Che la decisione del Governo Conte sul gasdotto Trans Adriatic Pipeline (T.A.P.) fosse già presa era chiaro fin dal luglio scorso, quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva incontrato il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, acceso sostenitore del progetto.
“C’è la piena consapevolezza del mio governo sul fatto che Tap è opera strategica per l’approvvigionamento energetico del nostro Paese, del sud Europa e dell’area del Mediterraneo”, aveva dichiarato il capo del governo M5S – Lega.
Non solo.
La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (B.E.R.S.) ha accordato il 5 luglio 2018 un prestito di 1,2 miliardi di euro per la realizzazione del gasdotto T.A.P. con voto favorevole del rappresentante italiano su indicazione del Governo Conte, prestito che si aggiunge a quello effettuato nel febbraio 2018 dalla Banca europea degli investimenti (B.E.I.) di ulteriori 1,5 miliardi di euro.
Quanto sta avvenendo in questi giorni sembra uno stucchevole teatrino già visto infinite volte nel povero Bel Paese.
Altro che riapertura della (conclusa) procedura di valutazione di impatto ambientale.

simulazione posa gasdotto (Studio Newton, Fano)
Nulla di nuovo, insomma, compresa la favola di penali da pagare in caso di abbandono del progetto in base a un contratto che nessuno sa citare e men che meno pubblicare.
“Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte del Tap per tre mesi. E sono voluto andare allo Sviluppo economico anche per questo. Vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Le carte un ministro le legge solo quando diventa ministro e a noi del M5s non hanno mai fatto leggere alcunché”, così afferma il Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio, smentito dal suo predecessore Carlo Calenda: “Non esiste una penale perché non c’è un contratto (fra lo Stato e l’azienda Tap n.d.r.) ma, in caso, una eventuale richiesta di risarcimento danni” da parte dell’impresa “visto che sono stati fatti investimenti a fronte di un’ autorizzazione legale … Di Maio sta facendo una sceneggiata e sta prendendo in giro gli elettori ai quali ha detto una cosa che non poteva mantenere”.
Al di là delle diatribe politiche, un fatto è certo: il Movimento No Tap, le associazioni, i cittadini e le amministrazioni locali continuano a richiedere, senza successo, ai ministeri competenti la documentazione che dovrebbe certificare le penali a carico dello Stato, in caso di rinuncia al progetto T.A.P.
Non salta fuori nemmeno un pezzetto di carta in proposito.
Anche il Presidente del Consiglio Conte, da giurista, evita scrupolosamente ogni riferimento a “penali”, ma parla di “pretese risarcitorie dei vari soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera“, il che è ovvio, ma una “pretesa risarcitoria” non prevede nessuna sentenza già scritta, come sa chiunque mastichi un po’ di diritto.

Cisto (Cistus)
Perché il gasdotto T.A.P. a tutti i costi?
“I consumi di gas naturale in Italia nel 2017 sono stati di 75,1 miliardi di metri cubi, che significa una crescita del 6% rispetto al 2016”, secondo il sito web specializzato Quale Energia (elaborazione su dati Ministero Sviluppo Economico), in lieve crescita rispetto agli anni precedenti, ma nel 2013 eran ben “85,67 miliardi di metri cubi con un decremento rispetto al 2012 di 1,02 miliardi di metri cubi, pari al 1,2%”, come affermava l’E.N.I. s.p.a., holding controllante del sistema monopolistico dei gasdotti e del gas naturale in Italia insieme al gruppo S.N.A.M. [1].
Non vi quindi sono particolari ingenti aumenti della richiesta di gas naturale.
I consumi di gas, nel nostro Paese, non hanno mai superato gli 85-86 miliardi di metri cubi l’anno, mentre le infrastrutture esistenti (metanodotti e rigassificatori) hanno la ben superiore capacità di importazione di 107 miliardi di metri cubi annui.
Abbiamo, inoltre, un’ottima diversificazione degli approvvigionamenti di gas: l’85-90% viaggia in gasdotti che arrivano dal nord Europa (Olanda e Norvegia), dall’Est (Russia) e dall’Africa (Algeria e Libia). Inoltre sono operativi due rigassificatori (Rovigo e Panigaglia) che danno circa il 15% del gas consumato in Italia.
Gli impianti di stoccaggio (8 strategici principali, 15 miliardi di metri cubi) sono in mano alla Stogit s.p.a., controllata dalla S.N.A.M. anch’essa.

