Quantcast
Channel: Gruppo d'Intervento Giuridico (GrIG)
Viewing all articles
Browse latest Browse all 3685

Chernobyl, magari imparassimo qualcosa…

$
0
0

La specie Homo sapiens passa per essere quella più intelligente mai comparsa sulla Terra.

Contemporaneamente – ma questo in una ricerca scientifica non lo troverete mai – è anche la più cretina.

Sì, è vero, basta guardarsi intorno e ne abbiamo esempi quotidiani, ma su larga scala è anche peggio.

Un esempio che dovrebbe servirci per riflettere e, magari, per imparare qualcosa.

Il 26 aprile 1986 il reattore n. 4 della centrale nucleare centrale nucleare V.I. Lenin vicino alla città di Chernobyl, nell’Ucraina settentrionale, in Unione Sovietica, esplode e s’incendia.

Dopo un’iniziale reticenza, le autorità sovietiche sono costrette ad ammettere l’incidente.

Uno dei due incidenti nucleari classificati come catastrofici con il livello 7, il massimo della scala INES dell’IAEA, insieme a quello avvenuto nella centrale di Fukushima Dai-ichi (Giappone) nel marzo 2011.

Come il Cielo volle, l’incendio venne spento, il reattore venne incapsulato in colate di cemento, l’intera area per centinaia di chilometri quadrati venne evacuata e lo è tuttora.

Non si sa quanti morti e malati vi siano stati, vi siano e vi saranno a causa dell’incidente nucleare.  Le stime altro non sono che stime, visto che non sono state effettuate affidabili ricerche epidemiologiche in proposito.

Migliaia, centinaia di migliaia.  Come a Fukushima.

E le radiazioni continueranno a uccidere per un bel pezzo.

Quanto accaduto non poteva accadere e ha mandato al diavolo qualsiasi previsione compatibilista

Ecco come ha reagito la Natura…

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

da Il Corriere della Sera, 13 giugno 2019

Gli animali di Chernobyl ci svelano quanto noi umani siamo insignificanti.

La catastrofe nucleare ha messo a repentaglio solo la specie umana: attorno alla centrale esplosa nel 1986 oggi c’è un’oasi eccezionale di biodiversità. (Fabrizio Rondolino)

Nella quarta puntata di «Chernobyl» (un piccolo capolavoro sulla stupidità criminale della burocrazia totalitaria, in onda da questa settimana su Sky Atlantic) c’è una lunga sequenza dedicata ad una squadra di decontaminazione cui è stato assegnato un compito spaventoso: uccidere e seppellire sotto una colata di cemento tutti gli animali presenti nell’area, perché contaminati dalle radiazioni. Bacho, il caposquadra, è un reduce dell’Afghanistan e conosce l’orrore della guerra, ma ciò nondimeno è sconvolto: Dovete ucciderli con un solo colpo, è un ordine – scandisce ubriaco di vodka –. E vi ammazzo se li fate soffrire». Questo accadeva nel maggio del 1986. E poi? Che cosa è successo negli anni successivi? Ci sono animali a Chernobyl trentatré anni dopo l’esplosione?

Chernobyl, per quanto possa suonare impossibile, è oggi una delle oasi naturali più ricche di biodiversità del pianeta: è, letteralmente, un paradiso terrestre. Peter Hayden, un documentarista neozelandese, nel 2007 è entrato nella zona contaminata, dove dal 1986 non vive più un solo umano, e ha raccontato la storia di una gatta di tre anni e dei suoi micetti, di un giovane lupo solitario che finalmente trova la sua compagna, di due cuccioli di orso che esplorano le case abbandonate… e poi cervi e cavalli selvatici, aquile e cinghiali, alci e civette, castori e linci, insetti multicolori e vegetazione lussureggiante. Il documentario si intitola «Chernobyl Reclaimed: An Animal Takeover» e merita davvero di essere visto. Tre anni fa un inviato del National Geographic ha compiuto un viaggio analogo e ha raccontato con uguale meraviglia l’esplosione della vita animale intorno alla centrale che tuttora emette radiazioni. Come è possibile?

Bisonti europei (Bison bonasus)

La scomparsa dell’uomo ha significato la scomparsa dei pesticidi, dei gas di scarico e di ogni altra forma di inquinamento, nonché dei cacciatori e delle automobili, migliorando drasticamente, nel giro di pochi anni, la qualità dell’ambiente e le opportunità di vita. E questo spiegail ripopolamento impetuoso della fauna selvatica, tranne che per un dettaglio: la radioattività. Gli studiosi non hanno una spiegazione certa, ma l’ipotesi più probabile è che l’attesa di vita degli animali sia troppo breve per consentire lo sviluppo di cellule tumorali; in aggiunta, gli animali si riproducono molto più rapidamente di noi e dunque, in assenza della pressione antropica, ristabiliscono senza difficoltà l’equilibrio eventualmente intaccato da morti premature. Infine, non sono state rilevate mutazioni genetiche significative, tranne il piumaggio di un uccello e poco altro.

