Un vero e proprio disastro ambientale è quello che si sta consumando nella Macquarie Harbour, baia della costa occidentale della Tasmania.
Centinaia di Globicefali (Globicephala) si sono spiaggiati a partire dal 21 settembre per motivi non conosciuti, forse – essendo molto forte lo spirito di gruppo – a causa di un avventato avvicinamento di alcuni individui al litorale, in acque eccessivamente basse, per ragioni di caccia. Centinaia di esemplari li avrebbero seguiti, senza curarsi del pericolo.
Nonostante i soccorsi pressochè immediati, centinaia di cetacei sono già morti.
Gli spiaggiamenti collettivi di cetacei sono fenomeni abbastanza frequenti, ma questo appare un episodio decisamente preoccupante per le dimensioni.
Ancor più preoccupante vista la caccia tuttora esistente del Grindadráp, la sanguinaria caccia al Globicefalo (Globicephala melas) – più raramente anche alla Balena dal naso a bottiglia (Hyperoodon ampullatus) e al Delfino dai fianchi bianchi atlantico (Lagenorhynchus acutus) – sulle Isole Fær Øer, arcipelago situato nell’Oceano Atlantico appartenente alla Danimarca, ma non appartenente all’Unione europea.
Speriamo davvero che gli sforzi dei soccorritori siano premiati da successo e quanti più Globicefali possano salvarsi.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
da Il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2020
Tasmania: più di 500 balene spiaggiate, molte sono già morte. Sono rimaste incagliate in una secca.
L’equipaggio di salvataggio sta concentrando gli sforzi sul primo gruppo, dove ci sono molti sopravvissuti. Questo è il più grande spiaggiamento di massa mai registrato nell’isola a Sud dell’Australia.
Sono diventate quasi 500 le balene pilota rimaste bloccate nei giorni scorsi a Macquarie Harbour, sulla costa occidentale della Tasmania. Centinaia di cetacei sono già morti, nonostante gli sforzi fatti dai volontari per salvarli. Le operazioni proseguono nella speranza di poterne ricondurne in mare aperto almeno qualche decina.
Lo spiaggiamento di massa è iniziato lunedì 21 settembre, con un branco di 70 balene che è rimasto incagliato su un banco di sabbia di una baia dell’isola a sud dell’Australia. Già il giorno dopo erano diventate centinaia. Oggi le autorità hanno scoperto un gruppo di altre 200 balene, portando a 470 il numero degli esemplari rimasti bloccati questa settimana. La scoperta rende questo spiaggiamento di massa il più grande mai registrato in Tasmania. Fenomeni di questo tipo che riguardano i mammiferi marini sono relativamente comuni, ma questo appare particolarmente preoccupante per il gran numero di animali coinvolti. Tra le balene pilota lo spirito di gruppo è molto marcato, e basta che un paio di loro si avvicinino eccessivamente alle coste per cacciare perché interi branchi li seguano senza curarsi del pericolo. La baia di Macquarie Harbour è chiusa da uno stretto passaggio e si trova sulla costa occidentale selvaggia e scarsamente popolata della Tasmania. Alcuni video postati su internet mostrano i mammiferi mentre tentano inutilmente di riprendere il mare.
Il manager del Parks and Wildlife Service, Nic Deka, ha detto che la maggior parte delle balene di questo secondo gruppo, scoperto da un equipaggio di sorveglianza aerea, era morto. “Al momento stiamo andando nell’altra baia, dove si trova il gruppo più numeroso”. Il biologo Kris Carlyon ha riferito che anche un terzo degli animali del primo gruppo è morto nella notte di lunedì e che salvare le balene ancora in vita sarà una “sfida” che richiederà diversi giorni e particolari imbarcazioni. La maggior parte dei cetacei si trova parzialmente sott’acqua e potrebbe riuscire a sopravvivere per alcuni giorni. “Queste sono balene pilota, una specie piuttosto robusta. Sono bagnate, fresche e oggi abbiamo un tempo davvero adatto per loro – ha detto Carlyon – Se le condizioni rimangono le stesse, possono sopravvivere per un bel po’ di giorni. La sfida sarà cosa fare con quegli animali una volta rimessi a galla: dovremo mandarli al largo o dovremo spostarli con qualche altro mezzo”.
L’equipaggio di salvataggio, composto da 60 ambientalisti, volontari qualificati e dipendenti degli allevamenti ittici locali, sta ora concentrando i loro sforzi sul primo gruppo, tra i quali ci sono molti sopravvissuti, in quanto parzialmente sommersi. I soccorritori hanno trascorso gli scorsi giorni guadando le fredde secche e sono riusciti a liberare circa 25 animali, utilizzando barche dotate di speciali imbracature per guidarli di nuovo in mare aperto. Le operazioni di soccorso sono rese più difficili e lente dal freddo, dall’umidità e da maree irregolari.
(Giuseppe Notarbartolo di Sciara)
Ci sono luoghi nel pianeta dove una combinazione tra morfologia della costa e intensità di correnti e maree crea delle vere e proprie trappole per i cetacei che si avventurano nei paraggi. Se poi i cetacei sono specie come i globicefali (per favore non chiamateli “balene pilota”), grossi delfini con la testa tipicamente arrotondata che vivono e si muovono in comunità spesso di centinaia, la situazione può trasformarsi presto da drammatica in catastrofica, come nel recente evento avvenuto sulla costa occidentale della Tasmania, tuttora in corso.
Alla notizia di ieri, che un branco di 270 globicefali si è spiaggiato in quell’area, se ne aggiunge ora un’altra che segnala la presenza, poco più in là, di un altro gruppo di 200. Se confermato, si tratterebbe nell’insieme dello spiaggiamento più imponente mai registrato in Australia, e uno dei più grandi di cui si sappia.
Navigare in condizioni difficili può essere una sfida per un globicefalo isolato, ma non difficile da affrontare vista l’agilità e la forza di questi animali; tuttavia navigare in condizioni precarie cercando di mantenere l’integrità di un gruppo di svariate decine, se non di centinaia di individui, può diventare impossibile; e l’insorgere di un problema anche modesto può scatenare il panico, in cui è più facile che prevalga la spinta a rimanere coesi su quella di salvarsi individualmente.
La vista di centinaia di questi animali miseramente spiaggiati, morenti e sofferenti, ha un forte impatto emotivo sulle persone e, come sta avvenendo in questo caso, scatena uno sforzo massiccio per prestare loro soccorso, non solo da parte di volontari ma anche di personale delle agenzie di governo. Aiutare gli animali in questi casi è comunque molto difficile, e quando va bene se ne riesce a rimettere in mare una parte minima; la struttura sociale del branco ne esce malconcia.
Fortunatamente si ritiene che questi fenomeni di spiaggiamento, per massicci che siano, non costituiscano una minaccia per la sopravvivenza della specie, abbastanza in buona salute nell’Emisfero australe. Ma vedere tanta sofferenza spezza il cuore agli astanti e scatena un impulso di solidarietà inter-specifica che spinge a fare qualcosa, per quanto poco questo qualcosa possa essere.
Occorrerebbe adesso che tale impulso si estendesse in maniera più diffusa nella società umana, per evitare che non centinaia, ma centinaia di migliaia di cetacei ogni anno, alcuni appartenenti a specie veramente minacciate di estinzione, facciano una fine simile a quella dei globicefali della Tasmania – ma nelle reti da pesca.

(foto M.F., archivio GrIG)