Mare
In buona sostanza, la questione centrale in Italia non è la carenza di gas, piuttosto la gestione del sistema gas, svolta in regime di sostanziale monopolio. Una corretta gestione potrebbe evitare qualsiasi genere di emergenza per gli approvvigionamenti.
A cosa servono, allora, i 2 nuovi metanodotti che dovrebbero giungere in Italia dall’Africa e dall’Est Europa e gli oltre 10 rigassificatori ipotizzati o progettati, dei quali 3 in dirittura d’arrivo?
L’obiettivo è dichiarato con enfasi nella pubblicità che il gruppo Snam effettua sui mass media: “diventare l’hub europeo del gas”. In parole povere, il gas che arriverà attraverso le nuove infrastrutture sarà rivenduto ai Paesi del centro Europa.
Ecco perché i progetti del gasdotto “Rete Adriatica” (il gasdotto Appenninico) e il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (T.A.P.).

Sulmona, manifestazione contro il gasdotto “Rete Adriatica”
Ciò che non quadra è perché un’operazione puramente commerciale, che ha per scopo quello di portare enormi profitti nelle casse dell’Eni e della Snam, debba essere pagata dai nostri territori e dalle nostre popolazioni in termini di rischi e costi elevatissimi per la salute, la sicurezza, l’ambiente e le economie locali.
Non solo.
Il gasdotto T.A.P. (e una delle sue prosecuzioni, il gasdotto “Rete Adriatica”) interessa non poco il governo U.S.A. di Donald Trump per diminuire le forniture di gas naturale russo all’Europa.
Gli interessi statunitensi e dell’Unione europea coincidono.
E il governo M5S – Lega, euroscettico ma anche no, ha aderito.
Una cosa sono le promesse e le balle propinate per anni di campagna elettorale permanente a milioni di cittadini-elettori, cosa ben diversa è la realtà.
Bastava dirlo prima, vero?
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
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[1] L’Eni s.p.a. controlla ancora l’8,5% del capitale sociale di Snam s.p.a., recentemente ceduto in gran parte alla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., a sua volta controllata dallo Stato.

Rete Nazionale dei Gasdotti
da Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2018
Nel 2013, Barbara Lezzi, oggi ministra per il Sud, già annunciava: “Non potremo più tirarci indietro”. Sia in campagna elettorale che dopo la formazione del governo gialloverde, però, le promesse di stop sono state numerose. E ora il M5s rischia di pagare un prezzo alto a livello di consenso e di voti. (Tiziana Colluto)
“Diego De Lorenzis, l’anno prossimo vieni a fare il bagno alle Fontanelle facendo finta di niente?”. “Tony Trevisi, i tuoi studi sulla Posidonia sono nei bagni di Palazzo Chigi, va bene così?”. “Cristian Casili, hanno fatto bene a manganellarti con i sindaci? Dici che è il caso di fare qualcosa?”. Ad uno ad uno. Contestazione senza tregua. Ed è solo l’inizio. I noTap non dimenticano le promesse dei pentastellati, che fino a qualche giorno fa hanno considerato dal loro lato della barricata. La patente politica all’opera, dopo le parole del premier Giuseppe Conte, è cosa fatta. La motivazione ufficiale è nota: stoppare il gasdotto in arrivo dall’Azerbaijan costerebbe troppo, quanto una manovra finanziaria, ha fatto sapere il governo. Venti miliardi di euro è il calcolo minimo fatto da Socar, società di Stato azera che tra l’altro detiene anche il 20 per cento delle azioni del consorzio Tap. Venti miliardi è la cifra che ha ripetuto durante il vertice il sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico, il pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’ “Associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan”. Nessuna documentazione a supporto è stata fornita.
Nella lunga campagna elettorale verso le politiche del 4 marzo, tutto ciò è stato tralasciato. Anzi, la stessa Lezzi ha firmato, presso il municipio di Melendugno, un documento di impegno a fermare l’opera stilato da alcuni giuristi nelle forme di un “contratto con i candidati”. Pesante, sempre, è stato l’attacco ai candidati, in primis Pd ma anche del centrodestra, che hanno ammesso la difficoltà di azzerare tutto. “Questa è un’opera di fantascienza”, diceva Beppe Grillo nel settembre 2014, ad una manifestazione antigasdotto, proponendo un referendum per dare la parola ai cittadini.