A me pare che questa storia contenga più di un insegnamento. Tanto per cominciare, cancella una volta per tutte le immagini apocalittiche legate al disastro nucleare: anziché un deserto dove sopravvivono giusto i coleotteri, come ci hanno insegnato i film di fantascienza e i rapporti degli esperti, il paesaggio post-atomico è invece una copia del Giardino dell’Eden prima che Dio ci creasse. O, detto in un altro modo: gli umani pacificamente intenti alla loro vita quotidiana sono più pericolosi per la natura dell’esplosione simultanea di 200 bombe di Hiroshima (questa è stata la potenza di Chernobyl). E tuttavia, per un tragico contrappasso, sono anche le sole vittime dell’incidente: siamo noi, infatti, gli unici esseri viventi che non possono vivere a Chernobyl, perché moriremmo di cancro e non riusciremmo a riprodurci abbastanza in fretta per evitare l’estinzione. E anche qui c’è un insegnamento: via via che ci allontaniamo dallo stato naturale migliorano le nostre condizioni individuali (per dire, viviamo il doppio dei nostri cugini scimpanzè), ma peggiorano le nostre probabilità di sopravvivenza al di fuori della sfera tecnologica in cui siamo immersi fin dalla nascita (anzi, dal concepimento). L’apocalissi nucleare, che è poi il rovescio impaurito della nostra sfrenata ambizione prometeica a comandare l’universo, non è affatto un’apocalissi: tutt’al più è l’estinzione di una specie. La nostra.

Qui sta secondo me l’ultimo e più importante insegnamento degli animali e delle piante di Chernobyl: noi umani non abbiamo tutto questo potere, non siamo così importanti. Noi umani non siamo i signori della Terra né i padroni della natura, e per quanti disastri possiamo combinare restiamo insignificanti e marginali. Possiamo fare molto male a noi stessi, questo sì: ma neppure l’esplosione di una centrale nucleare riesce a cancellare la natura. Al contrario, la rende infinitamente più ricca e lussureggiante. Smettiamola dunque di voler salvare il pianeta: è noi stessi che potremmo dover salvare.

Lupo europeo (Canis lupus lupus)

6 ottobre 2015

Lo studio pubblicato su Current Biology.

Chernobyl: linci, lupi e alci più numerosi di prima dell’incidente.

«Non significa che le radiazioni siano positive ma che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori».

Dopo che per anni è rimasta disabitata, un deserto di morte, è tornata la vita nell’area vicino la centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. A quasi 30 anni da quel grave incidente, alci, caprioli, cervi rossi, cinghiali e lupi sono tornati a popolare la zona vicino la centrale, che ora sembra quasi una riserva naturale.

L’incidenza dell’attività umana

Descritta sulla Current Biology, la ricerca dell’università di Portsmouth offre una lezione importante per valutare l’impatto a lungo termine del più recente incidente nucleare di Fukushima. «È molto probabile che gli animali selvatici a Chernobyl siano molti di più di quelli presenti prima dell’incidente», precisa Jim Smith, coordinatore dello studio. «Ciò non significa che le radiazioni siano una cosa buona per la fauna selvatica, ma solo che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori».

La «zona di esclusione» come una riserva

I primi studi sui 4.200 chilometri quadrati della zona di esclusione avevano mostrato gravi effetti dalle radiazioni e un’importante calo della fauna selvatica. I nuovi dati, basati su un censimento di lungo periodo e rilevazioni aeree, dimostrano che le popolazioni di mammiferi sono tornate. Come testimoniano anche foto e video raccolte dalle telecamere posizionate sulla zona che si possono vedere on line. La relativa abbondanza di alci, caprioli, cervi rossi e cinghiali nella zona di esclusione è ora simile a quella riscontrata nelle quattro riserve naturali non contaminate della regione. Il numero di lupi che vive dentro e vicino il sito di Chernobyl è sette volte maggiore di quello presente nelle altre riserve. I rilevamenti fatti rivelano anche la progressiva crescita nelle popolazioni di questi animali da uno a 10 anni dopo il disastro. «Questi risultati dimostrano per la prima volta che, indipendentemente dai potenziali effetti delle radiazioni sui singoli animali, la zona di esclusione di Chernobyl ospita un’abbondante comunità di mammiferi dopo quasi 30 anni di esposizione cronica alle radiazioni», conclude lo studio.

Capriolo (Capreolus capreolus)

(foto S.D., archivio GrIG)


Viewing all articles
Browse latest Browse all 3685

Trending Articles



<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>