
Rilevante pronuncia da parte della Corte di cassazione in tema di obblighi di bonifica ambientale.
La sentenza Cass. pen., Sez. III, 30 aprile 2019, n. 17813 ha evidenziato l’ampiezza degli obblighi di bonifica ambientale previsti dalla parte IV del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (codice dell’ambiente).
L’ipotesi di reato di cui all’art. 257 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. è configurabile non solo quando il soggetto responsabile della bonifica non la esegua conformemente al progetto approvato al termine della procedura di cui all’art. 242, ma anche qualora abbia addirittura impedito la predisposizione del medesimo progetto, mediante la mancata attuazione del piano di caratterizzazione, elemento fondamentale per l’elaborazione del progetto di bonifica ambientale.
Infatti, “a fronte della verificata situazione di inquinamento «qualificato» di cui al primo comma dell’art. 257, riconducibile” al soggetto tenuto alla bonifica, “il reato in esame si perfeziona a partire da tale accertamento (con l’insorgere del correlato obbligo di bonifica), la cui permanenza sussiste sino all’eventuale bonifica conforme al progetto di cui agli artt. 242 e ss. del Decreto … , purchè intervenuta prima della sentenza conclusiva del processo”.
Chi ha inquinato o è, comunque, tenuto alla bonifica ambientale deve attivarsi per la sua completa attuazione.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 28 maggio 2019
Cass. Sez. III n. 17813 del 30 aprile 2019 (PU 15 nov 2018)
Pres. Aceto Est. Noviello Ric. Leonardi
Rifiuti. Reato di omessa bonifica.
Il reato di cui all’art. 257 d.lgs. 152/06 è configurabile non solo allorquando chi sia tenuto alla bonifica non vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 e ss., bensì anche nell’ulteriore caso in cui addirittura impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione, necessario per predisporre il progetto di bonifica.
RITENUTO IN FATTO
1.
Il giudice monocratico del Tribunale di Cosenza in data 31 marzo 2017 ha
condannato Leonardi William alla pena di euro 2000 di ammenda, con beneficio
della pena sospesa e della non menzione, in ordine alla contravvenzione di cui
all’art. 257 comma 1 in relazione all’art. 242 comma 7 del D.Lgs. n. 152 del
2006, perché, quale presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio
Intercomunale Valle Bisirico – consorzio da ritenersi soggetto responsabile
dell’inquinamento quale ente proprietario e gestore della ex discarica sita in
Località Foresta del Comune di Scigliano – in concorso con Maletta Paolo quale
direttore tecnico, avendo ricevuto nel dicembre 2010 la nota prot. n° 3502 del
20.12.2010 del comune di Scigliano con cui li si notiziava degli esiti del
piano di caratterizzazione e dei risultati del documento di analisi del rischio
relativo alla citata ex discarica e, in particolare, che era emerso il
superamento dei valori di concentrazione soglia rischio (csr) di contaminazione
per il parametro manganese e triclorometano in relazione alle acque
sotterranee, prescrivendo dunque l’avvio delle procedure di bonifica di cui
all’art. 242 D.Lgs. n° 152/06, omettevano di predisporre il progetto di
bonifica da sottoporre alla Regione Calabria e, conseguentemente, di procedere
alla bonifica del sito della ex discarica. Con la stessa sentenza Maletta Paolo
veniva assolto per non aver commesso il fatto.
2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso William Leonardi, prospettando
tre motivi di impugnazione.
3. Con il primo deduce la violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen. con riferimento all’art. 257 del D.lgs. 152/06 in relazione all’art.
