e per le economie locali;
– uno specifico incontro al fine di approfondire le tematiche qui rappresentate.
Cordialmente.
Le Associazioni firmatarie:
ASSOCIAZIONE ALTURA presidente – Stefano Allavena
CLUB ALPINO ITALIANO – GRUPPO REGIONALE ABRUZZO presidente – Francesco Sulpizio
DALLA PARTE DELL’ORSO presidente – Domenico D’Aurora
FEDERAZIONE NAZIONALE PRO NATURA presidente – Mauro Furlani
GREENPEACE ITALIA direttore esecutivo – Giuseppe Onufrio
GRUPPO D’INTERVENTO GIURIDICO presidente – Stefano Deliperi
ITALIA NOSTRA presidente – Ebe Giacometti
LEGA ITALIANA PROTEZIONE UCCELLI – LIPU presidente – Aldo Verner
MOUNTAIN WILDERNESS ITALIA presidente – Franco Tessadri
REWILDING APENNINES presidente – Antonio Carrara
SALVIAMO L’ORSO presidente – Stefano Orlandini
WWF ITALIA vicepresidente – Dante Caserta
(foto Raniero Massoli Novelli, A.L.C., G.M., S.L., archivio GrIG)