Garzetta (Egretta garzetta)
“Governo delle lobbies e delle banche, vattene a casa e portati via anche quel pagliaccio di Michele Emiliano che non mantiene le promesse fatte al Salento”, tuonava la stessa Lezzi il 28 marzo 2017, quando le ruspe hanno iniziato a rimuovere gli ulivi. “La giornata dell’orgoglio salentino non può essere trascurata dal governo e dalla Regione”, ripeteva ancora Lezzi il 3 aprile successivo, davanti alla platea di migliaia di persone che protestava contro la costruzione di Tap a Lecce. L’apoteosi, in quei giorni, è arrivata con Alessandro Di Battista e il suo “col M5s stelle al governo blocchiamo questo progetto in 15 giorni” pronunciato sul palco di San Foca.
Ha scritto Lezzi, ancora, il 9 febbraio scorso: “Lo ripeto e lo chiedo per l’ennesima volta: Calenda, poche chiacchiere, alzati dalla poltrona e vieni in Salento a spiegare a chi e a cosa diavolo serve Tap.[…] Le provocazioni via social, le superficiali e scorrette dichiarazioni stanno alimentando rabbia e frustrazione. Lo capisce o no, Ministro? Se non ha coraggio, almeno stia zitto”. Tanti gli esposti in Procura anche dagli altri portavoce pentastellati leccesi. Uno di questi, nell’aprile scorso, ha portato al sequestro di una porzione di cantiere. L’ultimo, però, a settembre, è stato depositato da parlamentari non eletti nel Salento.
Si è alimentata così l’idea del dietrofront possibile, alla portata di un governo a trazione 5stelle. E il territorio ci ha creduto davvero: a Melendugno, il comune in cui è in corso la costruzione del metanodotto, Barbara Lezzi ha ottenuto il 65 per cento dei voti. Appena insediatosi, anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato la revisione del progetto per la possibile riapertura della Valutazione di impatto ambientale, non avvenuta. Poi, è iniziata la salita. Quando agli inizi di luglio, la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) ha deciso per il maxi finanziamento da 500 milioni di euro al gasdotto, grazie al voto dell’Italia e sulla base delle indicazioni giunte dal Ministero dell’Economia e Finanze, molti hanno iniziato a comprendere che la piroetta era in corso e che, probabilmente, le promesse elettorali sono state audaci, per non dire azzardate. Il Ministero “deve onorare il trattatoereditato che impegna l’Italia ad agevolare autorizzazioni e ad agire in tutte le forme per non ostacolare l’opera”, ha spiegato Lezzi. “Un atto di tradimento”, lo hanno bollato da subito i noTap. L’aspra contestazione nei suoi confronti, in estate, “è stato solo un assaggio di ciò che troveranno i Cinquestelle nel Salento”, promettono ora gli attivisti.
da Terre di Frontiera, 18 ottobre 2018
Le cifre a vanvera sui “costi di abbandono” del Tap.
l Movimento No Tap, le associazioni, i cittadini e le amministrazioni locali continuano a richiedere, senza successo, ai ministeri competenti la documentazione che dovrebbe certificare le penali a carico dello Stato, in caso di rinuncia la progetto Tap. Ecco tutte le omissioni del governo Conte. (Alessandra Cecchi)
Ad agosto il Movimento No Tap, assieme ad associazioni e cittadini del territorio salentino promuoveva, per tramite dell’avvocato Michele Carducci, una istanza di accesso civico generalizzato (Foia) a tutti i ministeri competenti del governo Conte, chiedendo l’accesso ai dati e ai documenti in possesso delle amministrazioni medesime in merito agli eventuali “costi di abbandono” in caso di recesso italiano dal progetto del Trans Adriatic Pipeline (Tap).
L’istanza veniva formulata in seguito alla diffusione di diverse stime – «da 40 a 70 miliardi» – da parte della stampa nazionale, e di generiche notizie sulla esistenza di «clausole penali» a favore della società multinazionale Tap, titolare della realizzazione dell’opera, e di conseguenti «contenziosi contrattuali» con il governo italiano.
Attraverso la Foia, il Movimento No Tap, le associazioni e i cittadini richiedevano, inoltre, la documentazione sull’analisi costi-benefici prevista dall’Unione europea, inclusiva dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, come previsto dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).
Con un altro atto si chiedeva al ministero dell’Interno se avesse elaborato studi e conteggi a sostegno delle reiterate dichiarazioni del ministro Matteo Salvini sulla riduzione del 10 per cento del costo dell’energia grazie alla costruzione del Tap.
A settembre cominciarono ad arrivare le prime risposte, o meglio non risposte dai ministri per il Sud, dell’Ambiente e dell’Interno.