242 comma 7 del medesimo Decreto. Rileva innanzitutto la violazione del
principio di legalità in ragione dell’erronea estensione della norma
incriminatrice, di cui all’art. 257 del D.lgs. 152/06, alla condotta di
omissione della progettazione prodromica all’effettuazione della attività di
bonifica, laddove alla luce della lettera della norma l’omessa progettazione
esulerebbe del tutto dal settore di operatività della previsione
incriminatrice. Deduce altresì la circostanza per cui l’art. 9 dello Statuto
del consorzio disciplinerebbe i poteri per l’adozione di linee guida e per
l’assunzione di impegni di spesa che farebbero capo esclusivamente
all’assemblea, residuando in capo al Consiglio di Amministrazione ed al
relativo Presidente solo il potere di porre in esecuzione le deliberazioni
dell’assemblea oltre a quello di compiere atti di ordinaria amministrazione,
che non annoverano impegni di spesa del valore di euro 100.000, corrispondente,
nel caso concreto, al costo del progetto di bonifica che il ricorrente, secondo
la sentenza impugnata, non avrebbe colpevolmente affidato. Nell’ambito del
predetto vizio di violazione di legge sollevato, il ricorrente ha infine
rappresentato la necessità di verificare se il Consiglio di Amministrazione
avesse la concreta possibilità di redigere un progetto di bonifica da
sottoporre – per l’approvazione – alla Regione Calabria, che avrebbe poi dovuto
finanziarlo. Tanto alla luce di richiamate emergenze dibattimentali, non
valorizzate dal giudice di primo grado, secondo cui il Consorzio non aveva
risorse finanziarie adeguate per incaricare taluno della redazione del progetto.
Ed invero, l’attribuzione di responsabilità effettuata dal giudice a carico del
ricorrente, pur in presenza di siffatte circostanze idonee a dimostrare
l’impossibilità per William Leonardi di assumere l’iniziativa progettuale che
si imputa a titolo di omissione, integrerebbe la violazione del principio di
ragionevolezza delle leggi.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di mancanza di motivazione e di
illogicità e contraddittorietà della stessa ex art. 606 comma 1 lett. e) cod.
proc. pen. in quanto il giudice si sarebbe limitato ad affermare in capo
al ricorrente la sussistenza di un obbligo di predisposizione del progetto di
bonifica e ad addebitarne la sua omissione, evitando di considerare la
dimostrata inesistenza di fondi disponibili e la relativa incidenza di tale
circostanza sulle modalità che avrebbe dovuto seguire l’imputato nell’adempiere
al proprio obbligo, giungendo altresì a formulare una decisione contraddittoria
laddove, pur riportando in sentenza le dichiarazioni del teste Damiano – per
cui non sussistevano i fondi necessari al progetto –, ha condannato l’imputato
sul presupposto per cui costui era tenuto ad assicurare la redazione del
progetto medesimo.
5. Infine, deducendo sostanzialmente il vizio di violazione di legge, eccepisce
l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato: atteso che la norma di cui
all’art. 257 citato prevede che entro sei mesi dalla notizia del superamento
della «soglia di rischio» sia presentato il progetto di bonifica, consegue che
a tale scadenza, da identificarsi secondo il ricorrente alla data del 20 giugno
2011, sarebbe cominciato a decorrere il termine di prescrizione. Maturato
quindi ben prima del 31 marzo del 2017, data di pubblicazione della sentenza
impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2.
Occorre ripercorrere preliminarmente e brevemente la disciplina in tema di
obblighi di bonifica penalmente rilevanti. L’art. 58 del D.Lgs. n. 152 del
1999, prevedeva che «chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo in
violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un danno alle acque,
al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un
pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, è tenuto a procedere a
proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di
ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è
derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo
il procedimento di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17» e sanzionava con
l’arresto e con l’ammenda l’inosservanza della disposizione anzidetta. Si
richiedeva per la configurabilità del reato un danno o un pericolo di danno
all’ambiente causato non da un qualsivoglia comportamento bensì dalla violazione
delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999 ossia, essenzialmente dalle
violazioni delle disposizioni in materia di scarichi di acque reflue
industriali (cfr. Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007 Rv. 238057 – 01 Schembri). Va
aggiunto che a seguito delle modificazioni apportate con il D.Lgs. n.258 del
2000, per scarico doveva intendersi qualsiasi immissione tramite condotta di
acque reflue, liquide o semiliquide nel suolo sottosuolo o rete fognaria,
indipendentemente dalla loro natura inquinante. Gli scarichi di reflui di cui
il detentore si disfi senza versamento diretto tramite condotta o comunque
senza una canalizzazione rientravano nella disciplina dei rifiuti di cui al
Decreto Ronchi e non in quella sulle acque e potevano dare luogo o ad uno smaltimento
di rifiuti o ad un abbandono degli stessi. In mancanza quindi di uno scarico,
anche in tema di bonifica dei siti inquinati, non era applicabile la disciplina
sulle acque bensì quella sui rifiuti (Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007 Rv.
