anche su Il Manifesto Sardo, 1 ottobre 2019

Nell’Isola di Man, possedimento della Corona inglese nel Mar d’Irlanda, a Laxey, nella Glen Mooar Valley, c’è un cantiere minerario dismesso, dove sono stati estratti per circa un secolo piombo, rame e zinco. Arrivarono a lavorarci fino a 600 minatori contemporaneamente. La miniera chiuse nel 1929.
Da una ventina d’anni è stato messo in sicurezza il sito. Un po’ alla buona, in verità. Sono stati sistemati una cinquantina di metri di galleria di estrazione con accesso all’aperto, qualche modesto edificio minerario e, soprattutto, una grande ruota idraulica (Great Laxey Wheel). Realizzata nel 1854 e restaurata nel 1965 dal Governo locale, oggi è gestita dal Manx National Heritage.
Una bella ruota rossa, bianca e nera dal diametro di 22 metri e larga 2, facente parte di un sistema di eduzione delle acque di profondità. Riusciva a pompare in superficie 250 galloni d’acqua da 500 metri di profondità. Lady Isabella, così viene chiamata, era la più grande ruota idraulica d’Europa.
Qui e là sono disseminati “pupazzi” minatori, con canotti, picconi, carrelli, ecc. Vi lavorano una quindicina di persone fra guide, punto di ristoro, vendita di materiali informativi. Il biglietto d’ingresso costa la bella cifra di 8 sterline (sconti per gruppi e bambini) e viene visitata da circa 20 mila persone all’anno.

L’intero sito può valere sul piano storico-culturale sì e no come un cantiere medio-piccolo della Sardegna, Malacalzetta o Sa Duchessa (Iglesiente), tanto per capirci.
In Sardegna, nel 2019, nonostante l’indubbia e riconosciuta valenza del patrimonio di archeologia mineraria più importante d’Europa, siamo ancora all’anno zero o poco ci manca. Ora l’importanza delle aree di archeologia mineraria sarde appare ancor più rilevante in raffronto alle altre anche grazie all’importante portale www.retidelparco.it.
Dall’autunno del 2001 è istituito il Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna (art. 114, comma 10°, della legge n. 388/2000, decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 16 ottobre 2001) che deve salvaguardare e promuovere un patrimonio storico-culturale unico.
Nel 1997 è stato riconosciuto quale patrimonio mondiale dell’umanità dall’U.N.E.S.C.O.
Il 23 settembre 2019 è stato cancellato dalla Rete mondiale dei Geoparchi a causa della pluriennale gestione fallimentare.
E’ certamente troppo esteso ed include aree di grandissimo valore a livello internazionale (es. Montevecchio, Ingurtosu, Monteponi, Argentiera, ecc.) e siti di modestissimo interesse (es. alcune cave galluresi).

Nel corso degli anni, la scarsa capacità propositiva e gestionale ha ritardato prima e paralizzato poi l’attività degli organismi dirigenti, confuso le competenze, poco valorizzato l’archeologia mineraria.
In diversi siti sono stati fatti interventi di “messa in sicurezza” e di ripristino ambientale, curati dall’IGEA s.p.a., la società ad esclusivo capitale regionale che ha ereditato dal vecchio Ente minerario sardo – E.M.SA., messo in liquidazione dal 1998, la gestione dei tanti siti minerari oggi non più produttivi. Spesso attraverso fondi pubblici messi a disposizione per mantenere i progetti legati al “lavoro socialmente utile” ed ai relativi lavoratori (L.S.U.).
Non siamo in grado di indicare quanti miliardi di vecchie lire o milioni di euro sono stati finora spesi, ma con elevata probabilità siamo nell’ordine complessivo di centinaia di milioni di euro al valore attuale.

Finora i siti minerari restaurati, risanati e resi fruibili con un minimo di visite guidate sono molto pochi: le visite guidate, curate da IGEA s.p.a., sono generalmente soltanto su prenotazione. Talvolta anche siti risanati, permangono non fruibili. Troppo poco.
Gridano vendetta i tanti beni di archeologia mineraria restaurati e resi fruibili, ma tuttora troppo spesso aperti solo sporadicamente: da Porto Flavia (Masua) alla Galleria Henry (Buggerru), dal Pozzo Gal (Ingurtosu) al Pozzo Amsicora, dalla Grotta di S. Barbara (Miniera S. Giovanni, Iglesias) alla Miniera di Funtana Raminosa (Gadoni), dalla Galleria Villamarina (Monteponi, Iglesias) alla Miniera di Sos Enattos (Lula).
Finora gli organi dirigenti del Parco geominerario, pur avendo fondi disponibili, non sono riusciti a darsi un programma di attività con tempi certi per avviare la valorizzazione di un patrimonio di archeologia mineraria veramente inestimabile.
Basterebbe iniziare a prendere esempio da chi è stato più bravo di noi, per esempio il Parco nazionale delle Colline Metallifere Grossetane (Toscana).
Altrimenti il futuro del Parco geominerario e, soprattutto, del patrimonio di archeologia mineraria sarà sempre più cupo.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