Merlo femmina (Turdus merula)
Il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha dichiarato che «in riferimento alla sua […] sono a comunicarle che la documentazione richiesta non è detenuta presso gli uffici del ministro per il Sud.» Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, invece, specificata che «relativamente alle richieste sopra riportate, si comunica che questo ufficio non è a conoscenza delle fonti da cui hanno originato le richiamate notizie di stampa e né ha agli atti dei procedimenti di competenza alcuna documentazione afferente alle richieste sopra riportate.» Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sottolineava «che questa amministrazione non detiene alcuna documentazione o informazione pertinente alle sopra menzionate dichiarazioni [di Matteo Salvini, ndr], che sono state formulate e riportate in un contesto di comunicazione di carattere generale riguardante le politiche del governo.»
In seguito, ma solo dopo l’invio di un’informativa all’Autorità interna anticorruzione per la mancata risposta, è pervenuta anche la versione del ministero dello Sviluppo economico, che ha dovuto riconoscere che sui “costi di abbandono” non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni.
In pratica, analisi costi di abbandono inesistenti, analisi costi-benefici inesistenti, ministeri che cadono dalle nuvole alla richiesta di documentazione, ministri che esternano a vanvera senza nessuno studio che sorregga le loro dichiarazioni.
Ieri (17 ottobre 2018, ndr), nel corso della convocazione a Palazzo Chigi di Marco Potì, sindaco di Melendugno – il paese che verrà devastato dall’approdo Tap – si è consumato un ulteriore atto di questa farsa. Ancora una volta al primo cittadino non è stata consegnata alcuna documentazione su eventuali penali per l’abbandono dell’opera.
Ancora una volta gli esponenti del governo Conte hanno diffuso su tutti i media cifre sui costi di abbandono non supportate da nessuna valutazione.