238057 – 01 cit.).
2.1. A sua volta con l’art. 51 bis il D.Lgs. n. 22 del 1997 prescriveva che
chiunque avesse cagionato l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di
inquinamento, previsto dall’art. 17, comma 2, era punito con la pena
dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da L. 5 milioni a L. 50
milioni se non provvedeva alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art.
17. Si applicava la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena
dell’ammenda da L. 10 milioni a L. 100 milioni in caso di inquinamento
provocato da rifiuti pericolosi e, al comma 2 si precisava che chiunque avesse
cagionato, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al
comma 1, lettera a), ovvero avesse determinato un pericolo concreto ed attuale
di superamento dei limiti medesimi, era tenuto a procedere a proprie spese agli
interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle
aree inquinate e degli impianti dai quali derivava il pericolo di inquinamento.
Si è così osservato come dal raffronto emergesse che la fattispecie del D.Lgs.
n.22 del 1997 aveva un ambito diverso e, per alcuni aspetti, più circoscritto e
limitato rispetto a quella di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 58, facendo
riferimento non genericamente a un danno all’ambiente o ad un pericolo di
inquinamento ambientale, bensì al superamento o al pericolo di superamento di
limiti precisi specificati dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471. Inoltre, mentre,
il decreto sulle acque del 1999 richiedeva che il danno o il pericolo di inquinamento
ambientale fosse stato provocato da un comportamento omissivo o commissivo in
violazione delle disposizioni del decreto stesso, l’articolo 17 comma 2, del
Decreto Ronchi faceva discendere l’obbligo della bonifica anche se il fatto
fosse stato cagionato in maniera accidentale.
2.2. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, ha riprodotto in parte il contenuto delle
predette norme. Il legislatore ha articolato la disciplina penale ed
amministrativa della bonifica dei siti inquinati nel titolo V del D.Lgs.
152/06, in particolare con gli artt. 242 e ss., avendo riguardo oltre ai suoli,
ed al sottosuolo, anche alle acque sotterranee e disponendo – con l’art. 242
cit. – che «al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado
di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro
ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata
comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304 comma 2». Il
responsabile dell’inquinamento inoltre, deve svolgere anche, una volta attuate
le citate misure di prevenzione, una preliminare indagine sui parametri oggetto
dell’inquinamento e, «ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona
contaminata dandone notizia con apposita autocertificazione al comune ed alla
provincia» (art. 242 comma 2 cit.). Nel caso in cui invece, accerti l’avvenuto
superamento delle anzidette concentrazioni, anche per un solo parametro, deve
darne immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio
con la descrizione delle misure adottate e, nei successivi trenta giorni, deve
presentare alle amministrazioni predette ed alla regione competente il piano di
caratterizzazione con i requisiti di cui all’allegato n. 2 alla parte quarta
del D.Lgs. 152/06. La segnalazione è dovuta a prescindere dal superamento delle
soglie di contaminazione e la sua omissione è sanzionata dall’art. 257, che non
punisce solo l’omessa bonifica ma anche l’omessa segnalazione.
2.3. Con particolare riferimento alla bonifica, quest’ultimo articolo punisce,
salvo che il fatto costituisca più grave reato, «chiunque cagiona
l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle
acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni di soglia di rischio,
[…] se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato
dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e
seguenti».
2.4. La struttura del reato richiede, quale indefettibile presupposto, la
sussistenza dell’evento di danno dell’inquinamento, la cui configurazione
implica l’accertato superamento (attraverso la complessa procedura stabilita
dall’articolo 242 del T.U.A.) della concentrazione soglia di rischio (CSR) (che
è un livello di rischio superiore ai livelli delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC)) (Sez. 3, n. 9794 del 20/11/2006, Montigiani, Rv. 235951;
Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni; Sez. 3, n. 9492 del
29/01/2009 Rv. 243115, Capucciati).