da Sardinia Post, 24 settembre 2019
Il Parco Geominerario fuori dall’Unesco: “Non si può creare ciò che non esiste”.
Il Parco Geominerario della Sardegna è fuori dalla Rete mondiale dei Geoparchi dell’Unesco. L’Executive board (commissione) dell’Unesco Global Geoparks lo ha espulso ieri durante la riunione convocata a Siviglia. Una riunione attesa dopo la visita, a luglio scorso, delle due commissarie Marie Louise Frey e Cathrien Posthumus che avevano ispezionato tutto il territorio del Parco.
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Il loro report, non vincolante, non ha soddisfatto i commissari. Il nodo in particolare riguarda la continuità del territorio, la difficoltà di identificare una radice comune: “Data la situazione, sono stati compiuti progressi insufficienti riguardo alle raccomandazioni dopo l’ultima ispezione – avevano scritto le commissarie –. Non si tratta di un territorio unico, con un’identità comune, e non c’è alcun approccio strategico per l’unificazione o la creazione di un’identità comune oltre a un’organizzazione assolutamente inadeguata per quanto riguarda le risorse umane”. L’area del parco, secondo il suo atto costitutivo del 2001, comprende tremila e cinquecento chilometri quadrati di territorio e abbraccia 81 Comuni in tutta la Sardegna.

Una tegola per i responsabili del Parco e per le comunità interessate, che sul riconoscimento hanno puntato l’idea di uno sviluppo futuro dal punto di vista economico. Dopo la notizia del cartellino rosso il presidente del Parco, Tarcisio Agus, e il direttore Ciro Pignatelli sono amareggiati. “Non si può creare ciò che esiste solo sulla carta. Questo ci hanno detto i commissari dell’Unesco, che ci hanno chiesto di ridimensionare il progetto e riproporlo nelle sue reali dimensioni di Parco geominerario di grande ricchezza storica culturale e naturale”, scrivono i vertici in una nota.
“Era stato premiato con il marchio Unesco, un progetto, un’idea che aveva bisogno di essere tutta costruita: l’idea di poter ambire ad essere il geoparco più grande d’Europa. Ma già i due cartellini gialli hanno mostrato la complessità di un processo, per la cui realizzazione c’era la necessità di forti strutture politico-istituzionali ma anche di un efficiente apparato tecnico. Di assunzione di responsabilità politica (la prima che è venuta meno nell’avvicendarsi di maggioranze più o meno sensibili al progetto), ma anche di una condivisione e collaborazione totale di tutte le aree che, sulla carta, formano il grande progetto Unesco”.
Ma per i responsabili il lavoro da fare era tanto e c’era chi “remava contro”. “Ce l’abbiamo messa tutta anche con i pochi mezzi, la scarsità di personale e molta parte che remava contro. Ma sapevamo che sarebbe stato difficilissimo unire aree della Sardegna sotto un unico sistema, laddove c’è frammentazione, chiedere collaborazione laddove c’è crisi e resistenza, chiedere condivisione laddove c’è scarsissima conoscenza del patrimonio geominerario dei propri territori. E noi, arrivati solo due anni fa sapevamo di avere ricevuto un compito ben arduo. Fare il miracolo di chiudere il processo, e rendere unite, collaborative e consapevoli del proprio patrimonio, tutte le aree del Geoparco.
“Ce la stiamo mettendo tutta per dare al Parco una dignità di Ente autonomo, motore di una valorizzazione del patrimonio storico e ambientale di cui la Sardegna deve essere fiera rappresentante – conclude Tarcisio Agus -, il fatto che il board dell’Unesco ci ritiene non ancora in grado di proporci come sistema integrato, non toglie niente all’impegno che abbiamo di perseguire gli obiettivi di ottimizzazione e di maggior coinvolgimento istituzionale, di enti e associazioni, della costruzione di Centri visita attraverso una reale Rete dei laboratori Ceas e del variegato sistema museale esistente fino alla promozione dei geositi e delle aree ad alta valenza mineraria e ambientale”. (mar.pi.)

(foto S.D., archivio GrIG)