Puglia, Brindisi, le quattro ipotesi di approdo sulla terraferma del gasdotto T.A.P.
LE OMISSIONI DEL GOVERNO CONTE SUI COSTI TAP
A ricostruire la vicenda è l’avvocato Michele Carducci, ordinario di Diritto costituzionale comparato presso l’Università del Salento. Michele Carducci – difensore di Movimento e cittadini No Tap – sostiene che «la storia dell’analisi costi-benefici su Tap non ha fine e ora sembra tramutarsi in una farsa. Durante l’estate, tutti i ministeri interpellati con il sistema del cosiddetto Foia (accesso civico generalizzato) sono stati costretti ad ammettere l’assenza di documenti e conteggi sugli effettivi benefici di Tap (in termini economici, climatici, ambientali, di risparmio) e sui costi di abbandono dell’opera (in termini di titoli legali di legittimazione verso lo Stato italiano). Persino il ministero dello Sviluppo economico, recalcitrante sino all’informativa all’autorità interna anticorruzione, ha dovuto riconoscere che non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni. Il vicepresidente Salvini è stato addirittura smentito dal suo Ministero sui presunti risparmi della bolletta del gas.
Poi, il 15 ottobre, il sindaco del Comune di Melendugno, nella provincia di Lecce, dove dovrebbe approdare il gasdotto Tap, è stato urgentemente convocato a Palazzo Chigi insieme ai parlamentari e rappresentanti territoriali del Movimento 5 Stelle.
Alla presenza della ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha parlato il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, il senatore pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan.
Egli ha riferito di suoi personali conteggi su Tap, riguardanti impegni contrattuali sull’estero (perché il gas di Tap servirà principalmente l’estero) e probabili mancati profitti, concludendo per un ammontare di 20 miliardi. Ha dunque parlato di presumibili costi contrattuali di terzi, ma non di analisi costi-benefici tra attivazione dell’opera e contesto socio-economico-ambientale-climatico dello Stato italiano e del suo ecosistema.
Le due prospettive non descrivono in nulla la stessa cosa: l’analisi costi-benefici è richiesta sia dall’Unione europea, che pretende l’inclusione dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, sia dall’Osce che impone che l’analisi costi-benefici della sicurezza energetica sia declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, oltre che dalla Banca centrale europea che vorrebbe finanziare l’opera Tap.
È richiesto da tutte le istituzioni sovranazionali e internazionali di strategia energetica e di investimento finanziario; com’è giusto che sia, giacché l’analisi costi-benefici sulle opere di impatto intertemporale risponde a una garanzia di trasparenza dei decisori pubblici nei confronti non solo dei cittadini di oggi, ma soprattutto delle generazioni future e del loro contesto di vita: contesto che inesorabilmente deve misurarsi sulla dimensione climatico-ambientale.
Di tutto questo il sottosegretario non ha parlato. Egli non ha neppure voluto consegnare alcuna documentazione al sindaco. Nulla ha saputo replicare alle domande sui titoli giuridici a fondamento delle eventuali pretese creditorie italiane e non estere. Ha taciuto sul computo dei costi ambientali dell’opera Tap rispetto alla tenuta dell’ecosistema della costa di San Basilio, rispetto ai fenomeni dell’erosione costiera. Nulla è stato detto sui costi climatici rispetto ai criteri ribaditi proprio questo mese dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu.
Del resto, non è superfluo ricordare che il governo italiano è pericolosamente privo del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Tortore dal collare (Streptopelia decaocto) fra i Girasoli
Forse anche per questo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, si sottraggono all’onere di un tavolo pubblico e trasparente tra agenzie indipendenti di studio ambientale (come Ispra e Arpa), rappresentati del governo e del territorio e Tap.
In definitiva, e una volta in più, di analisi costi-benefici non si sa che dire; come, ancora una volta, la Convenzione di Aarhus sulla democrazia ambientale, che prevede il coinvolgimento del pubblico nell’analisi costi-benefici, è stata violata.
Questo è un fatto molto grave, indipendentemente dalle proprie posizioni politiche, perché priva tutti i cittadini del diritto all’informazione completa ed esaustiva sulle scelte politiche dei governanti nei confronti di un’opera che riguarda i diritti delle generazioni future.
La circostanza di un sottosegretario di Stato inadempiente negli oneri documentali e informativi verso un Sindaco rappresentante di un territorio della Repubblica, non definisce solo un gesto istituzionalmente scorretto; identifica una lacuna istituzionale pericolosa.
In questo scenario, paradossale appare infine il silenzio della coalizione giallo-verde e di Luigi Di Maio che, nel suo Contratto per il governo del cambiamento, esplicitamente ha voluto contemplare, per opere come Tap, tre obblighi metodologici totalmente disattesi: la istituzione di un Comitato di conciliazione per definire le modalità di azione; l’analisi costi-benefici (non solo quindi l’analisi costi contrattuali esteri); trasparenza e partecipazione di comunità locali e cittadini.
Di Maio tradisce il suo Contratto, votato dai suoi elettori. La leale collaborazione tra istituzioni nazionali e locali e tra istituzioni e cittadini è il cemento della democrazia. Prendersi gioco della leale collaborazione è un illecito costituzionale che va denunciato.
È già partito l’accesso Foia verso il sottosegretario Cioffi. Ma sono già state attivate anche tutte le azioni propedeutiche alla denuncia del governo italiano presso l’Unione europea, l’Osce e le altre istituzioni che tutelano i diritti di informazione e di trasparenza delle decisioni nelle democrazie.
L’analisi costi-benefici è un dovere verso i diritti delle generazioni future e un presupposto di serietà di una democrazia.
Non pretendere chiarezza su tutto questo significa diventare complici di una erosione dei diritti di cittadinanza, che danneggia tutti e irresponsabilmente condiziona il futuro.»
questa la risposta ufficiale del Ministero dello sviluppo economico

Puglia, litorale interessato dal progetto di gasdotto T.A.P.
(simulazione Studio Newton – Fano, foto da mailing list ambientalista, G.M., M.F., S.D., archivio GrIG)