Rispetto alla previgente fattispecie di cui all’art. 51 bis del D.lgs. 22/97,
quella nuova di cui all’art. 257 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, è meno grave,
essendo stata ridotta l’area dell’illecito ed attenuato il trattamento
sanzionatorio. In particolare: a) mentre in precedenza l’evento del reato
poteva consistere nell’inquinamento del sito o nel pericolo concreto ed attuale
di inquinamento, l’art. 257 fa riferimento al solo evento di danno
dell’inquinamento; b) per aversi inquinamento è ora necessario il superamento
della concentrazione soglia di rischio (CSR), che costituisce un livello di
rischio superiore rispetto ai livelli delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC); c) la sanzione penale è ora prevista con pena pecuniaria
o detentiva alternativa, diversamente dalla precedente disposizione che
prevedeva la pena congiunta (cfr. da ultimo Sez. 4, n. 29627 del
21/04/2016 Rv. 267843 Silva).
Si tratta, secondo talune pronunce della Suprema Corte, di un reato di evento a
condotta libera o di un reato causale puro, nel quale l’evento incriminato è
l’’inquinamento, cagionato da una qualsiasi condotta dolosa o colposa, la cui
punizione è però subordinata all’omessa bonifica (configurata come condizione
obiettiva di punibilità a contenuto negativo). Inoltre, secondo una lettura
elaborata con riguardo al previgente art. 51 bis del Dlgs 22/97, ma che date le
analogie strutturali tra i reati potrebbe, ove condivisa, riguardare anche
l’attuale fattispecie di cui all’art. 257 in esame, una valutazione
costituzionalmente orientata imporrebbe che sia l’inquinamento nel senso
anzidetto, sia l’omessa bonifica, quale condizione intrinseca o impropria di
punibilità, siano coperti dal principio di colpevolezza penale desumibile
dall’art. 27, comma, 1 della Carta fondamentale. (cfr. Sez. 3, n. 9794 del
29/11/2006 Rv. 235951 Montigiani; Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134
Magni, cit). In proposito, è stato precisato che la condizione obiettiva di
punibilità “intrinseca” a contenuto negativo incide sull’interesse
tutelato dalla fattispecie in quanto il mancato raggiungimento dell’obiettivo
della bonifica determina un aggravarsi dell’offesa al bene tutelato dalla norma
incriminatrice, già perpetrata dalla condotta di inquinamento (cfr. Sez. 3, n.
26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni, cit.). Secondo altro arresto di
legittimità invece, è configurabile un reato omissivo di pericolo che si
consuma ove il soggetto, a fronte della situazione d’inquinamento, inquadrata
tra i presupposti di fatto del reato, non proceda all’adempimento dell’obbligo
di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate. Tale interpretazione,
nell’ottica della richiamata sentenza, si presenterebbe più rispondente ai
principi di offensività e di proporzionalità della pena, perché, attraverso il
rafforzamento penalistico dell’effettività delle misure reintegratorie del bene
offeso, si fa assumere all’interesse pubblico alla riparazione una connotazione
particolare, che permea di sè il precetto e diviene esso stesso bene giuridico
protetto (cfr. con illustrazione riguardante la precedente fattispecie
dell’art. 51 bis del D.Lgs. 22/97, Sez. 3 , n. 1783 del 28.4.2000,
Pizzuti, rv. 216585).
Conferma le medesime finalità ripristinatorie, seppure attraverso una diversa
ricostruzione ermeneutica, distante rispetto alla suddetta tesi del reato
omissivo, un ulteriore indirizzo di legittimità, secondo cui con l’entrata in
vigore dell’art. 257 in esame la disciplina del reato già previsto ai sensi del
citato articolo 51 bis del D.lgs. 22/97 non sarebbe sostanzialmente mutata,
atteso che la struttura della fattispecie di cui all’art. 257 sarebbe «del
tutto corrispondente a quella del precedente reato di cui all’art. 51 bis, […],
poiché continua a prevedere la punibilità del fatto di inquinamento se l’autore
‘non provvede alla bonifica in conformità’ al progetto di cui all’art. 242 (in
precedenza era previsto che la bonifica dovesse avvenire secondo il
procedimento del corrispondente art. 17). Il che significava e significa che la
bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed esclude la punibilità del
fatto anche secondo la precedente normativa (come è stato sempre pacifico
anche in giurisprudenza)». Attraverso tale ricostruzione si è voluto
sottolineare che «in sostanza il legislatore, proprio per agevolare la bonifica
dei siti inquinati (secondo il principio “chi inquina paga”
formalizzato testualmente in legge nell’art. 239 del nuovo codice ambientale,
ma già esistente come tale anche nel cd. decreto Ronchi ) e quindi impedire la
prescrizione del reato nei tempi estremamente brevi previsti per le
contravvenzioni, insufficienti di regola per gli interventi di ripristino
ambientale dei siti contaminati, ha strutturato il reato di cui si tratta come
reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza
di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno, sempre fino
alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo
creando un particolare interesse per l’autore dell’inquinamento — che non può
invocare la prescrizione se non ha provveduto alla bonifica – ad attuare le
condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato» (cfr. Sez. 1,
n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti e altro,).
2.5. Quest’ultimo aspetto relativo al carattere permanente del reato è stato
ribadito in altre pronunzie della suprema Corte. Infatti si è osservato che «si
versa in ipotesi di reato di natura permanente anche dopo l’entrata in vigore
della D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 242 e 257 […] – non bastando ai fini della
interruzione della condotta il sequestro del sito inquinante, preordinato
all’eliminazione del danno, ma occorrendo l’esecuzione di interventi di messa
in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, condotte riparatorie
– queste – previste anche dal nuovo testo unico D.Lgs. n. 152 del 2006, ex
art.247, che, ove poste in essere prima della pronuncia giudiziale, fanno
venire meno la punibilità del reato» (cfr. Sez. 3, n. 11498 del 15/12/2010
(dep. 22/03/2011) Rv. 249743 Ciabattoni).
2.6. Costituisce un tema dibattuto in dottrina e giurisprudenza, rilevante nel
caso di specie alla luce del primo motivo di impugnazione, quello della
ricostruzione della condotta di omessa bonifica, con particolare riferimento
alla necessità o meno che la stessa, per assumere rilevanza penale in rapporto
all’art. 257 cit., presupponga o meno la previa redazione e adozione del
progetto di bonifica ex art. 242 cit. In altri termini, si tratta di stabilire
se l’obbligo di bonifica, a fronte della cui omissione sussiste la punibilità
del responsabile dell’inquinamento del sito, sia o meno quello che si delinea
solo di seguito all’ approvazione del citato progetto operativo della medesima
(cfr. art. 242 comma 7 cit.). In tale ultimo senso si rinvengono diverse decisioni
con cui la Suprema Corte ha rilevato come, a fronte della riformulazione della
pregressa fattispecie criminosa (art. 51 bis del D. L. vo. 22/97) ai sensi del
D. L. vo. 152/2006, si debba considerare che, mentre per il procedimento
richiamato dal Decreto n. 22 del 1997, art. 51 bis, il reato era configurabile
per la violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato
ex art. 17, con l’introduzione del Decreto n. 152 del 2006, art. 257, la
consumazione del reato non può prescindere dall’adozione del progetto di
bonifica ex art. 242 (cfr. Sez. 3, n.9492 del 29/01/2009 Rv. 243115 Capucciati;
Sez. 3, Sentenza n. 17817 del 2012 Rv. 252616 Bianchi; nel medesimo senso Sez.
3, n. 22006 del 13/04/2010 Rv. 247651 Mazzocco e altri; Sez. 3, n.
18502 del 16/03/2011, Rv. 250304, Spirineo).
A tale orientamento che valorizza il dato letterale delle disposizioni (laddove
l’art. 51 bis cit. stabiliva la punibilità di chi avesse cagionato
l’inquinamento o un pericolo di inquinamento nel caso in cui non avesse
provveduto «alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17 […]» del
T.U.A, descrittivo di tutti i passaggi funzionali alla approvazione del
progetto di bonifica, mentre l’art. 257 prevede la sanzione penale dell’autore
dell’inquinamento «se non provvede alla bonifica in conformità al progetto
approvato […] nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti»),
se ne contrappone un altro che valorizza un’interpretazione sistematica.
Nell’ambito infatti di quest’ultimo indirizzo si è sostenuto che il reato in
questione è configurabile non solo allorquando chi sia tenuto alla bonifica non
vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente
nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 e ss., bensì anche nell’ulteriore
caso in cui addirittura impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica
e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di
caratterizzazione, necessario per predisporre il progetto di bonifica. Non si
tratterebbe, in tal caso, di una non consentita interpretazione estensiva in
malam partem né di un’applicazione analogica della norma penale incriminatrice,
bensì «dell’unica interpretazione sistematica atta a rendere il sistema
razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 Cost. Invero […] sarebbe manifestamente irrazionale una disciplina che
prevedesse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di
caratterizzazione ma poi omette di eseguire il conseguente progetto di bonifica
ed invece esonerasse da pena il soggetto che addirittura omette anche di
adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la stessa
formazione del progetto di bonifica» (cfr. Sez. 3, n. 35774 del 02/07/2010 Rv.
248561, Morgante).
2.7. Quest’ultimo indirizzo è condiviso nelle sue conclusioni e motivazioni dal
Collegio. Invero non pare discutibile, come rilevato da talune delle sentenze
sopra richiamate, pur nella diversità dogmatica della ricostruzione della
struttura del reato, che attraverso l’elaborazione delle fattispecie di cui
all’art. 51 bis prima e dell’art. 257 poi, si sia voluto «agevolare la
bonifica dei siti inquinati» così che secondo un già citato indirizzo si
sarebbe strutturata la contravvenzione come « reato la cui permanenza persiste
fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità
può essere fatta venire meno, sempre fino alla sentenza di condanna,
attraverso la condotta riparatoria onde eliminare la punibilità del reato […]» (cfr.
Sez. 1, n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti, cit.); per un altro
indirizzo di legittimità «attraverso il rafforzamento penalistico
dell’effettività delle misure reintegratorie del bene offeso, si fa assumere
all’interesse pubblico alla riparazione una connotazione particolare, che
permea di sè il precetto e diviene esso stesso bene giuridico protetto» (cfr.
Sez. 3 , n. 1783 del 28.4.2000, Pizzuti, rv. 216585 cit.), ovvero «il
mancato raggiungimento dell’obiettivo della bonifica determina un aggravarsi
dell’offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice, già perpetrata dalla
condotta di inquinamento» (cfr. Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134
Magni, cit.).
In altri termini, può cogliersi, in ordine alla fattispecie in esame, la condivisione
del rilievo per cui il bene giuridico della tutela dell’ambiente contro
particolari situazioni qualificate di contaminazione risulta “rafforzato”
attraverso la valorizzazione di condotte riparatorie: così inteso, esso deve
quindi guidare l’interprete verso la più corretta ricostruzione della norma.
2.8. Consegue che a fronte della tecnica di redazione della fattispecie in
esame, che tipicizza il fatto di reato anche attraverso il riferimento a
“fonti” esterne, ovvero, nello specifico, ad un elemento normativo extrapenale
quale la bonifica, sotto il profilo della relativa omissione, quest’ultima,
alla luce delle suesposte finalità di tutela perseguite dalla norma, non può
che intendersi in senso ampio, come riferita al complesso delle attività ed iniziative
che il soggetto tenuto alla bonifica deve avviare a fronte dell’insorgere di
tale obbligo; dovere che consegue all’avvenuto accertamento del superamento «di
una o più delle concentrazioni soglia di rischio» (cfr. art. 242 comma 6 e ss
del D.L.vo 152/06) e come tale impone all’interessato di attivarsi per
pervenire al progetto operativo di bonifica, quale documento finale che
stabilisce le corrette modalità di effettuazione della predetta attività di
ripristino. Cosicchè, il mancato rispetto dell’obbligo dovrà ritenersi
integrato, in conformità al già citato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Sez.
3, n. 35774 del 02/07/2010 Rv. 248561, Morgante), sin dall’omissione di
qualsivoglia condotta funzionale alla redazione e approvazione del progetto
operativo degli interventi di bonifica di cui al comma 7 e ss. dell’art. 242
cit., piuttosto che restringersi alla mera omissione di bonifica a fronte
dell’intervenuta approvazione del relativo progetto. Così ricostruita la
fattispecie, deve ritenersi che la relativa permanenza decorre sin dalla
configurazione della situazione di inquinamento «qualificata» di cui al comma 1
dell’art. 257 cit., mentre la punibilità «può essere fatta venire meno, fino
alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria» (cfr. Sez. 1,
n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti.); consegue che nella disposizione
in esame il riferimento alla bonifica e alla sua conformità al progetto
approvato assume una plurima portata: da una parte il richiamo alla bonifica
assume il valore di rinvio sintetico, mediante elementi normativi extrapenali,
alla più complessa e ampia procedura scaturente dall’avvenuto accertamento del
superamento di taluna delle «concentrazioni soglia di rischio »; dall’altra, la
indicazione della sua conformità al progetto approvato dall’autorità competente
ai sensi dell’art. 242 e ss. citato, specifica le caratteristiche che devono
rinvenirsi per ritenere l’attività di bonifica idonea ad escludere la
punibilità del reato: non basta una qualsivoglia bonifica bensì quella conforme
al progetto operativo emergente dalla procedura di cui agli artt. 242 e ss del
T.U.A. Cosicchè il reato permane anche in caso di intervento eseguito in
difformità da quanto formalmente pianificato (Sez. 3, n. 35774 del 2/7/2010,
Morgante, Rv. 248571, cit.).
2.9. Quanto al soggetto responsabile della condotta, un punto nodale è dato dal
caso in cui il sito inquinato sia riconducibile ad un ente. Invero l’art. 242
T.U.A. riferisce l’obbligo di attivare le procedure di bonifica al
“responsabile” dell’inquinamento e tale obbligo grava sull’ente in
virtù del rapporto organico con il soggetto in esso incardinato e della
conseguente imputazione alla persona giuridica del suo comportamento e dei
relativi obblighi, salvo che sia dimostrato che egli abbia agito di propria ed
esclusiva iniziativa ed in contrasto con gli interessi della società. Mentre
alla persona fisica dell’amministratore fa capo la responsabilità penale per i
singoli atti delittuosi, ogni altra conseguenza patrimoniale non può non
ricadere sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica
abbia agito, con esclusione della sola ipotesi di rottura del rapporto
organico, per avere il soggetto agito di propria esclusiva iniziativa. In
sostanza, l’obbligo di bonificare è del soggetto collettivo, mentre, per la
sua inosservanza, occorre distinguere tra il profilo patrimoniale, del quale
risponde la società, e quello della responsabilità penale, che riguarda
l’organo rappresentativo (cfr. Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016 Rv.
267842, Silva).
3. Tanto premesso, con riguardo al primo motivo di impugnazione riguardante
l’inconfigurabilità del reato in essenza del progetto di bonifica di cui
all’art. 242 comma 7 del T.U.A, emerge la relativa infondatezza, atteso che a fronte
della verificata situazione di inquinamento «qualificato» di cui al primo comma
dell’art. 257, riconducibile, in maniera incontestata, al Consorzio
intercomunale “Valle Bisirico” oltre che ascritta penalmente all’imputato quale
Presidente del relativo CDA, il reato in esame si perfeziona a partire da tale
accertamento (con l’insorgere del correlato obbligo di bonifica), la cui
permanenza sussiste sino all’eventuale bonifica conforme al progetto di cui
agli artt. 242 e ss. del Decreto citato, purchè intervenuta prima della
sentenza conclusiva del processo.
3.1. Manifestamente infondato è il vizio che, pur dedotto con il primo motivo
di impugnazione – formalmente riferito al difetto di violazione di legge –,
sostanzialmente è proposto in termini di motivazione illogica (tanto più che
viene introdotto con la premessa per cui occorre «valutare se il ragionamento
logico giuridico […] sia corretto»), con riferimento alla errata lettura dello
statuto consortile, secondo cui il ricorrente, in qualità di Presidente del CDA
del Consorzio medesimo, non sarebbe stato titolare di poteri di spesa necessari
per procedere alla redazione del progetto di bonifica. Si tratta di un motivo
proposto in maniera del tutto generica atteso che il ricorrente non ha
supportato la sua tesi allegando al ricorso, come dovuto, lo statuto del
Consorzio con il relativo articolo 9 citato, limitandosi, piuttosto, a
riferirne l’avvenuta acquisizione agli atti del processo. Ed invero, è noto che
in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del
principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio
di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur
richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione
o allegazione (cfr. per tutte Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017 Rv.
270071 Schioppo). Ancor più specificamente, va considerato che il ricorso per
cassazione con cui si contesti, come sostanzialmente fatto nel caso in esame,
il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità,
non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la
tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione ma anche individuare in
modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui
fa leva il motivo (cfr. Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep. 14/03/2012) Rv.
252349 S).
3.2. Con riferimento all’ulteriore vizio di cui al primo motivo di
impugnazione, con cui il ricorrente ha infine rappresentato la necessità, per
questo Collegio, di verificare se il Consiglio di Amministrazione avesse la
concreta possibilità di redigere un progetto di bonifica da sottoporre – per
l’approvazione – alla Regione Calabria, che avrebbe poi dovuto finanziarlo, con
ritenuti riflessi di tale circostanza sull’esigibilità del comportamento
ascritto all’imputato, se ne rinviene egualmente l’assoluta genericità oltre
che l’inerenza a profili di fatto (sottratti a questo giudizio di legittimità),
insita nella prospettazione di una non meglio specificata «verifica» affidata
al giudice delle leggi, da svolgersi peraltro sulla base di atti dichiarativi e
documentali non allegati.
4. Quanto al secondo motivo di impugnazione, riguardante l’omessa motivazione
in ordine alla asserita assenza di risorse, va ricordato in principio già
affermato con riferimento alla disciplina di cui al D.L.vo. 22/97 (cfr. Sez.
3, n.25926 del 21/03/2002 Rv. 222100 Di Giorgio) e che può rinvenirsi
anche nell’attuale disciplina di cui al D.L.vo 152/206, atteso che sul punto
non è stata introdotta alcuna innovazione: non esiste un principio di
giustificazione di tipo economico nel sistema così disciplinato e quindi gli
enti locali, così come, deve ritenersi, le loro promanazioni (tra cui può
rinvenirsi un consorzio di comuni, come nel caso di specie, peraltro deputato
alla gestione di una discarica cui si riconnette l’obbligo di bonifica in
esame), hanno il dovere di dare priorità alle spese necessarie per gli
adempimenti in materia di corretta gestione dei rifiuti e delle connesse
attività, tra cui quella in esame. In questa materia dunque, per escludere la
responsabilità dell’agente è necessario rinvenire una determinata causa di
giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall’ordinamento, non essendo
invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta,
se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità
(oggettiva o soggettiva) (cfr. in tal senso sez. 3, n. 4441 del
06/03/1996 Rv. 204423 Giffoni.). Consegue che le difficoltà economiche in
materia di rifiuti non integrano causa di giustificazione e di non esigibilità.
La gestione dei rifiuti e delle connesse e conseguenziali attività
costituiscono infatti un’assoluta priorità, in quanto incidono su interessi di
rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle
risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico l’insufficienza delle
risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al
soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre. Tanto più che nel
caso in esame emerge da parte dell’imputato la titolarità di un ente consortile
nascente dalla partecipazione di più comuni e su tutti (compreso l’ente
esponenziale) incombe, attraverso i relativi organi, l’obbligo di gestione in
via prioritaria della materia suddetta (cfr. in tal senso, seppure con
riferimento ad un singolo comune e ad un suo sindaco, Sez. 3, n.2109 del
10/01/2000 Rv. 215527 Mucci P.).
Va aggiunto che nella sentenza impugnata l’argomento dedotto in questa sede
viene congruamente esaminato e valutato, atteso che il giudice, evidentemente
sottolineando l’obbligo di attivazione pur in caso di eventuale assenza di
risorse, ha rilevato come in ordine alle iniziative asseritamente
promosse dal ricorrente per reperire risorse finanziarie per il progetto di
bonifica non fosse stata fornita alcuna prova, anche solo mediante la
produzione di documenti da cui desumere l’attività in tal senso spiegata
dall’imputato.
Deve quindi ritenersi infondato il motivo proposto sia a fronte della
valutazione comunque operata dal giudice sia perché attinente un profilo che
nell’economia della decisione assume un rilievo assolutamente inconferente.
5. Infondato è anche il terzo motivo, riguardante la prospettata intervenuta
estinzione del reato a causa della maturata prescrizione. Invero la natura
permanente del reato, come sopra evidenziato, esclude che al momento della
sentenza impugnata avesse già cominciato a decorrere e fosse maturata la
prescrizione.
6. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/11/2018.

(foto A.N.S.A., S.D., archivio GrIG)